| DA - LA REPUBBLICA. Il neo segretario della Cigl a Torino
chiede al governo
di togliere di mezzo il problema dell'articolo 18
Epifani:
"Siamo un milione
abbiamo vinto la sfida"
A Cisl e Uil:
"Avete perso una grande occasione"
Ma è la crisi Fiat al centro del suo intervento
TORINO - L'articolo 18, la
crisi della Fiat, la voglia di ritrovare l'unità
sindacale, gli errori del governo. E la convinzione di
essere nel giusto, supportata dal "milione di
lavoratori scesi in piazza" in tutta Italia. E' su
questi temi che ruota il discorso di Guglielmo Epifani,
neo segretario della Cgil al suo primo importante comizio
a Torino, nel giorno dello sciopero generale della Cgil.
Epifani parla davanti a un tappeto di bandiere tosse, in
piazza San Carlo. "Abbiamo vinto una sfida. Lo
sciopero di oggi e le adesioni in tutta Italia ci dicono
che abbiamo avuto ragione".
"Contro il nostro sciopero - ha detto Epifani - sono
scesi in campo in tanti. Per molti giorni lo sciopero è
scomparso dai telegiornali e dai giornali: aveva più
spazio chi lo criticava rispetto a chi lo aveva promosso.
Ci dicevano è intempestivo perché non lo volevano né
prima né dopo. Lo hanno definito sbagliato, inutile e
anche stupido. La risposta l'hanno data i
lavoratori".
E alle altre organizzazioni sindacali Epifani dice:
"Cisl e Uil avete perso una grande occasione. Noi
sappiamo che di fronte ad una crisi come questa serve una
forza, un'unità sindacale e sappiamo che uniti si è
più forti. Non perdete altro tempo, non fate altri
errori: il sud, la Fiat, i lavoratori, vi chiedono
coerenza e di tornare a stare con loro".
Ma è la crisi della Fiat nella città del Lingotto a
occupare gran parte del suo intervento. "Crede
davvero l'azionista della Fiat in quello che fa, nel
futuro dell'auto? Se è così non metta nessun lavoratore
in cassa integrazione a zero ore e non chiuda nessuno
stabilimento né al nord né al sud. Chiamiamo l'azienda
alle proprie responsabilità". Tanti gli applausi
quando Epifani tocca il problema del Lingotto. "Se
la Fiat ci crede fino in fondo - ha aggiunto - perché
allora continua a sbagliare modelli, a non fare
investimenti nella ricerca, a non avere una rete di
distribuzione efficiente? Se invece come in fondo temo
non ci crede, cosa si pensa di fare perchè l'industria
dell'auto abbia un futuro?"
"Abbiamo chiesto al governo - ha detto ancora
Epifani - di intervenire, vogliamo un tavolo di confronto
vero, senza trucchi, in cui il governo non giochi altre
partite di scambio e non abbia altri fini che
salvaguardare la nostra industria dell'auto".
Poi Epifani chiama in causa governo, Confindustria e
Banca d'Italia: "Dov'è il miracolo economico,
dov'è il turbosviluppo, caro Tremonti, caro presidente
di Confindustria, governatore della Banca d'Italia? Dove
vede il presidente del Consiglio i segni di
ripresa?". "Il Paese - ha aggiunto Epifani -
chiuderà quest'anno con una crescita pressochè uguale
allo zero, i prezzi salgono, i conti pubblici non
quadrano e rischiamo che i sacrifici già fatti non siano
sufficienti". Il governo, ha detto Epifani, ha
sbagliato due volte e ha fatto una Finanziaria che è
peggiore del Patto per l'Italia.
(18 ottobre 2002)
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| DA - LA REPUBBLICA. Il segretario Epifani:
"Adesioni altissime ovunque"
Disagi per i trasporti urbani, aerei e ferroviari
La Cgil esulta:
"Milioni nelle piazze"
ROMA - "Nelle piazze
c'erano due milioni di persone". Tempo di bilanci
per la Cgil. "Lo sciopero è stato un successo
assolutamente superiore alle attese" annuncia il
sindacato. "Abbiamo vinto la sfida" dice il
segretario generale Guglielmo Epifani. Da Torino,
"centro di gravità" della mobilitazione
generale di otto ore voluta dalla Cgil, Epifani indica
che anche nel resto del Paese ci sono "adesioni
altissime, anche al Sud e a Roma". Tra i settori
più coinvolti la scuola, in cui ha scioperato, secondo
il sindacato, il 45-50% del personale. Mentre nel settore
dei trasporti - urbani, ferroviari, aerei - è stata una
giornata di grandi disagi, vista la notevole adesione
alla protesta.
