I MODELLI TEORICI DELL’INTERAZIONE

Dalla psicologia dell’educazione alla teoria dei sistemi

di LAURA TUSSI

Un approccio ecologico nella complessità della scuola dell’autonomia

I cambiamenti strutturali introdotti dall’autonomia scolastica costringono insegnanti e dirigenti a ripensare il proprio ruolo e la propria posizione professionale in relazione agli allievi, alle famiglie e ad altre istituzioni attive nell’ambito del territorio, esplorando i vissuti, i risvolti emozionali e affettivi delle vicende degli attori interagenti nel sistema scuola, al fine di evidenziare l’importanza non solo della cultura tecnica, ma soprattutto delle risorse emotive intrinseche nel lavoro di gestione e in quello educativo, come la capacità di tollerare le frustrazioni, di ascoltare e comunicare. E’ davvero innovativo nella scuola imparare a riconoscere i sentimenti che permeano l’impegno quotidiano, in modo che possano essere utilizzati per renderlo più incisivo, tramite la rivalutazione del paradigma narrativo, nel pensiero autobiografico e metacognitivo. Il sistema scuola rappresenta un modello interattivo ad altissimo impatto relazionale al cui funzionamento partecipano diversi attori sociali: insegnanti, dirigente scolastico, alunni, personale non docente e genitori. In tal senso la scuola può dare un contributo di valore nobilmente politico, ossia può contribuire a sviluppare un atteggiamento e una coscienza democratica intesi come capacità di vivere ed interagire costruttivamente con gli altri in un clima di cooperazione e di reciproca tolleranza, in quanto costituiscono lo strumento insostituibile per il consolidamento della democrazia e la speranza più fondata in un mondo di pace. Il contesto relazionale scolastico può essere analizzato e interpretato attraverso alcuni modelli psicologici che possono aiutare a leggere la dimensione relazionale all’interno dei sistemi interattivi.

Il modello psicanalitico

Tale approccio attribuisce importanza alla comprensione della vita psichica inconscia che si differenzia da quella conscia. Freud giunge all’impossibilità della spiegazione scientifica di fenomeni psichici anomali attraverso la neurologia e la spiegazione organicistica, ma privilegia il criterio esplicativo-psicologico, secondo cui le pulsioni forniscono energia all’individuo e gli permettono di adattarsi alla realtà.

La psicanalisi permette all’Io soggettivo di riappropriarsi di ciò che è stato rimosso e che gli appartiene, apprendendo ciò che lo determina inconsapevolmente.

Solo di recente il contributo psicoanalitico ha iniziato a occuparsi del funzionamento relazionale nel contesto scolastico, offrendo una lettura della relazione educativa sulla base delle conoscenze maturate nel setting terapeutico.

Blandino (2002), psicoanalista che si è occupato a fondo di tematiche connesse all’apprendimento, presenta la psicoanalisi come modo di osservare e descrivere i fenomeni nel contesto scolastico tramite un atteggiamento mentale relativo alla considerazione del ruolo che giocano i sentimenti e le emozioni e di elaborazione della dimensione interpersonale.

La professionalità relazionale consiste nella possibilità di fornire supporto sia cognitivo che emotivo all’altro, nella capacità di comprendere, capire e assumere responsabilità all’interno della relazione nella gestione della sofferenza emotiva entro cui sussiste una dimensione inconsapevole collegata con i vissuti e le ansie più profonde, che inevitabilmente interferiscono con la scelta e l’ascolto delle parole che si utilizzano nell’incontro dialogico con l’altro.

L’approccio psicoanalitico, nel tentativo di leggere la dimensione relazionale nel contesto scolastico, offre un contributo importante nel sottolineare il mondo interno e i vissuti emotivi e affettivi che caratterizzano la vita di ciascun individuo.

L’importanza del lavoro psicologico comporta la necessità di conoscere come il proprio mondo interno possa giocarsi nell’incontro con l’altro.

Il modello psicanalitico e la complessità relazionale

Il modello di campo che la psicoanalisi ha sviluppato in questi ultimi anni si propone come particolarmente interessante per le sue capacità di fornire una valida descrizione di complessi fenomeni analitici, gruppali e istituzionali.

