Intervista a
Pierre-Jean Luizard su La questione
irachena a cura della redazione di
www.feltrinelli.it
Come vede il
ruolo della comunità sciita? Un conflitto tra sciiti e
sunniti è un’ipotesi possibile?
La comunità sciita è la più importante comunità
dell’Iraq. Rappresenta circa il 54 per cento della
popolazione irachena e più di tre quarti della
popolazione araba del paese. A questo va aggiunto che
l’Iraq è la culla dello sciismo: è qui che, nel
VII secolo, nasce questa seconda branca dell’Islam.
Infine, le quattro città sante dello sciismo in Iraq:
Najaf, Kerbela, Kazimayn e Samarra sono, dal XIX secolo,
sede di un’autorità spirituale che rivendica
ugualmente un ruolo di direzione politica. Gli sciiti
sono, fra tutte le comunità irachene, quella che offre
il ventaglio più aperto di appartenenze sociali e
politiche. Sono sciiti sia gli iracheni più poveri sia
quelli più ricchi. Gli sciiti si sono manifestati
principalmente attraverso il movimento religioso che fino
al 1925 ha svolto un ruolo chiaramente patriottico contro
il dominio politico, poi attraverso un’adesione
massiccia al comunismo – principale avversario laico
del movimento religioso che a poco a poco ritroverà il
suo ruolo, dopo una traversata del deserto di quasi mezzo
secolo. Ma qualsiasi fossero i legami politici del
momento, gli sciiti hanno sempre optato per una scelta
irachista, che preservasse la specificità
dell’Iraq, dove sono in maggioranza,
all’interno di un mondo arabo a maggioranza sunnita.
Sono anche sempre stati in prima linea nella lotta contro
il dominio europeo. Questo è il cuore
dell’identità irachena. Tutto questo dà agli
sciiti un’importanza che dovrebbe essere loro
riconosciuta in un sistema politico che non li escludesse
come accade attualmente. Questo ruolo non ha una
rappresentanza politica perché la repressione di decenni
ha decimato le varie direzioni sciite, religiose e non.
Questo aspetto li differenzia dai curdi che hanno invece
i loro partiti che li rappresentano legittimamente. Gli
sciiti sono orfani di direzione religiosa e politica, e
questo vuoto è un’ipoteca grave per il futuro
dell’Iraq. Per quel che riguarda i rapporti con gli
arabi sunniti, non esiste la base per un federalismo
confessionale sunnita-sciita, simile al federalismo
etnico proposto dai curdi. Sunniti e sciiti appartengono
alla stessa società araba e condividono gli stessi
valori di origine beduina. Uno scontro fra sunniti e
sciiti è poco probabile oggi che la maggior parte dei
sunniti è stata a sua volta vittima della repressione
del regime di Saddam Hussein.
Qual
è il peso dell’Iran nell’evoluzione
dell’Iraq?
L’Iran è il paese vicino all’Iraq che ha il
più grande potenziale in questo paese, grazie al legame
religioso con la maggioranza sciita dell’Iraq. La
maggior parte dei capi religiosi sciiti d’Iraq sono
tuttora persiani. Ma l’Iran ha voltato la pagina
della rivoluzione islamica e Teheran vede la questione
sciita in Iraq come un semplice vettore d’influenza
e non come una testa di ponte della rivoluzione islamica.
La maggioranza sciita in Iraq condanna questo paese ad
avere relazioni amichevoli con l’Iran, anche se
l’immensa maggioranza araba degli sciiti iracheni
desidera preservare la sua specificità e indipendenza.
Tuttavia, è probabilmente in Iran che Washington
potrebbe trovare un partner sufficientemente affidabile
per concepire un dopo-Saddam che non sia semplicemente
una prolungata occupazione militare americana.
Possiamo
affermare che il Baath ha oramai tradito gli ideali
originali di unione di socialismo e arabismo, in Siria
come in Iraq?