Lo sciopero è stato indetto contro le modifiche
all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, contro il
"Patto" firmato da governo, Confindustria,
Cisl, Uil e Ugl, contro i tagli ai servizi pubblici e ai
trasferimenti agli enti locali e alle Regioni previsti in
Finanziaria, contro il piano dei licenziamenti e della
"cassa" a zero ore presentato da una Fiat in
crisi da tempo. E' per questo che oggi ci sono stati
cortei e manifestazioni in tutta Italia. La dimostrazione
più imponente a Firenze, dove sono scese in piazza 200
mila persone.
TORINO
La città "simbolo" della protesta, secondo
stime di stamane della Cgil il 70-80 per cento degli
operai Fiat Mirafiori hanno incrociato le braccia, il 75%
all'Iveco, il 90% all'Alenia, il 95% alla Bertone. Alla
"Massucco", azienda di un deputato di Forza
Italia dove, dicono alla Fiom, non ci sono le Rsu, ha
scioperato l'80% dei dipendenti. Poi ci sarebbero punte
del 100% allaTeksid di Borgaretto, (Torino) e di
Vercelli; dell'80-85% nelle aziende metalmeccaniche
dell'astigiano. Alla manifestazione erano presenti il
segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani e i
leader dei Ds, Piero Fassino, e di Rifondazione
comunista, Fausto Bertinotti. Due cortei, uno formato da
dipendenti degli stabilimenti Fiat si è mosso da corso
Marconi, l'altro da piazza Statuto con Epifani, Fassino e
Bertinotti, che a metà percorso hanno raggiunto l'altro
serpentone di dimostranti. In piazza Arbarello al corteo
proveniente da piazza Statuto si sono aggiunti gruppi di
studenti e di giovani dei centri sociali. Tutti i
manifestanti si sono diretti in piazza San Carlo dove si
sono svolti i comizi.
MILANO
Sergio Cofferati ha partecipato al corteo che è partito
da Corso Venezia: circa 250 mila i dimostranti, secondo
ggli organizzatori. L'ex leader della Cgil è prima
andato dai lavoratori dell'Alfa di Arese per portare loro
la sua solidarietà, per andare poi a metà serpentone
dove erano i lavoratori della Pirelli. Un tragitto, il
suo, fatto tra due ali di folla che lo applaudivano e lo
invitavano a fare politica. Al grido di "Sergio!
Sergio!" da parte dei manifestanti l'ex leader della
Cgil ha firmato decine di tessere della Confederazione
sindacale. Fra i politici presenti a Milano anche il
presidente del Pdci, Armando Cossutta, e il leader
dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. Alla testa del
corteo c'erano i lavoratori dell'Alfa di Arese.
L'adesione media, secondo la Cigl, è stata dell'85%.
PALERMO
Gli operai della Fiat di Termini Imerese hanno aperto il
corteo. Erano circa 700, contando anche le mogli, le
madri e le figlie degli operai. Ed erano proprio le donne
a mettersi alla testa del corteo con uno striscione del
neonato "Coordinamento Donne di Termini
Imerese". Dietro a loro anche i dipendenti di alcune
fabbriche dell'indotto Fiat. Per le vie del centro hanno
sfilato circa 30 mila persone.
ROMA
Sulle note di "Bella ciao" il corteo che dai
Fori Imperiali si è diretto verso piazza Navona. I dati
diffusi dal settore Funzione pubblica e metalmeccanici,
indicano "un'adesione di lavoratori superiore a
quella dello sciopero unitario del 16 aprile", come
ha spiegato il segretario della Cgil regionale Funzione
pubblica, Gianni Nigro. In particolare, secondo i
dirigenti sindacali, sarebbero rimasti chiusi tutti i
musei del comune di Roma e buona parte di quelli statali,
tra cui il Colosseo, i Fori Imperiali e Castel
Sant'Angelo. Nella sanità le cifre della Cgil parlano di
un'adesione dell'80% al Cto e allo Spallanzani.
Nell'industria, di rilievo il 100% della Ericsson a Roma
e il 60% dello stabilimento Fiat di Cassino. Oltre 150
mila le persone scese in piazza, secondo gli
organizzatori.
LE ALTRE CITTA'
Oltre duecentomila persone in piazza a Firenze. Questa
l'adesione allo sciopero nelle principali fabbriche resa
nota dalla Cgil: il 97% alla Zanussi, il 98 alla Galileo,
il 92 alla Breda. Sempre secondo i dati del sindacato,
hanno scioperato anche l'80% dei vigili urbani. Chiusi
tutti i musei cittadini, compresi gli Uffizi. A Genova la
giornata contro il Patto per l'Italia ha portato in
piazza, secondo i sindacati, almeno 70 mila persone. A
Bologna, 85 mila.
Lo sciopero e le manifestazioni hanno causato problemi
nei trasporti: i treni si sono fermati fino alle 17.