Questo modello, ancora in progress, è però variamente inteso dagli autori e sembra oscillare da una semplice valenza metaforica ad una applicazione rigida e riduttiva del modello originario che la psicoanalisi ha mediato dalla fisica. Molti autori hanno prodotto sforzi ammirevoli e tuttavia persiste una certa confusione e un vivace dibattito sulla natura stessa e la portata di questo modello. Alcuni contestano che si possa parlare di un nuovo modello, altri si domandano se il modello proposto sia sufficientemente coerente e sviluppato da poter essere considerato un'alternativa ai precedenti o se sia solo un arricchimento utile in certe situazioni o certe patologie. Il modello di campo è poi una evoluzione del modello relazionale o ne rappresenta una rottura?

Alcuni autori osservano che la forte opzione relativista e costruttivista potrebbe implicare il rischio di una perdita di profondità e specificità proprie dell'esperienza analitica. Attribuire una prevalenza radicale ai fenomeni che si producono nel "qui ed ora" a scapito della realtà storica e pulsionale, sembrerebbe infatti ridurre il campo ad un sistema autoreferenziale, appiattito sulla bidimensionalità e centrato sulla fenomenologia interna della relazione.

E tuttavia per altri autori il modello di campo nasce proprio dalla necessità di ampliare il punto di vista relazionale, senza perdere di vista la prospettiva storica e le sedimentazioni teoriche che mantengono la profondità e le caratteristiche proprie dell'esperienza psicoanalitica.

L'oggetto d'indagine manterrebbe inoltre la propria specificità, ovvero la sofferenza e l'irripetibile vicenda di un individuo, che anche solo come "ombra dell'oggetto", pre-esiste e resiste alla relazione.

La prima vera difficoltà è dunque quella di capire se esiste davvero un modello di campo o se piuttosto dovremmo più semplicemente riferirci ad un "punto di vista" o "vertice" che accomuna in un certo bagaglio teorico ed esperienziale una parte della psicoanalisi attuale.

Il modello ecologico

Punto di convergenza tra le discipline biologiche, psicologiche e sociali, l’ecologia dello sviluppo umano studia l’interazione individuo-ambiente e, in particolare, il progressivo adattamento tra un organismo umano che cresce e l’ambiente immediatamente circostante, oltre che i modi in cui tale relazione è influenzata da forze che appartengono ad ambiti sociali e fisici più remoti. Tale prospettiva ripropone, inoltre, in maniera innovativa alcuni problemi che in anni recenti hanno assillato gli studiosi di scienze sociali, e in particolare gli psicologi, dando vita ad un dibattito vivace sui rapporti tra scienza e politica sociale e tra rigore scientifico e rilevanza della ricerca.

Bronfenbrenner è il principale esponente della teoria ecologica, secondo cui l’individuo in fase di sviluppo non è visto come tabula rasa che l’ambiente plasma, ma come un’entità dinamica che cresce e si muove in una sua struttura, in interazione reciproca e bidimensionale con l’ambiente. L’ambiente ecosistemico non è solo una situazione ambientale (microsistema), ma include rapporti tra più situazioni e contesti ambientali (mesosistema) e con influenze esterne in tali situazioni (esosistema). Il sistema topologico è un insieme di strutture concentriche.

Bronfenbrenner elabora un modello crono-sistemico, che tiene conto della dimensione temporale sia nell’individuo sia nei contesti, con attenzione anche alle più ampie modificazioni storico-sociali e ai problemi che riguardano il rapporto fra individuo e istituzioni. L’approccio ecologico ha il pregio di aver modificato l’impostazione lineare causa-effetto che ha caratterizzato la ricerca nella prima metà del secolo scorso, assumendo una prospettiva di studio delle relazioni umane di tipo circolare, che sottolinea l’importanza del contesto da cui non può essere scissa alcuna unità.

