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Il Rabbino Meir Kahane, leader spirituale del KACH, era stato assassinato, in circostanze parimenti sospette, CINQUE ANNI PRIMA DI RABI’N, ESATTAMENTE, AL MESE E ALLA SETTIMANA, La campagna di istigazione contro il Rabbino Kahane, negli anni precedenti la sua uccisione, raddoppiarono pure l’ atmosfera che portò all’ assassinio di Rabìn. Questi però è stato rappresentato, dopo la sventura, come un anto dai media Israeliani, mentre Kahane continua a essere criminalizzato. Per Ravìv, agghindare le sue comparse da ragazzi del KACH significava sfruttare semplicemente un’ immagine pubblica già pronta.

Ma Amìr non era membro del KACH. Una volta presa la decisione di uccidere Rabìn (presa già probabilmente a metà Settembre 1995), i cospiratori corsero in questa marcia, a trasformare Amìr nella organizzazione più miserabile, folle, e antigovernativa: EYAL. All’ uopo fu chiamato in azione Eitan Oren. Il 22 Settembre, un mese e mezzo prima della morte di Rabìn, Canale Uno trasmise il servizio di Oren sul giuramento di EYAL, sulla tomba di Theodor Herzl, il fondatore del Sionismo politico moderno. Mi ha detto Eran Agelbo: "La scenetta di Ravìv fu così buffa, che abbiamo riso a lungo. Ci aveva ripresi per 45 minuti, e ne ha tratti 10 per la TV. Il mio avvocato ha cercato di ottenere da Canale Uno il nastro intero, ma nessuno lo ha dato, e la Polizia si è rifiutata di confiscarlo.

Ma’arìv, 24 Novembre 1995:

"Un ragazzo Haredi, 18 anni, che ha partecipato alla cerimonia del giuramento, ricorda: "Nessuno dei partecipanti apparteneva a EYAL, perché, salvo Ravìv e Agelbo, EYAL non esiste" . "

Nel servizio di Oren, un ragazzo incappucciato brandisce un mitra, e giura che ucciderà chiunque, Arabo o Ebreo, ostacolerà i piani di EYAL. Regista, produttore e autore: Avishài Ravvìv. Dice il ragazzino Haredi: "

"Arrivai alle 19, e vidi Ravìv distribuire passamontagna agli altri. Mi disse che cosa dovevamo fare, quel che dovevamo dirfe, dove dovevamo stare. Agelbo mi disse: "Tu hai una bella voce, sei tu che farai giurare tutti." Che cosa Eitan Oren pensasse, non so, ma sapeva che tutto era orchestrato. In una scena, Ravìv ha insegnato a picchiare i nuovi arrivati, per far loro confessare se erano membri della Shabàk. Era così assurdo, che tutti scoppiammo a ridere. Nessuno stupore, se Eitan Oren ha tagliata quella scena dal suo film".

Yediòt Achronòt, 26Novembre 1995:

"La Polizia ha arrestato Eràn Agelbo, e Mosh Erinfeld, per aver partecipato a una cerimonia di giuramento di EYAL, filmata da Eitan Oren, e trasmessa su Canale Uno il 22 Settembre. I nuovi adepti giurano di versare il

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sangue di Arabi e di "Ebrei che non sono Ebrei", e d’ irrompere nella Orient House a Gerusalemme".

Ma’arìv,24 Novembre 1995: "Durante un precedente giuramento, Ravìv uscì due minuti prima che le auto della Polizia arrivassero, e arrestassero i presenti."

Una domanda resta: in qual modo e per qual via EYAL ottenne copertura TV totalmente sproporzionata alle sue dimensione e forza? Domanda buona, risposte zero. Un’ altra: come si può spiegare il comportamento di Oren, se non lavorava direttamente per la Shabàk? Pensa un collaboratore di Oren: "E’ ideologicamente al punto di divenire eticamente sbilanciato, pensando di fare la cosa sbagliata per la giusta causa".

Forse, ma qualcuno a Canale Uno incaricò Oren di creare dal nulla EYAL, e Moti Kirschenbaum approvò la diffusione della disinformazione di Oren, rozza e bugiarda. Poche settimane prima dell’ assassinio, era indispensabile che Yagàl Amìr fosse filmato. E così….."

Yediòt Achronòt, 20 Novembre 1995: "Una pattuglia per le vie di Hebròn; c’è pure Yigàl Amìr, la notizia del giorno. Il gruppo, prima spacca finestre di case Arabe, poi fracassa la macchina fotografica d’ un paparazzo Arabo."

Dopo questo piccolo incidente, giusto due settimane prima dell’ assassinio, Yigàl Amìr va a Efrat, a una dimostrazione antigovernativa, e si rassicura che la TV lo riprenda mentre vien trascinato via dalla Polizia. Amìr scalcia, e urla. La scena è diffusa da Canale Uno meno di quattro ore dopo la morte di Rabìn. L’ emittente aveva la prova pronta. L’ indomani, Canale Uno era pronta a incolpare "La comunità anti-Pace" (oltre metà del Paese) della morte di Rabìn.

Subito il pubblico la bevve: Amìr aveva assassinato Rabìn perché Amìr era membro del gruppo estremista EYAL. Ciò che al pubblico non è stato detto, è che EYAL era stata creata dalla Shabàk, e da Canale Uno. Se fosse stato così informato, il movente politico di Amìr sarebbe divenuto quanto mai sospetto.

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5 CAPITOLO CINQUE COME HAN FATTO A NON BECCARE AMI’R AL COMIZIO’

Uno dei quesiti posti dai mass media dopo l’ assassino: come la Shabàk mancò d’ identificare Amìr nell’ "area sterile" in cui sparò a Rabìn? Dapprima la Shabàh aveva risposto: la folla era tanto fitta, che beccare Amìr fu impossibile. Tutto il contrario, dimostra il film amatoriale(la videocassetta è a disposizione) fatta da Roni Kempler. E’ in piedi da solo Amìr, presso una pianta in vaso, per vari minuti, non un’ anima in vista per metri attorno a lui. Si vedono solo due persone parlare con lui, due Poliziotti in divisa.

In circostanze normali, la Shabàk avrebbe impedito a Amìr fin d’avvicinarsi al comizio, e se in qualche modo fosse riuscito a accedere all’ area sterile, lo avrebbe dovuto acciuffare sul posto, in quanto la Shabàk ne aveva, di informazioni: Amìr stava preparandosi a assassinare Rabìn.

Prendi il famoso caso di Shlomi Halevy, soldato della riserva delle IDF (Israel Defence Forces), della "Brigata Intelligence", già compagno di studi di Amìr alla Università Bar Ilan. Dopo essere stato informato che Yigàl Amìr parlava di uccidere Rabìn, riferì la noizia all’ Ufficiale suo superiore nella Brigata. Che disse a Halevy di andare subito alla Polizia. Cui Halevy disse: "Uno Yemenita basso, di EYAL, si vanta di essere sul punto di ammazzare Rabìn". La Polizia prese Shlomi molto sul serio, e ne trasferì il rapportò alla Shabàk, dove non fu trovato se non tre giorni dopo il crìmine. La rivista settimanale YERUSHALAYI’M il 22 Settembre 1996 riesce a convincere Halevy a concedere la sua prima intervista dopo la scoperta del rapporto, e la conseguente reazione a catena sui mass-media. Nota la rivista: "Il rapporto di Halevy, e pure altri, sulle intenzioni di Amìr, che negli archivi della Shabàk non presero che polvere, hanno alimentato varie teorie su una congiura…. Dopo il clamore, Halevy si è nascosto".

"Shlomi Halevy, se hai fatta una cosa giusta, perché sfuggivi il pubblico?" "Per la Shabàk l’ assassinio di Rabìn è una piaga dolente. Sono grossi, io sono piccolo. Non so che potrebbero farmi".

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Halevy fu il caso più pubblicizzato. Perché, come soldato della "Brigata Intelligence", la Shabàk era assolutamente tenuta a prendere tenuta a prendere sul serio la sua deposizione, come la Polizia aveva fatto. Ma Halevy non fu l’ unico informatore.

Yediòt Achronòt, 12 Novembre 1995: "Varie settimane prima dell’ assassinio di Rabìn, la Shabàk ricevette informazioni sull’ esistenza di Amìr, e sulla sua intenzione di uccidere Rabìn".

Yediòt Achronòt era stata informata che uno degli attivisti di EYAL arrestato la settimana scorsa era stato interrogato, in quanto possibile correo di Yigàl Amìr, perché il fratello dell’ assassino, Haggai, l’ aveva menzionato nel proprio interrogatorio.

All’ inizio dell’ interrogatorio il sospettato scoppiò in lagrime amare, e riferì un fatto che all’ inizio parve agli interrogatori il cacio sui maccheroni. Poche settimane prima del crimine, il sospettato aveva udìto Amìr decantare le sue intenzioni, e ne era stato sconvolto. Era tra i due fuochi: informare le autorità, e tradire i suoi compagni? Così scelse la via di mezzo. Indicò le intenzioni di Amìr, senza farne il nome.

Dopo qualche esitazione, informò un Ufficiale della Intelligence della Polizia del piano di Amìr in dettaglio, salvo nome e indirizzo. Disse dove "quello" studiava, e descrisse "Uno Yemenita, scuro, basso, coi rìccioli". La descrizione fu passata attraverso i canali di comunicazione della Polizia, e classificate come IMPORTANTE. Fu girata pure alla Shabàk, che di conseguenza fece deporre il sospettato.Siccome era in posizione delicata, né la Polizia, né la Shabàk esercitarono ulteriori pressioni su di lui.