Disagi, inoltre, per il traffico arereo (l'Alitalia ha
cancellato 275 voli tra le 10 e le 18) e nel trasporto
locale, con stop di otto ore diversi da città a città.
Alle Poste, sono state garantite solo l'accettazione e la
trasmissione di telegrammi, telex, raccomandate e
assicurate.
(18 ottobre 2002)
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| DA - LA REPUBBLICA. Per il ministro del Welfare non è
andato oltre la sola Cgil
Berlusconi
si astiene da ogni commento: "Di questo non
parlo"
Maroni:
"Sciopero modesto
ora serve collaborazione"
Angeletti (Uil): "Non ci siamo accorti
dell'agitazione"
Pezzotta (Cisl): "Dialogo può ripartire solo dal
Patto per l'Italia"
ROMA - Uno sciopero
"modesto" che "non è andato oltre la sola
Cgil". Roberto Maroni, ministro del Welfare, liquida
così la mobilitazione del sindacato di Guglielmo Epifani
che ha portato in piazza milioni di persone (secondo la
Cgil). Silvio Berlusconi si astiene invece da qualunque
commento. "Di questo non parlo", ha detto il
presidente del Consiglio.
Maroni si è affidato invece a una nota ministeriale per
commentare la riuscita dello sciopero. E difende l'azione
del governo e il Patto per l'Italia. "Noi abbiamo
fatto un Patto per l'Italia con tutte le sigle sindacali
tranne che la Cgil, un Patto che funziona, che il governo
ha attuato nella Finanziaria ed è l'unico modo per
rilanciare l'economia". "La Cgil - aggiunge -
è libera di dire sempre no a tutto e quindi di non
assumersi la responsabilità di contribuire a rilanciare
l'economia, che è in forte crisi non solo in Italia ma
ovunque".
E commentando le cifre "modeste" dello
sciopero, Maroni lancia un appello. "Ora - spiega -
servono rapporti più collaborativi tra le forze
politiche e sociali. Anche l'esito modesto dello sciopero
deve indurre a riflettere sulla necessità per il Paese
di promuovere rapporti ancora più collaborativi tra
forze politiche e sociali". Uno sforzo richiesto,
secondo Maroni, dall'ultima emergenza del Paese, la crisi
della Fiat. "Il difficile e complesso caso della
Fiat sta positivamente migliorando il clima di questi
rapporti - afferma il ministro del Welfare - tutti
avvertono che le complesse soluzioni richiedono uno
sforzo corale e che a nessuno è consentito di giocare
sulla pelle dei lavoratori. Da questo esempio positivo
vogliamo lavorare per una nuova e più evoluta qualità
delle relazioni industriali".
Polemico Luigi Angeletti, numero uno della Uil. In Italia
"non ci siamo accorti dello sciopero", commenta
rispondendo a Guglielmo Epifani che dal palco di Torino
ha detto: "Abbiamo vinto la sfida, siamo un milione
in tutta Italia". Se la Cgil dice che la
partecipazione alla protesta è superiore a quella del 16
aprile, ha aggiunto Angeletti, "evidentemente lo ha
fatto in un altro Paese". Angeletti ribadisce che lo
sciopero di oggi proclamato dalla sola Cgil "è
inutile" e "non produrrà nessun cambiamento
sulle scelte economiche del Paese".
Anche Savino Pezzotta, leader della Cisl, commenta i
numeri dello sciopero. "E' falso", dice,
sostenere che le adesioni sono state superiori a quelle
dello sciopero generale unitario dello scorso 16 aprile
scorso. E rispondendo all'appello all'unità sindacale
lanciato da Epifani, il leader della Cisl si dice
disponibile al dialogo, ma a una condizione: "Si
può ripartire solo dagli obiettivi fissati nel Patto per
l'Italia".
Per Piero Fassino quello di oggi "è uno sciopero
contro la politica economica del governo che nelle ultime
settimane si è caricato particolarmente alla luce della
crisi Fiat". Lo sciopero di oggi, prosegue il leader
dei Ds, è "una lotta importante contro la politica
economia del governo che ha fatto fallimento", ma
anche contro una legge finanziaria "che ha suscitato
proteste in tutti i settori della società italiana, a
partire da quelli imprenditoriali".
Fassino lancia anche un appello all'unità sindacale. Il
fatto che questa giornata di sciopero sia proposta dalla
Cgil, dichiara, "non deve impedirci di guardare
oltre e riprendere insieme il cammino dell'unità
sindacale, perché i temi che stanno al centro della
giornata di oggi, sono temi che riguardano tutti i
lavoratori ed i cittadini italiani".
(18 ottobre 2002)
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| DA - L'UNITA' Palermo, il corteo dello
sciopero passa sotto casa e Giovanni, disoccupato, si
uccide
di d.sfra.