All’interno dell’ambiente ecologico Bronfenbrenner individua una serie ordinata di strutture concentriche incluse l’una nell’altra, definite come microsistema, mesosistema, esosistema e macrosistema, al cui interno il ruolo è l’insieme di attività e relazioni da parte delle persone inserite in un contesto sociale e da parte di altri nei confronti di tali persone. Collocare una persona in un ruolo suscita negli individui interagenti relazioni coerenti con le aspettative associate a quel ruolo. Lo sviluppo del bambino è facilitato dall’interazione con soggetti che assumono diversi ruoli, perché il bambino interagisce con diversi ruoli, costruendo una nuova identità.

I cambiamenti di ruolo e di situazione ambientale che modificano la posizione dell’individuo nell’ambiente ecologico sono definite "transizione ecologica".

Il Microsistema presenta uno schema di attività, ruoli, relazioni interpersonali da cui l’individuo trae esperienze in un determinato contesto, in una situazione ambientale, ossia il luogo in cui più persone interagiscono, in determinati ruoli, ossia insieme di comportamenti legati ad una determinata posizione assunta nel contesto sociale

Il Mesosistema rappresenta l’interazione tra più microsistemi, tra più situazioni ambientali in cui l’individuo partecipa attivamente. La transizione ecologica è il passaggio a nuove situazioni ambientali, con il passaggio da un ruolo all’altro.

L’Esosistema consiste in una o più situazioni ambientali di cui l’individuo non è partecipante attivo, ma ne è influenzato direttamente. E’ l’ambito in cui hanno luogo eventi e vengono prese decisioni che influiscono sullo sviluppo del bambino pur non avendo contatto diretto con esso. Riguarda due o più contesti ambientali, fra i quali almeno uno a cui la persona non partecipa direttamente, ma in cui si verificano eventi che influenzano l’ambiente con cui la persona è in contatto diretto. Per esempio il rapporto fra l’ambiente di lavoro del padre e/o della madre del bambino e i processi intrafamiliari.

Il Macrosistema rappresenta il parallelismo tra lo sviluppo individuale e la società, per cui la struttura di pensiero dipende dal tipo di attività che domina nella cultura dominante, per cui la vita mentale evolve in funzione della storia sociale e delle modificazioni storico-sociali. Il macrosistema risulta un processo di sviluppo dinamico, in cui i membri sono soggetti a cambiamenti sociali, emotivi e mentali. Costituisce il contesto ideologico, culturale e organizzativo che governa tutta la rete relazionale, e dota di coerenza l’intero sistema. Rappresenta il contesto sovrastrutturale. Tale contesto è legato a culture e organizzazioni sociali più ampie, che hanno i loro sistemi di norme, credenze, rappresentazioni sociali e aspettative, che sono rilevanti ai fini dello sviluppo.

La teoria ecologica offre un modello di analisi dello sviluppo del bambino calato nei contesti di vita quali la famiglia e la scuola, con ambienti e persone che hanno ruoli differenti ed entrano in relazione tra loro.

Altro fattore importante evidenziato dal modello ecologico consiste nella dimensione temporale. Molte volte la scuola dimentica di considerare il passato e il futuro dei bambini, come se il contesto scolastico fosse calato in un presente che dura quanto il ciclo scolastico. Il tempo segna le relazioni tra insegnante e alunno, tra insegnante e genitore. La storia delle relazioni passate influenza la storia futura, anche attraverso il pensiero narrativo e il racconto di sé, anche in una prospettiva metacognitiva

I modelli recenti

I teorici contemporanei, tra cui Pianta, riprendono le teorie dell’ecologia dello sviluppo umano di Bronfenbrenner nella prospettiva della teoria generale dei sistemi, nell’ambito dell’approccio psicologico volto all’educazione, creando fecondi risvolti applicati nella psicologia dello sviluppo umano.

Le linee teoriche e le prospettive applicative di un nuovo approccio integrato alla relazione bambino-insegnante, vengono inquadrate all’interno del più ampio contesto delle relazioni bambino-adulto. Le finalità dell’approccio sistemico, ispirato alla teoria dei sistemi evolutivi, sono sia preventive sia di recupero. Tali finalità sono perseguite attraverso un lavoro specificamente centrato sulla relazione che si instaura - e si trasforma nel tempo - nei contesti scolastici tra il bambino e l’insegnante. Questi è visto come adulto significativo di riferimento, investito dal compito di prendersi cura degli alunni dal punto di vista della crescita tanto cognitiva quanto socio-affettiva. Tra le prospettive recenti in ambito evolutivo Pianta, studioso contemporaneo di psicologia dell’educazione, indica l’applicazione della teoria generale dei sistemi alla psicologia dello sviluppo come un valido strumento per ancorare il livello della prassi a quello della teoria, offrendo la possibilità di individuare soluzioni applicabili a situazioni reali.