Durante l’ interrogatorio, il sospettato fece i nomi degli Ufficiali di Polizia e della Shabàk che avevano parlato con lui, e la sua vicenda fu sottoposta a verìfica. Egli fu poi rilasciato. Ufficiali della Shabàk han confermato, l’ uomo aveva dato loro PRECEDENTEMENTE, una descrizione di Amìr, e del suo piano per uccidere Rabìn.

Ma’arìv, 19NOV1995: "Hila Frank conosceva bene Amìr da quando lei studiava alla Università Bar Ilàn. Dopo l’ assassinio di Rabìn, ella assunse un Avvocato, e gli disse che lei aveva udìto Amìr esprimere l’ intenzione di uccidere Rabìn, ben prima dell’ atto. Lei, quale membro della Commissione Sicurezza dell’ Ateneo, aveva organizzate dimostrazioni contro il Governo".

Pertanto era dilaniata dall’ incertezza: rivelare le intenzioni di Yigàl Amìr, o fare l’ interesse dello Stato? Per superare il dilemma, lei passò le sue informazioni a Shlòmi Halevy, soldato della riserva nella Brigata Intelligence, il quale promise di girarle alla gente giusta.

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Yerushalayìm, 17NOV1995:"Perché al personale della sicurezza di Rabìn Premier non fu distribuìto un identikit di Amìr, basato sulla descrizione di Halevy? E loro, perché non interrogarono altri attivisti di EYAL per scoprire chi fosse l’ uomo che minacciava di uccidere il Primo Ministro?".

Yediòt Achronòt, 10NOV1995: "Un mese prima dell’ assassinio, il giornalista Yaròn Kennet si finse simpatizzante, e trascorse due giorni a uno Shabbàth di studio a Hebròn, organizzato da Yigàl Amìr…

"Chi ha organizzato questa riunione?" io domandai. Egli indicò Yigàl Amìr: egli aveva invitate 400 persone, e ne arrivarono oltre 540, un disastro per l’ organizzazione.

"Quando Amìr parlava, tutti facevano silenzio, dimostrando che lui aveva qualche carismo. D’ altro canto, i suoi toni pacati e la sua statura non impressionante non avrebbero convinto nessuno a comprare da lui nemmeno un ghiacciuolo in una giornata afosa".

Ma’arìv, 12DIC1995: "Durante le sue "fine-settimana dell’ identità", centinaja di persone udirono Amìr esprimere i suoi pensieri estremistici, fra cui giustificazioni Bibliche per uccidere Rabìn".

Yediòt Achronòt, 24NOV1995: "Yigàl Amìr divenne oggetto di attenzione della Shabàk a partire da sei mesi fa, quando prese a organizzare weekend di studio a Kiryat Arba, e loro domandarono un rapporto su di lui. Ravìv preparò il rapporto".

Ma’arìv, 24DIC1995: " Un’ auto carica di studenti della Bar Ilàn si allontanava da Tel Avìv, quando essi hanno udìta alla radio la notizia della sparatoria contro Rabìn. Hanno fatto un giuoco, indovinare cinque persone che potevano essere l’ assassino. Yigàl Amìr era sulla lista di tutti".

Come potè la Shabàk farsi sfuggire Amìr al comizio, a meno che non lo abbia fatto apposta? Yigàl Amìr non aveva tenute segrete le sue intenzioni di assassinare Rabìn; le aveva decantate a tante centinaja di personeradunate alle sue fine-settimana di studio, e a quanto pare le raccontò a chiunque fosse a portata di orecchio all’ Università Bar Ilàn.

A parte la questione del desiderio, proprio poco da assassino, di Amìr, di far conoscere al Mondo intero, prima, i suoi piani, dobbiamo porci la domanda: perché la Shabàk non lo prese? Be lo conoscevano. Le prove erano inconfutabili: a quelli della Shabàk lo avevano detto due persone: una interna a EYAL, una della Brigata Intelligence. L’ agente loro Avishài Ravìv udì le sue minacce, insieme con centinaja di altre persone, alle fine-settimana di studio, e le aveva riferite ai suoi superiori.

Così, perché loro non lo arrestarono ben prima del comizio, fuori del comizio o all’ interno della zona sterile? Perché, volente o nolente, per la Shabàk Yigàl Amìr lavorava.

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6 CAPITOLO SEI LE PROVE GENERALI

Oltre un anno prima del crìmine, all’ inizio del Settembre 1994, la gente responsabile della istigazione all’ assassinio di Rabìn svolgeva una vasta campagna di esercitazioni, e di provocazioni. Diciassette Ebrei furono arrestati e tenuti in carcere per vari giorni, senza accuse. Poi Shabàk e Polizia con orgoglio raccontarono d’ aver conciata per le feste VENDETTA EBRAICA, CLANDESTINA, una "milizia Ebraica clandestina che preparava attacchi terroristici contro villaggi Arabi, e contro la Orient House", il bastione dei Palestinesi, dell’ OLP, a Gerusalemme. I 17 poi furono accusati di associazione a delinquere finalizzata all’ omicidio.

Sorse subito un problema per l’ accusa di cospirazione: nessuno degli accusati conosceva gli altri. In comune avevano una sola cosa: tutti erano stati incastrati dal Brigadiere Generale della Riserva, Yisrael Blumental (della Brigata Hebròn delle IDF), e da Yves Tibi, agente della Shabàk.

Dei 17, il caso più pubblicizzato fu quello contro il Tenente Oren Edri, che era stato arrestato mentre faceva la naja in Libano, e accusato di aver fornito addestramento e esplosivi alla asserita VENDETTA CLANDESTINA, Il suo vero crimine, come per gli altri 16, era aver amicizie fra gli Ebrei di Hebròn. Con qualcuno dei 400 Ebrei di Kiriat Arba, circondati da 120mila Arabi. E’ stato in carcere due mesi, in una cella infestata da parassiti d’ ogni qualità. Quando i genitori riuscirono a fargli visita per la prima volta, inorridirono oltre ogni dire, vedendo il suo volto morsicato dai ratti.

Altri arresti furono quasi altrettanto scandalosi. Un esempio:

Blumental diede a Uri Barùch il progetto per costruire un silenziatore per fucili, e l’ indomani Barùch fu arrestato per aver progettato di costruire un silenziatore per la CLANDESTINA. La "prova": quei disegni messi da Blumental in mano a Barùch.

Alla fine caddero tutte le prove a carico di Edri, e di Barùch, come pure per 13 altri congiurati. A processo di tutti i membri della falsa organizzazione clandestina finirono soltanto i due fratelli Yehoyada e Eitan Kahalani. L’ 8 Giugno 1995, io ho incontrato l’ avvocato che rappresentava il loro appello: fu gentile quanto bastò per fornirmi documenti segreti e classificati dalla Polizia e dalla Shabàk, a condizione che io parlassi di lui come di "un avvocato" senza farne il nome. Egli spiega:

"Nel Febbrajo 1996, i fratelli Kahalani furono condannati a 12 anni di prigione ciascuno. E’ stato uno shock totale per quasi tutti, nel mondo giudiziario. Cercai di sollevare il morale ai ragazzi, offrendomi di preparare gratis un

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appello. Rimasi sgomento quando fu respinto, e ne trassi qualche conclusione.

"La prima è che il caso era direttamente collegato con l’ assassinio di Rabìn. La stessa gente che curava Avishài Ravìv, e che si prendeva cura pure di Yigàl Amìr, è quella che incastrò anche i fratelli Kahalani. Yves Tibi riceveva gli ordini da Eli Baràk, capo del "Dipartimento non-Arabo,o Ebraico, della Shabàk. E Kalo, e Gillòn erano i superiori di Baràk."

L’ Avv. Ha dimenticato di menzionare: Yitzhàk Rabìn, Ministro della Difesa, era l’ Ufficiale superiore e il Funzionario massimo della Shabàk, e deve essere stato bene al corrente dell’ operazione che portò all’ imprigionamento dei fratelli Kahalani.

Qui narriamo la sventura di uno dei peggiori aborti giudiziarii nella storia d’ Israèl. Comincia con una trappola in un contrabbando di uova. Causa la corruzione nelle vendite dei prodotti in Israèl, gli alimenti, anche le uova, costano troppo. Tibi viveva a Kiryàt Arba, quartiere di Hebròn. Entrò in affari coi fratelli Kahalani contrabbandando uova. Le comprava dai pollivendoli Arabi della Sponda Occidentale, o West Bank, o Giudea e Samaria, a una frazione del prezzo Israeliano, e le introduceva di contrabbando in Israèl entro la "Linea Verde" del 1967.

