DONNA E UTOPIAIl “non luogo” come critica dell’esistenteMettere “al mondo” il mondoL’intendersi è davvero
utopico nel senso che non ne sono presenti nella cultura
e nella società le condizioni potenziali di piena
realizzazione. Quindi il proporsi, riproporsi ed il
proporre l’intesa implica una fortissima carica
sovversiva, perché comporta l’avanzare senza
alcuno sconto la pretesa che tali condizioni si creino e
che vengano abbattuti gli ostacoli e si avviino processi
nuovi. La forza sovvertitrice di tale pretesa non risulta
affatto edulcorata dal fatto che l’obiettivo sia
l’intendersi e non l’ignorarsi, dando così
luogo a culture parallele, semplicemente compresenti e
ancor meno il farsi guerra. La pretesa
dell’intendersi non è edulcorata se per questo si
intende attenuata, indebolita secondo una logica
compromissoria. Così la pretesa del nuovo e la critica
integrale del vecchio sono potenziate al massimo dal loro
essere finalizzate all’intendersi. L’intesa concreta
comporta il conoscersi e riconoscersi reciproco nella
verità della differenza propria a sé e all’altro
ed il vicendevole volersi ed affermarsi nella rispettiva
e reciproca differenza. L’esistente è molto lontano
da questa verità da tale riconoscimento dell’altro
e da tale reciproca richiesta che l’altro sia
“altro” nella sua differenza. Agire in tal
senso comporta un ampliamento ed approfondimento del
conflitto. L’antica lezione di
Aristotele sostiene nel III libro della Metafisica che
per procedere alla buona soluzione di un problema è
necessario procedere innanzitutto ad attraversare le
difficoltà che esso comporta. Non può sciogliere un
nodo colui che lo ignora e chi cerca una soluzione senza
essersi addentrato nelle difficoltà assomiglia a coloro
che non hanno una meta…E’ stato grande
l’apporto femminile nella crescita globale
dell’attenzione e responsabilizzazione verso i
soggetti più deboli (bambini, anziani, handicappati)
che, essendo un tempo gestiti individualmente dalle donne
nell’ambito familiare, poi non venivano presi in
responsabilità dal sistema sociale. Altrettanto grande
è stato il contributo femminile alla sensibilizzazione
verso le tematiche ecologiche, alla tutela e
preservazione dell’ambiente (legata anche
all’antica consuetudine, come donne, della gestione
del quotidiano. Al femminile è la presa di coscienza dei
grandi temi della pace, del ripudio della guerra, delle
denunce alla violazione dei diritti umani in ogni
realtà. Non vi è dubbio che per portare avanti un
impegno in prima istanza individuale, una presa di
coscienza, e poi collettivo, le donne devono innanzitutto
conoscere e riconoscere se stesse per poter chiedere
all’alterità un corrispondente riconoscimento. In
questo senso le donne devono compiere ancora lunghi
percorsi di emancipazione. In alcuni casi debbono creare
e ricreare immagini di sé che non hanno avuto, non
limitandosi ad un inventario dell’esistente, della
realtà di fatto, del contingente. Per esempio
l’introiezione dell’immagine di una madre che
è valorizzata e la cui femminilità non contrasta con
l’autonomia è molto importante sia per lo sviluppo
del bambino così come per le donne è importante
ritrovare la propria ascendenza femminile. È altrettanto
importante che l’universo femminile si riappropri
della propria identificazione anche col padre, che viene
prima dell’amore edipico, per cui non giunga un
messaggio di separatezza tra i genitori, perché
l’equilibrato sviluppo psichico dipende dal fatto
che si ospiti in se stessi l’immagine combinata di
padre-madre differenti ed equivalenti e tra loro in
relazione. La cultura maschile in
genere tende a polarizzare i campi, per esempio politici,
e d’altro canto imporrà la presenza del diverso,
non ancora accompagnata dallo sviluppo di una cultura
dell’apprezzamento delle diversità e del confronto
ed interrelazione tra esse. L’arte di dire no, di
opporsi come donne, sfocia anche nella capacità di
negare se stesse in primo luogo nelle immagini
svalorizzate di sé che noi donne purtroppo abbiamo
accettato e continuiamo a portarci dentro e soprattutto
nel dismettere il timore della propria forza interiore
che sembra accompagnare come un’ombra l’agire
femminile. Timore e paura di suscitare l’invidia
degli dèi maschi? Paura di perdere la femminilità?
Paura di non poter essere amate? Anche. Ma soprattutto
timore di dover mutare, cambiare, trasformare e
metabolizzare l’immagine antica che si ha di sé di
incontrarsi con la sconosciuta nuova donna forte, capace,
anche di felicità, autonoma, benchè ancora sempre
dolce, tenera, attenta, relazionale. E’ necessario che noi
donne non ripieghiamo nel privato, ma sviluppiamo la
coscienza della nostra responsabilità e del legame
antico con il mondo e la storia, riconoscendoci
un’identità sociale oltre che privata. Gli uomini
hanno sempre saputo che la loro vita era in diretto
contatto con il mondo, anche per la triste incombenza
della guerra che li rendeva cosmo e storico centrici. Le donne si sono lasciate
irretire nell’idea di dover limitarsi alla casa e
alla famiglia, avulse dalla realtà, dal resto del mondo,
come se il mondo non influisse su tali dimensioni e da
quei luoghi le donne non influissero sul mondo. Nella valorizzazione della
nostra diversità e incalzando l’uomo affinchè
abbandoni le tristi soddisfazioni del suo narcisismo
maschile e del suo dominio patriarcale per la matura
felicità del rapporto con l’altro, noi donne
finalmente insieme con l’uomo, e non in compagnia
dei fantasmi e stereotipi che le donne hanno finora
prevalentemente coltivato e inseguito, come donne, come
universo femminile a livello mondiale dovremo e potremo
aspirare a trovare la felicità nella reciprocità di un
rapporto tra due persone. Nella e per una convivenza tra
“altri” occorre quindi mettere in conto che
l’intendersi è in primis
spogliamento dei sistemi ontologici e dei pre-concetti
conseguenti che hanno fondato la supremazia
dell’occidente e l’egemonia maschile.
L’intesa si situa nella zona a rischio tra la
sicurezza del proprio esserci e l’inquietudine di un
“altrove” di cui il volto dell’altro è
epifania, manifestazione, rivelazione. Noi donne ci siamo
accorte che per voler essere pari rischiavamo di
diventare simili all’uomo. Abbiamo scelto allora la
via del separatismo alla ricerca di un’appartenenza
di genere innanzitutto per comprenderci, per capire a
fondo noi stesse nella realizzazione di un progetto di
esistenza globale nella contingenza di un’utopia
realizzabile. |