intervista alla pittrice scultrice MARIA ELENA DIACO

di massimo d'andrea

Parliamo con Maria Elena Diaco: un’artista che ci ha colpito per l’informale totale che riesce comunque ad esprimere, attraverso le sue opere, anche se alcune possiamo definirle un po’ surrealiste, no? Quelle con le porte, il vuoto… la tematica del vuoto…La prima domanda che le voglio fare: lei utilizza un colore difficilissimo, che noi tutti chiamiamo oro, è il colore degli antichi… Perché questo colore, perché utilizza questo colore in termini, in modi tecnici, così eccellenti?

Non sempre è oro: è anche rame, o argento. Quello che mi interessa soprattutto è la possibilità di riflettere la luce: infatti in alcuni lavori sono presenti degli oggetti luminosi, delle conchiglie luminose… L’oro per rappresentare il Perfetto, l’Assoluto, ma questo Assoluto, questo vuoto, che per me è un vuoto inteso in senso positivo, è Luce, è Pienezza. L’oro è soltanto un mezzo come un altro per rappresentare questa luce.

Ci sono delle sue opere in cui, soprattutto in quelle…come possiamo definirle: finestre?

Io le chiamo icone

Si, Icone, esatto, è il termine più appropriato, dove lei continua a rappresentare il Vuoto. In una fa vedere della luce all’interno, e poi quando si apre questa icona, all’interno non c’è niente, oppure fa vedere della luce, dell’oro, esterno e interno, e continua a chiamarlo vuoto: non c’è un discorso anche dell’apparire dell’essere umano?

Io non la intendo tanto nel senso di vuoto come mancanza, magari nell’essere umano lei potrebbe intenderla come qualcosa che è solo maschera, e in realtà poi dentro non ha niente…

Esatto.

In realtà per me in questo senso il vuoto è qualcosa che contiene tutto, il potenziale da cui nasce ogni cosa, e in cui ogni cosa ritorna. Non è il vuoto comunemente inteso in senso occidentale, cioè negativo, come mancanza, ma è pienezza, unione armonica di tutto, interconnessione di ogni cosa. Nelle immagini si vedono due icone: una ha l’esterno in legno grezzo, e l’altra ha l’esterno in oro. Quella che ha l’esterno in legno grezzo ha l’interno in oro perché comunemente l’oro viene considerato come luogo di rappresentazione della perfezione, ma secondo me la perfezione non è soltanto nello spirituale: è anche nella materia, in ciò che è terreno, l’Assoluto è sia l’immateriale che il materiale, perché se è Assoluto è tutto. Nella seconda icona quindi lo stesso Assoluto è rappresentato, internamente, dalla materia, dal legno, perché l’Assoluto è ovunque.

Certo. L’oro come perfezione però è inteso solo in alcune civiltà, in altre civiltà l’oro rappresentava altro… Lei in alcune sue opere utilizza dei segni molto orientali, si rifà a questi tipi di civiltà?

Si, alla filosofia zen, che è sempre la filosofia del Vuoto.

Certo.

Il cerchio in questo caso rappresenta il gesto fatto in assenza dell’io: se riesco a liberarmi dal mio io, dal mio ego, ed entro in sintonia con il Tutto, riesco a fare qualcosa libera dal desiderio di raggiungimento di un fine. In quel momento, in cui sono in sintonia con il Tutto perché non sono io, raggiungo la perfezione, proprio perché sono incentrata sul non-io.

Senta, a parte che ci sono dei libri stupendi sullo zen, soprattutto sui segni utilizzati in termini e modi incredibili, tecnicamente…volevo sapere: le artiste che lei conosce, o che ammira, in termini femminili, chi sono?

Ammiro la filosofia e l’arte orientale… non saprei dirle un nome di donna…

E invece gli artisti che hanno influenzato comunque la sua arte, sono quelli orientali?

Inizialmente ho conosciuto Klee: mi è piaciuta molto l’idea di poter mettere insieme i contrari per raggiungere l’unità.

Certo.

Questa prima idea di interconnessione del tutto l’ho vista in Klee, poi mi è piaciuta molto anche la calligrafia orientale, però non saprei dirle un nome.. ce ne sono tantissimi…

Certo, è pienissimo e poi non si conoscono gli autori. Artisti che invece conosciamo tutti?

Malevic, per questa sua capacità di dissolvere ogni forma relativa ed arrivare all’idea di Vuoto, che è sempre un vuoto assoluto però, come pienezza… e poi anche la pittura d’azione.