Il 2 Settembre 1994, i due fratelli andarono a cercare vie di transito in Giudea e Samaria, o Sponda Occidentale (i "Territori" occupati, o liberati, o amministrati), per prepararsi al loro nuovo business. Per tale motivo guidavano attraverso sconosciuti villaggi della West Bank. Prova, secondo Shabàk, che stavano preparando un massacro in uno dei villaggi. Al rientro a Kiryàt Arba, il loro camion misteriosamente andò in panne, e non ce la fece a tornare a Gerusalemme, su per la collina. Chiamarono Tibi, spiegarono il loro dilemma, e gli chiesero di prestar loro l’ auto sua. Disse sì, e tutti s’ incontrarono a Gerusalemme, alle 14. I Kahalani si allontanarono sull’ auto di Tibi, e alle 14.15 furono fermati da una jeep della Shabàk che li aspettava per un’ imboscata. Furono obbligati a uscire dall’ auto, con le armi puntate alla loro testa. L’ auto fu perquisita. Bene avvolti in una coperta furono trovati due fucili automatici M-16 . Sùbito dopo arrivò l’ automobile di una squadra della Polizia, e i due fratelli furono arrestati. Senza accuse vennero tenuti in una gattabuja della Shabàk per 10 giorni, senza poter vedere un avvocato. Il 12 Settembre 1994, alfine, vennero incriminati per il tentativo di uccidere un Arabo di nome Ziad Shami, il quale si era recato alla Polizia dicendo che, mentre andava a lavorare in bicicletta, i due avevano tentato di sparargli, ma il loro fucile aveva fatto cilecca. Era stata la Shabàk a cercarlo a Batìr "per vedere se era stato colpito, o no". Una settimana dopo, anche il cugino di Shami si era lamentato con la Polizia : "Alcuni coloni hanno cercato di spararmi". Soltanto il 15 Settembre la Shabàk spiegò di aver manipolati i fucili dei

fratelli

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Kahalani, in modo che non potessero sparare, al fine di beccare con le mani nel sacco gli aspiranti assassinji. Se questa vicenda suona come una prova precoce dell’ assassino di Rabìn, ebbene l’ assonanza probabilmente è fondata.

La letteratura degli assassinii politici ha i suoi precedenti con prove più o meno generali. Al Presidente Gerald Ford, Squeaky Fromme sparò per prima, per motivi "ecologici". E poi, pochi giorni dopo, Sarah Moore fece altrettanto, per simili motivi. John Lennon fu ucciso un mese prima del tentato assassinio di Ronald Reagan nel 1982. Mark David Chapman, assassino di Lennon, spiegò poi di essere lo Holden Caulfield di "Catcher in the Rye", e il pùbblico accettò la sua incredibile storia. Visto il successo della prova generale, il mancato assassino di Reagan affermò di aver sparato al Presidente perché voleva impressionare l’ attrice Jodie Foster, e il pubblico la bevve, come previsto.

Gli assassini di Rabìn stavano sperimentando operazione mordi e fuggi di provocazione, per vedere se loro riuscisse di far incolpare senza motivo gli zimbelli, e di farli incarcerare senza grandi pubbliche proteste. Con l’ ajuto della Polizia e dei Tribunali, il metodo funzionava. Il pùbblico di Israèl era in grande maggioranza credulone e apàtico, quanto bastava per ignorare le punzecchiature, e le relative implicazioni per i proprii diritti civili.

All’ Avvocato ho chiesto se la congiura non ha scatenato reazioni almeno verso il caso del tenente Edri, morsicato dai topi. Mi ha risposto con una domanda: "Fu qualcuno della Shabàk imputato per l’ ingiusto arresto di Edri?". "La passarono liscia per questo. E il pubblico Israeliano dimostrò che non protestava nemmeno per le atrocità contro un soldati innocente. La Shabàk ormai lo sapeva, l’ avrebbe passata liscia in qualsiasi provocazione".

Giusto, se ha ottenuta l’ incarcerazione dei fratelli Kahalani contro tutte le regole della giurisprudenza. L’ avvocato mi ha mostrati alcuni documenti "delicati". Il primo veniva dal perito balistico della Polizia Bernard Shechter, che esaminò i fucili e le munizioni asseritamene dei fratelli Kahalani, proprio come, un anno dopo, avrebbe esaminati armi e munizioni dei fratelli Amìr.

La data, sul rapporto di Shechter, è 1 Settembre 1994, UN GIORNO PRIMA CHE I FUCILI FOSSERO TROVATI SULL’ AUTO DI TIBI DAI FRATELLI KAHALANI. Riferisce Shecter: egli con quei fucili sparò, erano in buone condizioni di funzionamento. Mi si consenta di sottolineare l’ ovvio. Gli M-16 incriminatori erano nelle mani della Polizia l’1 Settembre; come poterono i Kahalani a averli proprio l’ indomani? Non ci sono dubbi, quei fucili gli furono rifilati a loro insaputa dentro all’ auto del presunto amico Tibi, vero amico della Shabàk.

Poi, l’ Avvocato mi mostrò una nota del 2 Settembre 1994, "SEGRETO", dalla Shabàk alla Polizia. La Polizia volle l’ immediata consegna dei fucili, per esaminarli. La Shabàk rifiutò, accampando considerazioni di sicurezza non meglio specificate. Poi il giurista mi mostrò un rapporto da Bernard

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Shechter in data 29 Settembre. Finalmente, dopo 27 giorni, la Polizia provò le armi, e le trovò difettose. Superfluo dirlo. Come nel caso delle asserite pallottole di Yigàl Amìr, che passarono inosservate prima che la Polizia le esaminasse, la catena delle prove sui fucili "dei fratelli Kahalani" era stata completamente spezzata. Ma ciò non turbò i giudici. Ancora, come poi nel processo a Yigàl Amìr, l’ avvocato spiega: "Il tribunale disse che non gl’ interessava chi avesse date le armi ai Kahalani, ma soltanto chi avesse premuto il grilletto".

Altro problema con questa Causa fatta dallo Stato. All’ inizio, sui fucili non c’ erano impronte digitali. Perché i fratelli Kahalani li avevano ripuliti, spiegò la Shabàk. Così la Shabàk lasciò che i due fratelli andassero a sparare a un Arabo, che eliminassero le impronte digitali dai fucili, e che li avvolgessero accuratamente in una coperta, prima di acciuffarli DUE MINUTI DOPO.

Lo scenario non superò il test della probabilità; e così la Shabàk tirò fuori una versione nuova. Sì, in effetti sull’ arma impronte digitali ce ne erano, ma NON dei fratelli Kahalani. Chi sa come, avevano tolte le impronte proprie quei due diabolici fratelli, lasciando intatte le impronte digitali altri, e chi sa di chi. La Polizia andò al fondo della questione: controllò le impronte dei membri della VENDETTA CLANDESTINA arrestati. L’ Avvocato mi mostrò il documento della Polizia. Furono esaminate le impronte di tutti i membri, SALVO quelle della spia della Shabàk Yves Tibi (il quale probabilissimamente aveva piazzati i fucili nell’ auto sua).

Sconvolgente? E’ proprio soltanto la punta dell’ iceberg. Ecco alcune delle incongruenze elencate dall’ Avvocato nel suo appello:

1) Perché la Shabàk doveva cercare una vittima? Nessuno si lamentò contro i due fratelli, se non dopo 10 giorni, quando la Shabàk andò a cercar querelanti, "Per accertarci che l’ Arabo non fosse stato colpito". Perché? Domandò l’ Avvocato. "Perché la Shabàk doveva pensare che fosse stato colpito, visto che essa Shabàk aveva truccati i fucili in modo che non sparassero? ". La prima cosa che gli Ufficiali della Shabàk affermano d’ aver detta a Shami fu: "Non preoccuparti, noi siamo qui per proteggerti dai coloni".

2) In precedenza, Shami era stato arrestato dalla Shabàk in numerose occasioni, per attività violente, e due volte era stato da loro incarcerato. Si conoscevano bene reciprocamente, Shami e la Shabàk. C’ era bisogno di poca forza di convinzione per persuaderlo a testimoniare il falso, se pensava di ajutare a scacciar via gli insediatori, o coloni, o settler. Dapprima Shami disse che uno dei fratelli aveva premuto il grilletto del fucile, e d’ aver udito un "tik", e d’ aver vista la cartuccia cadere per terra. Storia palesemente assurda. LA CARTUCCIA SENZA PALLOTTOLA NON VIENE ESPULSA, OVE IL GRILLETTO SIA PREMUTO, SENZA SPARARE. E COSI’ SHAMI MUTO’ VERSIONE. Seconda deposizione alla Polizia: Shami dice che uno dei fratelli

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aveva sparato stando piegato dietro all’ auto, così egli non ha udìto il "tik", e non ha vista una pallottola cadere.

3)Nella sua prima deposizione alla Polizia, Shami disse di essere riuscito a identificare i Kahalani. Nella seconda deposizione,fu messo alle strette dall’ interrogatore, che gli domandò quale dei due portasse gli occhiali. Dopo avere risposto, Shami si entì dire che nessuno dei due portava occhiali. Egli allora ammise di non essere riuscito a identificare i sospettati. Né ci riuscirono i due agenti della Shabàk, che li avevano attesi e attirati nell’ imboscata. E così la Polizia decise di archiviare l’ ostacolo, evitando il confronto all’ Americana. In Tribunale, l’ investigatore della Polizia spiegò che organizzare tale confronto era "Logisitcamente difficile". Come la semplice procedura d’ interrogare i due soggetti. In Tribunale, al Polizia si è contraddetta pure sul tema: quale Agente ha interrogato quale dei due fratelli?

4) Perché hai aspettato 10 giorni, prima di denunciare alla Polizia chi aveva tentato d’ accopparti? Shami ha detto alla Corte: "Ci è voluto del tempo, come per qualsiasi incidente quotidiano". Ora, anche se ti trovi nell’ atmosfera politicamente carica e tesa, tìpica di Israèl e dintorni, essere preso a bersaglio da chi tenta di spararti a bruciapelo, non è un incidente d’ ogni dì. Pertanto, qualcuno decise di rimpolpare la causa di Shami, coinvolgendo un suo dipendente, il quale testimoniò che l’ indomani Shami gli raccontò l’ accaduto. Ma la difesa aveva mostrato il cartellino di lavoro di Shami: dimostra che era andato a lavorare il 2, subito dopo l’ asserìto tentativo di omicidio. Perché Shami gli ha raccontato l’ incidente il giorno dopo, e non il giorno mesmo? L’ impiegato allora ha mutato versione, ora Shami glie lo aveva detto il giorno stesso.

