intervista alla fotografa MARCELLA PERSICHETTI

di massimo d'andrea

Parliamo oggi con Marcella Persichetti, giovanissima anche se lei dice il contrario, fotografa. Fotografa di strutture archeologiche, che comunque sono la maggior parte delle immagini che ci ha inviatoo, fotografa di monumenti, fotografa di muri…come possiamo definirla e perché fa queste immagini?

Dunque…la definizione mette in difficoltà anche me, sinceramente. Diciamo che la mia fotografia si può inserire tra un genere di paesaggio ed anche un genere di fotografia sociale perché comunque la mia ricerca, che si svolge soprattutto nella città di Roma dove abito, è una ricerca che vuole indagare l’ambiente di oggi, e quindi come il tempo si è stratificato nella città di Roma e come gli abitanti di Roma vivono il contesto urbano.

Certo. Perché ci sono poi dei contrasti tra una Roma antica…

Sì esatto. Sì, diciamo che io cerco di raccontare la dimensione del tempo a Roma che è qualcosa che poi è parecchio difficile da indagare in una città come Roma dove si sono stratificati, tra rovine, monumenti ed insediamenti urbani contemporanei, secoli di storia. E quindi raccontare il tempo a Roma dal punto di vista fotografico è ricercare sia la dimensione…

Più che a Roma è raccontare il tempo che penso che lei la sua ricerca potrebbe farla ovunque

Sì potrei farla ovunque. Ora, abitando a Roma e lavorando a Roma ho fatto di necessità virtù e mi sono concentrata su Roma ed adesso è diventato un lavoro che sto portando avanti e che potrebbe andare avanti chissà quanto perché potrebbe andare avanti all’infinito: è una città talmente piena di significati, di possibili letture…

Lei è di Roma?

Sì, sono di Roma

Finalmente una romana che si intende di Roma

Cerco di diventare competente

Tutto in bianco e nero, perché?

Tutto in bianco e nero perché personalmente questo tipo di fotografia è un tipo di fotografia che riesco ad esprimere al meglio in bianco e nero. Il colore in questo contesto e per quanto mi riguarda sarebbe una distrazione. Un bianco e nero tradizionale, non digitale.

Quindi lei non utilizza macchine digitali per queste immagini?

Per queste immagini no

Il Tempo, il Tempo è paragonabile a cosa secondo lei?

Il tempo…beh, dipende di che cosa parliamo

E’ un bene prezioso quanto l’oro, o più o meno?

Il tempo secondo me è dare un senso alla storia, che poi possa essere la storia individuale o la storia di una società, di una civiltà, comunque è un qualcosa di cui dovremmo essere più consapevoli, forse. Ed invece ecco un aspetto che cero di raccontare nelle mie fotografie è anche l’inconsapevolezza di un abitante di una città carica di storia come Roma, in cui spesso può succedere che delle rovine siano utilizzate come panchine… questo è anche bello perché vuol dire convivere con la storia a volte consapevolmente, a volte meno.

Sì, però si può anche distruggere in questo modo

Sì, si può anche distruggere, esatto

Come è successo al Colosseo, ci pascolavano con le pecore, poi ci abitavano con le baracche, questo lo sanno in pochi, io ho lavorato all’Archivio Fotografico Storico di Roma, per cui vedevo tutti questi disegni ed immagini del primo ottocento, ed anche di prima, i disegni molto prima,  e poi sono arrivati i papi che hanno addirittura staccato dal Colosseo le lastre di marmo bianco che lo adornavano facendolo sembrare un’altra cosa rispetto ad ora. Adesso vediamo tutti quei fori, quei buchi che ci sono erano per le lastre di marmo. E ci hanno costruito un altro pezzo di storia che sono poi i palazzi del quattrocento eccetera eccetera. Quindi la storia bisogna anche proteggerla.

Sì, è vero. Io penso che quello che succede a Roma sia un caso molto particolare, quello in cui siamo abituati ad avere rovine intorno a noi come se fossero un qualsiasi arredamento urbano contemporaneo, no? Mentre in un’altra città sarebbero recintate, protette, si farebbe la fila per andarle a vedere, noi ne abbiamo talmente tante…

Le posso assicurare che questo avviene ovunque. Purtroppo è proprio l’Italia che è piena di rovine, ci potremmo campare…

Sì, certo. Stavo pensando però ad un altro contesto. Ad una città come Parigi, lì sicuramente sarebbero protette, con tutt’altra attenzione.

