Bocciare l'accordo col referendum


No alla elemosina, alla mobilità, all'aumento della produttività per il Pubblico impiego


DS e PRC approvano l'accordo bidone
Respingere il nuovo modello contrattuale di Berlusconi


I lavoratori del pubblico impiego, stiamo parlando di oltre 3.500.000 di dipendenti di scuola, sanità, enti locali, parastato e ministeri, hanno dovuto attendere ben 17 mesi da quando sono scaduti i loro contratti di lavoro, hanno dovuto incrociare le braccia e scendere in piazza numerose volte e attuare tre scioperi generali, prima di giungere a un'ipotesi accordo. Un accordo siglato il 28 maggio scorso, tra le 13 organizzazioni sindacali del settore, con in testa Cgil, Cisl e Uil, e il governo: dopo i tira e molla di prassi e le varie sceneggiate notturne del tipo, si chiude, non si chiude, si rinvia, si firma.
Ma l'intesa raggiunta sul biennio economico 2004-2005 non li risarcisce affatto per la lunga, lunghissima attesa, né li premia per il potenziale di lotta messo in campo. Non solo perché l'aumento di stipendio ottenuto è irrisorio rispetto alla perdita del potere d'acquisto subita in questi anni e non comporta perciò un effettivo miglioramento, ma anche perché il governo ha imposto e i vertici sindacali hanno sottoscritto contropartite inaccettabili e da respingere risolutamente su blocco del turn-over e quindi riduzione del personale, mobilità, produttività e modello contrattuale, anche se quest'ultimo è stato rinviato a una successiva trattativa. Tre i sindacati interessati, le Rdb-Cub non hanno sottoscritto l'accordo e hanno annunciato l'organizzazione del referendum su di esso e la proclamazione di uno sciopero generale con manifestazione nazionale a Roma.


Come si ricorderà la richiesta originaria di aumento economico avanzata dai sindacati si attestava sull'8,1%. Una richiesta questa in partenza bassa e insufficiente a realizzare il necessario adeguamento salariale. Considerato che gli statali negli ultimi 2 anni hanno perso il 15% del loro potere d'acquisto e che occorrerebbe un incremento di 250-300 euro mensili per raggiungere i trattamenti medi in vigore in Europa. La tattica adottata dal governo si è caratterizzata nel seguente modo: ha messo in essere una politica dilatoria e di rinvio, facendo passare mesi e mesi prima di iniziare le trattative; ha manifestato sempre disponibilità economiche miserabili, poco meno e poco più della metà della richiesta sindacale. Basta andare a vedere le risorse stabilite nella varie leggi finanziarie; ha gettato sul tavolo pesanti contropartite da ottenere in cambio dell'elemosina offerta.


Osservando come si è svolta la trattativa nelle ultime due settimane e come si è concluso l'accordo a noi sembra che la tattica del governo abbia avuto successo. L'aumento salariale concordato, dopo una prima offerta governativa del 4,5%, non è andato oltre al 5,1% che corrisponde a 98 euro mensili lordi a regime, cioè quando tutta la cifra sarà corrisposta in busta paga. Che al netto diventeranno 55 euro circa. In pratica il 60% circa della richiesta avanzata in piattaforma che, lo ripetiamo, era bassa in partenza. Come compromesso dunque è da considerarsi al ribasso e a perdere. Oltre tutto non è stato specificato quando sarà erogato questo aumento.


Vi è poi quella parte, relativa a produttività, mobilità, blocco del turn-over e modello contrattuale, che i vertici sindacali tendono a nascondere e a minimizzare e che invece è molto pesante e molto dannosa per i lavoratori interessati e non solo per loro.
A questo proposito, il governo ha elaborato un documento che parla di riduzione degli occupati a tempo indeterminato nella pubblica amministrazione di 110 mila unità entro il 2007 (di cui 50 mila già attuati nel periodo 2003-2004). Altre 50.000 persone invece saranno coinvolte da un piano di mobilità negli anni 2005-2007. "Il governo - si legge nel documento - intende varare con il concorso delle Regioni e degli enti locali, a partire dal 2005 un efficace programma di mobilità (...) rimuovendo i vincoli oggi esistenti" e adeguando la legislazione in modo da facilitarne l'attuazione. A fare le spese di questo piano di ristrutturazione saranno anzitutto i 350.000 mila precari presenti nella pubblica amministrazione i quali, ben difficilmente, potranno sperare in un loro regolarizzazione. Eppure in Italia i dipendenti pubblici sono due milioni meno di quelli della Francia e due milioni e mezzo meno della Gran Bretagna.


