| Per un’utopia realizzabile LA DIMENSIONE PROPOSITIVA e CREATIVA DEL “CONFLITTO”. Per una nuova cultura dell’umanità: uomini e donne a confronto La società attuale spesso
presenta conflittualità esasperate che caratterizzano i
rapporti interpersonali, a partire da quelli tra donna e
uomo. Il conflitto appare vitale ed ineliminabile, fino a
quando però non diviene prevaricazione, negazione
dell’altro, sottomissione, avvilente dipendenza. Il
rimedio si poteva identificare nel transitare “dalla
conflittualità all’utopia
dell’intendersi”. Il traguardo è
“utopia”, una sorta di orizzonte che si sposta
in là, si modifica se cambiamo la posizione da cui lo
osserviamo, a sottolineare dunque il dinamismo del modo
di affrontare il problema. Si sta tracciando un percorso
lineare, con un punto di partenza “il
conflitto” e un punto d’arrivo
“l’intendersi”. L’asserzione “Dal
conflitto all’utopia dell’intendersi”
indica un’oscillazione, una pendolarità, una
bipolarità, una compresenza di dimensioni apparentemente
o generalmente intese, come opposte (il conflitto e
l’utopia) in cui il conflitto è un dato di fatto,
moltiplicato e dilatato in tutte le situazioni e
condizioni storico-esistenziali di cui
“l’intendersi” diviene cifra esplicativa e
progettuale. La tematica del conflitto è
composita e complessa, anzi assumere il conflitto come
dato di fatto permanente della vita e della storia
significa non solo constatarlo e sperimentarlo, magari
sulla propria pelle, ma anche e soprattutto accettarlo
come una costante della realtà, perché congenito e
congeniale alla dimensione umana, addirittura della
dimensione creazionale: il conflitto come
incompatibilità e irriducibilità delle differenze
verificate e verificabili in ogni aspetto della vita
privata e pubblica. Infatti un conflitto non può mai
essere puramente teorico ed astratto, ma è sempre
concreto. Da cui un primo presupposto: il conflitto è
strettamente collegato con la vita pratica e non si può
riflettere su di esso senza tenere presente che si tratta
di una elaborazione a partire da fatti concreti. Tutta la
realtà è conflittuale, in quanto formata e articolata
in miriadi di diversità, di cui la differenza
fondamentale della coppia umana è il parametro, la
metafora, la cifra esplicativa di ogni differenza. Alcune donne hanno posto al
centro della loro riflessione, la conflittualità, a
partire dall’esperienza di essere all’incrocio
di tanti disaccordi, ostacoli esistenziali. Questo
atteggiamento dimostra che vogliono essere e considerarsi
pienamente inserite nella realtà di ogni ambito, socio
politico, familiare, politico, mondiale, planetario; e
allargare la loro progettualità a reinventare criteri
diversi di relazione e di giudizio della realtà stessa,
cambiando i processi deteriorati, mediante cui si
codificano le istituzioni e i poteri. Quando si parla di
conflitto, normalmente si pensa alla competitività, alla
contesa, al dissidio, al litigio,
all’incomprensione, al rifiuto, a qualcosa di non
superabile e di stabilizzato in controparti. La parola
“conflitto” deriva dal latino (confligere,
conflictum), indicando contemporaneamente una forza
d’urto ed un’oscillazione ripetitiva, continua
di elementi diversi. Conflitto è lo stato permanente,
nella natura del reale, di forze, di elementi
contrastanti, differenti che obbediscono alle spinte di
attrazione e repulsione (rifiuto) che ne regolano i
rapporti in dinamiche di incontro/scontro. Il problema nasce quando si
vuole sanare, appianare, risolvere, cancellare, ignorare
il conflitto, perché generalmente esso è inquadrato ed
affrontato in termini gerarchici, di superiorità e
inferiorità, di potenza e di arrendevolezza, di
divisione, di esclusione, di dualismo, di aggressività e
prepotenza, elementi che nella fattualità della vita si
traducono in dominio e sopraffazione, razzismo,
prevaricazione, guerra, sfruttamento e abuso
dell’altro/altra, diverso/diversa, ma anche
omologazione, insabbiamento, negazione delle
differenze…violenze, sperperi, massacri. Non è
cambiato il modo gerarchico di pensare e collocarci come
uomini e donne nelle differenze, di fronte alle
diversità: così esplode inestinguibile la spirale della
conflittualità violenta. Non si tratta dunque di
ricomporre o sanare o appianare il conflitto, ma andare
oltre, valorizzando le differenze in tutto il potenziale
delle loro risorse, ma ponendole sullo stesso piano,
formulando obiettivi comuni, progetti cui appunto
tendere, dove prevalga la comune matrice umana, alla luce
di una dinamica d’incontro/ confronto sui problemi
comuni e reali. Dunque l’utopia è
l’oggetto di un’aspirazione ideale, non
suscettibile di realizzazione piena , concreta,
tangibile, di raggiungimento definitivo, di conclusione.
L’utopia è portatrice di una funzione stimolatrice
nel provocare ipotesi di lavoro, itinerari consecutivi,
critica efficace alle istituzioni vigenti, sguardo volto
verso un oltre, forza di coagulo e di comunione, lavoro
nel silenzio ma proteso in avanti. Dell’utopia si
rilancia la spinta vitale, lo slancio costruttivo e
gratuito, la carica creativa, la responsabilità della
speranza, la serietà del lavorare insieme senza
arrenderci, il coraggio e la bellezzza di non svendere la
nostra identità di donne, il nostro proprio sapere la
vita, la fatica, la vita, il dolore, il sorriso ed il
pianto come volontà di non lasciare le cose come stanno
a partire dalla presa di coscienza del nostro valore e
della capacità di trasformare le piccole e grandi cose
di ogni giorno. |