Quindi parliamo di Hartung, Pollok, ecc…?

Si.

Senta, quali sono stati i suoi studi artistici?

Dopo il liceo artistico ho fatto l’Accademia di Brera, scenografia, a Milano.

Con chi?

Con Ghilardi.Adesso invece sto completando la specializzazione in pittura, all’Accademia delle belle Arti di Catanzaro.

Come ha trovato queste scuole, lei che è un passo più avanti della mia generazione, ho avuto la fortuna, inconsapevole, perché a quei tempi ero abbastanza "casinista", di avere professori come Vedova, Bendini, Scialoia, eccetera… La sua generazione invece come ha trovato queste scuole?

Forse… alcuni professori (per come immagino io potessero essere quelli precedenti), un po’ più incentrati su se stessi, sul proprio lavoro, quello privato al di fuori dell’Accademia, e quindi sul portare avanti soprattutto i propri interessi…Però ho avuto comunque grandi professori, che hanno saputo trasmettere moltissimo.

Bella denuncia la sua…Cioè cosa vuol dire portare avanti i propri interessi?

Penso che… questa sia comunque la nostra società: siamo soprattutto concentrati sul nostro io. Lo vedo anche nell’arte, o il critico, o l’artista stesso: a volte sembra che le mostre siano delle messe in scena in cui, veramente, non si mette in mostra l’opera, ma si mette in mostra se stessi.

Cosa ne pensa dei critici? L’artista ha bisogno del critico?

L’artista per portare avanti il proprio lavoro secondo me non ha bisogno del critico, forse di qualche consiglio sincero…si. Ho conosciuto dei critici meravigliosi, che per motivi politici, filosofici, religiosi, sono rimasti fuori per scelta da determinati meccanismi, economici e di potere, e altri che ne sono ancora al di fuori perché sono giovani. Secondo me questi sono i più onesti: interessati a dare la propria interpretazione del lavoro, a capire, a promuovere l’arte in cui credono, però mi pare che siano una minoranza.

Diciamo che non dobbiamo confondere il critico dallo storico dell’arte: lo storico dell’arte era colui che faceva ricerca e si avvicinava agli artisti giovani, cercando di comprendere l’arte dove andava, studiando in tutti i territori, in tutti i luoghi, in tutti i posti del proprio paese, e a volte anche del mondo, quando lo studioso era uno storico dell’arte preparatissimo. Oggi il critico è colui che, appunto come dice lei… ha una sua scuderia… che già fa ridere… parlare di scuderie, sembriamo dei cavalli, no? Una cosa un po’ vigliacca e meschina, sa che quegli artisti li piazza e quindi fa spettacolo con l’esposizione, per cui oggi è venuto a mancare sicuramente lo storico dell’arte, con tutto che io non ami molto Argan, pero, tanto di cappello, insomma…

Attualmente gli storici dell’arte mi sembra siano più interessati a conoscere quello che è stato, e non a scoprire un’arte nuova.

Perché secondo lei c’è questo ritorno…non c’è la capacità di andare avanti, anche da parte degli artisti: c’è sempre questo "neo": neo-figurativo, neo-espressionismo, neo-realismo?

Mi sembra che ci sia, in senso generale, un profondo malessere dell’uomo contemporaneo: la società, i ritmi troppo veloci, non sono più a dimensione d’uomo, e quindi tutto va compiuto troppo rapidamente, le informazioni sensoriali sono troppe, e l’uomo non riesce più a sentirsi in empatia con ciò che lo circonda. Forse il senso di chiusura, il desiderio di trovare dei luoghi in cui star bene , anche dentro di sé, o nella natura, sono la reazione a questo malessere.

Il vuoto e il pieno si riempiono, l’uno con l’altro, giusto?

Si.

Questa società fa parte, se vogliamo, o del vuoto, o del pieno, per cui dovrebbe combaciare, poi, con un’idea filosofica totalmente diversa, però bisognerebbe conoscerla, questa società, bisognerebbe viverla, questa società. Per quale motivo nei quadri, anche suoi, ci sono discorsi, o sensazioni, emozioni molto…come dire…

Interiori

Esatto, però manca il contatto con questa società, con questa realtà, che potrebbe essere poi, o il vuoto, o il pieno, a seconda del proprio stato d’animo. Non ci sono temi sociali che magari in tempi addietro, con gli Espressionisti, eccetera…avrebbero sicuramente preso in considerazione: la guerra, la repressione, il potere di cui lei parla. Perché c’è questa assenza?