Lì sì. Il 60, anzi il 70 per cento delle opere mondiali storiche sono in Italia ci potremmo campare di rendita, altro che disoccupati o precariato, potremmo star bene tutti quanti proteggendo le nostre culture storiche, invece non si fa assolutamente niente. In Sardegna addirittura si tengono dei musei viventi buttati così alla deriva, ci può arrivare chiunque fregarsi pezzi ed andarsene, cosa che fanno. Quando sono gli stessi sardi che controllano quello che non devi toccare, però ci sono delle cose che sono state portate via, non interessa niente a nessuno, si perpetua. Allora, volevo chiederle…ha fatto scuola per fotografia o è autodidatta?

Ho fatto un anno di scuola di fotografia, di un corso che sarebbe dovuto durare tre anni, dopodichè ho deciso di continuare da sola.

Quali fotografi ama?

Amo molto Mimmo Jodice, Gabriele Basilico, andando un po’più indietro nel tempo, Eugene Atget, Doisneau…ho nominato dei fotografi che hanno degli stili completamente diversi ed anche dei contesti diversi di lavoro, però probabilmente ognuno di loro ha qualcosa che io vorrei inserire nel mio lavoro: di Robert Doisneau l’ironia nel raccontare la vita, di Gabriele Basilico la pulizia e la composizione delle sue immagini di architettura, di Jodice  l’evocazione del Tempo nel fotografare le rovine non sono italiane ma anche nei paesi del Mediterraneo e Atget è forse stato il primo a raccontare una città, quella di Parigi, dandole una dimensione evocativa e realistica allo stesso tempo.

Foto da studio ne ha mai fatte?

Foto in studio ne ho fatte su commissione…

Non per libertà espressiva, quindi…

Anche per libertà espressiva, ma sono dei lavori che poi rimangono un po’ a sé perché poi si cerca di concentrarsi su un filone che sia più omogeneo, di non dare troppa eterogeneità al proprio lavoro. Ho fatto dei lavori in studio e si trattava sempre di ambientazioni, di interni.

Volevo sapere, cosa salveresti delle foto a colori, visto che comunque non ne fai.

No, ne faccio! Per quanto riguarda questa ricerca utilizzo il bianco e nero ma poi, per esempio questo lavoro di interni di cui parlavo è tutto a colori. Anche per lavoro utilizzo il colore.

Esposizioni? Spazi? Come ti trovi qua?

Mi trovo come penso che si trovino molti che si propongono e che puntano ad un lavoro di qualità senza avere troppe conoscenze, punti d’appoggio, eccetera…Poi, la qualità è sempre discutibile, però le esposizioni che ho fatto sono state sempre parecchio sofferte, non parliamo poi se si deve pensare di proporre un lavoro al Comune di Roma, lì c’è una situazione di monopolio totale.

Diciamo che ormai ultimamente si interessano di esporre soprattutto i grandi.

Ma ci sono delle situazioni in cui vengono esposti anche i meno grandi, magari non in contesti importanti.

Comunque è nato uno spazio di fotografia, credo che dovresti valutarlo, nel senso che c’è questa possibilità dedicata alla fotografia. Però credo che sia sempre il solito gioco.

Il fatto è che a Roma quello che riguarda gli eventi culturali, le mostre, è gestito tutto da una società unica.

Che sarebbe?

Che sarebbe Zetema. Quindi non ci sono più possibilità, più variabili, c’è solamente un’occasione. E’ veramente molto difficile.

Io rifletterei anche su quello che fai, nel senso che continuo a pensare, a parte che quello che fai è già stato preso in considerazione da altri fotografi, eccetera, è certo che bisogna continuarlo perché il tempo continua e quindi ci sono altre possibilità, potenzialità di immagini da condurre avanti. Mi ricordo le prime immagini fatte sul raccordo anulare dove non c’era assolutamente niente. Adesso se qualcuno ha continuato quel tipo di lavoro già intrapreso a suo tempo si vedrebbe una città diversa, completamente evoluta. Il problema di Roma è proprio rispetto a quello che fai, nel senso che ci sono troppi monumenti, non ci sono spazi per i giovani, abbiamo tante di quelle cose buttate lì che succede che per tutta l’arte contemporanea non ci sono gli spazi. E questo è un problema. Secondo te, ed ecco la domanda, per quale motivo ad un certo punto si vive di passato e non di presente? Perché questa è la domanda che bisogna poi porsi no? Noi abbiamo un grande passato che comunque ha fatto ricerca, immaginiamo soltanto quello che hanno potuto fare i Romani, le scoperte, i diversi tipi di costruzioni, anche se scopiazzavano un po’ dai Greci, comunque poi hanno inventato il cerchio e quindi il Colosseo, quindi strutture di mille tipi, muri di mille materiali diversi, etc..etc..e poi ad un certo punto ci si ferma e si vive di rendita o si vive di passato, perché?