I principi della teoria generale dei sistemi contribuiscono ad analizzare i molteplici fattori che influenzano lo sviluppo dei bambini piccoli, come le famiglie, le comunità, i processi sociali, lo sviluppo cognitivo, le scuole, gli insegnanti e i compagni.

I sistemi possono essere presentati come una mappa ed esercitano sullo sviluppo influenze di portata variabile, che vanno da influenze remote (come i governi) a influenze prossimali (come le famiglie) e comprendono la cultura, il piccolo gruppo sociale, la diade, il bambino, il sistema comportamentale e il sistema genetico e biologico.

Ad un livello remoto nella mappa si collocano le culture, che influenzano lo sviluppo con un insieme di codici che definiscono l’insieme delle aspettative diffuse riguardanti lo sviluppo del bambino, come per esempio il momento in cui imparare a leggere.

All’interno dei piccoli gruppi sociali, le relazioni interpersonali svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione del comportamento del bambino. Queste relazioni o sistemi diadici sono costituite dall’interazione tra due persone, che si struttura nel tempo e in diverse situazioni, arrivando a riflettere la relazione condivisa dai due individui. Questa relazione può assumere un ruolo fondamentale nel modellare i comportamenti degli individui coinvolti e, attraverso innumerevoli interazioni, può regolare o limitare lo sviluppo delle persone. Le relazioni a loro volta sono interconnesse; le relazioni tra coetanei sono influenzate dalla qualità del rapporto tra genitori e figli e dalla qualità della relazione tra bambini e insegnanti.

La teoria dell’attaccamento

La qualità delle relazioni può essere compresa più a fondo grazie al contributo della teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969) e ai suoi sviluppi più recenti. Secondo tale teoria i legami affettivi sono imprescindibili per l’acquisizione delle competenze sociali e dell’adattamento nel bambino, senza cui si manifestano difficoltà, nel soggetto trascurato nei primi anni di vita dalle figure con funzione d’accudimento. Questa teoria ha evidenziato come la modalità di relazione che si forma tra il bambino e la figura di riferimento, di solito la madre, concorre alla creazione di un legame che fornisce la base per l’esplorazione del mondo fisico e sociale da parte del bambino. Il sistema motivazionale deriva dall’interazione fra l’individuo, in un contesto ambientale con stimoli e segnali che consistono in scatenatori sociali. La motivazione parte da uno stato interno all’organismo di tipo biologico, emotivo e cognitivo. La motivazione guida il comportamento complessivo finalizzato ad una meta, dall’alimentazione, al riposo, dall’esplorazione, alla sessualità, dall’agonismo alla cooperazione. La tipologia d’attaccamento è determinata dalla relazione con una figura significativa nel periodo dell’infanzia. Secondo Freud l’affetto del bambino per la madre scaturisce per una motivazione secondaria, in quanto la madre provvede ai bisogni fisiologici. Invece per Bowlby l'attaccamento è una motivazione intrinseca per la necessità di contatto. L'attaccamento si basa su un processo omeostatico con l'ambiente. Il bambino quando sente un pericolo esterno cerca subito la madre, per cui l’attaccamento piò essere di tipo sicuro, evitante, resistente, disorientato. Gli indici di attaccamento sicuro sono l’ansia da separazione e la madre vissuta come conforto. Quando il bambino cresce l’attaccamento non dipende dalla vicinanza fisica, ma dalle qualità astratte interiorizzate durante il rapporto originario con la madre. I rappresentanti interni della relazione sono i MOI, ossia i modelli operativi interni che influenzano nuove esperienze e strutturano la personalità. Lo stile di attaccamento è influenzato dal tipo di rapporto con le figure affettive più rilevanti nell’infanzia e soprattutto con la madre.

