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LE DICHIARAZIONI DI CARLO DIGILIO

A PARTIRE DALL’OTTOBRE 1995

A partire dall’ottobre 1995, momento in cui è stato possibile riprendere gli interrogatori (anche se inizialmente si è trattato necessariamente di audizioni assai brevi per le ancora incerte condizioni di salute), Carlo DIGILIO ha ampliato e completato il quadro della struttura di intelligence di cui era fiduciario e delle varie "operazioni" che si erano sviluppate a partire dalla metà degli anni ‘60.

Saranno in questa sede riportati solo gli aspetti essenziali di tali dichiarazioni, comunque ampiamente ordinate e analizzate nelle annotazioni del R.O.S. del maggio 1995 e del giugno 1996.

In primo luogo Carlo DIGILIO ha rivelato l’identità anche degli ufficiali americani responsabili della struttura:

"""Il mio primo reclutatore fu il capitano David CARRETT della Marina Militare degli Stati Uniti che anche mio padre aveva conosciuto e che infatti egli mi aveva presentato personalmente.

Intorno al 1974 il capitano CARRET fu sostituito dal capitano RICHARDS che io incontravo normalmente sotto la torre a San Marco, come del resto anche il capitano CARRETT.

Il "cambio di guardia" fra i due ufficiali avvenne a Verona dove CARRETT mi presentò RICHARDS.

Il capitano RICHARDS mi disse di essere in servizio presso la base NATO di Vicenza, mentre CARRETT era in servizio presso la base di Verona.

Era stato CARRETT a insegnarmi come si eseguono i pedinamenti con esercitazioni per strada utilizzando degli estranei sia a Verona che a Venezia.

Mi riservo in un prossimo interrogatorio di spiegare l'operazione "DELFINO ATTIVO" che si svolse nell'Adriatico per controllare la capacità di reazione della Marina Militare italiana""".

(DIGILIO, int.21.12.1995, ff.2-3).

"""In merito ai due ufficiali americani CARRET e RICHARDS di cui ho parlato, posso aggiungere qualche particolare.

RICHARDS veniva chiamato "TEDDY", nome di battesimo che ricordo non perchè me lo disse direttamente, ma perchè alcuni suoi colleghi lo chiamarono così in mia presenza, compreso il CARRET.

Questo nel tipico gesto americano e cioè la pacca sulla spalla dicendo "Olà, Teddy".

CARRET era un uomo alto circa un metro e 85, robusto, con i capelli biondi tendenti al rossiccio, di tipico temperamento gioviale come molti americani. Portava occhiali da sole di varie gradazioni, credo che fosse sposato.

Con lui mi incontravo in Piazzetta del Patriarcato, in zona San Marco, sotto la torre dell'orologio e a Verona, invece, dietro l'Arena.

Per contattarmi, a Venezia, CARRET lasciava o faceva mettere un bigliettino nella mia cassetta della posta a S.Elena.

Alcune volte invece non c'era bisogno di questo espediente perchè ci si dava appuntamento direttamente da una volta all'altra soprattutto in occasione di festività.

CARRET faceva riferimento ad un ammiraglio molto importante che si chiamava GRAHAM e che tra il 1974 e il 1976 era diventato famoso nel suo ambiente in quanto tramite sommergibili di profondità era riuscito a recuperare da un sommergibile sovietico, affondato per un incidente nell'Atlantico, tre missili a testata nucleare e codici cifrati.

Per quanto concerne RICHARDS, egli conosceva SOFFIATI e infatti ci incontrammo qualche volta tutti e tre a Verona dietro l'Arena e anche alla Stazione ferroviaria di Vicenza dove RICHARDS era di stanza.

Una volta c'era anche Giovanni BANDOLI.

RICHARDS aveva all'epoca sui 40/45 anni, ben portati in quanto era molto atletico, abbastanza alto, robusto, un po' stempiato e con i capelli un po' brizzolati""".

(DIGILIO, int. 5.1.1996, ff.3-4).

Carlo DIGILIO ha poi aggiunto molti particolari in merito al ruolo di Sergio MINETTO e ha spiegato che i contatti fra MINETTO e il colonnello SPIAZZI erano tenuti dal prof. GUNNELLA di Verona, che fungeva da elemento di raccordo fra le varie strutture:

"""Posso ancora aggiungere che il "contatto" fra MINETTO e il colonnello SPIAZZI era il professor GUNNELLA.

Fu SOFFIATI a indicarmi il nome del professore.

Posso ancora aggiungere che il sistema utilizzato dai componenti della rete per incontrarsi era un sistema postale, consistente nel fatto che si mandava un bigliettino al professor GUNNELLA con l'indicazione dell'appuntamento e GUNNELLA lo mandava alla persona con cui la prima si voleva incontrare.

Questo sistema era utilizzato per città come Verona o Vicenza, mentre a Venezia io, SOFFIATI e il capitano CARRETT ci incontravamo direttamente in quanto a causa della presenza di molti turisti e della presenza di navi americane, e quindi molti marinai e ufficiali americani, era possibile incontrarsi senza essere notati""".

(DIGILIO, int. 21.12.1995, f.3).

"""In merito alla persona di Sergio MINETTO, posso aggiungere che egli aveva una vera passione per la partecipazione a manifestazioni combattentistiche cui partecipava con commilitoni della R.S.I. e della X M.A.S. che soprattutto nel veronese erano numerosi e affiatati.

Si recava a queste manifestazioni con una bella macchina fotografica tedesca tipo Laika.

Poichè l'Ufficio mi chiede di meglio precisare il mio accenno, già reso in precedenti interrogatori, relativo ad esercitazioni in Alto Adige, posso confermare che vi furono esercitazioni nella zona di Fortezza nel periodo in cui vi era l'offensiva terroristica altoatesina.

A queste esercitazioni partecipò personalmente il SOFFIATI il quale poi relazionò a Sergio MINETTO.

Erano esercitazioni comuni di militari e civili in funzione di difesa dell'italianità del territorio dell'Alto Adige""".

(DIGILIO, int.5.1.1996, f.4).

"""Sergio MINETTO aveva una forte familiarità con i componenti di un'organizzazione di ex militari tedeschi che si chiamava ELMETTI D'ACCIAIO.

Con loro partecipava a cene in due ristoranti di Colognola, quello di SOFFIATI e quello davanti a quello di Soffiati che esiste ancora.

Ricordo che cantavano inni tedeschi. Anch'io ho partecipato a qualcuna di queste cene, invitato da SOFFIATI che mi disse che era bene che io partecipassi perchè c'era anche MINETTO che era il suo superiore.

MINETTO era affiliato come italiano all'organizzazione degli Elmetti d'Acciaio a cui potevano aderire ex appartenenti alla R.S.I. e ai paracadutisti della Folgore""".

(DIGILIO, int. 13.1.1996, f.4).

"""All'inizio degli anni '70, Sergio MINETTO e Marcello SOFFIATI raccolsero una serie di elementi, soprattutto ex repubblichini o ex ufficiali dei paracadutisti, che servivano ad attività di contrasto del terrorismo altoatesino che metteva in pericolo la sovranità del nostro Paese.

Furono scelti i soggetti più abili e decisi e fra questi MASSAGRANDE e BESUTTI.

Con loro vi furono le esercitazioni a Fortezza cui ho fatto cenno.

Ho appreso, in particolare da SOFFIATI, ma se ne parlava anche nell'ambiente veronese, che anni prima vi erano stati degli attentati in Austria contro monumenti compiuti da italiani appositamente inviati, sempre nel medesimo contesto, al fine di rispondere al terrorismo altoatesino spaventando anche le Autorità austriache.

Voglio far presente che Sergio MINETTO era veramente un ottimo conoscitore dell'ambiente di destra e degli ex repubblichini e, nella prima metà degli anni '70, stilò un elenco di ex repubblichini, di ex appartenenti alla Guardia Nazionale e alla X MAS e di elementi di ambiente ordinovista che potessero essere utilizzati in senso anticomunista e messi a disposizione, in caso di necessità, delle basi americane di Verona e di Vicenza.

Di questo elenco mi parlarono anche RICHARDS e CARRET e il senso era quello di poter contrastare con ogni mezzo una possibile presa del potere da parte dei comunisti in Italia.

Preciso che l'approntamento di questo elenco si colloca fra il 1973 e il 1975""".

(DIGILIO, int. 20.1.1996, ff.2-3).

"""In varie occasioni Sergio MINETTO mi disse che in gioventù aveva risieduto in Argentina dove probabilmente aveva imparato ed esercitato il mestiere di frigoriferista.

In Argentina era entrato in contatto sia con elementi della C.I.A. sia con tedeschi, ex combattenti, che avevano lasciato la Germania dopo la guerra.

Egli aveva infatti mantenuto forti contatti sia con l'Argentina, e in genere con il Sud-America, sia con la Germania nell'ambito della sua attività di spionaggio.

Ricordo in particolare un piccolo episodio. In questo contesto, verso la fine degli anni '70, venne a trovarlo dall'Argentina una persona che tuttavia non vidi e MINETTO gli fece aveva una grossa somma in pesos argentini. A titolo di curiosità egli diede sia a me che a Marcello Soffiati uno di questi biglietti di banca che sino ad allora non avevo mai visto""".

(DIGILIO, int. 24.2.1996, f.3).

Carlo DIGILIO ha messo poi a fuoco la figura del prof. Lino FRANCO, che godeva di grande prestigio fra i camerati per essersi arruolato, durante la guerra, nei reparti tedeschi di contraerea denominati FLAK:

"""In merito al prof. FRANCO posso aggiungere che egli combattè a Cassino insieme a reparti della Repubblica Sociale Italiana e strinse durante questi eventi stretti rapporti e amicizie importanti con personalità tedesche fra cui il famoso generale Kesselring che comandava la zona militare e tutta la linea.

Nell'ambito di questi rapporti fece da consulente per i tedeschi, dimostrando capacità eccezionali, nell'istruire i militari, anche italiani, nell'uso del fucile mitragliatore F Gevaert 15 e diede consigli ai tecnici tedeschi per il miglioramento tecnico dell'arma che era particolarmente usata dai reparti paracadutisti.

Del resto, sulla linea del Centro Italia c'erano anche i migliori reparti combattenti della R.S.I.

In seguito, nel dopoguerra, il prof. FRANCO entrò in contatto con gli ambienti americani in funzione anticomunista proprio grazie alle sua speciali capacità.

Gli americani gli misero a disposizione sia mezzi finanziari sia un capannone a Monfalcone e un paio nel triestino dove lavorare delle leghe metalliche per elicotteri ed aerei militari che dovevano esser poi inviati negli Stati Uniti.

In sostanza era la prima lavorazione dei pezzi.

In questa attività fu coadiuvato da Sergio MINETTO che poteva spostarsi facilmente utilizzando la sua attività di riparatore di frigoriferi.. Probabilmente MINETTO, grazie alla sua attività, si era proprio occupato del trasporto di pezzi disponendo di mezzi adatti al trasporto di oggetti pesanti.

L'attività del prof. FRANCO a Trieste e Monfalcone avvenne intorno agli anni '50/'60 e cioè poco dopo la guerra in quanto per gli americani era un elementi interessante e fu ingaggiato subito""".

(DIGILIO, int.4.1.1996, f.2).

"""Prendo visione della fotografia in fotocopia allegata alla nota del R.O.S. in data 13.1.1996, come allegato 1, in basso nella pagina.

Posso dire che, benchè la fotocopia non sia ottima, essa rappresenta un'arma da fanteria tedesca, di uso anche contraereo, di cui ho parlato nel corso dell'interrogatorio in data 4.1.1996 in relazione al prof. Lino Franco.

Era cioè la MG15, cioè MACHINENGEWEHR 15, che veniva usata appunto anche come arma contraerea montata su camioncini e utilizzata dai reparti FLAK.

Gli uomini con cui aveva combattuto il prof. FRANCO a Cassino erano direttamente inquadrati nell'Esercito tedesco.

Ricordo anche che questo tipo di arma aveva tutta una serie di modelli fra cui la famosa MG42, altrimenti nota come la "Sega di Hitler", e tutte armi con una grande potenza di fuoco""".

(DIGILIO, int. 13.1.1996, f.3).

"""In merito al prof. LINO FRANCO, posso aggiungere che il suo gruppo di ex repubblichini di Vittorio Veneto aveva un deposito di armi sul pianoro di Pian del Cansiglio che è proprio vicino a Vittorio Veneto, in quella zona in cui le forze della R.S.I., durante la seconda guerra mondiale, avevano combattuto duramente.

Confermo che il prof. FRANCO aveva un doppio ruolo e cioè era sia responsabile del gruppo SIGFRIED sia informatore della C.I.A.

Mi è venuto in mente un altro particolare su di lui: nello stesso periodo in cui si accertò dove era finita parte dell'esplosivo di Boscochiesanuova, e cioè a Cipro, MINETTO e SOFFIATI mi dissero che il gruppo di FRANCO aveva inviato delle armi ai greci di GRIVAS, che combattevano contro i turchi, armi che erano risultate molto utili.