5) Perché il cugino di Shami non si lamentò con la Polizia il 9 Settembre, che due coloni gli avevano puntata un’ arma contro? I fratelli Kahalani erano già al fresco, loro dunque non sono stati. Era il piccolo villaggio di Batìr bersagliato dai settler, o insedianti, o coloni, li quali terrorizzavano la cittadinanza con falliti tentativi di omicidio? Diedero la Polizia, o la Shabàk, sèguito all’ esposto, o si trattava d’ un semplice perverso tentativo d’ un familiare per salvare Shami dall’ accusa d’ aver giurato il falso?

6) Shami riferì d’ aver lasciata la sua bici sul posto, e di essersela data a gambe. I due intrappolatori della Shabàk riferirono che la bicicletta era sparita, e che Shami doveva esser fuggito in sella. Per dare spiegazione a tale problema, Shami disse che mentre correva via, aveva chiesto un passaggio a un furgone Peugeot guidato da un amico, e di essere con esso ritornato sulla scena del crìmine a tirar su il velocipede. Gli strateghi della Shabàk avrebbono dovuto vedere il furgone Peugeot ove esistito fudesse. E Shami non riusciva a ricordare il nome dell’ amico che guidava il furgone, e così ancora na volta modificò la sua deposizione alla Polizia. Questa volta il furgone era guidato da un estraneo, da uno sconosciuto.

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7) Shami ha insistito: uno dei suoi aggressori puntò un fucile contro di lui. Gli strateghi della Shabàk ammisero di non aver visto nessuno realmente impugnare un fucile.

8) I Poliziotti sull’ auto di servizio che accompagnò la jeep della Shabàk all’ imboscata, chi sa come non furono testimoni dell’ arresto dei fratelli Kahalani. La vettura dei Poliziotti seguiva la jeep, ma la visione era impedita "dalla polvere sollevata dalla jeep". Ormai depositata la polvere, i Poliziotti videro i Kahalani sdraiati per terra tenuti fermi sotto la minaccia delle armi, e i fucili nella coperta accanto a loro. La polvere, allora, impiegò minimo due minuti per depositarsi.

9) Shami disse alla Polizia: la prima cosa che i Kahalani gli domandarono fu: "Che ore sono?". Ma interrogato in Tribunale, rispose: "Prima cosa mi domandarono se io avessi soldi".

10) L’ Ufficiale di Mandato della Polizia Zeiger testimoniò che, al momento dell’ arresto, un nastro di pallottole era stato sfilato dallo zàino dei Kahalani. Sfortunatamente per Zeiger, sul nastro non sono state trovate impronte dei Kahalani. Inoltre, il diario di Polizia del 2 Settembre 1994, dice che il nastro fu trovato nell’ abitazione degl’ imputati. In breve, l’ Ufficiale Geiger è stato beccato a dir bugìe. Però allora chi non raccontava frottole?

Il verdetto di questa ridicola causa doveva esser letto il 6 Novembre 1995, ma fu rinviato al 15 proprio in regione dell’ assassinio di Rabìn il 4. Il 15 Novembre, il Tribunale dichiarò i fratelli Kahalani colpevoli di tentato omicidio.

Quel verdetto, dice l’ Avvocato, "Era direttamente collegato con la morte del Premier. Se le provocazioni e le imboscate ai Kahalani non avessero comportata la dichiarazione di colpevolezza loro, la gente avrebbe potuto cominciare a porre interrogativi su Yigàl Amìr. A qualche mio amico nella Shabàk ho domandato come era possibile che i due Kahalani fossero stati condannati, a fronte di tanto profluvio di prove sfacciatamente addomesticate. Mi hanno risposto: esiste una sola possibile risposta:

"Ai massimi livelli della Shabàk, politica era delegittimare i coloni onde giustificarne la rimozione forzata in una certa fase del processo di pace."

Gli oppositori del segreto e falso "Processo di pace" andavano pertanto trasformati in selvaggi assassini. E se in realtà non lo erano, beh gli assassini allora bisognava fabbricarli. Quante ingiustizie ciò richiedesse non importava, purchè la massima possibile percentuale di elettori vedesse come barbari gli avversari del "Processo di Pace".

Con questa strategìa bene in mente, si dava per certo: Rabìn è stato assassinato da un Ebreo Sefardita di destra, religioso, che simpatizzava per il movimento dei coloni. Il giorno successivo,

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si scatenò la retata degli "Ebrei nemici della Pace", e quasi nessuno protestò. Poche settimane dopo, l’ esercito d’ Israèl si ritirò da sei aree della Sponda Occidentale, quasi sanza manifestazioni di protesta che ostacolassero il ritiro.

I fratelli Kahalani sarebbero dovuti comparire per la sentenza. Uno solo, Eitan, arrivò. Yehodaya non fu in grado di udire la condanna a 12 anni. Poche settimane prima era stato trasferito in un altro blocco di celle. Stava parlando al telefono con sua Madre, quando un tubo di ferro si abbattè sul suo cranio, sfondandolo. Finì in un coma profondo, dal quale, dapprima pareva, non sarebbe mai uscito. Le ultime parole alla Mamma: "Mi hanno messo qui, con gli assassini".

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7 CAPITOLO SETTE DALLE BOCCHE DELLA SHABA’K ==

Dopo l’ assassinio di Rabìn il capo della Shabàk, Carmi Gillòn; due suoi Ufficiali, incaricati di tenere a bada gli Ebrei estremisti; eAvishài Ravìv, loro Agente, si trovarono in guai acidi. Il piano dopo-assassinio trovò un ostacolo, qualcuno aveva soffiata la verità su Ravìv. Passo primo di Gillòn fu: nominare la propria Commissione interna d’ inchiesta. Ma il pubblico fiutò il trucco. Obbligando il Governo a nominare una sua commissione d’ inchiesta, presieduta dal Giudice Shamgàr che, fece vedere a tutti, cercava la verità. Accese il riscaldamento, mandando lettere a sette Ufficiali della Shabàk. Fra cui Gillòn, e Khezi Kalo (capo del Dipartimento Attività non-Arabe, o Ebraiche, della Shabàk), ma, significativo, non al suo collega, Eli Baràk, supervisore dell’ operazione Ravìv. Li informò tutti: siete suscettibili d’ incriminazione. Parte della loro testimonianza è pervenuta al pubblico, benché un 30% resti sepolta sotto una cappa di supposta Sicurezza dello Stato. Ma il poco sfuggito dalle bocche della Shabàk rivela la mentalità delle persone, massime responsabili della protezione di Yitzhàk Rabìn da Yigàl Amìr.

Dalla tesi di laurea di Carmi Gillòn (1990)

"Esiste una radicalizzazione delle illegalità ideologiche da parte dell’ estrema destra, e concerne sia il numero, sia la gravità di tale attività. La Società Israeliana manifesta tolleranza verso i fuorilegge ideologici d’ estrema destra, e ciò garantisce, benché lentamente, legittimità a tale attività. "

Yediòt Achronòt, 10 NOV 1995: "Alla fine di Agosto, un gruppo di incontrò Carmi Gillòn; che fra l’ altro delineò il ritratto di un potenziale Ebreo assassino del Primo Ministro. Senza saper di dare la foto perfetta dik Yigàl Amìr. "E’ qualcuno che abita non nei Territori" disse il Capo della Shabàk. Non sta con altri è furbo, solitario o quasi, vive a Herzlea (SIC). "

Dalla tesi di Gillòn:

"Il processo di estremizzazione nella società Israeliana va creando individui che sprezzeranno il pericolo pur di perseguire i propri obiettivi".

Yediòt Achronòt, 20 NOV 1995 : "Citazioni dal Capo della Shabàk alla Commissione Shamgàr ci stanno insegnando la sua difesa. Egli sta chiamando Amìr un "matto solitario", un matto che un dì s’ è svegliato e ha deciso di uccidere il Premier, senza alcun ajuto. I matti come questo, dice Gillòn, sono molto difficili da individuarsi, dunque il crimine non può essere addebitato a insuccessi della Intelligence".

Difesa quanto mai problematica. Ho fatto tutto da solo, ha deposto Amìr. Ma varie prove dimostrano che per tre o quattro persone non aveva segreti. Amìr non era affatto antisociale. Non regge la teoria di Gillòn, del "matto solin soletto".

Yediòt Achronòt, 24NOV1995: "Il capo della Shabàk non aveva dubbi su chi fosse l’ assassino di Rabìn. Una telefonata da lunga distanza lo informò degli spari ravvicinati,e la sua prima reazione

fu: "E’ stato un Ebreo".

Avrahàm Rotem, ex capo della Sicurezza Personale della Shabàk pone a se stesso alcuni quesiti:

Ma’arìv, 10 NOV 1995:

"Dove era il capo della Shabàk la sera di Sabato scorso? All’ estero. E che ci faceva? Non si sa. Qualcosa di urgente. Che c’ è di più urgente del proteggere la vita dl Primo Ministro? Egli non sapeva che qualcuno si apprestava a uccidere il Premier.