Il corteo della Cgil era da poco passato a poche
centinaia di metri da casa sua, a Palermo, per
manifestare contro il governo, contro la finanziaria,
contro il piano di licenziamenti della Fiat, contro la
disoccupazione, quando Giovanni Artisi, 43 anni e un
figlio, ha deciso di farla finita. Lo ha fatto in una
giornata di lotta, per denunciare, nel modo più estremo,
la drammatica situazione di chi come lui è escluso dal
mondo del lavoro. Una dignità negata a tante altre
persone nella martoriata Sicilia, terra che, adesso che
la Fiat di Termini Imerese sta per chiudere, è sempre
più stretta nella morsa di disoccupazione e mafia.
Secondo quanto raccontato dai
parenti, l’uomo era caduto in uno stato depressivo
dopo che negli ultimi due anni non era riuscito a trovare
un’occupazione stabile. Così, alle 10,45 è salito
sul terrazzo situato al terzo piano dello stabile in cui
viveva con i genitori, in una modesta abitazione al piano
terra in via Padre Cangemi, all'angolo con via Colonna
Rotta, e si è lanciato nel vuoto. Nella caduta ha
abbattuto con un braccio il faro di un palo dell'energia
elettrica e poi si è schiantato sul cofano di un' auto
parcheggiata, morendo sul colpo. Giovanni Artisi non ha
lasciato nessun biglietto, ma in un giorno come questo il
suo gesto contiene già forse troppi significati.
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| DA - L'UNITA' 18.10.2002
A
Roma in centomila per urlare «Sgrunt!» contro la
Finanziaria
di Cesare
Buquicchio
«Sgrunt!» recita il cartello che una ragazza issa
decisa sfilando per i Fori Imperiali. La sua rabbia è
quella degli altri centomila che sono in piazza a Roma
insieme a lei per lo sciopero generale lanciato dalla
Cgil e raccolto da tanti altri. Uno sciopero contro la
Finanziaria di Berlusconi e Tremonti, contro l'attacco
allo Statuto dei Lavoratori, e per l'estensione dei
diritti.
Oltre a tutte le sigle di categoria, ci sono i lavoratori
universitari con il loro striscione: «Meno soldi alla
ricerca, più soldi ai padroni... Questa è la
Finanziaria di Berlusconi»; c'è la Federconsumatori; ci
sono i sindacati della scuola uniti alle associazioni
degli studenti a protestare contro la riforma Moratti;
c'è un folto spezzone di corteo colorato dalle
associazioni dei «Lavoratori del mondo» che scandiscono
con accenti tutt'altro che uniformi «Noi
vogliamo...permesso di soggiorno»; c'è anche un piccolo
"girotondo" (saranno una decina) con alcuni
degli esponenti romani del movimento di piazza San
Giovanni; ci sono molti sindaci «incazzati per la truffa
Irpef»; c'è chi (la Fnle-Cgil regione Lazio) sfoggia il
cartello più spiritoso: «L'articolo 18 non si tocca...
Berlusconi sì»; c'è persino una enorme betoniera
imbandierata con il rosso della Cgil.
C'è la delegazione dei
lavoratori della Fiat di Cassino, e uno di loro è il
primo ad intervenire dal palco di piazza Navona.
«Abbiamo raggiunto un'adesione in fabbrica del 70% -
spiega l'esponente Cgil dello stabilimento laziale, Luigi
Risi - che è un risultato notevole, se consideriamo che
come sindacato abbiamo meno del 20% di iscritti fra i
dipendenti, e che le altre organizzazioni avevano
consigliato di non partecipare. E le percentuali di oggi
sono superiori a quelle dello sciopero generale unitario
del 16 aprile. In più a Cassino c'è un corteo di
seimila persone che ha marciato fino allo stabilimento
per manifestare le nostre preoccupazioni sul futuro di
tutti i lavoratori Fiat».
Ma l'adesione di Cassino e una piazza Navona stracolma
danno il segno di come questo sciopero sia andato ben
oltre il richiamo della sola Cgil e porgono l'occasione
al segretario generale regionale della Fiom-Cgil, Ernesto
Rocchi, di annunciare che «dopo le iniziative di oggi
c'è già in programma uno sciopero unitario di quattro
ore, con Cisl e Uil, dei lavoratori in Fiat, entro la
fine di ottobre. In segreteria poi stiamo prendendo in
considerazione, per novembre, uno sciopero generale di
otto ore di tutti i metalmeccanici».
Sotto il palco si affaccia
timido qualche politico, solidarietà allo sciopero («ma
guardiamo ad un domani con i sindacati ancora uniti») e
qualche stoccata "inter-coalizione". «Il
successo di oggi non è un campanello ma una sirena
d'allarme per il centrosinistra perché dimostra che la
gente vuole unità nei fatti e non con discussioni
sterili», dice il presidente dei Verdi, Pecoraro Scanio.