MINETTO aveva comunque invitato FRANCO alla prudenza in simili operazioni.

L'epoca, del resto, era quella del colpo di Stato dei "Colonnelli" in Grecia""".

(DIGILIO, int. 20/21.1.1996, ff.6-7).

Il prof. Lino FRANCO si era anche reso disponibile a rifornire di armi il gruppo mestrino di Ordine Nuovo:

"""Sempre in tema di bombe a mano, posso dire che la prima volta che io mi recai dal prof.Lino FRANCO, poco tempo prima di andare al casolare di Paese, egli mi mostrò in un cassetto di un mobile di casa sua, oltre ad una baionetta, alcune bombe a mano tonde di fabbricazione italiana, modello Sipe o SRCM.

Del reato, il professor Franco disponeva di una buona dotazione logistica e il dottor MAGGI ebbe cura di tenere buoni contatti con lui, proprio al fine di chiedergli la cessione di parte della sua dotazione, in cambio della garanzia della presenza di elementi efficienti e sicuri all'interno del gruppo mestrino.

In questo modo a Mestre arrivò vario materiale sia quando era ancora vivo il professor Franco, sia dopo la sua morte grazie a suo cognato, che del resto aveva uno stabile di riferimento lavorativo a Mestre nell'ambito del noleggio di biliardini a bar e locali pubblici vari.

Io non mi recai mai a Vittorio Veneto a prendere questo materiale, ma comunque vidi parte di questo materiale a Mestre in quanto ero incaricato, come sempre, di valutarlo e darne un giudizio tecnico.

Io vidi materiale nella macchina che credo appartenesse al fratello di Delfo ZORZI, una macchina piccola, francese, di colore rosaceo, tipo Dyane, nonchè nella 1100 di MAGGI.

Per valutare questo materiale, il punto di incontro per tre o quattro volte fu una strada isolata che costeggia un canale che si raggiunge partendo da piazza Barche in direzione laguna. Io vidi una pistola Mauser cal.9, di grande valore commerciale, con un selettore che consentiva lo sparo a raffica, una Machine Pistole 44, sempre tedesca, con impugnatura in legno, cal. 8 curz, parecchie bombe a mano di fabbricazione italiana, una baionetta tedesca, qualche rotolo di miccia proveniente dal Carso, cartucce per fucile tedesco Mauser ancora sui loro nastri.

Questi incontri avvennero a distanza di tempo, tra la fine degli anni 60 e comunque dopo gli incontri al casolare ed il 1970-1971 e cioè più o meno il periodo in cui il dottor MAGGI mi mostrò le mine anticarro.

Eravamo presenti appunto io, ZORZI e MAGGI, qualche volta Marcello SOFFIATI, il quale aveva anche l'incarico di riferire a MINETTO l'andamento di queste cessioni ed una volta vidi anche il fratello di ZORZI, che era un giovane biondo, alto, di corporatura atletica e di bell’aspetto. Era presente anche perchè Delfo ZORZI non aveva la patente.

Era poi ZORZI a portare via il materiale dopo che io l'avevo esaminato.

Ricordo che una volta venne MINETTO a Mestre e ci avvisò del fatto che alcune bombe a mano che avevamo ricevuto potevano essere pericolose perchè avariate. Avvisò separatamente sia me che MAGGI ed io confermai a MAGGI del pericolo, poichè MINETTO, giustamente, mi aveva fatto rilevare che c'erano problemi collegati all'invecchiamento dell'innesco e bastava una scossa per fare esplodere tutto""".

(DIGILIO, int. 30.8.1996, ff.2-3).

Dopo aver tratteggiato in modo più approfondito il ruolo degli esponenti principali della struttura, DIGILIO ha rievocato una delle più antiche azioni informative cui aveva partecipato, collegata al furto di una ingente quantità di esplosivo avvenuto a Boscochiesanuova, vicino a Verona:

"""Questo episodio, di cui ho parlato nei miei primi interrogatori, avvenne poco tempo dopo la morte di mio padre e in pratica agli inizi della mia attività come informatore per la C.I.A.

Il furto era stato di una tonnellata di esplosivo, sia tritolo sia gelignite, in danno di una ditta di sbancamento per la costruzione di strade.

Il fatto aveva impensierito gli americani che nella zona avevano le loro basi e temevano quindi che potesse essere usato per attentati contro di loro ad opera di elementi di estrema sinistra.

Fu RICHARDS a investire MINETTO dell'incarico di svolgere indagini per scoprire gli autori del furto e MINETTO investì a sua volta me e SOFFIATI.

Preciso che all'epoca RICHARDS non era ancora mio superiore in quanto io dipendevo dal CARRET.

Svolgemmo un'ampia attività informativa tramite l'ambiente di destra di Verona e la nostra attività ebbe successo in quanto si scoprì che il furto era avvenuto per motivi di lucro ad opera di malavitosi comuni dell'ambiente veneto.

Emerse tuttavia una circostanza abbastanza stupefacente e cioè che parte dell'esplosivo era giunta addirittura all'isola di Cipro e precisamente al gruppo EOKA del famoso generale GRIVAS che era un combattente assai noto all'epoca.

Ricordo che del furto parlarono all'epoca i giornali locali tipo l'Arena o il Gazzettino.

Comunque quando fu accertato, grazie alla nostra rete informativa, che l'esplosivo non era finito in mano ai comunisti, gli americani si tranquillizzarono e non mi risulta che la vicenda abbia avuto un seguito giudiziario""".

(DIGILIO, int. 21.1.1996, f.5).

Carlo DIGILIO aveva anche partecipato, invitato dal capitano CARRET, all’esercitazione denominata DELFINO ATTIVO o DELFINO SVEGLIO:

"""Questo tipo di operazione fu iniziata da CARRET, che l'aveva ideata, e poi passò a RICHARDS per la prosecuzione.

Ricordo infatti che una volta CARRET riprese RICHARDS in quanto secondo lui non l'aveva sviluppata bene e CARRET ci teneva perchè era una sua creatura.

Si trattava in sostanza di un'operazione militare che si svolse nell'alto Adriatico e che partiva dall'Arsenale del Porto di Venezia.

Delle piccole navi americane, di quelle con i portelloni per gli sbarchi e Fregate o Corvette italiane lanciavano dalla poppa dei cavi con una specie di sonar, cioè dei congegni in grado di ricevere e anche trasmettere dei segnali radio sia al fine di controllare i fondali sia al fine di valutare la reattività delle Forze militari italiani difensive in caso di attacchi sottomarini.

Io partecipai ad una di queste operazioni insieme al capitano CARRET e perciò mi resi conto di come funzionava il meccanismo.

Vi parteciparono anche BANDOLI e SOFFIATI""".

(DIGILIO, int. 5.1.1996, ff.4-5).

All’operazione DELFINO ATTIVO avevano partecipato anche militari greci, inquadrati dagli americani (int. DIGILIO, 30.12.1997, f.3).

Se in tali casi si era trattato di azioni difensive e preventive o di carattere prettamente strategico delle strutture militari americane presenti nel nostro Paese in base ad accordi internazionali (e quindi di azioni informative o militari di per sè non censurabili), di ben diversa valenza e rilievo, anche sul piano penale, è quanto DIGILIO ha riferito in merito all’intervento della struttura, diretto o indiretto e comunque tramite suoi responsabili, nelle fasi preparatorie degli attentati o comunque, come nel caso della permanenza a Verona dell’avv. Gabriele FORZIATI, allorchè si era trattato di scongiurare che le indagini in merito ad episodi eversivi giungessero a buon fine e la struttura occulta di Ordine Nuovo venisse così individuata e smantellata.

Infatti:

- Con riferimento all’attentato all’Ufficio Istruzione di Milano del 23.7.1969, uno dei primi della campagna terroristica, in occasione del quale l’ordigno a base di gelignite non era esploso solo per un difetto dell’innesco, il capitano CARRET, incontrando a Venezia Carlo DIGILIO prima dell’attentato, lo aveva avvisato che la struttura americana era già informata, grazie a notizie acquisite presso il centro romano di Ordine Nuovo, che tale attentato era in preparazione e che sarebbe stato attuato dal gruppo veneto (int. DIGILIO, 14.12.1996, f.2).

Il capitano CARRET, invece di impedire la realizzazione di tale attentato e di informare le nostre Autorità, come sarebbe stato dovere di un Servizio di Sicurezza di un Paese alleato, si era limitato, nell’occasione, a raccomandare a DIGILIO di ridurre la potenzialità dell’azione, riducendo l’attentato ad un’azione intimidatoria (int. citato, f.2) senza che l’ordigno esplodesse.

DIGILIO si era comportato come gli era stato raccomandato, riducendo notevolmente, quando Giovanni VENTURA gli aveva portato l’ordigno, la quantità di esplosivo e non approntando a dovere l’innesco; contribuendo così al suo mancato funzionamento e al fallimento dell’attentato (int. citato, f.4).

Il capitano CARRET si era in seguito congratulato con DIGILIO per il suo lavoro ricordando che la struttura vedeva di buon occhio azioni dimostrative, ma non accettava massacri indiscriminati (int. citato, f.4).

- Il prof,. Lino FRANCO non solo aveva inviato DIGILIO al casolare di Paese una prima volta per verificare le caratteristiche del deposito, ma lo aveva accompagnato nel secondo accesso, insegnando a VENTURA e ZORZI come preparare gli inneschi per azioni dimostrative mentre già erano in fase di ultimazione, nel casolare, grazie al lavoro di POZZAN, le scatolette di legno che sarebbero state utilizzate per deporre l’esplosivo sui dieci convogli ferroviari (int. DIGILIO, 20.8.1996, f.3).

- Sempre con riferimento agli attentati ai treni, Carlo DIGILIO aveva direttamente riferito al capitano CARRET, durante uno degli incontri periodici a Venezia, quanto era avvenuto in occasione del suo terzo accesso al casolare, e cioè quando il piano per l’esecuzione dei dieci attentati era praticamente definito e i compiti erano stati divisi.

Tale incontro con il capitano CARRET aveva comunque avuto luogo ad attentati già avvenuti (int. DIGILIO, 17.5.1997, f.10).

- Il capitano CARRET era stato invece informato da Carlo DIGILIO, e questo è certamente il profilo più grave e significativo, degli attentati del 12.12.1969 con qualche giorno di anticipo e le notizie recepite da Carlo DIGILIO tramite il dr. MAGGI in merito all’imminenza della nuova fase della strategia terroristica erano risultate in perfetta corrispondenza con gli elementi che l’ufficiale andava ricevendo certamente dalla struttura centrale di Roma:

"""Confermo innanzitutto che MAGGI mi parlò del fatto che vi sarebbero stati grossi attentati, che bisognava aspettarsi perquisizioni nel nostro ambito e che vi sarebbe probabilmente stata anche una grossa reazione da parte delle forse di sinistra.

Di conseguenza i militanti conosciuti dalla Polizia dovevano liberarsi in fretta di ogni materiale compromettente che avevano in casa.

Qualche giorno dopo, e quindi pochissimi giorni prima degli attentati, ebbi un incontro con il capitano CARRET dinanzi al Palazzo Ducale.

Era uno dei nostri incontri consuetudinari, che avvenivano ogni 15 giorni circa e in cui facevamo il punto della situazione.

Si trattava, in questo caso, di un incontro già fissato al termine dell'incontro precedente.

Altre volte invece, se l'incontro non era programmato, CARRET, come ho già detto, mi faceva recapitare un bigliettino nella mia casella postale a Sant'Elena.

Io riferii a CARRET quanto mi aveva detto MAGGI, facendone anche il nome, e percepii che la struttura di CARRET aveva già le antenne alzate e si aspettava qualcosa e del resto CARRET stesso mi confermò che sapeva benissimo che la destra in quel periodo stava preparando qualcosa di grosso nella direzione di una presa di potere da parte delle forze militari.

CARRET mi chiese di raccogliere e riferire tutte le informazioni possibili in merito a quanto stava per avvenire.

Io sto rispondendo nello specifico alle domande, ma è ovvio che proprio la natura del rapporto che coltivavo con CARRET mi conduceva automaticamente nel corso di ogni incontro a riferirgli tutte le informazioni che andavo attingendo nell'ambito di Ordine Nuovo e delle destra in genere""".

(DIGILIO, int. 5.3.1997, f.2).

Non nell’immediatezza degli attentati, ma comunque non a molta distanza di tempo da essi, nei giorni prossimi all’Epifania del 1970, DIGILIO aveva nuovamente incontrato il capitano CARRET a Venezia nel solito luogo di appuntamento:

"""Rividi CARRET il giorno dopo l'Epifania e quindi dopo l'incontro con MAGGI e SOFFIATI, nei giorni di Natale, allo Scalinetto.

Io gli riferii gli altri particolari che avevo acquisito e in particolare che il dr. MAGGI aveva consentito imprudentemente l'uso della sua autovettura e CARRET mi disse che, nonostante non ci fosse stata quella sterzata a destra che si pensava, la situazione era comunque sotto controllo e, nonostante la reazione delle sinistre, l'ambiente di Ordine Nuovo non sarebbe stato toccato dalle indagini""".