Nel caso dell’attaccamento insicuro troviamo le seguenti tipologie:

I bambini "ansioso-ambivalenti" hanno sperimentato una relazione con la madre caratterizzata da insicurezza e incapacità di accudire ai bisogni del bambino nei momenti di reale bisogno.

I bambini caratterizzati da un attaccamento "evitante" hanno sperimentato nella relazione con la madre una mancanza di responsività, tale per cui si mostrano eccessivamente autonomi.

Queste modalità di relazione sono state osservate anche nelle interazioni con gli insegnanti; di conseguenza la relazione genitore-bambino può essere trasferita nella relazione con figure diverse da quelle genitoriali, sulle quali il bambino fa affidamento per ricevere protezione e conforto.

La teoria dell’attaccamento e la sua applicazione nel contesto scolastico

In un assunto, viene considerato come, nella teoria dell’attaccamento, Bowlby (1988) distingue chiaramente la funzione di accudimento, svolta dall’oggetto di attaccamento, dal bisogno di attaccamento manifestato dal bambino verso il genitore. "Nello sviluppo di quello che Bowlby auspica come una ideale relazione di attaccamento con una ‘base sicura’, il genitore accudisce ed il bambino sviluppa l’attaccamento" (Shane, Gales, 1997). Ciò specifica più precisamente un concetto che nella psicologia del Sé è spesso meno definito. Stiamo parlando dell’attribuzione di reciproche funzioni di oggetto-Sé sia del genitore verso il bambino che del bambino verso il genitore, lasciando, spesso esclusivamente ad una questione quantitativa, la distinzione tra un rapporto sano ed uno patologico. Questa "reversibilità" del concetto di funzione di oggetto-Sé non mette in evidenza, in forma più specifica, quello che Bowlby invece afferma chiaramente e cioè che il legame di attaccamento è distinto in normale ed invertito a seconda delle funzioni assunte dai membri della diade. In questo senso l’affermazione di Bowlby ci aiuta non solo a distinguere più precisamente tra i concetti di attaccamento ed accudimento ma, spostato per analogia sul piano della clinica, riporta in primo piano una fondamentale asimmetria, quella tra ruolo dell’analista e del paziente nella relazione analitica. Dunque la teoria dell’attaccamento offre un approccio altamente clinico e medico, come il modello psicanalitico, entrambi altamente specifici, in quanto prevedono e presuppongono originariamente un’analisi medica di carattere psicanalitico, la cui applicazione non è presente nelle competenze di un insegnante, per verificare lo stato di salute psichica del ragazzo e la complessità della sua personalità. Comunque con le recenti teorie, tali approcci teorici si possono applicare al campo delle relazioni istituzionali, alla comprensione degli atteggiamenti e dei comportamenti con risvolti pulsionali di carattere emotivo-affettivi, in una gestione del processo educativo, da intendersi come riferita non solo al lavoro dell’insegnante, ma alla gestione globale di questo processo. Tuttavia, sia la teoria dell’attaccamento che il modello psicanalitico si devono sempre tener presenti nel campo di interazione di un insegnante, soprattutto per individuare e segnalare la necessità di azioni di intervento nei confronti di comportamenti patologici e sugli elementi anche latenti di disagio della complessa personalità del ragazzo. La psicoanalisi, mediante l’esempio del lavoro clinico, mostra anche come si possono gestire le dimensioni relazionali, i cui vantaggi consistono nella produzione di salute mentale, nell’eticità del riconoscimento dei bisogni dell’altro, favorendo lo sviluppo. Dunque, proprio perché è una scienza dell’interrogazione e del dialogo, la psicanalisi costituisce quanto di più adeguato per progettare una politica educativa davvero nuova, perché è solo grazie alla parola orale, ossia al dialogo, alla relazione diretta tra persone e alla riflessione interrogativa e autoriflessiva, che l’educazione e la formazione riescono a configurarsi come strumenti di crescita e di sviluppo, come ricerca del nuovo piuttosto che del noto e del risaputo

LE TEORIE DELLA MENTE VERSO IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE

Empatia, altruismo e comportamento prosociale

Gli studi sul comportamento prosociale comprendono ricerche sull’altruismo, sul comportamento d’aiuto, di cooperazione e di riguardo verso gli altri; tutti comportamenti intesi come azioni volte al fine di proteggere, favorire o mantenere il benessere di un determinato soggetto sociale. Implicito in tale descrizione è un ulteriore uso del termine "prosociale" inteso come capacità cognitiva nei confronti dell’altro: tendenza, cioè, a percepire i bisogni dell’altro, ad assumerne le prospettive, a viverne le emozioni e a reagire emotivamente in congruenza con la situazione.

La categoria "prosociale" può quindi essere applicata non soltanto a comportamenti singoli, ma anche a forme stabili di relazione nel contesto sociale. E’ apparso subito chiaro agli studiosi che hanno tentato in tempi recenti dei lavori di sintesi sui molti contributi della letteratura in proposito, che con il termine "prosociale" si coprono praticamente tutti i comportamenti che non siano di antagonismo, o di danneggiamento, aggressivi o distruttivi addirittura. E’ alla luce di questa considerazione che Staub preferisce chiamare il comportamento prosociale: comportamento sociale positivo.

Inoltre la vastità del campo di studio rende praticamente impossibile trovare delle variabili che non siano, più o meno direttamente correlate al fenomeno prosociale. Come osserva Reykowski, il comportamento prosociale, in quanto forma di comportamento sociale, è controllato da un complesso sistema regolatore nel quale l’intervento di qualsiasi fattore che possa mutare lo stato del sistema può influenzare le sue funzioni regolatrici, compreso, quindi, il comportamento prosociale (Reykowski, 1982).

L’insegnamento delle tecniche mediative, in forma prettamente esperienziale, contribuisce al generarsi di una cultura della mediazione che possa intendersi come spazio per comprendere le ragioni dell’altro e mettersi nei panni dell’altro in termini cognitivi ed emotivi.

Il comportamento prosociale può essere sollecitato da fattori interni e in particolare dall’empatia come elemento motivante.

L’empatia ha un ruolo centrale nel comportamento prosociale in quanto precursore e segnale della capacità di percepire e sentire i bisogni e le esigenze altrui.

L’empatia come "capacità di sintonizzarsi cognitivamente ed emotivamente (con la mente e con il cuore) con gli altri", con ciò che stanno vivendo, favorisce la conoscenza dell’altro e la buona qualità della relazione di aiuto. Numerose ricerche hanno trovato proprio nell’empatia uno dei fattori motivazionali più importanti del comportamento prosociale. Batson sostiene che c’è uno stretto collegamento tra empatia e altruismo. Evitare l’empatia porta al disinteresse per i bisogni degli altri. Esiste un’empatia centrata sull’altro e un’empatia focalizzata su se stessi. Si richiede uno sviluppo notevole della propria capacità cognitiva ed un esame accurato di quella persona in difficoltà che rifiuta l’aiuto, perché lo considera come una minaccia alla propria autostima, specie quando non è nella possibilità di ricambiare, può vedere l’aiuto come un segno di inferiorità dentro un rapporto che crea e mantiene dipendenza, da qualcuno definito "prosociale" o anche comportamento di aiuto. Due studiosi, Latané e Darley, descrivono il comportamento di aiuto come un processo che comporta alcuni passaggi fondamentali: notare una persona, un evento, o una situazione che possono richiedere aiuto; interpretare il bisogno; assumersi le responsabilità di agire; decidere la forma di assistenza da offrire e il tipo di implicazione personale; realizzare l’azione. Uno dei principali fattori di sviluppo della psicosocialità è l’esperienza di una sicurezza affettiva, la presenza di modelli positivi (di amore altruistico) con i quali, già da bambini, ci si possa gradualmente identificare. Nell’aiutare il prossimo, si ricevono dei benefici a livello oltre che morale e/o materiale, anche fisico.