«La riuscita dello sciopero generale renderà più forte
la contestazione dell'opposizione alla politica del
Governo», afferma l'alleato dell'Ulivo, il capogruppo Ds
al Senato, Gavino Angius, e quando qualcuno ricorda «ma
non era stato il suo partito che chiedeva di ripensare o
rimandare questo sciopero?», la replica suona così:
«Ho detto che c'erano mille ragioni per fare questo
sciopero e ho chiesto, tanto alla Cgil che a Cisl e Uil,
di riflettere. Ma questo è il passato, pensiamo al
domani».
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| DA - L'UNITA' La protesta si
globalizza, più di 300mila sfilano con i Cobas
di red.
Anche la protesta si globalizza. E questo a prescindere
dalle idee che si vogliono esprimere. Alla manifestazione
dei Cobas indetta in occasione dello sciopero della Cgil,
i temi della protesta si incrociano: no alla guerra e no
alla finanziaria; giù le mani dalle pensioni e appoggio
pieno alla resistenza palestinese. E ancora, l'articolo
18 non si tocca esattamente come non si tocca l'Iraq. I
manifestanti che hanno attraversato il centro di Roma
diretti a piazza San Giovanni sono stati 40mila almeno.
Uno striscione di apertura sintetizza il senso della
manifestazione: no alla guerra e no alla finanziaria. Poi
c'è un manifestante vestito da Zio Sam con tanto di
tamburo che chiama i paesi alla guerra contro l'Iraq.
Bandiere rosse, bandiere palestinesi, cantano “Bella
ciao”. Le bandiere sono dei Cobas della Scuola,
della sanità, del pubblico impiego, dei Vigili del
Fuoco, dei precari. Alcuni si sono vestiti da fantasmi,
con tanto di lenzuoli bianchi, per dire al governo che
ormai non esistono più. Al corteo partecipano anche
molti studenti che, lanciano slogan contro la finanziaria
e contro il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti.
«Quella di oggi è stata una
straordinaria giornata per milioni di lavoratori italiani
chiamati alla lotta contro la politica antipopolare e
guerrafondaia del governo Berlusconi da Cgil, Cobas e
sindacalismo di base» ha dichiarato, Piero Bernocchi,
portavoce della Confederazione dei Cobas. Nella scuola,
ha proseguito Bernocchi, «mentre quattro giorni fa era
miseramente fallito lo sciopero indetto da ben quattro
sindacati filogovernativi, oggi oltre il 60% del
personale ha scioperato bloccando totalmente migliaia di
istituti». E in piazza i Cobas e il sindacalismo di base
hanno radunato più di trecentomila lavoratori e
lavoratrici in 22 città, con punte di eccellenza a Roma
e Milano (50.000 persone in entrambe le piazze), Napoli
(30.000), Firenze (20.000), Bologna (15.000), Palermo e
Genova». «Nei cortei – ha concluso Bernocchi -
tutti questi temi si sono fusi armonicamente con il no
alla legge neoschiavista Bossi-Fini e con il rifiuto
totale della minacciata guerra all'Iraq».
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| DA - LIBERAZIONE Sciopero Cgil,
Bertinotti: in piazza chi non ne può più
"E' il segnale che un
pezzo di sindacato, la Cgil, ha ritrovato il rapporto con
i lavoratori". Lo ha detto il segretario di
Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti, che partecipa
alla manifestazione di Torino. "In piazza ci sono i
lavoratori che non ne possono piu' - ha aggiunto - per
l'occupazione, come dimostra la vicenda Fiat, per il
salario, per la perdita di potere d'acquisto e per
l'attacco a un diritto fondamentale come l 'articolo 18.
E' importante che la Cgil abbia ritrovato la strada dello
sciopero generale. E' una risorsa straordinaria per il
paese. Il fatto che gli altri non abbiano scioperato e'
peggio per loro, non capiscono che questa e' una vicenda
straordinaria. Cosi 'non troveranno la strada per battere
Berlusconi"
Sciopero generale Cgil, a
Palermo in 50 mila
Sono 50 mila secondo la Cgil,
tra 25 mila e 30 mila secondo la questura, le persone che
hanno manifestato a Palermo per lo sciopero generale
indetto dal sindacato di Epifani. Da tutta la provincia
una cinquantina di pullman hanno fatto affluire in citta'
soprattutto operai delle fabbriche interessate da
vertenze. Il serpentone dei manifestanti lungo piu' di un
chilometro ha attraversato il quadrilatero che va da via
Liberta' a via Ruggero Settimo fino a via Cavour e via
Roma. Il segretario della Camera del Lavoro di Palermo,
Francesco Cantafia, parla di "successo imprevisto
della manifestazione e delle adesioni che in alcuni casi
hanno toccato il 100%". E' il caso ad esempio dei
Cantieri navali dove e' stata registrata una
partecipazione pressocche' totale, o di realta' delle
telecomunicazione come Lts. Buona viene giudicata
l'adesione anche da parte dei bancari e dei lavoratori
del mondo della scuola. Dal palco ha preso la parola
anche Giovanni Fiandaca, uno degli animatori del
"movimento dei professori" in Sicilia:
"Non possiamo non prendere posizione contro la
manovra di Berlusconi. E un ruolo fondamentale lo devono
giocare anche gli intellettuali e i movimenti della
societa' civile fioriti in tutto il territorio
nazionale", ha detto Fiancada, ex membro del Csm.