"Aah, mica lo sapeva? Allora perché sta scritto sui giornali che pochi mesi fa EGLI aveva avvertito Rabìn che qualcuno dall’ estrema destra stava pianificando il suo assassinio? E allora egli andò dai capi dei partiti politici per suonare lo stesso campanello d’ allarme, e per chieder loro che prevenissero l’ istigazione all’ assassinio? Tu non puoi dire al Primo Ministro che qualcuno si prepara a ammazzarlo, e poi tornartene alle procedure di sicurezza di routine".

Pare Gillòn sapesse: l’ omicidio avverrà .Attorno ai primi di Settembre, egli ammonì Rabìn, i partiti politici,i giornalisti, d’un incombente assassinio del Premier, da parte d’ un matto solitario, che non abita nei Territori.

Quarantotto ore prima dell’ assassinio, Gillòn si sentì costretto a volare a Parigi, malgradogli appelli dai suoi subordinati affinché non partisse prima del comizio. Per sconosciuti "affari urgenti". Informato a Parigi del crimine con una telefonata da Israèl, sapeva già:"E’ stato un Ebreo".

Sfortunatamente per lui, rimase abbarbicato al piano originale. E sapendo a memoria le conclusioni raccontate dalla commissione Warren sull’ assassinio di John Fitzerald Kennedy, si è subito difeso chiamando Amìr "A lone nut", un matto solitario.

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Ma, come Oswald, Amìr non era matto, né solitario. Malgrado questa difesa fragile, e senza porre le dure domande in merito alle inquietanti previsioni esatte sue sull’ assassinio, o su che cosa facesse a Parigi, Shamgàr ha congedato Gillon infliggendogli l’ atroce pena di uno schiaffetto sul polso.

L’AGENTE KALO

E’ la figura della Shabàk più misteriosa attorno all’ assassinio di Rabìn. Manco il suo nome primo personale era arrivato ai media. Si sa che Eli Baràk, come capo del "Dipartimento Ebraico della Shabàk", gestiva Ravìv, ma nessuno ha mai delineato adeguatamente il ruolo di Kalo. Si sa che era l’ immediato superiore di Eli Baràk.

Ma’arìv, 18DIC1995: "La Commissione Shamgàr ha cominciato a esaminare le contraddizioni fra le testimonianze della Polizia, e quelle dell’ agente Kalo… Domandano come la Shabàk avesse reagito alle informazioni in arrivo dalla Università Bar Ilàn, e perché la Shabàk ignorasse le "attività dello Shabbàth" organizzate in Giudea e Samaria da Yigàl Amìr con Avishài Ravìv ".

Yediòt Achronòt, 22NOV95 Secondo Kalo, (capo del Dipartimento Attività Ebraiche della Shabàk) durante sei ore di testimonianza alla Commissione Shamgàr, la Shabàk richiese che Ravìv facesse loro pervenire un profilo panoramico sulle attività di Amìr, tre mesi prima dell’ assassinio.

Ravìv tornò dal suo lavoro sul campo, e riferì loro (ai dirigenti della Shabàk) delle intenzioni di Amìr di danneggiare Arabi. Kalo ha deposto: "Amìr non conosceva le vere intenzioni di Amìr, e non ci informò delle sue intenzioni di danneggiare Ebrei, Primo Ministro incluso".

Ma’arìv, 19DIC95: Fra i più sorpresi dalla lettera d’ avviso di Shamgàr era Kheshin, il quale ritiene cajusa dell’ assassinio di Rabìn sia stato un fallimento della sicurezza, non dell’ intelligence. Il mandato di comparizione a lui è, ritiene, ingiustificato.

Il capo del "Dipartimento attività non-Arabe, o Ebraiche" della Shabàk afferma di non aver saputo nulla delle minacce di Yigàl Amìr a Rabìn all’ Università Bar Ilàn, e ha ricevuto un rapporto dal suo Agente, Avishai Ravìv, tre mesi prima dell’ assassinio, che completamente ignorava dette minacce, minacce che Ravìv aveva udìte in numerose occasioni.

Invece gli fu detto che Amìr voleva pestare Arabi. Ciò era sfacciatamente falso. Il fragile Amìr si rifiutava di partecipare a una qualsiasi delle molte scorrerìe e pestaggi anti-Arabi,

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scatenati dentro a Hebròn da Ravìv, salvo una volta sola, poco prima dell’ assassinio di Rabìn, quando fu per caso filmato "in azione".

Può qualcuno credere a questa storia? Se è vera, Ravìv stava deliberatamente nascondendo la verità su Amìr a Kalo, mentre altri suoi sottoposti deliberatamente celavano agli occhi di lince di Kalo le informazioni su Amìr in arrivo dalla Università Bar Ilàn.

Eli Baràk

Era il capo della Unità "Anti-Sovversione Non-Araba" della Shabàk, comunemente detta il "Dipartimento Ebraico". Kalo era l’ Ufficiale suo superiore, e ciò indicherebbe che quel "Dipartimento" fosse separato dal suo. A causa di quel 30% di rapporto della Commissione Shamgàr sottratto alla informazione pubblica, sulla infrastruttura dipartimentale della Shabàk, l’ esatta natura della catena di comando è ignota. E siccome Shamgàr escluse Eli Baràk dal testimoniare in udienze aperte, per motivi noti come insabbiature o peggio cover-up, non molto è trapelato di ciò che ha da dire. Ma qualche deposizione getta luce.

Yediòt Achronòt, 20Novembre 1995: "Secondo THE OBSERVER, giornale di Londra, alti funzionari della Sicurezza Israeliana affermano: gli Ufficiali della Shabàk sapevano che Yigàl Amìr aveva intenzione di uccidere Rabìn. Il più di alto rango al corrente era Eli Baràk, capo del "Dipartimento Ebraico", il quale non prese sul serio i ridicoli piani di Yigàl Amìr. L’ OBSERVER non spiega perché Baràk non avesse passate le minacce di Amìr al capo della Shabàk, né spiega che la risposta a ciò dovrà saltar fuori alla Commissione d’ Inchiesta".

Ma’arìv, 27NOV1995: Eli Baràk, capo del dipartimento che si occupa di Ebrei estremisti, ha testimoniato che Avishai Ravìv non sapeva che Yigàl Amìr intendeva ammazzare Yitzhàk Rabìn. Riferì soltanto che quello era un attivista all’ Università Bar Ilàn. Secondo Eli Baràk, Amìr da solo decise di uccidere Rabìn, e che nessuno lo avrebbe potuto fermare".

Tzvì Amìr, membro della Commissione, e già capo del Mossàd, ha chiesto a Baràk di spiegare perché la Shabàk non abbia agito, in sèguito al rapporto di Shlòmo Halevy: "Un uomo basso, Yemenita, di EYAL, minaccia Rabìn". La Commissione ha sottolineato: "Siccome Halevy era un soldato della Brigata Intellingence, sarebbero dovuti scattare gli allarmi rossi".

La risposta di Eli Baràk non è mai stata pubblicata. Il frammento di Baràk che abbiamo, indica: egli coordinò con Gillon le deposizioni, e suffragò la teoria del matto

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isolato. Pure con Kalo ebbe buon dialogo, ma con una differenza: mentre Kalo proclamava di essere stato all’ oscuro dell’ estremismo di Yigàl Amìr all’ Ateneo, invece Ravìv scelse d’ informarne Baràk. Entrambi però concordano: l’ agente Ravìv non sapeva che Amìr avesse alcun piano per uccidere Rabìn.

Avishai Ravìv

Ravìv, sappiamo, era Agente della Shabàk dal 1987 almeno, quando il decano dell’ Università di Tel Avìv, Itamal Rabinovitch, tentò di espellerlo per attività estremistiche. Il Primo Ministro Yitzhàk Shamìr mandò Yossi Achimeir, suo ajutante, a intercedere appo Rabinovitch, pro Ravìv. Ergo, nei giorni dell’ assassinio di Rabìn, Ravìv era nella Shabàk da almeno otto anni, e probabilmente era assurto a alto rango. Ma trovare frasi sue che non siano estremiste è arduo. Nel Novembre 1996, la rivista KOL HA’IR lo scova nel suo segreto posto di lavoro, in un istituto per bambini autistici a Tel Avìv. Perché avesse comunque da lavorare, è un mistero. Ma forse i bambini autistici non lo riconosceranno. Parla poco: "Nessuno crederebbe a quanto so, e non posso dire". Lo avesse detto, presumibilmente sarebbe sparito per sempre. Sappiamo pure che ha mentito al processo verso Haggai Amìr, fratello di Yigàl. Alla Corte ha detto: "Mai ho lavorato per la Shabàk, né mai ho avuto a che fare con essa". Inoltre ora sappiamo: il sistema dei Tribunali è truccato, accettò sanza proteste la falsa testimonianza sotto giuramento.

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8 CAPITOLO OTTO IL PIANO CHE NONFU MAI USATO

Non riuscì a proteggere Rabìn, a Tel Avìv, nella "Piazza I Re di Israèl", la Shabàk. Perché? Dà soltanto questa spiegazione: non aveva piani di contingenza per proteggere Rabìn da un pistolero solitario. Il concetto: "Nessuno può fermare un folle assassino determinato" fu adottato da Carmi Gillòn, capo della Shabàk, e da lui è defluito verso tutti i ranghi e livelli.