Io penso che dipenda da questo malessere, dal fatto che l’uomo è andato in una direzione che è completamente contro natura, e quindi facciamo anche fatica a trovarci in sintonia con l’uomo, con la società. La sintonia la troviamo in ciò che è più naturale…

Quindi, diciamo, una fuga?

Io penso che la vera realtà non sia quella che l’uomo ha creato, nel senso che siamo andati contro la vera natura, anche dell’uomo stesso…

Certo

Quindi, da una parte, è il voler ricercare la vera realtà, il luogo più vero che è all’origine di noi stessi: secondo me non è tanto fuga questa, quanto il voler ritrovare quel luogo autentico da cui proveniamo.

Certo. Pero, se si da un’indicazione, bisogna essere anche in grado poi di avere la capacità critica, e anche di suggerire, nei confronti di una società che sbaglia, no? Nel senso che, la vostra proposta, di chi non si interessa, giustamente, dei problemi attuali, è quella di indicare una soluzione, però c’è la mancanza di critica, nei confronti di una società che sbaglia…

Si, c’è una mancanza di critica in questo caso.

E questo fa vedere la suggestione, o l’ipotesi di indicazione… si, forse ho sbagliato definendola fuga, però dà questa sensazione.

Può dare questa sensazione, si.

Perché se lei non critica poi, come sta facendo adesso a parole, attraverso le opere, una società che sbaglia, la soluzione viene ipotizzata senza comprensione…

Lei però ha detto che a parole l’ho criticata, e secondo me è proprio questo il punto: che a volte le parole si rivelano più adeguate per…

Per criticare…

Si, per criticare, mentre l’arte ha un linguaggio più essenziale, a volte riesce ad arrivare al nocciolo dell’essenza della vita, che a parole non è facile dire.

Certo

Quindi, probabilmente, le due cose si completano anche a vicenda…

Ci auspichiamo che vi intervistino in continuazione…

Senta, le volevo chiedere: rapporti con le gallerie?

No, rapporti con le gallerie no… anche lì, le gallerie, come ha detto lei, sembrano più interessate a ciò che può avere successo, che comunque è d’impatto visivo…

Maria Elena Diaco, come nasce una sua opera. Lei la mattina si sveglia, e dice: adesso, faccio, o non faccio un’opera…

Dunque: i lavori che faccio durano tantissimo, sono cose che porto avanti per mesi, anche perché la tecnica è molto complessa. A volte uso tecniche antiche, come l’ammanitura di levkass, fatta di gesso e colla di coniglio: sono strati su strati…circa dodici strati che vanno levigati tra l’uno e l’altro. E’ un lavoro di preparazione molto lungo, e che un po’ secondo me ha a che fare anche con la meditazione, con il silenzio, con l’aspettare che le cose vengano piano piano da sole; le immagini, invece, sono suscitate dal mondo che mi circonda, dall’acqua…da come si riflette la luce sulle superfici…o attraverso l’acqua…e quindi poi il desiderio di rappresentarla…

E così nasce un’opera. Lei sente questa esigenza, e comunque, da questo scaturisce l’opera, oppure da un senso di rabbia, di…

No, dal desiderio di rappresentare ciò che ho percepito, una tensione verso l’Assoluto, che comunque non è tangibile, e che quindi vorremmo cercare di rendere nel modo più concreto possibile.

Si.

Senta, le volevo chiedere: c’è anche il cerchio nelle sue opere, ha lo stesso significato zen?

Si

Ha lo stesso contenuto del pieno e del vuoto?

Si, il far, soprattutto, vuoto dentro di sé. Il cerchio zen si dice che è perfetto quando l’artefice non è più incentrato su se stesso, quando è privo dell’idea di conseguimento. In quel momento riesce a realizzare il cerchio perfetto perché il gesto è unico.

Però lei non lo chiude mai…

A volte si chiude, e a volte non si chiude…

Quando non si chiude…?

Penso che rappresenti bene questa idea di apertura dell’essere, che è soltanto di passaggio nell’universo.

Lei vive di arte?

No, non vivo di arte, no.

Quindi fa un altro mestiere?

In questo momento non ho nessun lavoro.

A Maria Elena Diaco, che cos’è che fa più rabbia, e cosa invece le scaturisce gioia?