Se stai parlando di una tendenza del momento, probabilmente può capitare perché ci si appiattisce, perché non si cercano nuovi stimoli, non si cerca di percorrere nuove strade. Per quanto mi riguarda il mio riferirmi al passato è un qualcosa di attivo, considerando che non si può fotografare Roma senza riferirsi al passato…

Comunque nelle tue immagini c’è un passato ed un presente.

Cerco comunque di lavorare molto anche sul mio linguaggio, tenendo presente che il tipo di fotografia che faccio è un tipo di fotografia, se vogliamo utilizzare un termine che a me non piace molto ma che però rende l’idea, “tradizionale” nel senso che non intervengo poi sulle immagini con Photoshop, rielaboro o faccio cose particolari, la fotografia è quella…

E’ il negativo.

Sì, esatto. Cerco comunque di trovare un mio linguaggio, un mio stile.

Tutto questo appare, si vede, altrimenti non saremmo qua.

Quindi voglio dire che non è il mio caso ma se riferirsi al passato o vivere sul passato vuol dire solamente gestire un’eredità e basta è un qualcosa di sterile che non ci porta avanti.

Esatto. E tutto questo avviene perché ormai dagli spazi alla comunicazione è tutto gestito dall’economia. All’economia non gliene può fregar di meno di andare alla ricerca di soluzioni che potrebbero anche dare fastidio, perché sperimentare significa anche criticare, sperimentare significa anche trovarsi contro persone intelligenti che dicono: “Basta con tutto si compra e tutto si vende. Io non sono né comprabile e né vendibile.”. E allora all’economia interessa che il passato rimanga perché non da fastidio, perché comunque è passato, è storia etc..etc..ma che rimanga là e che non “rompesse i cojoni” come si dice a Roma. Il presente che voglia parlare del futuro non deve esistere perché l’economia, il potere economico non accetta critiche, non vuole critiche, deve guadagnare.

E soprattutto poi se la canta e se la suona. Perché non viene data voce.

Evita qualsiasi altro tipo di voce, deve omologare perché con l’omologazione si ha il controllo ed il potere economico non più politico ma economico per continuare a fare gli affari propri.

Esatto. Ora mentre parlavi tu, mi veniva in mente un esempio concreto che, per come la vedo io, è proprio calzante: l’allestimento che è stato fatto all’Ara Pacis dei vestiti di Valentino ed in più, di fronte al Colosseo, al Tempio Di Venere, Valentino ha progettato queste file di finte colonne fluorescenti. Non so se le hai viste…

No, per carità.

E’ qualcosa che secondo me è veramente allucinante. E’ allucinante che uno stilista di moda possa permettersi di mettere le mani su dei monumenti di epoca classica e possa permettersi di allestire delle cose del genere, possa dettare legge.

E’ l’economia. Poi la storia dell’arte è anche la moda, la moda ha cambiato direttamente le vite delle persone, vestirsi in un modo vuol dire anche comportarsi in un modo. Anche se le stesse crisi culturali si ritrovano anche nella moda, perché poi nell’arte abbiamo il cosiddetto “neo”, tutti tornano al “neo - figurativo”, al “neo - surrealismo”, al “neo – iperrealismo” perché comunque non c’è più capacità di andare avanti e nella moda sono tornati i pantaloni a campana, gli zatteroni, tutta una serie di cose, e comunque anche quella è storia, storia dell’arte, del vestito. Ogni cosa ha una sua storia, anche la macchina, anche la penna, qualsiasi cosa materiale che noi utilizziamo ha una sua invenzione, una sua creazione fino al giorno d’oggi. Però…che poi i ricchi possono permettersi di continuare ad essere presenti ed ai giovani non si da spazio, è evidente che il potere non vuole concedere questo spazio, non vuole la disarmonia ma vuole l’omologazione. La storia non gli da fastidio, la storia sta là, se ci si può guadagnare, ci si guadagna ma sta là. E’ il presente che da fastidio al potere perché può essere criticato, può essere messo in discussione, e lì il potere  traballa. Per cui meno ci siamo, meno rompiamo, meglio è. Senti, per chiudere questa bellissima intervista volevo sapere: gli artisti hanno bisogno dei critici?

Eehh, per entrare in un sistema e per farsi conoscere, sì. E’ uno strumento. Poi bisogna vedere di che critici parliamo, anche.

Facciamo la domanda un po’ più corretta: gli artisti hanno bisogno dei critici o i critici hanno bisogno degli artisti?

Beh, la seconda sicuramente!

E allora perché facciamo la fila dai critici?

Eh, non lo so!

Basterebbe non fare più la fila dai critici

Ah, certo! Ma basterebbe non fare più tante file, se vogliamo. Anche quella dai critici, sicuramente. E’ molto più dura andare avanti come dici tu che poi è il cammino che io condivido, però è molto più dura.