Diciassette mesi dopo il crimine, la scusa è stata fatta a pezzi da un’ intervista concessa alla rivista ANASHI’M da Tuvia Lìvneh, e da Yisraèl Shai, ex ufficiali della Unità Sicurezza Personale della Shabàk. Ecco il paragrafo iniziale:

"Per la prima volta doèpo l’ assassinio di Rabìn, due ex Ufficiali dell’ Unità incaricata di proteggerlo stanno parlando. Sono furibondi per il comportamento dei loro successori nella Unità che non riuscì a impedire la morte; e per come l’ assassino, Yigàl Amìr, entrò nella "zona sterile" e sparò all’ allora Premier, dalla distanza d’ un braccio. Nei 17 scorsi mesi, non un giorno è passato senza il pensiero che il crimine non sarebbe riuscito, se loro fossero rimasti a lavorare lì. "Rabìn, con noi, non sarebbe stato ucciso". Dice Tuvia Livneh. "Auando Yisraèl e io udimmo la notizia dell’ assassinio, ci infuriammo per la mancanza di un piano di contingenza, proprio per un colpo del genere, per il quale noi ci eravamo esercitati infinite volte".

Il pezzo continua:

"Questo non è il senno di poi, ma furbizia scandalosa prima, ben prima della tragedia, e viene pubblicata per la prima volta. All’ inizio degli anni ’90, quando i due comandavano l’ unità, prepararono nei dettagli un piano di contingenza per il caao di un assassinio politico in Piazza "I Re di Israèl" a Tel Avìv.Inclusa la possibilità che l’ assassino agisse dalle scale d’ uscita dietro al podio, precisamente dove Yigàl Amìr è rimasto a aspettare Yitzhàk Rabìn. Il piano fu girato al comando di campo, dove fu provato e riprovato. Vere varie prove generali."

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Ciò sistema Carmi Gillòn, e la sua storiella secondo la quale non esisteva nessun piano di contingenza per tentativi di omicidio nella Piazza I Re d’ Israèl. Esisteva un esatto piano di contingenza, in realtà così preciso, che è lecito domandarci se non sia stato usato al contrario.

Gli Ufficiali della Shabàk avevano fatte le prove generali "infinite volte" in vista d’ un assassinio politico esattamente nel punto nel quale Yigàl Amìr aspettava Rabìn. Non soltanto NON furono presi con la guardia abbassata: erano perfettamente preparati per prevenire quella morte… se lo avessero voluto.

La rivista ANASHI’M prosegue:

"Ciò che non dà pace a Livneh né a Shai, è che Amìr è rimasto vivo e vegeto pur avendo sparate pallottole tre in piena tranquiliità. Loro principio fondamentale è: se persino un anonimo killer pènetra nella prima linea difensiva, e in un modo o in un altro spara un colpo al Primo Ministro o a chicchessia, quello sarà il suo ultimo colpo. Subito dopo il primo sparo di Amìr, le Guardie del Corpo del Premier avrebbero dovuto compiere due azioni, entrambe provate e riprovate infinite volte. Primo: il Premier doveva essere coperto dai corpi dei suoi gorilla, e portato via di corsa; Secondo: all’ assassino si doveva sparare. Seguono tali regole i film mostrati alle guardie del corpo: il fallito assassinio di Ronald Reagan: il riuscito assassinio di Anwar Sadàt… Ma in Israèl, (considerata esportatrice di superbi sistemi di sicurezza nel Mondo intero) il killer è riuscito a sparare tre volte al Primo Ministro, e un colpo più devastatore dell’ altro. E’ rimasto felicemente in piedi, vivo e illeso".

ANASHI’M non è stata la prima pubblicazione a chiedere per qual motivo i gorilla di Rabìn non abbiano sparato a Amìr. L’ ùnica risposta plausibile è che in antìcipo fosse loro stato ordinato di NON sparargli. Il rapporto è particolarmente significativo, in quanto viene dai massimi ranghi della Shabàk. E insiste: a Rabìn si sparò TRE VOLTE, un colpo più devastatore dell’ altro.

Ciò coincide con le informazioni, che esamineremo successivamente: l’ annuncio dato da Ephràim Sneh, medico e Ministro della Sanità, la stessa sera della morte: "Rabìn è stato colpito tre volte, di cui una al torace". Il quale annuncio corrobora la deposizione d’ un teste alla Corte Suprema d’ Israèl nel Luglio 1996: il patologo dell’ Ospedale Ichilov gli disse d’ aver trovati tre fori di pallottola nel corpo di Rabìn.

Il reporter dice a Livneh: "Per anni addestrasti la tua gente a uccidere l’ assassino, ma quando la cosa è davvero accaduta, non han fatto nulla". Livneh risponde: "Suppongo che quando un uomo sconosciuto urlò: "Sono a salve ! ", abbia bloccato le guardie".

Livneh tenta una scusa per spiegare il fiasco delle guardie del corpo, ma non regge, in partenza. Tuttavia riconosce: non

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fu Amìr a urlare. Ciò conferma la deposizione dello stesso Yigàl Amìr. Poco dopo l’ arresto di Amìr, un inquirente gli domandò: "Sei stato tu a gridare che le pallottole erano a salve?". Amìr rispose: "E perché lo avrei dovuto fare?". "Per disorientare e depistare le guardie del corpo, Per confonderle un po’ di tempo". E Amìr:"Sarebbe stata un’ idea interessante, ma non sono stato io a urlare". Infatti. Come si documenterà poi, "Snàk", "Snàk ", (in Ivrìth, in Ebraico, significa "Sono a salve"),fu tra le tante cose urlate dopo gli spari. Le guardie del corpo gridarono una varietà di sìmili frasi, e e anche: "Ma non è successo niente", "E’ un’ esercitazione", "Non è una cosa reale", "Bussolotti, petardi", "Arma giocattolo" ecc etc ecc……

Livneh però persiste con la sua tesi: "Sottolineo, personalmente non dispongo d’ informazioni dirette, ma è ragionevole immaginare: che uno dei còrrei di Amìr nel complotto, noto o ignoto che fosse, stava nella folla vicino a lui, e lo ha ajutato così. O forse è stato proprio Amìr a gridare, dopotutto".

Siccome Amìr non può aver urlato da otto o nove differenti postazioni, non è stato lui. Se altri congiurati ci furono, non poterono essere che le guardie del corpo. Il servizio di ANASHI’M aggiunge:

"Livneh e Shai furono contenti quandi fu formata la Commissione Shamgàr, e attesero pazienti di esser chiamati a deporre. Entrambi erano considerati i massimi esperti di Sicurezza Personale in Israèl. Entrambi avevano prestato servizio per anni nell’ Unità, e furono le guardie del corpo personali di figure centrali come Golda Meir, Moshè Dayan, Ezer Weizmann e dello stesso Rabìn, durante il primo suo mandato; entrambi conoscevano il servizio dentro e fuori avendolo rivoltato come i loro calzini, erano partiti dalla gavetta, e passo passo ne erano divenuti i comandanti, prima Lìvneh, dopo Shai.

"Ma la Commissione Shamgàr li ignorò completamente. Entrambi hanno forti sospetti sul perché. A sto punto tuttavia i due si rifiutano di rilasciare altri commenti al pubblico, o di avanzare supposizioni che potrebbero diventare supposte".

Il motivo più probabile, naturalmente, è che Livneh e Shai fornendo onesta testimonianza avrebbero distrutta la credibilità della versione sui fatti fornita da quegli Ufficiali della Shabàk che avevano fatto cilecca nel proteggere Rabìn.

Livneh conclude accennando a ciò che avrebbe deposto:

"Non c’ era nulla di nuovo a proposito dell’ assassinio, nulla che noi non avessimo preso in considerazione in passato. Il fatto che l’ assassino sia riuscito a completare la sua missione fu colpa umiliante di quanti erano responsabili della sicurezza personale quella sera. E’ quanto, e tutto ciò che io sono disposto a dire".

Eppure, non fu processato un solo Ufficiale responsabile della sicurezza di Rabìn, né tampoco trascinato davanti alla Corte Marziale, o imprigionato. Il castigo più grave irrogato fur imporre

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alcune dimissioni. E ciò ha comportato soltanto ulteriori scatti di carriera per il capo supremo della sicurezza personale di Rabìn, Carmi Gillòn. Ha lasciata la Shabàk, è stato nominato poi capo negoziatore coi Palestinesi al Ministero degli Esteri di Gerusalemme. Dopo qualc<he trattativa, Gillòn rinunciò all’ incarico. Ma resta il fatto. L’ uomo che gli offrì l’ incarico è Davìd Levy, Ministro degli Esteri del Likùd.

Il coverup proseguì, anche col nuovo Governo.

[[[[ Nel 2001 Shìmon Peres, Ministro degli Esteri, ha nominato Carmi Gillòn Ambasciatore d’ Israèl in Danimarca. - Nota del traduttore ]]]]]]]]]

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9 CAPITOLO NOVE IL FILM "DI KEMPLER"

Quasi due mesi dopo la morte per raffreddore di Rabìn, gl’ Israeliani furono sconvolti nell’ apprendere che il Telegiornale di Canale Due avrebbe trasmesso il film, girato da un dilettante, un turista Polacco dal nome impronunciabile. Ma fu proprio questa leggenda a far rinviare il giorno della trasmissione. E il cineasta in realtà fu un Israeliano, dal nome facile, Roni Kempler, e dalla vita complicata, che ancora nei successivi anni ha riservate varie sorprese goccia a goccia.

Il pubblico sollevò ovvie domande. Perché aveva aspettato un mese a tirar fuori il suo video, quando avrebbe intascati milioni di dollari se lo avesse venuto ai Network del Mondo intero, all’ indomani dell’ assassinio? Non gl’ interessava guadagnar soldi, spiegò Kempler. Che altro poteva dire?