(DIGILIO, int. 5.3.1997, f.3).

Il capitano CARRET non si era quindi mostrato molto preoccupato ed anzi aveva confermato a DIGILIO l’esattezza e la pertinenza dei commenti del dr. MAGGI, secondo il quale la presa del potere non vi era stata per i tentennamenti del Presidente del Consiglio che non aveva dichiarato lo stato di emergenza e non si era adoperato per lo scioglimento delle Camere, come invece avrebbero voluto i socialdemocratici molto vicini agli americani:

"""...il capitano CARRET mi confermò che quello era stato il progetto, ben visto anche dagli americani, e che era fallito per i tentennamenti di alcuni democristiani come RUMOR.

Mi spiegò anche che nei giorni successivi alla strage le navi militari sia italiane sia americane avevano avuto l'ordine di uscire dai porti perchè, in caso di manifestazioni o scontri diffusi, ancorate nei porti potevano essere più facilmente colpite.

Anche con Sergio MINETTO, a casa di Bruno SOFFIATI, vi furono da parte di quest'ultimo commenti simili prima ancora dei colloqui che ebbi con CARRET""".

(DIGILIO, int. 21.2.1997).

Carlo DIGILIO, nell’incontro avvenuto nei giorni dell’Epifania, aveva comunque raccontato "tutto a CARRET, compreso il nome di ZORZI e la tipologia degli ordigni che (ZORZI) aveva fatto vedere" (int. 17.5.1997 ff.10-11) e cioè le cassette metalliche con l’esplosivo all’interno visionate da DIGILIO pochissimi giorni prima degli attentati.

Il laconico commento dell’Ufficiale era stato che "l’Italia era su un sentiero di spine" (int. citato f.11).

- Durante la permanenza dell’avv. Gabriele FORZIATI, prima a Colognola e poi in Via Stella a Verona, finalizzata ad allontanare il rischio che lo spaventato avvocato testimoniasse dinanzi all’Autorità Giudiziaria e quindi che le indagini sull’attentato alla Scuola Slovena travolgessero, con un effetto a domino, l’intera struttura occulta di Ordine Nuovo, Sergio MINETTO aveva svolto un’attività di attenta supervisione utilizzando ancora una volta Carlo DIGILIO in funzione di controllo degli avvenimenti e recandosi egli stesso, alcune volte, nell’appartamento, pur evitando di farsi notare da FORZIATI (int. DIGILIO, 31.1.1996, f.2; 13.7.1997, f.6).

- Ancora più grave era stato l’intervento di Sergio MINETTO, allorchè Gianfranco BERTOLI era stato ospitato nell’appartamento di Via Stella per addestrarlo psicologicamente e materialmente.

Infatti Sergio MINETTO era stato informato dal dr. MAGGI qualche tempo prima, durante un incontro a Colognola, dell’intenzione da parte del gruppo ordinovista di utilizzare, al posto di Vincenzo VINCIGUERRA, un’altra persona per portare a termine il progetto contro l’on. Mariano RUMOR (int. DIGILIO, 12.10.1996, f.4).

Sergio MINETTO era poi stato messo al corrente dell’arrivo di Gianfranco BERTOLI in Via Stella e aveva fatto in modo di aiutarlo economicamente, tramite denaro proveniente dalla struttura americana, e molto probabilmente aveva anche fornito la bomba a mano tipo ananas che Gianfranco BERTOLI doveva imparare a usare (int. citato, f.5).

- Anche in riferimento al progetto di attentato a Brescia Sergio MINETTO era stato informato qualche giorno prima dal dr. MAGGI, durante un incontro a Colognola ai Colli cui erano presenti anche Bruno e Marcello SOFFIATI (int. DIGILIO, 19.4.1996, f.3).

Si ricordi del resto che Sergio MINETTO, secondo la testimonianza di Dario PERSIC, si era recato a Brescia il giorno prima della strage di Piazza della Loggia, forse con un ruolo di "controllo" e verifica degli avvenimenti (dep. Dario PERSIC a personale del R.O.S., 8.2.1995, f.4).

Tutti questi comportamenti, che superano di gran lunga una semplice attività informativa e si configurano come la sostanziale condivisione di una strategia, si spiegano, secondo il racconto di Carlo DIGILIO, con una scelta appunto strategica del dr. Carlo Maria MAGGI certamente in sintonia con le scelte dei massimi vertici romani di Ordine Nuovo.

Il dr. MAGGI, pur non entrando direttamente a far parte della struttura americana, aveva infatti dato la propria disponibilità ad informare tale struttura dei progetti più importanti di Ordine Nuovo e tale canale di informazione era reso possibile e, per così dire, "istituzionalizzato" dai rapporti strettissimi che egli aveva allacciato, tramite la famiglia SOFFIATI, con Sergio MINETTO (int. DIGILIO, 19.4.1996, ff.2-3).

Le ragioni sottintese ad una simile scelta, in ipotesi anche pericolosa, sono probabilmente da ricollegarsi alle condizioni oggettive in cui la struttura di Ordine Nuovo operava negli anni ‘70 e soprattutto nella prima metà di tale decennio.

Ordine Nuovo, così come le altre organizzazioni di estrema destra, non potendo raggiungere i propri obiettivi con le sue sole forze, poteva agire da detonatore scatenante di una certa situazione pre-golpista che tuttavia doveva necessariamente essere presa in mano da altri, fossero essi ambienti militari interni o strutture di sicurezza di Paesi alleati sicuramente anticomunisti, per giungere ad una concretizzazione.

Ovviamente una strategia del genere, necessaria per una organizzazione come Ordine Nuovo militarmente efficiente ma non estesa e formata da pochi elementi selezionati, comportava un’informazione anticipata ai "cobelligeranti" delle linee operative essenziali e dei momenti che avrebbero dovuto fungere da innesco di risposte istituzionali.

Non è del resto un caso che tale elaborata strategia sembri essersi rarefatta a partire dalla metà degli anni ‘70 quando, mutato il clima istituzionale ed europeo, in particolare con la caduta dei regimi di destra in Spagna, Portogallo e Grecia, una reazione apertamente autoritaria era divenuta per l’Italia anacronistica ed improponibile.

Passando brevemente ad altre operazioni, la struttura coordinata da Sergio MINETTO si era anche impegnata nel tentativo di acquisire informazioni sul luogo ove fosse custodito il generale James Lee DOZIER, rapito dalla Brigate Rosse nel 1981:

"""Come ho già accennato nell'interrogatorio in data 20.1.1996, l'intera rete fu attivata in occasione del rapimento del generale DOZIER con la finalità di acquisire notizie sul luogo ove il generale veniva tenuto sequestrato dagli elementi delle Brigate Rosse.

Tale attività era coordinata da Sergio MINETTO.

Vi fu una riunione di coordinamento a Colognola e un'altra a Verona, in Via Stella, e alle ricerche parteciparono militari americani di Verona e Vicenza con auto civili e furono mobilitate tutte le persone possibili, soprattutto quelle che conoscevano bene i paesetti nella zona di Verona.

Ad esempio SOFFIATI utilizzò per questa attività anche Dario PERSIC che, facendo il camionista, conosceva bene la zona, aveva facilità a muoversi e conosceva meglio i casolari della zona.

La speranza era quella di individuare il luogo ove appunto DOZIER era sequestrato o acquisire comunque notizie in qualche paesino che potessero riferirsi a qualcosa di strano che fosse stato notato.

Tuttavia il generale DOZIER fu liberato non per diretto intervento della nostra rete, ma grazie all'attività delle Forze dell'Ordine italiane che riuscirono a individuare e a "comprare" una persona vicina ai sequestratori, mi sembra un brigatista proprio di Mestre.

Io feci anche qualche tentativo di acquisire notizie presso l'ambiente universitario di Venezia in cui c'era una forte presenza di estrema sinistra""".

(DIGILIO, int. 13.7.1996, f.4).

L’attività nella struttura informativa dipendente dal Comando FTASE di Verona era "spendibile" anche all’estero ed infatti Carlo DIGILIO, trovandosi in difficoltà, si era presentato al Consolato degli Stati Uniti a Santo Domingo spiegando quale era stato il suo ruolo in Italia ed utilizzando come garanzia il nome di Sergio MINETTO:

"""L'Ufficio mi dà lettura di quanto ho dichiarato in data 12.11.1994 in relazione alla mia richiesta di essere aiutato dall'Autorità Consolare degli Stati Uniti d'America a Santo Domingo indicando alla stessa quale era stata la mia attività in Italia.

In relazione a tali circostanze, confermo che diedi all'ufficiale del Consolato il nome di Sergio MINETTO, come quest'ultimo mi aveva autorizzato a fare quando ci vedemmo per l'ultima volta a Verona.

Nel verbale del 12.11.1994 io lo indico come "l'agente" in quanto nel corso di quell'interrogatorio non avevo ancora voluto indicare al Suo Ufficio il nome di MINETTO, cosa che poi feci a personale della Digos di Venezia, che mi ritraduceva a Venezia al termine dell'interrogatorio.

Faccio presente che al Consolato americano mi fu sufficiente fare il nome di Sergio MINETTO e non ebbi bisogno di fornire i nomi di altri componenti della "rete" nè italiani nè statunitensi.

Relazionai sinteticamente all'ufficiale quale era stata la mia attività di informatore per gli americani in Italia.

Come ho già detto, l'attività che mi era stata proposta fu quella di verificare i fuoriusciti cubani a Santo Domingo, di ottenere da loro informazioni sulla situazione cubana e cercare di scoprire se fra essi vi fossero agenti castristri.

Tale attività tuttavia non iniziò nemmeno perchè qualche settimana dopo fui arrestato dalla Polizia dominicana""".

(DIGILIO, int. 26.3.1997, f.5).

Concludendo con un aspetto minore, ma concreto, l’attività in favore degli americani non era infine a titolo gratuito e Carlo DIGILIO ha spiegato quali fossero i compensi, non eccessivi ma comunque gratificanti, tenuto conto dei valori di acquisto dell’epoca:

"""Il compenso che (il capitano CARRET) mi dava, che era in Lire italiane e che teneva conto delle eventuali spese di spostamenti e delle condizioni in cui versava la mia famiglia dopo la morte di mio padre, non era fisso, ma comunque si aggirava sulle 300.000 che ricevevo circa ogni mese; all'epoca si trattava di una somma discreta.

SOFFIATI veniva invece pagato in dollari e la somma era un po' superiore alla mia, circa 400 dollari, che riceveva credo quasi sempre da John BANDOLI.

Del resto SOFFIATI aveva un ruolo di agente stabile.

Inoltre io facevo parte di un settore informativo, mentre SOFFIATI di un settore operativo che comportava un coinvolgimento e dei rischi maggiori""".

(DIGILIO, int. 21.2.1997).

44

LA MISSIONE DI CARLO DIGILIO IN SPAGNA

PRESSO L’ING. ELIODORO POMAR

PER CONTO DELLA

STRUTTURA INFORMATIVA STATUNITENSE

La missione di Carlo DIGILIO a Madrid presso l’ing. Eliodoro POMAR per conto della struttura informativa statunitense costituisce, almeno per il momento, l’unica operazione all’estero emersa con tutti i particolari nel corso delle indagini.

E’ necessario premettere che l’ing. POMAR, già in servizio con incarichi di rilievo presso il Centro EURATOM di Ispra, era stato coinvolto all’inizio degli anni ‘70, in quanto dirigente del Fronte Nazionale di Junio Valerio BORGHESE, nelle indagini relative al tentativo di colpo di Stato del 7/8 dicembre 1970.

Era tuttavia riuscito a fuggire in Spagna, entrando in contatto a Madrid con i militanti di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale che man mano raggiungevano tale Paese a seguito dello sviluppo della varie inchieste giudiziarie.

Nel febbraio del 1977, circa due anni dopo la morte del generale FRANCO, quando ormai era venuta meno una parte delle protezioni di cui i latitanti godevano, l’ing. POMAR era stato arrestato insieme ad altri camerati fra cui MASSAGRANDE, BENVENUTO, Salvatore FRANCIA, ZAFFONI, ROGNONI e POZZAN, questi ultimi due successivamente estradati in Italia.

Eliodoro POMAR veniva accusato di aver personalmente diretto il laboratorio per la manutenzione e la fabbricazione di armi scoperto dalla Polizia in Calle Pelayo, ma riusciva comunque ad ottenere la libertà provvisoria nel giro di poco tempo.

Sino alla collaborazione di Carlo DIGILIO, comunque, nessuno aveva mai parlato della missione dello stesso DIGILIO a Madrid nel 1975, quando l’attività di POMAR stava iniziando, nè tantomeno del suo significato e di coloro che l’avevano commissionata.

