INTERVISTA A GABRIELLA FOSSALI

SULL’ARTE DI GINO FOSSALI

di massimo d'andrea

Parliamo con Gabriella Fossali, compagna di Gino Fossali.

Sì, dal 1972.

L’artista che noi presentiamo in queste opere è un artista storico, riconosciuto da critici, galleristi, etc. Come lavorava Gino Fossali ?

Mah… lui disegnava sempre, era spinto da una passione creatrice necessitante che lo conduceva a esprimersi con segni e colori - questo lo diceva lui. Si era trasferito a Milano da Pieve di Cadore nel 1960 e dopo il diploma del Liceo Artistico aveva seguito il Corso Triennale del Nudo all’Accademia di Brera – diceva – uno straordinario strumento di formazione – ecco, poi frequentava l’ambiente artistico milanese legato alla poetica del realismo esistenziale. Allora diciamo che ci sono state varie fasi nella sua ricerca.

Come tutti gli artisti, mi sembra…

La sua ricerca, muovendo da un linguaggio neo-espressionista, si concentrava su alcune tematiche sociali legate al disagio esistenziale. Infatti è del 1965 il ciclo " Vajont: 9 ottobre 1963", presentato in una personale a Venezia – questo, prima che io lo conoscessi. Aveva scritto e lo sentiva profondamente: "le contraddizioni di una società evolutasi tecnologicamente, senza aver creato lo sviluppo di nessun presupposto etico". Quindi questi anni e i successivi – quando ci siamo conosciuti – sono gli anni dell’impegno. E’ del 1975 un grande trittico: il Trittico della violenza, presentato poi nel 1984 in una mostra nazionale di 14 artisti a Milano alla Rotonda della Besana: "Aspetti della ricerca figurativa 1970-1983", presentata da studiosi dell’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università Statale e organizzata dal Comune di Milano.

Diciamo che in tempi non sospetti Fossali dipingeva anche contro la guerra.

Certo, aveva partecipato a una mostra collettiva " Algeria libera" (Treccani. Sassu, Valsecchi, Milano, 1961) e ad altre iniziative pacifiste e mostre come la collettiva "Vietnam", alla Casa della Cultura a Milano, 1964 e voglio ricordare anche la "Mostra incessante per il Cile" alla Rotonda della Besana, in collaborazione con la brigata "Pablo Neruda" a Milano nel 1977.

Comunque, a prescindere dalle esposizioni, la sua pittura è una pittura che rispecchia il sociale.

Questo, molto evidente fino alla fine degli anni 70. Poi, a un certo punto c’è una spezzatura, che però non è una spezzatura: cioè lui da sempre aveva coltivato l’interesse per il Mito greco e il recupero letterario e simbolico di questo mondo e questa riflessione lo conduce ad elaborare una nuova fase di ricerca che si accompagna anche a un’elaborazione di nuovi temi e a un mutamento della gamma cromatica.

Noi abbiamo viaggiato in Grecia dal 1977 al 1996 e abbiamo avuto la fortuna di conoscere Theodoros Anghelopoulos e una comune riflessione tra il regista e il pittore sulla realtà del Mito oggi è stata fondamentale per lo sviluppo della ricerca di Fossali.

Quindi nel 1992 – io mi riferisco alle mostre, per spiegare l’evoluzione della pittura – Fossali presenta un ciclo di pastelli a olio in una personale in Francia, dove sviluppa un’originale tecnica mista feltro e pastello a olio che gli permette di raggiungere una maniera pittorica nuova e raffinata Nel 1998 Fossali espone alla Galleria Ciovasso di Milano: "La Pythia ": una serie di dipinti con un’ installazione dove propone immagini antiche e attuali: l’oracolo di Delfi e lo schermo televisivo - denunciando gli inganni e lo strapotere dei mass-media, soprattutto della televisione.

Senta, invece, la sua vita con Gino ? Lui si alzava la mattina e cosa faceva ?

Questa è la stessa domanda che mi ha fatto mio padre quando gli ho detto che sposavo, che mi mettevo insieme… con un artista. In effetti Gino anche insegnava: aveva un impegno con delle scuole professionali soprattutto serali. Alla mattina non dipingeva affatto e lavorava molto di notte. Io, in quel momento lavoravo alla Rizzoli come redattrice, per cui insomma non è che ci vedevamo molto.

L’altra tornava e andava a dormire e lui iniziava a lavorare.

Esatto. Una mattina mi sono svegliata alle 6 e mezza per andare in bagno e l’ho visto tutto vestito che lavorava – in quel periodo aveva lo studio in casa – e ho detto: "Ti sei alzato presto stamattina", e lui mi ha risposto: "Non sono mai andato a letto".

E quindi lavorava soprattutto la notte…Gino, come si poneva – secondo lei - rispetto alle avanguardie che c’erano in quel periodo soprattutto in Francia e anche in Italia, in Italia un po’ meno..

A Milano, sì, ad esempio il realismo esistenziale degli anni 60 – lui frequentava quell’ambiente e il suo lavoro viene citato in un libro dell’Electa: La pittura in Italia. Il Novecento 2, a cura di Carlo Pirovano, proprio a proposito di questo movimento.

Molto importante è stata anche la frequentazione della Scuola del Nudo all’Accademia di Brera negli anni 60 e quindi prima che ci conoscessimo – diceva: uno straordinario strumento di formazione.

Cosa manca, secondo lei, in questo periodo all’arte? Ripensando a Gino … Cosa direbbe oggi dell’arte ?

Mah, lui si accostava con molta difficoltà a queste forme di "arte estrema", diciamo, pur tenendosi sempre molto aggiornato con Flash Art , ecc. Pensava infatti che i dada avevano già detto tutto. Per lui era molto importante, comunque, che un artista sapesse disegnare – se no, diceva - è un’altra cosa, sono altre forme d’arte.