Il governo ha tentato di far rientrare nella trattativa anche al definizione di un nuovo modello contrattuale che superasse da destra e in modo peggiorativo quello concertativo e neocorporativo del luglio '93 instaurato col governo Ciampi. Secondo la proposta avanzata, il secondo livello di contrattazione dovrebbe essere finalizzata unicamente agli incentivi alla produttività. Una proposta che, guarda caso, aveva trovato ampie disponibilità da parte del segretario della Cisl, Savino Pezzotta; e non perché questo sia un "bolscevico che si crede un naturale rappresentante della classe operaia che decide senza interpellare chicchessia" come scrive il crumiro Bruno Ugolini sull'Unità del 29 maggio (ma come gli è venuto in mente di scrivere una castroneria anticomunista del genere!) ma perché la sua natura è collaborazionista, da sindacato giallo. Il problema è stato rinviato per l'opposizione della Cgil, ma si può starne certi, si ripresenterà a breve.


Stando così le cose, davvero non si possono condividere le dichiarazioni di giubilo dei segretari sindacali confederali e di quelli di categoria. Affermazioni del tipo: "è un buon accordo"; "è un risultato importante"; "Abbiamo sconfitto chi voleva bloccare i contratti pubblici", sono esagerate e senza un vero fondamento. Il segretario della Funzione pubblica della Cgil, Carlo Podda, arriva addirittura ad indicare "questo protocollo come utile punto di riferimento anche per le altre categorie di lavoratori che hanno la contrattazione ancora aperta".
Pertanto consideriamo un regalo al governo e ai padroni la revoca dello sciopero generale. Così come sono da criticare le dichiarazioni di approvazione da parte dei DS e del PRC. "L'accordo rappresenta - dice Fassino - una buona soddisfazione delle esigenze dei lavoratori". Ma è una falsità questa!


è vero che la Confindustria aveva esercitato forti pressioni nei confronti del governo affinché tenesse duro sui contratti degli statali. Il suo presidente, Luca Cordero di Montezemolo, nella recente assemblea annuale plenaria degli industriali aveva parlato di "piattaforme contrattuali fuori da ogni compatibilità", intendendo a quella dei metalmeccanici e di "contratti i cui rinnovi costano sacrifici alle finanze pubbliche senza migliorare i servizi", intendendo quelli del pubblico impiego. Ed è vero che Federmeccanica è immediatamente intervenuta a criticare l'accordo per gli statali, ribadendo di non essere disponibile, per il contratto dei metalmeccanici, a un aumento superiore al 3,6%, ossia 59,58 euro mensili di media lorde.
Si tratta però solo di interventi tattici per giustificare una posizione di chiusura nei confronti dei contratti dei settori privati: ferrovieri, autoferrotranvieri, dipendenti del settore agroalimentare, dell'industria chimica e farmaceutica, delle aziende energetiche, del gas e dell'acqua, oltreché ovviamente i metallurgici.


è assurdo sventolare l'attacco padronale per dimostrare la presunta bontà dell'accordo. In ogni caso, per avere legittimità, l'intesa deve passare al vaglio dei lavoratori interessati. Non bastano delle semplici assemblee, magari di solo attivisti, come vorrebbero fare le segreterie sindacali. Bisogna dare la possibilità a tutti i lavoratori pubblici debitamente informati di votare col referendum in modo che l'esito sia chiaro, inequivocabile e vincolante.
Per le ragioni sopra esposte, il nostro auspicio è che sia bocciato sonoramente.

(Articolo de "Il Bolscevico", organo del PMLI, n. 22/2005)

 

 

 

 

 

 

per tornare in namir - www.namir.it