Sulla fase preparatoria di tale missione e sull’incontro con SPIAZZI prima della partenza, si veda, più avanti, quanto esposto nel capitolo 71, mentre questo è il racconto, contenuto nell’interrogatorio del 9.5.1994, dell’arrivo a Madrid di DIGILIO:

"""Mi recai comunque in Spagna con il compito di contattare Eliodoro POMAR, che al tempo risiedeva a Madrid credo in quanto latitante in relazione al processo per il golpe Borghese.

Si trattava di un incarico che discendeva dalla CIA e che precedentemente era stato affidato a Marcello SOFFIATI.

Il senso dell'incarico era quello di avere notizie sui movimenti e sulle attività di Eliodoro POMAR, che era un importante fisico nucleare ed era un profondo conoscitore delle centrali termo-nucleari ed era già stato responsabile, in Italia, del Centro EURATOM di Ispra.

POMAR aveva fornito la disponibilità di strutture pertinenti a tale Centro nel 1970 per ricoverare armi pesanti tipo mitragliatrici in ordine al progetto di golpe del 1970.

Si trattava di armi che venivano dall'estero, probabilmente dal Belgio, nell'ambito dell'Alleanza Atlantica.

POMAR era molto stimato come fisico nucleare ed erano giunte addirittura notizie secondo cui egli poteva essere "acquistato" da strutture di Paesi dell'Est per utilizzarne le capacità.

Del resto in quel momento a Madrid egli non versava in buone condizioni economiche e conosceva persone anch'esse esuli in Spagna ma comunque sempre di Paesi dell'Est e poteva darsi che qualcuno di questi, in contatto in realtà con il proprio governo, gli avanzasse qualche proposta.

In sostanza si temeva che potesse passare al campo comunista.

Marcello SOFFIATI, che pure si era recato varie volte in Spagna, preferì affidare a me tale incarico in quanto egli aveva una scarsa conoscenza dei problemi tecnici e sapeva poco di armi, settore di cui in quel momento POMAR si stava occupando.

Andai quindi io, in pratica, al suo posto.

Feci il viaggio da solo in treno e sia per il biglietto sia per l'ordinario mantenimento ebbi una somma da SOFFIATI.

Il contatto che avevo a Madrid, tramite SOFFIATI, era tale Mariano SANCHEZ COVISA, ex combattente delle camice azzurre franchiste, responsabile di una piccola organizzazione denominata "Guerriglieri di Cristo Re".

Incontrai COVISA a Madrid e tramite lui presi alloggio in una pensione del centro.

Posso precisare che questo COVISA era in contatto con i Servizi Speciali spagnoli.

Riuscimmo, dopo qualche difficoltà, a incontrare l'ingegnere POMAR che abitava non lontano dal Paseo de Florida, prossima alla "Stazione del norte" cioè una stazione ferroviaria diversa dalla stazione centrale di Madrid.

Per parlare con POMAR io utilizzai la presentazione di Covisa ed il pretesto di essere interessato alla fabbricazione di un modello di mitraglietta che per quei tempi era considerato molto avanzato.

POMAR infatti, in un suo laboratorio, aveva realizzato o stava realizzando un progetto di mitraglietta che assomigliava ad un'Ingram e che aveva il caricatore inseribile nell'impugnatura.

Questo progetto derivava da alcuni disegni del colonnello SPIAZZI che si erano diffusi nell'ambiente e che SPIAZZI si lamentava che tale idea gli fosse stata in qualche modo rubata.

Era stato SOFFIATI a suggerirmi di usare questo discorso dell'arma come punto di contatto con POMAR e come modo per avvicinarlo.

Io mi presentai a POMAR, ovviamente, come militante di destra dell'area veneta amico di SOFFIATI e interessato a sapere quali fossero gli sviluppi della produzione di quest'arma.

POMAR fu molto disponibile dopo avere saggiato le mie buone conoscenze tecniche.

Mi condusse nel suo laboratorio che era al primo piano di un edificio dove aveva sede anche un convento di monache.

Questi locali gli erano stati affittati tramite SANCHEZ COVISA.

POMAR mi disse che i lavori andavano a rilento in quanto mancava la materia prima come le canne e gli otturatori tanto che egli stava addirittura pensando di cedere il progetto ad altri in grado di realizzarlo come i croati che pure avevano una base in Spagna.

Mi fece vedere l'attrezzatura e in particolare un tornio, una piccola fresa, un trapano verticale e una grossa taglierina per lamiere, una saldatrice elettrica.

Mi accorsi comunque che l'intera struttura non era operativa per la fabbricazione di armi anche perchè l'impianto elettrico non poteva sostenere il lavoro contemporaneo di più macchinari.

D'altronde c'erano delle lamiere sagomate e non saldate, quelle che in gergo tecnico si chiamano le casse dell'arma.

Alla fine capii che il progetto dell'arma era stato ceduto da POMAR ai Servizi Speciali spagnoli e che anche in cambio le Autorità spagnole gli avevano dato del denaro ed un lavoro garantito presso una centrale nucleare spagnola.

D'altronde l’arma era già stata realizzata altrove grazie a tecnici reperiti dal COVISA e quest'ultimo mi confermò che un buon posto di lavoro era stato comunque trovato a POMAR in modo confacente alle sue capacità.

D'altro canto era il periodo in cui in Spagna stava appunto iniziando l'apprestamento di centrali nucleari. A questo punto la mia missione informativa aveva avuto esito positivo.

D'altronde nel centro di Madrid la zona tra Placa del Sol e Placa de Espana incontrai ROGNONI il quale, avendomi già conosciuto a Venezia, mi riconobbe e mi chiese se ero lì per POMAR. Alla mia risposta cautamente positiva, mi disse che stavo perdendo il mio tempo in quanto POMAR aveva già venduto il progetto ai Servizi spagnoli e tale conferma fu per me conclusiva in merito alle notizie che dovevo assumere.

Vicino a casa di POMAR mi fermò una persona che personalmente non conoscevo e che mi si presentò come CONCUTELLI. Evidentemente mi aveva visto insieme a POMAR e mi chiese se ero venuto per parlare appunto con POMAR.

Io gli risposi di sì ed egli mi fece delle dissertazioni sulla fabbricazione della famosa arma e in genere sulle armi. Io a un certo punto mi sganciai usando come scusa il fatto che dovevo andare a telefonare a mia moglie.

Ci salutammo e la cosa finì lì.

In quei giorni, a Placa de Espana, dove c'erano anche dei telefoni pubblici inaugurati da poco, vidi insieme all'ingegnere POMAR un altro italiano che egli stesso mi presentò.

POMAR mi disse poi che si trattava di Elio MASSAGRANDE di Verona.

In quei giorni c'erano a Madrid molti italiani presenti alla commemorazione in onore del generale FRANCO.

Ritengo di non avere conosciuto personalmente Vincenzo VINCIGUERRA, ma non escludo che questi mi abbia visto durante qualcuna delle cerimonie o delle manifestazioni di quei giorni.

Sicuramente vidi DELLE CHIAIE, credo in Placa del Sol, mentre egli stava in un capannello con varie persone.

Mi avvicinò a mi chiese se ero un italiano e se per caso, come altri, ero latitante.

Io gli risposi evasivamente che ero a Madrid per le cerimonie in onore di FRANCO, ma anche per un viaggio di piacere in compagnia di mia moglie.

D'altro canto l'ingegnere POMAR mi aveva messo sull'avviso in merito all'opportunità di evitare DELLE CHIAIE che cercava di conglobare italiani presenti a Madrid.

Rimasi a Madrid in tutto per otto o dieci giorni, tornando poi in treno in Italia.

Mi sganciai da POMAR adducendo motivi di famiglia ed in particolare dissi che mia madre stava male.

Giunto in Italia preparai una relazione scritta e la consegnai a SOFFIATI andando da lui a Verona.

Ho avuto la sensazione che il contenuto di tale relazione non sia pervenuto solo al Comando di Verona o comunque ai referenti a cui era diretto, ma che vi siano state delle fughe di notizie nell'ambiente della destra imputabili allo stesso SOFFIATI e che la notizia del mio viaggio a Madrid si fosse quindi diffusa""".

(DIGILIO, int. 9.5.1994, f.2).

Non molto tempo dopo tale racconto di Carlo DIGILIO, Eliodoro POMAR, in occasione di un suo breve rientro in Italia, è stato rintracciato nell’abitazione di cui ancora dispone a Varese e sentito in qualità di testimone il 9.9.1994 al fine di verificare quanto narrato dal collaboratore.

La testimonianza di POMAR è un vero capolavoro di reticenza in quanto egli ha negato di aver mai conosciuto e ospitato DIGILIO o comunque un militante veneziano e addirittura di aver mai allestito un’officina per la fabbricazione di mitragliette, limitandosi ad ammettere di aver frequentato occasionalmente, a Madrid, Giancarlo ROGNONI e Stefano DELLE CHIAIE.

Carlo DIGILIO, comunque, risentito sulle circostanze della sua missione in Spagna, non ha avuto difficoltà a stroncare il tentativo di POMAR di screditare il suo racconto, descrivendo con precisione l’appartamento ove l’ingegnere abitava a Madrid, con Maria MASCETTI, in Paseo de Florida, descrivendo le abitudini di vita della coppia e riconoscendo senza alcuna esitazione l’ing. POMAR in fotografia (int. 20.9.1994, ff.1-4).

Carlo DIGILIO ha anche descritto minuziosamente l’officina ove l’ing. POMAR aveva avviato la lavorazione dei pezzi, precisando che l’ingegnere, che non aveva una grande esperienza in materia di armi, gli aveva chiesto di aiutarlo a migliorare il sistema di scatto dell’arma che, insieme all’otturatore collocato direttamente sopra la canna per ridurre l’alzamento del tiro, costituiva uno dei punti di novità dell’arma (int. citato, f.2).

Parlando sia con l’ingegnere sia con Giancarlo ROGNONI, Carlo DIGILIO aveva anche appreso una circostanza importante in relazione al significato della sua missione e cioè che il progetto della mitraglietta era stato ceduto non solo agli ustascia, ma anche ai servizi segreti spagnoli, evidentemente in cambio della protezione accordata, in quanto un’arma molto efficiente, ma priva del marchio di fabbrica e del numero di matricola, era lo strumento ideale per l’utilizzo in operazioni "coperte" (int. citato, f.3).

Inoltre, una nutrita serie di altre testimonianze, dirette o indirette, ha confermato la presenza di Carlo DIGILIO a Madrid e i suoi contatti con l’ing. POMAR nel periodo in cui questi stava impiantando l’officina di Calle Pelayo (cfr., fra gli altri, dep. ZAFFONI, 22.12.1995, f.2; int. CALORE, 9.9.1995, ff.2-3; int. MALCANGI, 10.4.1996, f.3; e anche dep. Pietro BENVENUTO al G.I. di Bologna, 24.2.1986, f.3, e 17.3.1986, f.5 nell’ambito dell’istruttoria Italicus-bis) anche se nessuno, ovviamente era a conoscenza che la missione in Spagna di DIGILIO fosse stata commissionata da una struttura informativa d’oltreoceano.

Gli atti dell’Autorità Giudiziaria spagnola acquisiti alla presente istruttoria (cfr. documentazione allegata alla nota del R.O.S. in data 22.10.1994, vol.14, fasc.5) confermano inoltre il quadro delineato da Carlo DIGILIO e da tali atti si trae la sensazione che l’episodio sia stato trattato in Spagna con una certa benevolenza contestando a POMAR, MASSAGRANDE, BENVENUTO e agli altri solo ipotesi di reato non particolarmente gravi che hanno loro consentito, di lì a breve tempo, di usufruire di un’amnistia riguardante i reati politici.

Con riferimento a tale "benevolenza", Francesco ZAFFONI ha confermato, nella sua ultima testimonianza, che il Ministero della Difesa spagnolo, essendo compromesso nel progetto, si era fatto carico di "ridimensionare" la vicenda a livello giudiziario, evitando gravi conseguenze a POMAR e agli altri (dep. ZAFFONI, 5.1.1998, f.2).

Nel corso dei successivi interrogatori, dopo che aveva deciso di svelare il ruolo ricoperto nella struttura da Sergio MINETTO, Carlo DIGILIO ha precisato che era stato proprio MINETTO ad incaricarlo di recarsi a Madrid al posto di Marcello SOFFIATI (int. 26.3.1997, f.4).

Così, per la seconda volta, come in relazione agli accessi al casolare di Paese, Carlo DIGILIO, più adatto e affidabile, aveva sostituito Marcello SOFFIATI passando momentaneamente dal settore informativo al settore operativo della struttura cui faceva riferimento.

Carlo DIGILIO ha anche ricordato che Sergio MINETTO si era recato, negli anni precedenti, anche autonomamente in Spagna, e precisamente a Valencia dove si trovava la base dei croati, per trattare con loro la fornitura di aiuti che servivano al mantenimento della struttura guidata dalla figlia di Ante PAVELIC (int. DIGILIO, 5.5.1996, f.2, e 15.5.1996, f.2).