Il Presidente della Commisisone
europea, Romano Prodi, da fan si converte a critico. In
un'intervista a "Le Monde" dichiara: «E'
stupido e rigido»
Crolla, come un santo di creta,
uno dei totem degli anni Novanta. Il Patto di stabilità,
nel nome del quale si sono scritte alcune delle pagine
più terribili dal punto di vista dei tagli al sociale e
ai servizi pubblici, viene finalmente messo in
discussione. Un attacco che ha come centro motore la il
governo tedesco che proprio ieri annunciava «Il nostro
deficit è oltre il 3%», ma che dal punto di vista
simbolico ha un grande protagonista, Romano Prodi. Non
solo perché è l'attuale presidente della Commissione
europea, ma anche perché nei fatti e nell'immaginario
collettivo è il personaggio che più ha rappresentato la
bandiera dell'euro e dei parametri di Maastricht.
Come San Paolo, è caduto dal
cavallo del mito di Maastricht e, in un'intervista a Le
Monde, non ha avuto reticenze né pudori nel dichiarare:
«E' stupido come tutte le decisioni rigide». «Il Patto
di stabilità - ha ulteriormente rimarcato - è
imperfetto perché bisogna avere uno strumento più
intelligente e una maggiore flessibilità».
Un'ammissione che non è sfuggita alla politica e ai
media internazionali tanto da costringere Prodi a un
ulteriore chiarimento che, sì è vero, ricorda
l'importanza del Patto ma non smentisce le dichiarazioni
rilasciate al prestigioso quotidiano francese. «Non
possiamo avere un'Europa florida, forte, in crescita - ha
sempre detto il presidente della Commissione europea -
senza poter aggiustare le sue decisioni in ogni
momento».
Un'affermazione che coglie
sentimenti e umori che viaggiano, da tempo, nel Vecchio
continente, anche tra le fila dei poteri forti, che dopo
la sbornia neoliberista, invocano un liberismo di stato,
una sorta di Keynes a loro uso e consumo, mentre gli
Stati quelli meno illuminati ma anche quelli, come il
tedesco, che tentano di impostare una nuova linea
politica ed economica, ormai premono sull'acceleratore
del cambiamento.
Dalla Francia, dove il ministro
dell'economia e delle finanze, Francis Mer, ha dato
ragione a Prodi, alla Germania dove il Frankfurter
Allgemeine Zeitung gli ha dedicato ampio spazio, il Patto
è nell'occhio del ciclone. Il quotidiano tedesco, in
questo caso criticamente, va all'attacco di chi vorrebbe
mettere in discussione i criteri su cui si fonda la
moneta unica. In un fondo titolato «Fine di un patto»
scrive che unendo le loro forze, Schroeder e il
presidente Chirac, «assecondati da Berlusconi», ce
l'hanno fatta a «scardinare le regole severe per la
disciplina di bilancio». Ma a leggere con attenzione tra
le righe di Faz si capisce bene perché siamo davanti a
una buona, ottima notizia. Quali sono, infatti, per il
quotidiano tedesco le ragioni che hanno portato dalla
stabilità all'instabilità? Spesa pubblica in primis,
seguita a ruota da una «debolezza strutturale» che ha
impedito di affrontare i sistemi di sicurezza sociale
troppo costosi, la rigidità dei mercati del lavoro,
l'eccessiva regolamentazione cui sono soggette le
imprese. Esattamente la lista delle questioni che si
vogliono difendere con lo sciopero e per le quali si è
scioperato anche il 16 aprile, fattore non secondario
nell'impedire che la lista del Faz in Italia non sia
stata effettivamente distrutta.
L'Italia è oggi invece messa
sotto accusa, insieme a Germania, Francia e Portogallo da
parte di una Banca centrale europea, «molto
preoccupata». Nel bollettino mensile della Bce si chiede
un'azione tempestiva, risoluta e credibile da parte degli
stati che non hanno ancora raggiunto il pareggio di
bilancio. Un intervento che sembra stridere con le
dichiarazioni di Prodi, anche se il commento della Bce
per l'intervista a Le monde è dettata da un forte
«aplomb»: «Non pensiamo che la Commissione Ue abbia
cambiato posizione sul Patto di stabilità».