Rabbia: la finzione, la falsità, il dover sempre mettere maschere, il dover sempre far finta…il dire le cose per crearsi una specie di alibi, quando in realtà poi le cose sono in un modo diverso. Il non voler riconoscere i fatti per come stanno mi fa rabbia.

Mentre la felicità per me è la sintonia, che a volte si riesce ad avere, con ciò che ci circonda, anche con una goccia d’acqua illuminata dal sole, questo mi fa sentire felice, e penso che sia collegato al fatto di non esserci in quel momento, di essere liberi dal proprio io.

Per chi parla di naturalità, mi viene sempre in mente una questione che invece è molto terrena: è stata censurata da poco una esposizione bruttissima, che secondo me però non andava censurata, bisognava farla vedere. Bruttissima perché c’era il figurativo…delle cose molto…così, di bassa lega, dedicata all’omosessualità. Cosa ne pensa di questa esposizione censurata, è una cosa naturale, non è naturale, terrena, diversa…

In generale penso che sia naturale. Proprio per il fatto che ci sia, che venga fuori… Penso che siamo fatti anche così, e che dovremmo riconoscerlo.

Quella esposizione non so, non avendola vista…potrebbe esserci stato, magari, un modo di rappresentarla troppo forte, forse… non so.

No, è stata chiusa per due motivi: un quadro che assomigliava al papa, e un altro che rappresentava Sircana, il portavoce di Prodi, che, comunque si è fatto fotografare mentre andava a transessuali, e quindi, per questo motivo, è stata chiusa.

Comunque, in genere, sulla censura, lei cosa ne pensa?

Se il messaggio non è troppo forte… Bisogna pensare ai bambini, che magari non hanno le chiavi di lettura per capire determinate cose, penso che spesso sia eccessiva…però bisogna tener conto dei bambini…

Dei bambini ne teniamo conto davanti alla tv, in una esposizione però bisogna portarceli, perché non è che vanno da soli.

Si, se c’è qualcuno che spieghi…

Poi se c’è qualcuno che spiega comunque, potrebbero, in parte, vedere un po’ tutto, se pur, poi, alla fine, la realtà è che li lasciamo davanti alle violenze più assurde, tutto il giorno, senza nessuna spiegazione. Ad una esposizione un bambino bisognerebbe portarcelo, però non ce lo porta nessuno, quindi… mi è sembrato eccessivo, mi sembra eccessiva qualsiasi tipo di censura.

Chiudiamo, pero, perché avevo appunto accennato alla diversità, per farle l’ultima domanda: perché una società intera uccide i poeti, e lei, che cosa sta facendo adesso?

Perché uccide i poeti: probabilmente perché vogliono dire le cose per come stanno, per come le sentono, quando questo si può rivelare scomodo, e anche perché non è più capace di ascoltare. Penso che davanti ad un quadro, o davanti alla natura, o anche soltanto ad ascoltare il vento bisognerebbe stare un po’ di più, invece noi andiamo troppo veloci, non ascoltiamo niente, perdiamo tutto quello che c’è di bello e di vero nella vita in questo modo. Cosa sto preparando: più o meno sono gli stessi lavori sul vuoto: io non programmo mai tanto…comunque sono sempre icone di vuoto, luoghi di rappresentazione del vuoto. Quella che pensavo di realizzare adesso è un’icona vuota, con un interno riflettente realizzato con nitrato d’argento, un po’ come uno specchio. Un’icona che riflette tutto ciò che ha davanti, perché il sacro è in ogni cosa, e ogni cosa è icona del sacro.

Progetti futuri? Qualcosa che vorrebbe affrontare, che comunque è nella sua idea progettuale e non è ancora arrivato il momento?

Mi piacerebbe vivere del mio lavoro, dell’Arte, solo che qua in Calabria è difficile: i musei sono pochi, e anche le collaborazioni con i musei, come ad esempio allestire mostre, …E’ un’idea difficile da realizzare.

Certo. Ma poi la Calabria, così come tutta l’Italia, ha questo grosso problema: un grande passato, e nessuna capacità di perpetuare le scoperte che facevano allora, no?

Si, di andare avanti, anche, con queste conoscenze…

Esatto. Per cui, è come se…il passato ci ha lasciato tantissimo, dimostrando appunto, quanto l’uomo è capace di fare e di intendere per il proprio sociale, e poi noi ci siamo bloccati a studiare il passato, ma non abbiamo fatto altro per l’uomo contemporaneo.

La ringrazio, un abbraccio.

Grazie a voi!