Con riferimento alla missione presso l’ing. POMAR, Carlo DIGILIO ha fornito un’altra notizia importante:

"""Posso aggiungere che Pomar mi aveva anche chiesto di poter visionare un lotto di armi che erano a Madrid nella disponibilità di un gruppo di oppositori portoghesi di destra che dovrebbe essere stato l'E.L.P.; questo gruppo aveva sede sia a Madrid sia in una località prossima al confine portoghese.

Era venuto anche a casa di Pomar un elemento portoghese di cui non ricordo il nome, ma che riconoscerei benissimo se lo vedessi in fotografia.

Pomar mi aveva chiesto di aiutarlo in questa attività di visione di armi in quanto ne avrebbe avuto un beneficio sia in termini economici che di prestigio.

Io non potevo rifiutare apertamente, ma non aveva nessuna intenzione di accettare un simile incarico. Quindi, dato che l'accesso a questo lotto di armi era imminente e doveva avvenire nel giro di pochissimi giorni, inventai una scusa dicendo che mia madre era ammalata e che pertanto dovevo partire immediatamente per l'Italia""".

(DIGILIO, int. 20.9.1994, f.4).

Al suo rientro in Italia, Carlo DIGILIO aveva appreso da Marcello SOFFIATI che effettivamente quella fornitura di armi per i portoghesi proveniva dagli americani, ma che aveva fatto comunque bene a non occuparsene non essendo tale attività ricompresa fra i compiti della sua missione (int. DIGILIO, 26.3.1997, f.4).

Tale circostanza è di rilevante interesse al fine di comprendere il quadro generale delle alleanze fra le diverse strutture, ufficiali e non, che, alla metà degli anni ‘70, erano stabilmente impegnate in tutti i Paesi nelle varie forme di guerra non ortodossa o comunque non dichiarata contro il pericolo comunista.

Come emerge infatti dagli atti di questa istruttoria (int. VINCIGUERRA, 9.3.1992, pag.17 del documento allegato, e rapporto del R.O.S. in data 23.7.1996 sulle attività dell’AGINTER PRESS nella guerra non ortodossa, vol.35, fasc.1, ff.103-104) e dalla stessa documentazione rinvenuta a Lisbona nel 1974 al momento dello smantellamento della sede dell’AGINTER PRESS, strettissimi erano i rapporti fra i terroristi dell’E.L.P. che si opponevano (organizzati sul modello dell’O.A.S.) con azioni clandestine al governo dei militari di sinistra in Portogallo e la struttura di GUERIN SERAC che si era ricostituita a Madrid dopo l’abbandono di Lisbona.

Gli uomini di GUERIN SERAC, molti dei quali peraltro erano portoghesi e di cui l’E.L.P. era quasi una creatura, curavano la propaganda in favore dell’E.L.P. e le trasmissioni radio dirette in Portogallo, attivate da basi spagnole prossime al confine portoghese.

I rifornimenti di armi all’E.L.P. da parte della C.I.A., cui fa riferimento Carlo DIGILIO, testimoniano quindi la contiguità anche operativa fra strutture ufficiali e strutture non ufficiali, come l’AGINTER PRESS, all’interno della medesima strategia, in un contesto in cui è probabilmente difficile distinguere l’azione dell’uno da quella dell’altro.

45

LE DICHIARAZIONI DI

DARIO PERSIC E BENITO ROSSI

L’ATTENTATO AL PALAZZO DELLA REGIONE DI TRENTO

DELL’11.4.1969

Sparsi in questa o in altre sezioni della presente ordinanza vi sono numerosi riferimenti alle dichiarazioni rese da Dario PERSIC e Benito ROSSI che costituiscono il più importante supporto testimoniale al racconto di Carlo DIGILIO in merito alla struttura informativa americana.

Focalizzando in sintesi il ruolo svolto da questi due personaggi, va ricordato in primo luogo che Dario PERSIC, di professione camionista, era un intimo amico di Marcello SOFFIATI, frequentava in modo abbastanza assiduo la trattoria di Colognola ai Colli ed era un simpatizzante di Ordine Nuovo più per motivi di ambiente che per un vero impegno politico.

Il suo contributo è stato particolarmente significativo per due ordini di ragioni.

In primo luogo egli, pur non avendo avuto parte attiva in singoli avvenimenti, aveva recepito moltissime notizie in merito al ruolo di ciascuno, sia sotto il profilo informativo sia sotto il profilo della militanza ordinovista ed era venuto a conoscenza di molti degli avvenimenti che si erano sviluppati intorno al gruppo di Colognola.

Era così venuto a sapere della detenzione delle armi e degli esplosivi da parte di Marcello SOFFIATI (materiale che in parte egli aveva anche custodito per qualche tempo per fare un piacere all’amico), della presenza a Colognola e a Verona dell’avv. Gabriele FORZIATI, del ruolo di Carlo DIGILIO nella riparazione delle armi, dei rapporti fra SOFFIATI e Marco AFFATIGATO.

Soprattutto, Dario PERSIC aveva conosciuto e visto più volte gli ufficiali americani, il capitano RICHARDS e il capitano CARRET, indicati da DIGILIO e aveva anche conosciuto bene Sergio MINETTO, potendo così testimoniarne gli stretti rapporti che lo legavano a Carlo DIGILIO e al dr. MAGGI, rapporti che inutilmente MINETTO ha cercato di negare.

Soprattutto di Sergio MINETTO aveva percepito, ed ha quindi potuto riferire nel corso delle varie deposizioni, i rapporti con i servizi segreti americani, collegando varie confidenze che aveva ricevuto e altre circostanze quale la frequentazione da parte di MINETTO e di Giovanni BANDOLI del PICCOLO HOTEL di Verona, punto di riferimento dei militari americani anche per incontri riservati.

Dario PERSIC aveva anche partecipato varie volte al rito del solstizio d’estate, di ispirazione nazista, che si teneva nei pressi della trattoria di Colognola e vedeva presenti e accomunati tutti gli esponenti dell’area, da DIGILIO al colonnello SPIAZZI, da Sergio MINETTO al dr. MAGGI (dep. 8.2.1995, ff.3-4).

La collaborazione di Dario PERSIC si è altresì concretizzata con la ricerca e la consegna a personale del R.O.S. di un gruppo di fotografie che ancora conservava e che ritraggono molti dei personaggi di Colognola, anche in situazioni conviviali, che ne testimoniano i rapporti (ad esempio gli stretti rapporti di Sergio MINETTO con Giovanni BANDOLI; dep. PERSIC, 18.4.1997, f.5) e soprattutto in una delle quali, scattata nell’abitazione di Giovanni BANDOLI nel 1972, è raffigurato il capitano David CARRET di cui, ovviamente, non era stato possibile acquisire alcuna fotografia nè i dati anagrafici completi presso alcuna struttura militare o di polizia.

Le fotografie prodotte da Dario PERSIC (contenute, anche con ingrandimenti effettuati dal G.I.S. Carabinieri, nel vol.21, fasc.7) sono state quindi di grande utilità per provare l’esistenza e il ruolo dell’ufficiale indicato da Carlo DIGILIO come responsabile per molti anni della struttura americana.

Dario PERSIC ha anche riferito di aver direttamente appreso, nell’immediatezza del fatto, da Marcello SOFFIATI che questi ed altri militanti della cellula di Bolzano avevano commesso l’attentato al Palazzo della Regione di Trento.

Dario PERSIC, che si trovava a Trento per ragioni di lavoro, era passato con Marcello SOFFIATI, a bordo dell’autovettura di quest’ultimo, dinanzi al luogo dell’attentato poche ore dopo la sua commissione e SOFFIATI, il quale aveva chiesto ironicamente ai poliziotti che delimitavano l’edificio cosa fosse avvenuto, aveva poi spiegato a PERSIC di esserne l’autore mostrandogli alcuni metri di miccia che ancora teneva occultata nel cofano (dep. 8.2.1995, f.1).

L’attentato si identifica con quello commesso in danno del Palazzo della Regione di Trento in data 11.4.1969 mediante la deposizione di un ordigno a base di gelatina o dinamite innescato appunto da una miccia a lenta combustione (cfr. nota della Digos di Trento in data 18.12.1996 e atti allegati, vol.8, fasc.6, ff.9 e ss.).

L’episodio è uno dei primi di quella catena di attentati che fra il 1969 e il 1971 hanno colpito la città di Trento e che, pur senza aver fortunatamente provocato vittime, si collocano nel quadro della strategia della tensione e in merito ai quali, nel corso delle indagini, erano emersi pesanti sospetti su elementi dell’estrema destra locale e su ufficiali dei Carabinieri nella qualità di "protettori" dei responsabili.

Anche Carlo DIGILIO, del resto, ha riferito che Marcello SOFFIATI si era reso responsabile di attentati dimostrativi contro edifici pubblici in Trentino al fine di creare confusione, su disposizione e direttiva del dr. MAGGI (int. 19.4.1996, f.2), mentre Martino SICILIANO ha ricordato di aver effettuato, proprio nell’inverno 1968/1969 alcuni sopralluoghi a Trento insieme a ZORZI, MOLIN e un camerata di Bolzano, a bordo dell’autovettura del dr. MAGGI, per studiare la possibilità di un attentato alla Facoltà di Sociologia o, in alternativa, contro il più facile obiettivo costituito dal Palazzo della Regione (int. 6.10.1995, f.5, e 5.12.1996, f.2).

Tali sopralluoghi erano quindi, con ogni probabilità, collegati al progetto di attentato che sarebbe poi, di lì a poco, stato concretamente attuato da Marcello SOFFIATI (int. 5.12.1996, f.3).

Benito ROSSI era stato indicato da Carlo DIGILIO come un agente informatore di Sergio MINETTO per la zona del Trentino-Alto Adige (cfr., fra gli altri, int. 9.11.1996, f.4; 15.3.1997, f.3; 13.4.1997, ff.1-2) e in particolare come elemento attivo, negli anni ‘60, nell’attività di contrasto del terrorismo alto-atesino, avendo partecipato con MINETTO e SOFFIATI ad esercitazioni ed addestramenti di italiani in funzione di prevenzione del terrorismo sud-tirolese e, grazie alle sue conoscenze del territorio (avendo fatto da guida ad italiani per passare clandestinamente i valichi con l’Austria), presente in azioni di controllo e disturbo delle attività degli irredentisti che avevano le loro basi in tale Paese.

Anche Dario PERSIC ha testimoniato che Benito ROSSI, sovente presente a Colognola, era inserito nella N.A.T.O. con funzione di fiduciario e informatore per tale Regione, notizie queste apprese in più occasioni da Bruno e da Marcello SOFFIATI (dep. 8.2.1995, f.2, e 7.4.1997, ff.2-3).

L’inserimento di Benito ROSSI, sempre secondo PERSIC, era di buon livello in quanto egli, a Verona, frequentava stabilmente il PICCOLO HOTEL, punto di riferimento dei militari americani, era in contatto con Comandanti americani anche di altre basi e, in ragione della sua attività di commerciante che lo aveva portato spesso all’estero, aveva dei contatti con elementi della N.A.T.O. anche in Francia (dep.7.4.1997, f.2).

Benito ROSSI, sentito una prima volta da personale del R.O.S. in data 30.5.1996, ha inizialmente negato ogni suo inserimento nell’attività politica del gruppo di Colognola, affermando di aver conosciuto Marcello SOFFIATI solo nell’ambito di normali attività commerciali (vol.23, fasc.8, f.2).

Successivamente però, Benito ROSSI, pur continuando a negare di essere stato reclutato da Sergio MINETTO nella rete informativa, ha accettato di fornire numerose informazioni sia sulla sua storia personale sia sull’attività del gruppo di Colognola che ha infine ammesso di aver frequentato con notevole assiduità.

Durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana, Benito ROSSI si era arruolato direttamente nelle forze tedesche entrando a far parte del corpo delle SS italiane, svolgendo compiti di addestramento con il grado di sergente e partecipando ad operazioni estremamente pericolose e rocambolesche, sino ad arrendersi, a Milano negli ultimi giorni dell’aprile 1945, con altri camerati, ad un Comando Partigiano non comunista ed avendo, così, salva la vita (dep. 17.7.1997, ff.1-2).

Tali circostanze spiegano sia il suo successivo "recupero" in funzione informativa da parte degli americani sia il fatto che in Trentino-Alto Adige gli siano stati anche affidati compiti di addestramento, analoghi a quelli che aveva svolto durante la guerra.

Dopo molte titubanze, Benito ROSSI si è risolto a riferire che tutto il gruppo di Colognola, da Bruno e Marcello SOFFIATI a Sergio MINETTO e Giovanni BANDOLI, faceva riferimento alle basi americane di Verona, che il PICCOLO HOTEL, frequentato soprattutto da MINETTO e BANDOLI, era base per riunioni riservate e che Marcello SOFFIATI con il suo camper, fingendosi un turista in viaggio con la famiglia, si recava in Spagna in realtà per trasportare armi (dep. a personale R.O.S. 12.3.1997, f.3; 12.4.1997. f.4; 21.5.1997, ff.1-2; a questo Ufficio 17.7.1997, ff.2-3).