L’importanza della reciprocità nelle relazioni altruistiche è notevole. La professionalità del terapeuta consiste anche nel ricordare che lo scopo dell’empatia è comprendere il paziente per poterlo aiutare. Ralph Greenson afferma: "Essenziale per lo sviluppo della capacità ottimale di provare empatia, pare la capacità del terapeuta di essere allo stesso tempo distaccato e coinvolto, osservatore e partecipe, oggettivo e soggettivo nei confronti del paziente. Soprattutto il terapeuta deve consentire che avvengano oscillazioni e passaggi tra questi due tipi di posizioni. Freud descrisse l’attenzione sospesa, liberamente fluttuante, che si richiede all’analista".

Secondo Hoffman l’empatia è intesa come un’attivazione affettiva o una risposta affettiva vicaria più appropriata di un’altra alla situazione dell’altro.

Secondo Eisenberg l’empatia viene definita come percezione del bisogno dell’altro che implica comprensione e simpatia. Essa si differenzia da altri tipi di emozione.

Il contagio emotivo, frequente nei bambini, consiste nel sentire la stessa emozione dell’altro e nel rifletterla; non è una risposta cognitiva e può presentarsi in bambini molto piccoli che non differenziano chiaramente tra il proprio e altrui disagio.

La simpatia o comprensione dei sentimenti altrui: quando si risponde all’emozione altrui con un’emozione che non è identica ma congrua: è una preoccupazione simpatetica orientata verso l’altro, che potrebbe motivare l’azione altruistica.

Preoccupazione personale: questo è un sentimento negativo, che nasce in risposta al disagio altrui.

Hoffman si distanzia dalla tesi psicoanalitica classica che vede l’altruismo come una forma di egoismo, ma sottolinea la natura impulsiva e istintiva delle risposte altruistiche, che emergono indipendentemente dal perseguimento di scopi egoistici e sono sostenute da emozioni e sentimenti empatici. Con il progredire dell’età le risposte empatiche si arricchiscono di altri significati, oltre a riconoscere le emozioni e a reagirvi istintivamente: sul piano dello sviluppo cognitivo identificare e comprendere il significato delle emozioni altrui costituisce un’abilità complessa e discriminativa, che implica il superamento dell’egocentrismo.

Solo se i soggetti sono in grado di differenziare il proprio stato emotivo da quello di un altro possono sviluppare sentimenti di compassione e compartecipazione emotiva, capaci di sollecitare tentativi di aiuto adeguati ad alleviare lo stato di bisogno altrui.

Teorie della mente: lo sviluppo della competenza metarappresentativa

La capacità metacognitiva degli adulti viene acquisita gradualmente durante lo sviluppo. Un passo importante si ha quando il bambino giunge a riconoscere di avere degli stati mentali e che stati mentali sono presenti anche negli altri, in questo caso essendovi la possibilità che quelli altrui differiscano dai propri. Le "teorie della mente", espressione introdotta nel 1978 da Premack e Woodruf , si riferiscono alla capacità del bambino di attribuire stati mentali a sé e agli altri. Classiche sono al riguardo le prove di "falsa credenza" utilizzate per valutare la capacità in questione. L’impostazione narrativa secondo cui la comparsa delle teorie della mente sarebbe da attribuire all’acquisizione, da parte del bambino, degli schemi canonici di interpretazione delle azioni e delle intenzioni dei soggetti umani che sono disponibili nel mondo culturale in cui egli è immerso. Avendo assimilato i ‘copioni’ o gli ‘scenari’ tipici del proprio ambiente, il bambino sarebbe in grado di ‘leggere’ ciò che accade nelle menti altrui prevedendo che esse si conformino a tali schemi comportamentali. Secondo Bruner la narrazione è una delle forme più diffuse e più potenti di comunicazione. Quando il bambino è in grado di designare per nome le cose, il suo interesse linguistico si focalizza sull’azione umana e i suoi risultati e sull’interazione umana. La vita e il sé che ci costruiamo sono la risultante dei tentativi di attribuire senso e significato alle cose, al mondo, alla realtà. La psicologia culturale individua le regole che gli esseri umani applicano per creare significati all’interno di contesti culturali. Risulta sempre necessario chiedere che cosa le persone fanno in un contesto, servendosi del metodo autobiografico. La psicologia culturale tende a dimostrare che la mente umana e la vita umana sono il riflesso della cultura, della storia, della biologia. La rivoluzione del cognitivismo ha allontanato la psicologia dal suo obiettivo che è lo studio di come il soggetto interpreta il suo mondo, i suoi simili, se stesso. Tale studio non può essere costretto nei limiti angusti del pensiero scientifico tradizionale. Secondo Bruner la ricerca di spiegazione e il ridurre tutto in termini di causa-effetto è una banalizzazione che impedisce di comprendere i significati dell’esperienza umana. Bruner propone una psicologia culturale di cui è elemento essenziale il pensiero narrativo contrapposto al pensiero scientifico e paradigmatico. Dunque la psicologia deve ricercare non le cause, ma i significati dei comportamenti.