Intanto il dubbio è innescato
e intere costruzioni economiche e politiche vanno a
sgretolarsi. In primis quella dell'Ulivo, in particolare
dei Ds, che in nome del Patto di stabilità hanno
promosso, negli scorsi anni, politiche liberiste e che
oggi tentano l'opposizione al governo Berlusconi sempre
in nome di Maastricht. Ma in gioco c'è qualcosa di più.
In ballo c'è la stessa identità dell'Ulivo e della
Quercia, le loro alleanze, le loro prospettive. Ma che
sul risveglio dei Ds si crei una effettiva costruzione di
consapevolezza, i dubbi sono molti. Anche da parte di
chi, dal di dentro della Quercia, ha sempre tentato di
far passare un discorso diverso da quello sostenuto a
spada tratta, anche nelle ultime ore, da Massimo D'Alema.
Tra i critici di Maastricht e non della prima ora, il
deputato Alfiero Grandi. «Troppo a lungo ci siamo
dimenticati - commenta - che il Patto oltre che di
stabilità è anche di sviluppo. Ma il secondo elemento
è rimasto completamente in ombra. E' per questa ragione
che ritengo importante un lavoro politico per fa sì che
anche lo sviluppo venga ancorato a criteri di qualità.
Quanto ai Ds e all'Ulivo vedo molte resistenze a mettere
in discussione l'attuale struttura. E' un problema che ci
trasciniamo da lungo tempo, anche se adesso - finalmente
- anche se timidi, si iniziano a vedere segnali di
dubbio».
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| DA LIBERAZIONE Un fiasco completo
Salvatore Cannavò
Al di là delle dichiarazioni o
delle prese di posizione diplomatiche, che il patto di
stabilità sia morto è un dato di fatto inequivocabile.
Lo è non tanto per la ridotta crescita economica, in
realtà vicino allo zero, che attanaglia Eurolandia,
quanto per le contraddizioni interne al Patto stesso. La
pretesa di regolare le economie continentali con il giogo
di parametri-capestro prefissati - deficit, debito
pubblico e tassi di inflazione imposti dall'alto - ha
finito infatti per impedire a quelle stesse economie di
crescere e svilupparsi e di corrispondere a bisogni
sociali fondamentali. Inoltre, la filosofia liberista
alla base del Patto, quella che fa discendere l'eventuale
sviluppo economico da politiche orientate dall'offerta,
naufraga miseramente di fronte alla realtà di una
globalizzazione liberista che nel suo stesso divenire
distrugge ricchezza e possibilità di crescita, come
dimostra il caso Fiat.
Il bilancio di questi cinque
anni di applicazione del Patto è disastroso. L'economia
europea non è mai riuscita ad eguagliare quella
statunitense quando questa viaggiava a ritmi elevati e
quando è arrivata la recessione è stata proprio
l'Europa ad essere affossata prima. Un fiasco totale.
Chi ha fiutato l'aria in tempo è stato il guardiano più
rigido del trattato di Maastricht, la Germania. Il
cancelliere Schroeder, nella volata finale della sua
campagna elettorale, ha dato una sterzata proprio in
direzione di una maggiore spesa pubblica creando le
condizioni per lo sforamento del parametro del 3% nel
rapporto deficit/Pil. Uno shock rispetto a un decennio di
raccomandazioni ferree e di politiche draconiane imposte
al resto della Ue e un invito esplicito a rompere le
righe. Nel momento in cui proprio la Germania denuncia
l'insostenibilità del Patto, infatti, è difficile
ipotizzare che ci sia qualche altro paese disposto a fare
la parte del primo della classe. Tutti i parametri ora
saranno probabilmente rivisti e non è detto che
l'impalcatura complessiva dell'Unione europea esca
indenne dal referendum sul trattato di Nizza che si
svolgerà domenica prossima in Irlanda. Non a caso Romano
Prodi ha rilasciato ieri l'intervista a Le Monde con la
quale cerca di individuare una via d'uscita che mantenga
l'unità tra i vari paesi dell'Unione.
Sarebbe ora che anche il
centrosinistra italiano si accorga che la sua disciplina
europeista - in realtà liberista - rischia di diventare
ridicola di fronte a un quadro che sta cambiando
velocemente. In realtà quello che si sta affermando è
lo spazio per un'altra politica che inverta rapidamente
le priorità seguite finora. I parametri liberisti di
Maastricht dovrebbero essere sostituiti da un pacchetto
di "parametri sociali", cardini di una politica
economica alternativa. Salario, servizi sociali, difesa
ambientale, estensione dei diritti rappresentano non solo
gli imperativi di una moderna giustizia sociale, ma sono
anche i presupposti di una possibile via d'uscita alla
crisi. Così come il tema dell'intervento pubblico,
tornato d'attualità con la vicenda Fiat e che va
coniugato all'altro grande tema della partecipazione
democratica. Oggi più che mai non ci sono "terze
vie" possibili, siano esse di destra o di sinistra.