Benito ROSSI, dimostrando di avere una buona conoscenza dei rapporti interni al gruppo (e certamente anche di conoscere più cose di quante ne abbia riferite), ha sottolineato che la rete informativa gravitante intorno a Colognola era formata, in ordine di importanza, da Giovanni BANDOLI, Bruno SOFFIATI, Sergio MINETTO e, per ultimo, da Marcello SOFFIATI (dep.21.5.1997, f.2), scala che corrisponde perfettamente alle complessive emergenze processuali.

Benito ROSSI, infine, pur affermando di aver avuto rapporti più saltuari con l’elemento proveniente da Venezia e certamente identificabile in Carlo DIGILIO, ha riferito che questi era l’esperto del gruppo nella riparazione delle armi (dep. 12.3.1997, f.2), particolare anche questo in perfetta sintonia con le restanti risultanze.

46

I RISCONTRI RELATIVI AL

CAPITANO MICHELANGELO DIGILIO

Carlo DIGILIO ha rivelato che suo padre Michelangelo, ufficiale della Guardia di Finanza, rientrando dalla Grecia in Italia mentre era in corso la guerra di Liberazione, aveva finto di aderire alla Repubblica Sociale Italiana passando, in realtà, informazioni ai partigiani "bianchi" della Brigata Biancotto di Venezia e partecipando con loro, negli ultimi giorni di guerra, alla liberazione della città e al disarmo della guarnigione tedesca.

Tale "doppio gioco" era già iniziato in Grecia quando il tenente DIGILIO, di stanza a Creta durante il periodo dell’attacco tedesco all’Isola, aveva agevolato, tramite agenti greci, il recupero e il salvataggio dei militari inglesi da parte dei sommergibili alleati.

Già in contatto anche con l’O.S.S. durante la guerra, il tenente DIGILIO era divenuto, alle fine delle ostilità, dipendente della struttura informativa americana della base F.T.A.S.E. di Verona, assumendo il nome in codice ERODOTO in ricordo della sua attività svolta in Grecia.

Al momento della morte di Michelangelo DIGILIO, avvenuta all’inizio del 1967 in un incidente stradale, il figlio Carlo, che già era stato presentato ai responsabili della struttura americana, gli era subentrato quale componente della rete informativa.

Un primo riscontro in merito alla genesi del rapporto di Carlo DIGILIO con la struttura informativa è giunto dalla deposizione di Giovanni TORTA che, all’inizio degli anni ‘80, nella sua qualità di armiere, aveva fornito molte armi a Carlo DIGILIO, destinate ad essere cedute in parte a Gilberto CAVALLINI.

Giovanni TORTA ha infatti dichiarato che, entrato in confidenza con DIGILIO nel corso di tale attività, questi gli aveva, seppur laconicamente, rivelato di essere un "antenna" della C.I.A. a Verona e che anche suo padre, benchè ufficiale della Guardia di Finanza, aveva in realtà lavorato per i servizi segreti (dep. TORTA a personale del R.O.S. in data 7.10.1995, f.1).

Si tratta di una confidenza (finalizzata, evidentemente, a rassicurare l’armiere TORTA in ordine al buon esito della loro attività illegale) sintetica ma significativa in quanto resa dieci anni prima che DIGILIO rivelasse all’Autorità Giudiziaria le medesime circostanze.

Il riscontro decisivo è tuttavia giunto dall’acquisizione, nell’aprile 1996, presso il Comando Generale della Guardia di Finanza, del fascicolo personale di Michelangelo DIGILIO (vol.21, fasc.8).

Da tale fascicolo (interamente analizzato nella nota del R.O.S. in data 3.4.1996, vol.21, fasc.9, ff.1 e ss.) risulta che Michelangelo DIGILIO non fu sottoposto ad epurazione, pur avendo apparentemente prestato giuramento alla R.S.I., in quanto aveva "svolto azione patriottica nel periodo cospirativo".

In particolare la relazione del Comandante partigiano Erminio LORENZI attesta che l’Ufficiale, sfidando continui pericoli sin dal settembre 1943, aveva fornito ai partigiani informazioni sui movimenti delle forze tedesche nel porto di Venezia, trafugando anche, in favore dei partigiani, ingenti quantità di armi e munizioni e partecipando in prima persona alla liberazione di Venezia al comando dei suoi uomini e dei patrioti della Brigata Biancotto.

Ancora più interessante è un tesserino di riconoscimento contenuto nel fascicolo, intestato al tenente DIGILIO e rilasciato il 28.4.1945 dal Comandante ABE della Brigata Biancotto del C.L.N. di Venezia.

Sul retro del tesserino è presente una scritta in lingua inglese del P.W.B. dell’8^ Armata inglese dove si afferma che il titolare è impegnato nella Sezione Notizie appunto dello Psychological Warfare Board (letteralmente: Comitato di Guerra Psicologica).

Sempre nel fascicolo vi è inoltre una relazione dattiloscritta del 24.8.1945, redatta proprio dall’interessato, ove egli precisa di avere giurato fedeltà alla R.S.I. "perchè consigliato dagli esponenti del Comitato di Resistenza per continuare ad assolvere la delicata missione affidatami".

Tali documenti attestano che sin dal 1945 Michelangelo DIGILIO aveva assolto compiti informativi per gli Alleati nonchè evidenziano le sue capacità di muoversi quale agente "doppio" a fini strategici.

Non vi potrebbe essere prova migliore della verità del racconto di Carlo DIGILIO e del fatto che il ruolo svolto da quest’ultimo, pur in un contesto politico-internazionale profondamente mutato, sia stato la naturale prosecuzione dell’attività svolta da suo padre.

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I RISCONTRI RELATIVI A

BRUNO E MARCELLO SOFFIATI

Bruno SOFFIATI, anch’egli da molti anni deceduto, è stato certamente un esponente di rilievo dell’estrema destra veronese, segretario del Partito Fascista Repubblicano a Verona nel periodo della Repubblica Sociale Italiana e in contatto con i Comandi tedeschi della zona.

Sia Carlo DIGILIO (int. 15.6.1996, f.2) sia Dario PERSIC (dep. 9.2.1995, f.3) hanno riferito che Bruno SOFFIATI, durante la guerra, non aveva combattuto ma aveva svolto attività di intelligence gestendo una rete informativa in contatto con il Comando della GESTAPO che aveva appunto sede a Verona, rete i cui componenti erano in buona parte fuggiti in Sud-America alla fine della guerra.

Alcuni, comunque, erano stati col tempo riabilitati dagli americani interessati a controllare, con l’inizio della "guerra fredda", anche grazie all’esperienza maturata da costoro, tutto quello che avveniva in una zona strategica come il Veneto (int. DIGILIO, 15.6.1996, f.2).

Del resto vari testimoni hanno riferito che sia Bruno sia Marcello SOFFIATI manifestavano apertamente la loro propensione e simpatia per gli americani (dep. Anna Maria BASSAN al P.M., 8.6.1995, f.7; dep. Franco PANIZZA a personale R.O.S., 12.4.1996, f.2; dep. Claudio BRESSAN a personale R.O.S., 11.4.1996, f.2; dep. Enzo VIGNOLA, 28.4.1997 f.2).

Un particolare interessante che testimonia la statura del personaggio Bruno SOFFIATI è stato ricordato da Dario PERSIC, il quale aveva appreso che questi, nel dopoguerra, era stato per lungo tempo in possesso degli atti originali del processo a Galeazzo CIANO che si era appunto svolto a Verona (dep. 9.2.1995, f.3).

Anche l’inserimento in ambienti massonici di Bruno SOFFIATI, ricordato da Carlo DIGILIO (int. 31.1.1996, f.2) è stato confermato da altri testimoni (dep. Claudio BRESSAN di Verona, 11.4.1996, f.2; dep. Franco PANIZZA, 12.4.1996, f.2) e trova ulteriore riscontro nel carteggio sequestrato al figlio Marcello in occasione del suo primo arresto, nel dicembre 1974 (cfr. vol.8, fasc.1, ff.37-40).

Non vi è quindi da stupirsi che Bruno SOFFIATI discutesse apertamente con Sergio MINETTO in merito al modo migliore per proseguire l’attività di controllo dell’avv. Gabriele FORZIATI (dep. PERSIC, 18.4.1997, f.2) che lo stesso Bruno SOFFIATI aveva ospitato nei primi giorni della sua permanenza nella zona di Verona, nè che egli fosse presente, con il figlio Marcello e con Sergio MINETTO, alla cena in cui il dr. MAGGI aveva anticipato la strage di Brescia, una decina di giorni prima che questa avvenisse (int. DIGILIO, 19.4.1996, f.3).

Anche i riscontri acquisiti in merito alla figura ed al ruolo di Marcello SOFFIATI, prima fonte e poi agente operativo della struttura americana, sono molteplici.

Marcello SOFFIATI, deceduto nel 1988, era anche un militante molto ben inserito nel movimento Ordine Nuovo e anche per tale ragione non è sempre possibile discernere con chiarezza quanto delle varie attività di SOFFIATI fosse da attribuire alla sua militanza ordinovista e quanto alla sua appartenenza alla struttura di intelligence.

In particolare, i suoi rapporti con gli ustascia di stanza in Spagna e con quelli in grado di reperire nuovi modelli di armi dalla Cecoslovacchia e dalla Croazia possono essere stati d’aiuto tanto nello sviluppo dell’attività informativa quanto nel reperimento di armi ed esplosivi per gli ordinovisti veneti.

Marcello SOFFIATI era anche in contatto, in Spagna, con Mariano SANCHEZ COVISA, capo dei Guerriglieri di Cristo Re, legato ai servizi di sicurezza spagnoli (int. DIGILIO, 9.5.1994, f.2) e frequentatore di agenti americani all’epoca residenti in Spagna (dep.Gaetano ORLANDO, 16.3.1996, e dep. Francesco ZAFFONI, 14.3.1996, f.2 a personale del R.O.S.).

Marcello SOFFIATI era stato anche in grado di mettere in contatto Marco AFFATIGATO, conosciuto in carcere nel 1976, con la struttura americana dopo la loro scarcerazione.

Marco AFFATIGATO ha infatti testimoniato di avere inizialmente passato a SOFFIATI alcuni elenchi di esuli di sinistra sud-americani residenti in Italia, poi trasmessi da SOFFIATI alla struttura americana, e che, quando egli si era trasferito a Nizza, lo stesso SOFFIATI lo aveva messo in contatto con tale GEORGE, appartenente alla Stazione C.I.A. di Parigi, il quale a sua volta lo aveva messo in contatto con tale STEVENSON, operante per la stessa struttura a Montecarlo (dep. AFFATIGATO, 2.5.1993, ff.2-3).

Marco AFFATIGATO aveva cercato di sfruttare tale nuova "attività" per ottenere dalla C.I.A. un aiuto nel progetto di fuga di Giovanni VENTURA dal carcere argentino ove si trovava, ma aveva ricevuto da tale struttura una risposta negativa e molto significativa: Giovanni VENTURA, con i suoi interrogatori (evidentemente la lunga semi-confessione resa nel 1973 al G.I. dr. D’Ambrosio), aveva comunque recato danno agli ambienti americani e quindi non doveva essere aiutato (dep. AFFATIGATO citata, f.4).

Claudio BRESSAN di Verona ha inoltre confermato quanto già ricordato da Carlo DIGILIO (int. 30.10.1993, f.3) in merito all’attività di schedatura, operata da SOFFIATI, di altri esuli sud-americani, avendo egli personalmente ricevuto da SOFFIATI un pacchetto di schede (dep. Claudio BRESSAN a personale R.O.S., 25.5.1995, ff.1-2).

Se non vi è dubbio in merito all’attività prestata da Marcello SOFFIATI in favore della struttura americana, di cui peraltro egli non faceva mistero almeno nella cerchia dei camerati, nemmeno vi è dubbio in merito alla sua notevole disponibilità di armi già ricordata da Carlo DIGILIO (int. 2.12.1996, f.2) che aveva anche potuto notare un particolare nascondiglio per le stesse collocato in una botola nella vecchia casa di Bruno SOFFIATI a Colognola ai Colli (int. 13.4.1997, f.4).

Dario PERSIC, infatti, aveva notato una notevole quantità di armi, munizioni ed esplosivi nell’appartamento di Via Stella e nel 1973 si era reso disponibile, per motivi precauzionali e per fare un favore all’amico, a custodirne una parte, per circa un anno, nella soffitta della sua abitazione, in Via Morelli a Verona (dep. PERSIC, 8.2.1995, f.4, e 9.2.1995, f.4).