La didattica autobiografica all’interno dei contesti relazionali.

Modelli teorici di riferimento: Modello ecologico e Teorie della mente

Progetto d’intervento

DESTINATARI E CONTESTO

Ragazzo con disagio emotivo-affettivo-relazionale che vive in contesti altamente relazionali (scuola, famiglia, gruppo di pari), ma con scarsi stimoli di riflessione culturale e di metarappresentazione, senza particolare predisposizione alla metacomunicazione e metacognizione, finalizzata all’evoluzione di un pensiero narrativo, anche introspettivo.

FINALITA’

Portare l’alunno ad un livello di autoconsapevolezza tale da guidarlo e preservarlo da atteggiamenti fortemente lesivi a danno suo e dei compagni, suscitando in lui dinamiche autoriflessive ed introspettive, rispetto alla propria storia di vita e di formazione, tramite attività orientate al metodo autobiografico. Il progetto si propone di stimolare e valorizzare la propensione alla valorizzazione di sé e dei contesti relazionali di interazione quotidiana.

OBIETTIVI

Migliorare la situazione di disagio in cui imperversa l’allievo.

Invogliare la predisposizione al dialogo, alla metacomunicazione nel tentativo di mediare e favorire la gestione del conflitto, in un’ottica di educazione alla cooperazione, alla comunicazione in modalità e contesti positivi, con insegnanti, compagni e personale della scuola. Disincentivare gli atteggiamenti violenti e non costruttivi nei confronti di tutti. Imparare a riflettere su di sé, sul proprio agito, sulle azioni positive a lui rivolte (metacognizione). Accentuare le capacità introspettive che arricchiscono la persona.

CAMBIAMENTI SULL’EDUCATORE

Volontà di stimolare una felice e piena relazione ed esperienza di vissuti in comune dalla vicinanza e dai risultati conseguiti dall’alunno. Maggiore autocontrollo personale. Maggiore propensione all’ascolto, alla tolleranza, al dialogo con un allievo e di conseguenza con tutti gli allievi.

CAMBIAMENTI SULL’ALLIEVO

Socializzazione positiva e non violenta all’interno di tutti i contesti relazionali. Predisposizione all’autoriflessione e all’introspezione, alla gestione dei conflitti, per poi riflettere tali acquisizioni nelle dinamiche relazionali reciproche con tutti gli altri e nei vari contesti d’interazione. Evoluzione del pensiero metacognitivo e narrativo all’interno dei contesti sociali d’interazione quotidiana.

STRATEGIE PER PROMUOVERE IL CAMBIAMENTO (azione metabletica)

Acquisizione da parte dell’allievo della capacità di compilare un diario su cui annotare le proprie esperienze, per poi commentarle insieme all’insegnante ogni volta. Attivare una didattica autobiografica che susciti l’evoluzione e l’esplicazione di un pensiero narrativo che induca il ragazzo a riflettere su di sé, attraverso meccanismi di metacognizione, agevolati dalla metacomunicazione con l’insegnante. Verrà predisposto un itinerario dialogico in cui si valorizzeranno le predisposizioni alla narrazione di sé, tramite meccanismi didattici di decentramento emotivo e cognitivo. Il cambiamento consta nell’acquisizione di capacità di pensiero autoriflessivo e metacognitivo, attribuendo significato e senso al contesto e all’esperienza di formazione.

 

 

 

 

 

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