Presto si scoprì che Kempler non era un cittadino qualsiasi. Lavorava per l’ Ufficio del Controllore di Stato, una specie di Corte dei Conti. E era una guardia del corpo nella riserva dell’ Esercito.

E’ una delle rarissime occasioni nelle quali la stampa d’ Israèl pubblica un’ opinione che esprime dubbi sulla veracità della Commissione Shamgàr, che a nome e per conto del Governo ha investigato sull’ assassinio. Eppure, nella ricaduta d’ una molto rivelatrice esposizione delle testimonianze di Agenti della Shabàk, e di Polizia, presenti vicino al luogo del crìmine, uscita su MA’ARI’V il 27SET1996, furono pubblicate due lettere. Una dell’ ON HK (Havèr Knèsset) Ofir Pines, Laburista. Egli pure, ammette, udì vazri Agenti di sicurezza gridare che erano a salve le pallottole che SI PRESUMEVA avessero ucciso Rabìn. Aggiungeva piuttosto debolmente che, in prospettiva, forse udì quelle urla nella fantasìa, perché VOLEVA CREDERE che i projettili non fossero veri.

Un’ altra lettera fu mandata da Hannah Chen, di Gerusalemme. Ella succintamente espone alcuni dei più atroci dubbi e sospetti su Roni Kempler. Ecco la lettera:

"Consentitemi di aggiungere i dubbi miei, sui fatti strani attorno all’ assassinio di Rabìn. PRIMO, fu detto: il "cineasta" che girò il video, il quale immortalò la morte, non possedeva telecamere, se ne era fatta prestare una. Strano, un appassionato di videocamere, non ne possiede nessuna. E, ove se ne sia fatta prestare una, allora da chi? Perché nessuno ci dice quale tipo di telecamera usò? SECONDO: all’ inizio, nessuno sapeva che egli avesse fatto il film, che esistesse un film sull’ assassinio. Significa ciò che nessuno degli Agenti sulla scena

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lo scorse, mentre Kempler riprendeva dalla cima di un tetto? E quel video, come è pervenuto ai mass media? E la Shabàk non avrebbe dovuto confiscare al proprietario quel film, se fosse stata l’ unica prova documentale che avesse ritratto il crìmine? E perché l’ autore non consegnò volontariamente l’ opera alla Polizia? E’ completamente incerto se il film sia autentico. A mio parere è stato manipolato. Forse ne sono state tolte certe persone, o sono stati aggiunti suoni di pallottole. Tutti, mi pare, siamo stati presi in giro. Il cineasta lavorava per la Shabàk; e tutto è alterato ciò che ha a che fare col film, e coi tempi della sua diffusione."

La Signora Chen esprime l’ opinione di tanti cittadini. Ciononostante, il film, rieditato elaborato e manipolato, come chiaramente fu nei di mesi di esistenza sconosciuta, è prezioso per risolvere l’ assassinio di Rabìn, quanto lo fu il film di Zapruder nel disintegrare la fròttola del killer solitario, propinata al pubblico Americano nel 1963, dopo l’ assassinio di John Fitzgerald Kennedy.

Un fatto in particolare, fissato nel film, va divenendo il centro dei dubbi sulla veritierità della Commissione Shamgàr. Prima che Rabìn entri in auto, la portiera opposta viene chiusa DALL’ INTERNO. Per quasi tutti gli spettatori, è certo: qualcuno, forse l’ assassino, aspettava Rabìn nella Cadillac. Ciò è in contraddizione diretta con la conclusione ufficiale: "Rabìn entrò in un’ auto senza nessuno dentro". Ma nel film di Kempler c’ è altro, che contraddice il rapporto ufficiale, molto altro.

Mentre il film (di quindici minuti) comincia, Yigàl Amìr guarda un punto distante, e come nota il commentatore della TV: "Pare faccia gesti, segnali, a qualcuno". Non è la prima volta che viene indicata l’ eventualità d’ un còmplice. Alla Commissione Shamgàr, gli Ufficiali di Polizia Bòaz Eràn, e Moti Sergei, hanno entrambi testimoniato: circa 30 minuti prima della sparatoria, parlò con un uomo barbuto in T-shirt scura. A quanto pare, lo conosceva.

Più vede il film, e più lo spettatore si rende conto: è molto inesatta la testimonianza della Shabàk davanti alla Commissione Shamgàr. Una delle principi scuse fornite per non aver identificato Yigàl Amìr nell’ area sterile, è "a causa della situazione affollata". Per dimostrare tale punto, vien citata la testimonianza di altri Ufficiali di Polizia. Dice: "Un altro ben noto manifestatore, che lavora per la città, si precipitò verso Rabìn, e gli strinse la mano." Yigàl Amìr dunque non era l’ ùnico individuo anti-Rabìn nella zona sterile. Tuttavia Amìr non è filmato in mezzo a una folla. Sta in piedi, per lunghi minuti, lontano metri da chiunque altro. Nessuno se lo sarebbe fatto sfuggire, se avessero voluto vederlo.

Allora, due ufficiali della Sicurezza tirano fuori una conversazione con Yigàl Amìr. Era stato notato, e manifestamente aveva qualche cosa da dire, proprio a quelle stesse persone che lo avrebbero dovuto identificare, e acciuffare, PRIMA.

Pochi secondi dopo, Shìmon Peres scende giù per i gradini, e cammina verso la folla alle transenne. Accoglie gli auguri di tante persone, e cammina verso un

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punto, circa un metro e mezzo opposto al cofano dell’ auto di Rabìn. Peres è accompagnato da due guardie del corpo, una delle quali chiaramente ìndica Yigàl Amìr, il quale sta seduto distante tre metri di fronte a loro. Peres si ferma, guarda dentro alla Cadillac di Rabìn, e avvìa una conversazione con i gorilla. Tutti ora dànno un attento sguardo alla portiera posteriore della limousine di Rabìn.

A sto punto c’ è un taglio. D’ improvviso, Peres sta parlando con l’ autista di Rabìn, Menachem Damti. Damti non compariva nelle inquadrature precedentemente. Con ogni probabilità era vicino al posto suo, accanto alla porta del sedile del guidatore. Il taglio è cospicuo, probabilmente di parecchi secondi. La gente che ha fatto a fette il film, non voleva che il pubblico vedesse qualche cosa.

Dopo una faticosa serata al comizio, anziché salire sull’ auto sua, e andarsene a casa, Peres decise che era più importante esaminare l’ auto di Rabìn, e fare una seria chiacchierata col suo autista.

Al processo verso Yigàl Amìr, sotto giuramento, venne domandato a Roni Kempler di spiegare il taglio nel film. Egli depose: " Shìmon Peres andò via, e lo filmai mentre si presumeva salisse sulla sua limousine. Ma quando Shìmon Peres è rimasto per lungo tempo in piedi, fermo nello stesso punto, ha smesso d’ interessarmi cinematograficamente. Ho spesso di filmare, e ho ricominciato nel momento nel quale egli è entrato nella sua auto".

Il resoconto di Kempler fu sbagliato, in ogni dettaglio. Se il film non fu tagliato, ma era stato lui a fermare la telecamera, ha deciso di riaccenderla mentre Peres era ancora in piedi, di fronte all’ auto di Rabìn, ora soltanto a parlare con Damti. Molti secondi dopo, Peres ha cominciato a camminare verso la propria vettura. Sotto giuramento, Kempler ha deposto il falso, eppure gli Avvocati degli Amìr, forse non avevano studiato abbastanza quel film, glie la hanno lasciata passare liscia a Kempler.

Peres entra nella sua auto mentre Rabìn discende la scalinata. La telecamera riprende l’ Agente dietro a Rabìn; chiaramente si ferma, l’ Agente. Deliberatamente l’ Agente scopre la schiena di Rabìn; fra lui e Rabìn si apre un ampio varco, che consente a Yigàl Amìr di sparare libero a Rabìn.Amìr estrae la sua pistola bene riposta in fondo alla sua tasca destra, e il commentatore TV nota: "Amìr estrae la sua arma per sparare." Chiunque, addestrato o no, potè vedere che Amìr estraeva una pistola, e a quel punto gli si doveva dare un bel pugno e buttarlo a terra. Ma ciò NON doveva accadere. Invece, Amìr fa un bel giro attorno a uno studente reporter di nome Mordi Yisraèl, punta la pistola, e spara.

Esaminiamo adesso l’ assassinio, fotogramma per fotogramma. Rabìn aveva presuntamente ricevuta una pallottola da 9 mm a bruciapelo nel polmone, eppure non si piega, né vacilla. Non è manco spinto in avanti dall’ impatto, né il suo àbito mostra la menoma lacerazione. Invece, Rabìn continua a camminare avanti, e gira la testa indietro, verso la direzione del rumore.

Tre medici hanno guardato e riguardato con me questo momento: il Dott. D. e il Dott. H. mi han chiesto l’ anonimato. E il Dott. Klein di Tel Aviv non ha avute objezioni a essere citato. Io ho domandato

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se la reazione di Rabìn fosse medicamente concepìbile, ove fosse stato solamente colpito al polmone, o se la sua spina dorsale fosse stata lesa. Se la spina dorsale fosse stata lesa, mi hanno detto, Rabìn sarebbe caduto all’ istante, proprio lì. Invece, in caso di una ferita al polmone, esistono due tipi di reazione dolorosa, una per riflesso, una ritardata. Rabìn non manifestò la reazione di riflesso, che probabilmente si sarebbe manifestata col piegamento convulso del braccio. Invece, manifestò una reazione di sorpresa. Senza manifestare dolore, girò il capo in direzione dello sparo. La conclusione dei medici è: Rabìn udì uno sparo, forse avvertì lo scoppio d’ un petardo, e si voltò rapidamente verso il baccano. Questa fu una reazione di stupore, E NON PUO’ VERIFICARSI SIMULTANEAMENE CON UNA REAZIONE DI RIFLESSO AL DOLORE.