Del resto, il 21.12.1974, Marcello SOFFIATI era stato arrestato perchè, durante una perquisizione nell’abitazione di Via Stella (operata casualmente in quanto SOFFIATI, poco prima, aveva smarrito in città un borsello contenente delle pallottole), personale della Questura di Verona aveva rinvenuto una ingente quantità di armi di vario tipo, bombe a mano, detonatori, proiettili anticarro e 10 candelotti di esplosivo definito "al plastico" nel verbale di perquisizione, verbale che purtroppo, ai fini della presente istruttoria, non fornisce ulteriori particolari in merito alle esatte caratteristiche e alla provenienza dell’esplosivo (cfr. nota della Digos di Verona in data 1°.6.1996 e atti allegati, vol.8, fasc.2, ff.9 e ss.).

Inoltre, nel corso della medesima perquisizione venivano rinvenute alcune schede relative ad elementi di estrema sinistra, soprattutto anarchici, uno schizzo relativo alla base americana di CAMP DARBY (vicino a Livorno) e corrispondenza proveniente dalla Massoneria Universale di Rito Scozzese, tutti elementi documentali che confermano quanto riferito da Carlo DIGILIO in merito all’attività informativa svolta da Marcello SOFFIATI e ai rapporti della sua famiglia con alcuni ambienti massonici.

L’attività di Marcello SOFFIATI si è dispiegata per lungo tempo in quanto egli è stato incriminato per reati associativi e detenzione di armi ed esplosivi, insieme al dr. MAGGI, al colonnello SPIAZZI e ad altri, anche nel procedimento c.d. del Poligono di Venezia ed egli, ancora nel 1982, nel corso delle indagini relative a tale procedimento (originato in buona parte dalla cattura e dalla confessione di Claudio BRESSAN) aveva ospitato Carlo DIGILIO nell’appartamento di Via Stella durante la prima parte della sua fuga e della sua latitanza.

In quei giorni, nell’appartamento, i due detenevano la famosa valigetta "24 ore", di cui tanto si è parlato nel procedimento celebrato a Venezia, poi affidata a Claudio BRESSAN e il cui contenuto è stato solo parzialmente e casualmente recuperato nel 1988.

Tale valigetta avrebbe potuto sin da allora mettere gli inquirenti su piste interessanti e analoghe a quelle seguite nella presente istruttoria in quanto, secondo i ricordi di Claudio BRESSAN, conteneva non solo l’attrezzatura per la falsificazione dei documenti, ma molta documentazione relativa a Paesi stranieri (fra cui la Francia, il Sud-America e i Paesi Arabi) certamente connessa all’attività informativa svolta da SOFFIATI e DIGILIO (cfr., fra i tanti riferimenti, gli atti acquisiti presso la Digos di Verona, vol.8, fasc.2, ff.51-53).

La figura di Marcello SOFFIATI attraversa quasi tutti i fatti toccati da questa istruttoria e dalle indagini collegate.

Egli, infatti, non solo gestisce una parte della dotazione di armi ed esplosivi del gruppo veneto, ma esegue personalmente l’attentato al Palazzo della Regione di Trento dell’11.4.1969 (dep. PERSIC, 8.2.1996); depone, probabilmente alla Stazione di Mestre, l’ordigno su uno dei 10 convogli ferroviari oggetto degli attentati dell’8/9 agosto 1969 (int. DIGILIO 16.9.1997, ff.4-5); mette a disposizione l’appartamento e partecipa in qualità di "custode" alla permanenza dell’avv. Gabriele FORZIATI e di Gianfranco BERTOLI in Via Stella, rispettivamente nel 1972 e nel 1973.

Sembra che Marcello SOFFIATI, nonostante le sue doti spiccatamente operative, non sia stato utilizzato in prima persona dal dr. MAGGI e da Delfo ZORZI nell’esecuzione degli attentati del 12.12.1969 ed infatti, prima della cena allo Scalinetto tenuta nei giorni prossimi al Natale del 1969, si rallegra con DIGILIO confidandogli di non essere stato personalmente coinvolto (int. DIGILIO, 21.2.1997, f.2).

In alcuni momenti e dinanzi ai fatti più gravi, Marcello SOFFIATI sembra mostrare segni di resipiscenza o quantomeno di non condividere sino in fondo una strategia che comporti stragi indiscriminate.

Dopo gli attentati del 12.12.1969 infatti, Marcello SOFFIATI entra in rotta di collisione con Delfo ZORZI accusandolo di essere privo di "etica militare" e di essere un mercenario e un assassino per quanto aveva commesso nella banca milanese.

Delfo ZORZI, per tutta risposta, lo minaccia e lo malmena (int. DIGILIO, 16.4.1994, f.6).

Anche Martino SICILIANO ha ricordato, del resto, che fra Marcello SOFFIATI e Delfo ZORZI erano sorti violentissimi motivi di astio (int. 6.10.1995, f.6).

Nella primavera del 1974, Marcello SOFFIATI viene comunque incaricato di ritirare a Mestre l’ordigno composto da candelotti di gelignite che, dopo una sosta a Verona in Via Stella e relativa "supervisione" di Carlo DIGILIO, lo stesso SOFFIATI deve portare a Milano ad alcuni camerati per la finale destinazione bresciana.

Appena avvenuta la strage di Brescia, egli confida a Carlo DIGILIO il suo disgusto per aver avuto una parte in un massacro così grave e afferma che se gli americani avessero continuato a tollerare una strategia simile ciò sarebbe stato di danno in Italia solo per la destra (int. DIGILIO, 4.5.1996, f.3, e 5.5.1996, f.5).

Da quel momento il contrasto con Delfo ZORZI diventa insanabile e Marcello SOFFIATI teme addirittura di essere eliminato da qualcuno vicino a quest’ultimo, avendo cura di portare per precauzione una pistola alla cintola ogniqualvolta si reca a Mestre (int. DIGILIO, 4.5.1996, f.3).

In tali circostanze trova certamente spiegazione l’angustia di Marcello SOFFIATI riferita da un altro esponente di destra, Gaetano LO PRESTI, che negli anni successivi aveva condiviso con SOFFIATI alcuni periodi di carcerazione.

In alcuni interrogatori resi da LO PRESTI al G.I. di Brescia dr. Giampaolo Zorzi nell’ambito dell’istruttoria-bis sulla strage di Piazza della Loggia, egli ha infatti riferito che Marcello SOFFIATI gli aveva confidato che il suo "comandante" gli aveva consegnato dell’esplosivo che lui aveva portato ad altre persone e che tale esplosivo era stato utilizzato per compiere un grave attentato (cfr. annotazione del R.O.S. in data 8.5.1995, vol.23, fasc.9, ff.62-63).

Marcello SOFFIATI, secondo LO PRESTI, appariva angustiato dal ricordo dell’utilizzo di tale esplosivo.

Il termine "comandante" cui egli aveva fatto riferimento dovrebbe, secondo logica, riferirsi al Reggente di Ordine Nuovo per il Triveneto e cioè al dr. Carlo Maria MAGGI.

Purtroppo la morte di Marcello SOFFIATI, avvenuta nel 1988, non ha consentito di approfondire processualmente tali circostanze e di mettere SOFFIATI dinanzi alle sue responsabilità.

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I RISCONTRI RELATIVI AL PROF. LINO FRANCO

Anche per quanto concerne il prof. Lino FRANCO è stato possibile, nonostante il tempo trascorso dalla sua morte, acquisire una serie di riscontri che ne delineano la figura in perfetta sintonia con il quadro fornito da Carlo DIGILIO.

Egli, in sintesi, secondo il racconto del collaboratore, era il fiduciario di Sergio MINETTO per la zona di Vittorio Veneto e contemporaneamente il capo del gruppo SIGFRIED, formato da ex-repubblichini che avevano duramente combattuto, soprattutto nella zona di Pian del Cansiglio, contro le forze partigiane e ancora disponevano di depositi di armi sotterrate negli ultimi giorni del conflitto.

Fra i numerosi riferimenti al prof. Lino FRANCO contenuti nei verbali di Carlo DIGILIO, essenziali sono il diretto contatto del prof. FRANCO con gli elementi ordinovisti che gestivano il casolare di Paese, con il conseguente invio sul posto di DIGILIO nonchè il flusso di armi che, provenendo dai depositi gestiti dagli uomini del prof. FRANCO, giungevano al gruppo ordinovista di Mestre/Venezia arricchendone la dotazione (int. DIGILIO, 30.8.1996, ff.2-3).

Tramite la testimonianza della moglie, Pia DE POLI, in mancanza di elementi documentali, si è potuto accertare che effettivamente il prof. Lino FRANCO era un uomo di grande prestigio nel suo ambiente, essendosi arruolato nelle fila della R.S.I. subito dopo l’8 settembre 1943 e venendo inquadrato nel Battaglione BARBARIGO della X M.A.S. che era stato il primo, nella zona di Anzio e Nettuno, ad entrare in combattimento contro gli Alleati (dep. DE POLI a personale del R.O.S., 30.3.1995, vol.23, fasc.5, ff.9 e ss.; annotazione del R.O.S. in data 8.9.1995, vol.23, fasc.9, ff.31-32).

Alla fine della guerra, fatto prigioniero dagli inglesi per i quali aveva lavorato prima come barista e poi come sminatore nella zona di Imperia, come molti altri ex-repubblichini era emigrato in Argentina nei primi anni ‘50, e cioè più o meno nello stesso periodo in cui tale Paese era stato raggiunto da due altri appartenenti alla rete, Pietro GUNNELLA e Sergio MINETTO.

Un’altra analogia con Sergio MINETTO è relativa all’attività lavorativa.

Entrambi, infatti, avevano delle attività in proprio che consentivano facili spostamenti nell’area dell’intero Triveneto e tali da non destare alcun sospetto.

Sergio MINETTO svolgeva l’attività di riparatore di apparecchi frigoriferi, mentre Lino FRANCO, unitamente al cognato, aveva una ditta per la distribuzione di flippers e juke-box nei bar della regione.

Nonostante il tempo trascorso dalla morte del prof. FRANCO, la perquisizione effettuata in data 18.1.1996 da personale del R.O.S. nell’abitazione ove vive la vedova ha consentito di rinvenire vari opuscoli di Ordine Nuovo nonchè una copia del volumetto "LE MANI ROSSE SULLE FORZE ARMATE", a suo tempo diffuso non fra i semplici simpatizzanti di destra, ma solo fra gli "addetti ai lavori" (cfr. vol.21, fasc.2, ff.3 e ss.).

Secondo il racconto di Carlo DIGILIO, il prof. Lino FRANCO aveva fatto vari viaggi in Grecia, negli anni ‘60, per contatti politici e il suo gruppo, utilizzando i depositi di cui ancora disponeva sul Pian del Cansiglio, aveva inviato, facendoli partire dal porto di Venezia, lotti di armi al generale GRIVAS, capo dell’organizzazione terroristica di estrema destra EOKA-B operante a Cipro contro il governo dell’Arcivescovo MAKARIOS (int. DIGILIO, 31.1.1996, f.3, e 1°.2.1997, f.2).

In tali frangenti, Sergio MINETTO aveva ammonito il prof. FRANCO a non muoversi con eccessiva autonomia e ad attenersi alle direttive che gli erano comunque imposte dalla sua contemporanea appartenenza alla struttura americana (int. DIGILIO, 31.1.1996, f.3).

Probabilmente proprio dai depositi di Pian del Cansiglio proveniva parte delle armi custodite nel casolare di Paese (int. DIGILIO, 1°.2.1997, f.2) e verosimilmente tale fornitura era stata alla base dei rapporti diretti fra il prof. FRANCO e Giovanni VENTURA, che gestiva in prima persona il casolare e aveva consentito l’invio sul posto di Carlo DIGILIO da parte dello stesso prof. FRANCO.

In tali circostanze il prof. FRANCO si era mostrato assai accorto inviando al casolare non Marcello SOFFIATI (che pur faceva parte della rete operativa), ma appunto Carlo DIGILIO, normalmente inserito nella rete informativa, più affidabile e soprattutto molto più competente in materia di armi e di esplosivi (int. DIGILIO, 12.11.1994, f.4).

Non è stato possibile, ovviamente, visto il tempo trascorso, trovare riscontri diretti della fornitura di armi da parte del gruppo di Lino FRANCO al generale GRIVAS.

Tuttavia dagli atti forniti dal S.I.S.Mi. relativi all’organizzazione EOKA-B emerge quantomeno un riscontro indiretto, e cioè che alla fine degli anni ‘50 un emissario del generale GRIVAS si era recato in Italia per valutare la possibilità di acquistare nel nostro Paese armi per l’organizzazione (cfr. nota del R.O.S. in data 6.6.1996 e atti allegati provenienti dal S.I.S.Mi., vol.20, fasc.3, ff.1 e ss.).

Molto stretti dovevano anche essere i contatti del prof. FRANCO con il dr. MAGGI se anche Martino SICILIANO, confermando così il racconto di Carlo DIGILIO (int. Digilio, 1°.2.1997, f.3), ha ricordato di essersi recato, intorno al 1966/1967, dal prof. FRANCO accompagnando il dr. MAGGI, Giangastone ROMANI e Delfo ZORZI che intendevano discutere appunto con il prof. FRANCO in merito alla costituzione di un gruppo di Ordine Nuovo a Vittorio Veneto (int. SICILIANO, 15.3.1995, f.8).