Tornando al periodo dell’impegno, ci sono mai state ritorsioni nei suoi confronti per questo impegno dimostrato in un periodo in cui praticamente non si poteva dire neppure: "sono contro la guerra" ?

Mah, non per quanto riguarda la sua pittura… lui partecipava alle manifestazioni, agli scioperi generali, alle manifestazioni contro la guerra del Vietnam, per il Cile ecc. – andavamo insieme - ma non c’è mai stata ritorsione, per quanto riguarda la pittura, anzi lui, ad esempio ha preso parte a una mostra alla Permanente di Milano "500 artisti per la Innocenti occupata" che è stata un’iniziativa proposta dal sindacato degli artisti e dei metalmeccanici, quindi tutto è stato tranquillo.

Negli anni 60 – prima che lo conoscessi, Gino aveva lavorato in una ditta, a Milano, perché i suoi lo avevano costretto a studiare ragioneria – solo successivamente aveva preso il diploma al Liceo Artistico, e in questa ditta era all’Ufficio del Personale e – mi diceva – che doveva nascondere l’Unità, in tasca sotto Il Giorno …

Bellissima questa immagine… Senta, delle sue opere che lui riteneva più importanti, quale ricorda lei ?

Prima di tutto il Trittico della violenza – di grande formato – lei lo ritrova sul sito: il primo quadro è L’Apocalisse, poi La guerra; il terzo è Mass-media, con Pasolini che esce da una televisore.

Sì, certamente. Ce la spiega, in un attimo questa immagine di Pasolini che esce da un televisore ?

Allora Pasolini negli Scritti corsari e negli articoli sul Corriere , diceva che la televisione tutto omologa e che sembrano tutti uguali i giovani poliziotti e i ragazzi che fanno le dimostrazioni, no? Ecco questo lavoro è legato a questi momenti e, stranamente, siccome gli artisti prevedono sempre Gino aveva finito questa opera proprio pochi giorni prima che Pasolini morisse – questa è una cosa interessante.

Un lavoro molto toccante.

Poi c’è il quadro, dello stesso periodo con gli stessi colori: Ancora in Spagna. Era legato a un episodio di un rivoluzionario spagnolo che era stato garrotato, siamo negli anni 1974 –1975. Il pittore fa un omaggio alla Fucilazione di Goya. Infine Gino teneva in particolare al ciclo della "Pythia del 1998

Questo impegno che mi ha colpito… soprattutto nel Vajont: emigranti, perché è molto attuale.

Certo.

In questi trenta-quarant’anni le tematiche colte da Gino sono mostruosamente attuali, cioè non abbiamo risolto niente. Secondo lei, adesso, cosa dipingerebbe Gino ?

Posso dire che c’è, dagli anni ’90 in poi, tutto un passaggio al discorso del Mito greco e dell’erotismo, nel senso che lui aveva scritto: "in uno spazio privo di riferimento a qualsiasi valore, l’unica certezza è l’erotismo". Gino, nel suo lavoro, si rifaceva al Mito per recuperarne la linfa vitale, ma anche per andare alle origini dell’uomo, quindi la ricerca di un nuovo umanesimo, il senso della religiosità dionisiaca del vivere e la gioiosità dell’eros. Le sue ultime opere sono improntate a questa tematica e la sua ricerca pittorica si avvicina all’informale.

Senta, lei ci aveva detto che voleva leggere un pezzo di Gino.

ora no, veramente, le ho anche già dette queste cose.

abbiamo sentito.

Quindi non aggiungerei altro. Ultimamente, nel 2001-2002, aveva cominciato a lavorare su ampie campiture e sul tema – di cui ho alcuni pezzi, della germinazione, cioè l’origine della vita.

Anche questo un tema sempre più attuale.

Certo, perché, sa, gli artisti anticipano sempre. Quando ci siamo incontrati con Theodors Anghelopoulos – è stato bellissimo, perché ci siamo conosciuti per caso in una spiaggia del Peloponneso – così siamo diventati amici, tutti e due discutevano appunto sul Mito. Non so se lei ha visto uno dei suoi primi film, La recita, molto bello che parla dell’attualità del Mito e Gino diceva: "Andiamo incontro a un nuovo Medioevo" – e siamo nel 1977.

Senta, un’ultima domanda e poi la lascio, come si poneva Gino nei confronti dei critici?

Ah…non li sopportava. Tant’e vero che in questa mostra che Gino e altri artisti avevano organizzato nel 1984 con il Comune di Milano alla Rotonda della Besana: "Aspetti della ricerca figurativa 1970-1983", dove ci sono grossi nomi di artisti, anche dell’ambiente romano, la scelta e la presentazione degli artisti è stata affidata ai ricercatori dell’Università Statale e non ai critici "ufficiali". Il risultato è stato che la mostra non ha avuto molta rispondenza nella stampa, perché, lei sa com’è…Quindi i critici, lui non li sopportava, in effetti. Poi, naturalmente era anche costretto a ricorrere a loro. Era molto amico di Giorgio Seveso, che era corrispondente dell’Unità e allievo di Mario De Micheli, che poi adesso è stato curatore dell’ultima mostra "Mito, senso e passione. Il carisma del segno nelle mitologie di Gino Fossali", organizzata ad Atene con l’Istituto Italiano di Cultura e il Comune della città e presentata anche dalla Provincia di Milano (gennaio 2007) allo Spazio Guicciardini.

Certo, diciamo che Gino ha lasciato due segni: uno è quello artistico nella pittura italiana e l’altro è quello dell’impegno che sembra mancare totalmente nell’arte contemporanea. Possiamo chiudere così ?

Possiamo benissimo dire che siamo d’accordo.