Rabìn fa tre o quattro passi in avanti, e d’ improvviso il film diviene totalmente annebbiato, appena meno di due secondi. Un tecnico esperto mi ha detto d’ essere convinto: quel video fu deliberatamente reso annebbiato con un procedimento artificiale, che sìmula un improvviso veloce spostamento della telecamera. Per corroborare la sua convinzione, il tecnico ìndica col dito un punto, una luce bianca, che si riflette sul tergicristalli dell’ auto. Il punto resta fisso nella stessa posizione, mentre si presume che la telecamera si stia muovendo. Ma la nebbia svanisce momentaneamente quasi due secondi dopo, e Rabìn ricompare, sempre in piedi, ma un passo o due più avanti. Dall’ inizio degli spari, il Premier ha fatti almeno cinque passi. Poi la nebbia ritorna, e nella foschia successiva si sente (ma non si vede) un altro sparo.

Secondo la Commissione Shamgàr, e secondo i giudici al processo verso Yigàl Amìr, quando fu sparato il secondo colpo Yoràm Rubìn era sopra a Yitzhàk Rabìn bocconi per terra nel luogo del parcheggio. Versione ufficiale: dopo aver udìto il primo sparo, Rubìn balza addosso a Rabìn, e lo spinge giù per terra. Amìr si avvicinò a Rabìn e a Rubìn e, mentre veniva trattenuto da almeno altri due gorilla, ficcò una pallottola nel braccio di Rubìn, e un’ altra nella milza di Rabìn. Segue una lacuna nella ripresa, durante la quale Rubìn pensa fra sé e sé: "Un difetto nell’ arma". E poi, stando alle parole di Rubìn:

"Gli ho urlato parecchie volte: "Yitzhàk, riesci a sentirmi? Ascolta me, e nessun altro maledizione." Lui, Rabìn, ha aiutato me a rimettermi in piedi. E’ proprio così, abbiamo lavorato insieme. Poi Rabìn è saltato nell’ auto. A ripensarci, trovai sorprendente che un uomo dell’ età di Rabìn riuscisse a balzare così".

L’ autore di questo libro trova sbalorditivo che sia comunque riuscito a saltare un uomo dell’ età di Rabìn, e con pallottole nel polmone e nella milza

Il Kempler film rivela che tutta questa storia è assoluta falsità e sporca brodaglia. Una famosa foto, di Rabìn spinto nell’ auto, si vede nel film con un flash. A quel punto, sappiamo, Rubìn ferito al braccio e tutto il resto, non è per terra

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invece è ritto sui piedi suoi, a reggere Rabìn. Un videofilm ha 24 fotogrammi al secondo, così è facile misurare i tempi dei fatti. Dal secondo sparo al flash, passano 4,6 secondi. Poi aggiungiamo la lacuna o jato, una pausa nella ripresa lunga quanto basta perché un uomo cui stanno sparando decida che è cosa sicura rialzarsi in piedi, e pensi che "quell’ arma è difettosa". Tentateci voi, se vi riesce, di far tutto ciò in SECONDI QUATTRO VIRGOLA SEI.

La ricostruzione, specie dei tampi, raccontata da Rubìn è semplicemente impossibile.

Per giunta, Rubìn è sì filmato addosso a Rabìn, se non dopo che sono già stati sparati tutti i colpi, e Rabìn non balza in carrozza. La foto di Rubìn che spinge Rabìn dentro alla Cadillac sbugiarda smentisce e smaschera tutta la storiella, anche senza bisogno di scomodare il Kempler film. La deposizione di Rubìn, per dirla con soave eufemismo, non è suffragata dal film di Kempler.

E ora viene il PIECE DE RESISTANCE, il momento più ossessionante del videotape. Due secondi prima che Rabìn venga ficcato dentro alla limousine, la porta posteriore opposta, dell’ altro passeggero, si chiude di botto. Questo brano è stato esaminato, e messo a dura prova, da numerosi giornalisti. E’ stata analizzata ogni ombra sullo schermo, è stata esaurita ogni possibile spiegazione, e alla fine ha superato ogni scrutinio. Qualcuno, una ignota quarta persona, forse l’ assassino, stava in auto, a aspettare Rabìn.

Quando mostro questo segmento a un auditorio, inevitabilmente mi sento domandare: "Ma perché hanno fatto questo film, se è così tanto incriminatorio?". E io rispondo: "Il film ha convinto tutto il Paese che è stato Yigàl Amìr a uccidere Yitzhàk Rabìn. La gente dice: "Io coi miei occhi ho visto lui farlo". E’ proprio questo che si presume il film ottenga. Ma i cospiratori sono stati così sciatti, da lasciarci dentro la verità. O non la hanno notata, o credevano che nessuno la avrebbe notata".

E allora perché gli Avvocati di Amìr perché non hanno fatto a pezzi Kempler sul banco dei testimoni, o non hanno usato il film a proprio massimo vantaggio? Diciamo la verità, i difensori di Amìr non erano abbastanza interessati al suo bene, o non erano debitamente preparati. O non avevano abbastanza talento da sfidare, lancia in resta, il Tribunale di comodo. Guardate come la Corte ha gestita la faccenda della porta che, inspiegabilmente, si chiude:

Difensore di Amìr: " Dopo il fatto, anche la portiera posteriore destra dell’ auto era aperta".

Kempler: "Io ho filmato quel che ho filmato. "

Fine, nessun sèguito, e non è che la difesa non avesse abbastanza munizioni. Nel Dicembre 1995, la sera nella quale il suo film fu mostrato su Canale Due, Kempler fu intervistato dal commentatore Rafi Reshef. Kempler parlava veloce, nervoso, incredibile, inattendìbile, come mostrano queste parti dell’ intervista.

Reshef: " Perché hai aspettato cos’ a lungo, prima di far conoscere il film al pubblico? "

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Kempler: "Per vari motivi. Non volevo mettermi in mostra. Inoltre, pensavo che fosse proibito mostrare il film, così poco tempo dopo l’ assassinio. Il pubblico aveva bisogno di tempo, per digerirlo quale film storico… Ma dopo che la Commissione Shamgàr lo ha ricevuto, io per strada ho continuato a dire che io ero la sanguisuga, il parassita del Paese. Questo per me è stato ancora più grave, e così mi sono procurato un Avvocato, e ho deciso di fare un po’ di soldi vendendo il film."

Che altruista! Kempler dimentica di dire: non raccontò a nessuno di aver filmato l’ assassino, finchè due settimane dopo, si presume, non si svegliò rendendosi conto di ciò che aveva, e mandò una lettera raccomandata alla Commissione Shamgàr, per informare quei signori. Nel frattempo teneva nascoste alla Polizia prove vitali.

Reshef: "Ti ha visto qualcuno mentre filmavi?"

Kempler: " Sì, le guardie del co…. Io sono sicuro di aver visto (il cantante) Aviv Gefen guardare dritto dentro alla mia telecamera ."

Kempler quasi lasciava scivolar via il dettaglio, che le guardie del corpo lo guardavano mentre filmava, e ciò risulta palese dal film stesso quando, giusto prima del taglio su Peres, uno dei gorilla si volta indietro, ma lui sta per dirlo, ma ci ripensa, e inventa una fantasia senza senso su un pop singer.

Reshef: "Perché tu hai concentrata tanta parte delle riprese su quel tipo, che poi avrebbe sparato?"

Kempler: "Io sentivo che c’ era qualche cosa di sospetto a suo riguardo. Io ho lasciata correre via con me la mia immaginazione, e ho fiutato l’ omicidio nell’ aria. Non era così forte quando lì c’ era Peres, ma quando è comparso Rabìn, WOW !!!".

Kempler presentiva che c’ era nell’ aria un omicidio, e sospettava che quel tipo, Yigàl Amìr, fosse l’ assassino. Questo fu un fatto veramente parapsicològico, ma che fortuna, è successo per davvero, altrimenti non si sarebbe disturbato a concentrare tanta attenzione su Amìr. Guarda che fortuna, proprio a Kempler è capitato di essere l’ unico telecameraman sulla balconata sovrastante la scena del crimine. E che fortuna, c’ era tanto bujo sulla scena dell’ omicidio, che poche telecamere da dilettanti sarebbero riuscite a immortalare l’ avvenimento.

Reshef: "Ci sono state molte speculazioni, sul perché ti sia capitato di essere l’ unico al posto giusto per filmare l’ assassinio. Come lo spieghi?"

Kempler: "Ho come avuta la sensazione, qualcuno ha fatto in modo che io fossi lì in quel punto".

Reshef: "Che cosa, sei tu un fatalista? "

Macchè, Kempler è un mìstico, come presto vedremo.

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Reshef: "Tentò qualcuno d’ interferire con te? "

……

La numerazione delle pagine di questa traduzione del libro di Barry CHAMISH prosegue poi secondo la PAGE 49 del libro originale in Inglese. Questo testo in I TALIANO riprendee dopo questa pagina 34, con la seconda parte: da pagina 1 a pagina 89 .