Al liberismo compassionevole, che sembra essere l'unica
ricetta possibile nelle mani della destra - e che ormai
affascina in modo imbarazzante gli stessi vertici
dell'Ulivo - non basta nemmeno contrapporre un riformismo
più o meno forte. La necessità di un'alternativa
economica robusta è dettata dai fatti e dalle
contingenze dell'oggi. E non a caso questa necessità è
ben rappresentata dal profilo di quel Forum sociale
europeo ormai imminente e che rappresenta l'unica
opportunità per cambiare rotta.
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| CORRIERE DELLA SERA «Successo soprattutto
nei trasporti e nei servizi»
Cgil: milioni di lavoratori in
piazza Ma gli altri sindacati si trovano d'accordo con
Confindustria
e governo: adesione modesta, non superiore al 30 per
cento MILANO - Milioni di manifestanti in piazza e più
di un lavoratore su due in sciopero. Sono questi in
estrema sintesi - secondo la Cgil - i risultati dello
sciopero generale del sindacato guidato da Guglielmo
Epifani contro il Patto per l'Italia e la Finanziaria. Lo
sciopero è andato «molto oltre» gli iscritti al
sindacato di Corso Italia in tutti i settori, ed ha avuto
successo soprattutto nei trasporti. Questa volta però la
guerra di cifre non è solo tra sindacati e aziende, ma
all'interno dello stesso sindacato. Sui risultati dello
sciopero generale proclamato oggi dalla sola Cgil lo
scontro ha trovato un insolito fronte. Cisl e Uil sono
per una volta d'accordo con la Confindustria: l'adesione
non ha superato il 25-30%.
IL GOVERNO - Falsa quindi, per
i due sindacati, l'affermazione secondo la quale gli
scioperanti sarebbero stati più di quelli della protesta
unitaria di aprile. E con Confindustria, Cisl e Uil si
sono schierati anche diversi ministri del Governo
Berlusconi, a partire dal responsabile del Welfare,
Roberto Maroni. «È uno sciopero modesto, non è andato
oltre la sola Cgil», mentre in una nota ricorda che nel
ministero si è astenuto dal lavoro solo il 17,3% degli
addetti. Il ministro dei rapporti con il Parlamento,
Carlo Giovanardi, parla di protesta «contro il voto
degli elettori», mentre il ministro delle Politiche
agricole Gianni Alemanno sottolinea che si tratta di una
«ultima cambiale a Cofferati».
LA CGIL - Lo sciopero, secondo la Cgil, è andato bene in
tutti i settori, con percentuali di adesione molto
superiori a quelle degli iscritti al sindacato di Corso
Italia, ma ha avuto successo soprattutto nei trasporti e
nei servizi. Ma se aerei, treni e autobus sono stati di
fatto bloccati, per scuole, banche e poste e,
soprattutto, nell'industria i dati sono più discordanti.
Nella scuola la Cgil ha annunciato punte del 60% mentre
il ministero ha diffuso dati di partecipazione del
25,43%. Nelle banche la Fisac-Cgil ha parlato di adesioni
medie tra il 65% e l'80%, e nell'edilizia la Fillea ha
annunciato il 70% di astensioni. Guerra di cifre anche in
casa Fiat. La Cgil ha parlato di stabilimenti
«sostanzialmente chiusi» mentre l'azienda ha diffuso
dati medi di partecipazione allo sciopero del 26% dei
lavoratori. Solo per l'impianto di Termini Imerese, in
via di chiusura secondo il piano industriale presentato
nei giorni scorsi dall'azienda, i dati concordano
sull'adesione totale degli addetti.
CISL- La Cisl ha denunciato «picchettaggi arroganti» e
ha sottolineato che la partecipazione allo sciopero non
è stata superiore al 30%. «È falso - ha detto il
leader della Cisl, Savino Pezzotta - che le adesioni di
oggi siano superiori a quelle del 16 aprile. Quello di
oggi è stato lo sciopero generale che ha fatto
registrare il minor numero di adesioni rispetto a tutti
quelli degli ultimi anni».
UIL - Il leader della Uil Luigi Angeletti sostiene che in
Italia «non ci si è accorti» dello sciopero, e che
comunque è stato «inutile» e «dannoso». Non è vera
neanche secondo la Uil l'affermazione della Cgil su
adesioni superiori a quelle ottenute ad aprile con la
protesta unitaria. Secondo la Confindustria la media
nazionale di adesione è stata del 25-30%. «È stato uno
sciopero incomprensibile e inutile - ha detto il
direttore generale dell'associazione, Stefano Parisi -
che non ostacola e non aiuta l'iniziativa di chi ha
firmato il Patto per l'Italia con il governo».
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