Senti, parliamo con una giovane e ad una giovane noi chiediamo: Marcella Persichetti, in quali situazioni ti sei dovuta comunque mettere a disposizione, sei dovuta scendere a patti anche se non accettavi ed in quali situazioni ti sei trovata libera?

Beh, nel lavoro sono dovuta scendere a compromessi più di una volta.

Nel lavoro fotografico o nel lavoro in genere?

Nel lavoro in genere ed in quello fotografico. Sì perché porto avanti la professione fotografica da qualche anno, prima facevo altro. Però in entrambi i casi.

Fai questo per vivere?

No. Ho un’attività fotografica ma non mi è assolutamente sufficiente per vivere quindi faccio anche altro. E mi sento libera quando porto avanti la mia ricerca a dispetto di delusioni o risultati che possono esserci e possono non esserci, però è quello che voglio fare e decido come farlo.

Una foto che ricordi con piacere ed una con tristezza. Nel senso che ti ha fatto male fare quella fotografia o era il soggetto che ti faceva male e l’hai fatta lo stesso.

La foto che ricordo con piacere è una delle mie prime fotografie ed è la statua del Tritone di Piazza del Popolo ripresa di schiena ed a cui sono legata per ovvi motivi. Una foto che mi ha fatto male fare risale a quando ancora non sapevo in quale campo della fotografia dirigermi e pensavo anche al reportage giornalistico, e mi sono trovata a fotografare in Spagna una corrida, ad un certo punto il torero è stato incornato, io mi sono gelata ed ho smesso di fotografare. Allora ho capito che un certo di fotografia non lo avrei potuto fare.

Senti, perché si raccontano sempre solo attraverso il reportage gli avvenimenti sociali e non in forma poetica come in questo caso puoi fare anche te, seppure molto celata nel discorso del Tempo. Per esempio, perché non raccontare della guerra, degli avvenimenti sociali in modo diverso?

Perchè sono dei modi di raccontare che costringono ad un’attenzione diversa, inducono a pensare, ad avere un’attenzione che la gente in questo momento non ha. Per raccontare allora è meglio una fotografia d’effetto, una frase d’effetto di modo che si viene subito informati di quello che è successo e stop, non si va né al di là e né al di qua.

Con tanto di cappello per le foto di Don McCullin o di altri fotografi.

Quello sono al di fuori di questi discorsi, assolutamente. Il reportage è uno dei campi della fotografia che io ammiro di più ed anche quei fotografi reporter che ci mettono quella poesia di cui parlavamo prima.

Rischiando anche la pelle in prima persona. Però poi volevo sapere perché poi manca tutto il sociale in tantissime opere, dall’immagine fotografica a quella pittorica. Cioè è passato il Tempo in questa Roma, però in questo tempo ci sono guerre, condizioni economiche mostruose, c’è la fame, ci sono gli operai, c’è gente a cui viene tolta la pensione, c’è il TFR, ci sono prostitute, omosessuali…

Io non so se non si racconta o se non viene fuori per i discorsi di cui sopra. Cioè, probabilmente c’è chi lo racconta, ma poi non interessa.

Noi abbiamo trovato grande poesia in questo nostro viaggio che stiamo perseguendo ma il sociale è assente. Sembra quasi che gli artisti in genere siano fuggiti, c’è una mancanza degli intellettuali, gli intellettuali o sono in silenzio o sono fuggiti e raccontano altro. Si sente la vostra mancanza in tutto quello che stiamo vivendo, non lo so perché avete intrapreso questa strada, probabilmente perché disperati anche voi avete preferito uscirne fuori. Però si sente la vostra assenza, si sente nelle opere, si sente che non si racconta quello che sta subendo in questo momento il popolo non solo italiano ma quello mondiale.

Sì, ma è anche una questione di mancanza di spazi. I discorsi personali sono altro, ma devo dire che in più occasioni ho trovato un’attenzione al sociale da parte di artisti, di fotografi però sono sempre in contesti meno illuminati dalle luci della ribalta.

Speriamo perchè questo vuol dire che comunque l’erba buona sta crescendo e prima o poi si vedrà. In questo nostro percorso ci è capitato raramente. Con tutti gli artisti che abbiamo visto, oltre 500 persone, libertà ampia, non c’è stata nessuna restrizione ma si sente questa intelligenza mancante, quindi faccio un appello di modo che torniate a vivere anche in mezzo noi, che subiamo tutte queste angherie.

E le subiamo pure noi! Forse è anche un’evasione, chissà. Una scelta di guardare verso il bello…

Voi e noi sempre umani siamo.

Sicuramente!

Su questo un abbraccio fortissimo a Marcella Persichetti, ci rincontreremo spero in un altro percorso.

Grazie.