Gli ideali panarabi e laici del Baath sono sempre stati
strumentalizzati da un gioco comunitario che sta alla
base delle società mediorientali. Così il panarabismo,
in quanto nazionalismo etnico esclusivo, si è sviluppato
contro l’Islam, mentre la laicità difendeva le
minoranze contro la maggioranza musulmana, con la
complicità delle potenze europee. Il Baath è servito ad
alcuni gruppi minoritari (cristiani, alawiti) per meglio
definire il loro status di componenti minoritarie. In
Iraq, è servito come paravento al dominio di élite
della minorità arabo-sunnita. Ma il Baath oggi è solo
una scatola vuota. Quasi tutti i suoi dirigenti sono
stati esiliati o liquidati. Saddam Hussein e il suo clan
hanno usato l’esercito per investire il Baath e
trasformarlo in istituzione al servizio di interessi
familiari e tribali. Da tempo non è più il Baath a
dirigere l’Iraq.
E’
possibile una ricostruzione civile in Iraq? Sarà
possibile gestire la transizione post-Saddam?
Se la caduta del regime di Saddam Hussein avviene a
seguito di una guerra americana, esiste un grosso rischio
di ritrovarsi molto rapidamente di fronte a una
situazione ingestibile. Gli americani si rendono conto
che nessuna delle ipotesi che avevano costruito per il
dopo-Saddam si sta imponendo, e sembra che non avranno
altra scelta che quella di un’occupazione militare
diretta e senza fine. Gli Stati Uniti sono responsabili
della stabilità del regime di Saddam Hussein dalla
Seconda guerra del Golfo: hanno una responsabilità nel
vuoto attuale. Gli americani hanno fatto in modo di
impedire ogni soluzione irachena, durante la repressione
dell’Intifada irachena nel febbraio-marzo 1991. Oggi
i tre quarti della popolazione irachena ha meno di
trent’anni e non ha memoria di nessuna delle grandi
correnti politiche che hanno animato la società
irachena. Sono ripiegati su solidarietà familiari e
regionali, e la ricostruzione civile sarà solo più
difficile.
Nel
suo libro, lei presenta la politica estera degli Stati
Uniti come molto più sofisticata di quello che si
immaginano gli europei. Sono davvero diventati i padroni
assoluti dell’area?
La vittoria americana della Seconda guerra del Golfo nel
1991 ha consacrato gli Stati Uniti come l’unica
potenza nella regione da cui tutto sembra dipendere.
Tutti gli attori hanno integrato quest’onnipotenza
americana. Oramai, ci si aspetta tutto dagli americani e
solo da loro. E’ probabilmente la sopravvalutazione
della loro potenza a essere il pericolo principale per
gli americani in una regione in cui i problemi sono al di
sopra delle loro possibilità…
La
questione del petrolio è davvero così cruciale per
capire il conflitto in corso?
Si e no. Gli Stati Uniti non dimenticano che l’Iraq
nasconde enormi riserve di petrolio, ma contrariamente al
Giappone e all’Europa, non si approvvigionano
principalmente del petrolio mediorientale. Non sono
interessati al controllo diretto del petrolio iracheno,
del quale si approvvigionano relativamente poco, ma al
controllo dei prezzi del petrolio a livello mondiale.
Ora, questa posizione vantaggiosa, l’avevano negli
anni novanta, grazie alla messa sotto tutela
dell’Iraq e al deturnamento della risoluzione
dell’Onu "petrolio per cibo" e alle
"sanzioni intelligenti" del dicembre 2001.
Potevano controllare il ritorno illimitato del petrolio
iracheno sul mercato mondiale, ma in un regime di
sanzioni in cui sono molto influenti.
La lobby petrolifera americana è stata molto ostile al
cambiamento della politica americana del dopo 11
settembre, perché la precedente situazione era molto
vantaggiosa. La logica di potenza ha vinto su interessi
ben definiti, senz’altro perché i decisori
americani hanno pensato che i rischi della perdita di
questi vantaggi erano meno gravi di quelli che potevano
risultare dalla perdita di credito della potenza
americana.
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