Un ulteriore riscontro in merito all’attività del prof. Lino FRANCO è stato reso possibile dalla trasmissione da parte della D.C.P.P., il 29.1.1997, di un appunto trovato nel fascicolo dell’archivio ordinario del Ministero dell’Interno intestato al prof. FRANCO.

Tale appunto di fonte confidenziale, proveniente dall’Ufficio Affari Riservati e portante la data 19.5.1964, riferisce che il prof. FRANCO di Vittorio Veneto aveva intenzione di organizzare dei corsi di sabotaggio con la partecipazione di elementi "fanatici" neofascisti e che a tal fine egli aveva occultato da tempo un consistente quantitativo di armi e munizioni, circa un centinaio di fucili e mitra con relativo munizionamento.

Lo stesso prof. FRANCO, per la ricorrenza del 25 aprile 1964, aveva progettato di compiere un attentato dinamitardo contro la Camera del Lavoro di Milano, essendo esperto anche nell’approntamento di ordigni esplosivi, ma all’ultimo momento aveva desistito da tale proposito (cfr. appunto citato, vol.20, fasc.14, f.24).

Giustamente Carlo DIGILIO ha rilevato che il contenuto di tale appunto è in perfetta sintonia con quanto egli aveva già riferito in precedenza in merito al ruolo del prof. FRANCO e che questi, per la sua esperienza durante la seconda guerra mondiale, era il soggetto ideale per fare l’istruttore di tecniche di sabotaggio (int. 1°.2.1997, ff.2-3).

In conclusione, le notizie riferite da Carlo DIGILIO in merito al prof. Lino FRANCO e gli elementi raccolti aliunde sulla sua figura sono del tutto omogenei e ciò garantisce ancora una volta l’affidabilità di quanto dichiarato dal collaboratore sulla struttura di intelligence americana.

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I RISCONTRI RELATIVI AL PROF. PIETRO GUNNELLA

Pietro GUNNELLA, indicato da Carlo DIGILIO quale elemento di collegamento fra MINETTO e il colonnello SPIAZZI (funzionando quale "buca della posta" per l’inoltro dei messaggi) nonchè fra quest’ultimo e Elio MASSAGRANDE, latitante in Sud-America, è stato identificato nell’omonimo professore già residente a Verona e da tempo deceduto.

Il prof. GUNNELLA era stato condannato, al termine della guerra, avendo aderito alla R.S.I., per collaborazione militare con il nemico e, per sfuggire alla pur lieve pena comminatagli, era partito per l’Argentina, Paese scelto anche da MINETTO e dal prof. Lino FRANCO quale terra di emigrazione, ed era rientrato in Italia solo nel 1959 continuando per alcuni anni l’attività politica nel M.S.I.

Questi pur scarni dati erano già sufficienti a delineare la figura del prof. GUNNELLA come quella di un personaggio in piena sintonia con il ruolo di staffetta-postino a lui attribuito da Carlo DIGILIO.

Perdipiù sono stati acquisiti presso la Digos di Verona gli atti relativi ad una perquisizione effettuata l’11.4.1983 su disposizione del G.I. di Bologna, dr. Leonardo Grassi, nell’ambito di un procedimento aperto nei confronti, fra gli altri, del colonnello Amos SPIAZZI e precisamente uno stralcio del procedimento c.d. del Poligono di Tiro di Venezia.

In occasione della perquisizione era stato rinvenuto un foglio dattiloscritto intestato PROPOSTA PER L’OPERAZIONE CONTINUITA’, costituito da un elenco di 10 militari con particolari qualifiche (paracadutisti, artificieri, pattugliatori) residenti tutti nel veronese e, accanto ad alcuni nomi, un riferimento al colonnello Amos SPIAZZI (cfr. foglio allegato all’interrogatorio di Carlo DIGILIO in data 26.3.1997 e atti relativi a Pietro GUNNELLA, di cui alla nota del R.O.S. in data 24.3.1997, vol.21, fasc.4).

Alcuni dei nomi che vi compaiono (l’artificiere Antonino GRAZIANO e l’ex ardito/sabotatore della X M.A.S. Ezio ZAMPINI) erano già emersi nella prima parte dell’istruttoria quali componenti della LEGIONE di Verona dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO ed è probabile che l’ "Operazione Continuità", che in base ad una data apposta sul foglio dovrebbe risalire al 1979, rappresenti un progetto di ricostruzione dei NUCLEI (cfr., sul punto, anche int. DIGILIO, 26.3.1997, f.2).

Sempre durante la perquisizione del 1983 sono state rinvenute 10 lettere scambiate fra il prof. GUNNELLA ed Elio MASSAGRANDE, latitante in Paraguay, che si riferiscono al progetto di impiantare in tale Paese proficue attività economiche nel campo dei marmi, dei legnami e dell’acquisto di terreni.

La società già operante in Paraguay, cui GUNNELLA e altri veronesi dovevano dare un ulteriore apporto, è indicata nella carta intestata come MA.BE., iniziali di MASSAGRANDE e, verosimilmente, dell’ordinovista mantovano Roberto BESUTTI, molto legato al gruppo veronese.

L’ulteriore perquisizione disposta da questo Ufficio dopo le dichiarazioni di Carlo DIGILIO, ed operata da personale del R.O.S. in data 6.9.1996 presso l’abitazione ove Pietro GUNNELLA risiedeva, ha aggiunto a tali dati , già come tali inequivoci, il rinvenimento di una copia del libretto "LE MANI ROSSE SULLE FORZE ARMATE", scritto da Pino RAUTI e da altri teorici della guerra non ortodossa, e di una pubblicazione edita dal Centro CARLOMAGNO dal titolo "LA DIFESA DI VERONA", opera del colonnello Amos SPIAZZI (cfr. vol.21, fasc.4, ff.32 e ss.).

In conclusione, il ruolo di raccordo e di collegamento fra le varie strutture attribuito al prof. Pietro GUNNELLA da Carlo DIGILIO trova piena conferma nelle scelte di vita e nei contatti che hanno caratterizzato il personaggio.

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I RISCONTRI RELATIVI AL CAPITANO TEDDY RICHARDS

E IL RINVENIMENTO DI ARMI ED ESPLOSIVI

A VERONA NEL 1966

Con Teddy RICHARDS, ufficiale americano in forza per un lungo periodo presso la base SETAF di Vicenza, ci si avvicina al cuore della rete informativa descritta da Carlo DIGILIO.

Egli, presente in Italia sin dalla fine degli anni ‘60, aveva preso la guida della struttura a partire dal 1974 sostituendo il capitano David CARRET, certamente in un momento in cui i più gravi fatti oggetto di questa istruttoria e delle istruttorie collegate erano già avvenuti.

Tuttavia Carlo DIGILIO ha avuto modo di descriverne l’operatività in azioni comunque importanti che hanno contribuito a mettere concretamente a fuoco il funzionamento della struttura anche nei suoi compiti, per così dire, "istituzionali" e non illeciti sul piano della nostra normativa penale.

Ci riferiamo all’operazione DELFINO ATTIVO o DELFINO SVEGLIO, svoltasi nelle acque dell’Adriatico nei pressi di Venezia e finalizzata a saggiare la reattività della nostra Flotta dinanzi ad un possibile attacco (int. DIGILIO, 5.1.1996, f.3), nonchè al recupero nella zona dell’Alto Garda, con un’operazione di pura intelligence, di barre di uranio trafugate all’estero probabilmente da un’altra struttura militare (int. DIGILIO, 22.6.1996, f.2).

L’episodio, che ha consentito l’identificazione dell’Ufficiale e che è più significativo e qualificante per gli avvenimenti oggetto della presente istruttoria, risale tuttavia al 1966 e cioè alla prima fase della presenza del capitano RICHARDS in Italia.

Nel maggio del 1966, a seguito di un’indagine della Squadra Mobile di Verona partita quasi casualmente dagli accertamenti relativi ad una rapina, venivano arrestati per detenzione di armi ed esplosivi Roberto BESUTTI ed Elio MASSAGRANDE e denunciati Marcello SOFFIATI e Marco MORIN, i primi tre frequentemente presenti negli atti di questa istruttoria e il quarto condannato quale perito infedele nel procedimento per l’attentato di Peteano.

Era stato infatti rinvenuto in alcune abitazioni nella loro disponibilità (un appartamento affittato a Roverè Veronese, l’abitazione di BESUTTI a Mantova e un appartamento a Livorno nella disponibilità di MASSAGRANDE) un vero e proprio arsenale di armi ed esplosivi fra cui decine di pistole e fucili di vario tipo, detonatori al fulminato di mercurio e al T4, detonatori elettrici, ben 173 saponette di tritolo, miccia detonante, 8 mine antiuomo, 3 bombe a mano MK 2 e 5 barattoli di esplosivo gelatinizzante israeliano MC 13 (cfr. rapporto della Squadra Mobile di Verona in data 31.5.1966, vol.8, fasc.1, ff.72 e ss.).

Nel corso delle prime indagini, Roberto BESUTTI (inspiegabilmente rilasciato, così come gli altri arrestati, dopo pochissimi giorni) aveva indicato agli operanti della Squadra Mobile di Verona, in un formale interrogatorio, i nomi di coloro che gli avevano fornito il materiale, prevalentemente italiani residenti in Trentino ad eccezione di uno di nazionalità invece statunitense, indicato come Teddy RICHARDS, all’epoca in servizio presso la Caserma Passalacqua di Verona, che gli aveva consegnato non poco di quanto sequestrato e cioè una ventina di fucili, bombe a mano, mine, congegni vari e tritolo.

Il cittadino americano veniva identificato in Theodor RICHARDS, nato il 5.4.1935 a Waterville (Maine, U.S.A.) in servizio appunto presso il Comando SETAF, allora ubicato a Verona, e titolare fra l’altro di una licenza rilasciata dalla Questura di Verona per la collezione di armi antiche (cfr. nota della Digos di Verona in data 20.1.1996 e atti allegati, vol.7, fasc.6, ff.47 e ss.).

Non vi è dubbio che si tratti proprio dell’Ufficiale indicato da Carlo DIGILIO, da lui peraltro ricordato come soggetto legato a MASSAGRANDE, BESUTTI e SOFFIATI proprio in relazione a movimenti di armi (int. DIGILIO, 20.1.1996, f.1, e 24.2.1996, f.3).

Si noti che anche in un appunto rinvenuto presso la Questura di Verona nel fascicolo intestato a Marcello SOFFIATI si rileva che questi aveva confidenzialmente riferito, nel 1974 al Dirigente dell’Ufficio Politico di tale città, di aver partecipato intorno al 1966 con BESUTTI e MASSAGRANDE ad alcune riunioni nella villetta, sita nei pressi di Verona, di un militare americano a nome Ted RICHARDS e che questi, in cambio di armi da collezione, aveva ceduto al gruppo armi moderne ed efficienti (cfr. vol.23, fasc.1, f.20).

Dopo l’arresto dei quattro ordinovisti, il procedimento era proseguito in modo quantomeno singolare.

Era stato infatti inviata una comunicazione alle Autorità Militari americane di stanza a Verona in merito a quanto emerso a carico di Teddy RICHARDS, ma in seguito non si era più avuta alcuna notizia di un’incriminazione dello stesso nè da parte delle Autorità americane nè da parte di quelle italiane.

I quattro ordinovisti erano stati condannati dalla Pretura di Verona a pene irrisorie (da uno a tre mesi di arresto) prestando fede alla tesi difensiva secondo cui si sarebbe trattato di un gruppo di collezionisti di armi ed evidentemente anche di esplosivi.

Perdipiù, quando il G.I. di Venezia dr. Felice Casson, nell’ambito degli approfondimenti relativi all’attentato di Peteano, che vedeva fra l’altro coinvolto come autore di una falsa perizia il dr. Marco MORIN, aveva cercato di acquisire il fascicolo processuale presso l’Archivio della Pretura di Verona, aveva scoperto che il fascicolo, e solo quello specifico fascicolo, era inspiegabilmente scomparso (cfr. sentenza-ordinanza depositata in data 3.1.1989 nel procedimento a carico di MORIN Mario ed altri, vol.27, fasc.1, ff.42 e ss.), cosicchè era stato possibile ricostruire la vicenda relativa al rinvenimento delle armi e degli esplosivi solo parzialmente, grazie alle copie rimaste presso la Questura di Verona.

Non si era certo trattato di una sparizione casuale e infatti la conferma è giunta da Carlo DIGILIO che aveva in seguito raccolto i commenti soddisfatti di Marcello SOFFIATI:

"""Un altro episodio importante è quello collegato alla sparizione del fascicolo concernente l'imputazione di detenzione di armi ed esplosivo a Verona in capo a MASSAGRANDE, BESUTTI e altri.

Poichè era stato Teddy RICHARDS a fornire al gruppo parte delle armi che erano state sequestrate, egli poi si preoccupò di far sparire il fascicolo processuale dal Tribunale di Verona.

Questo intervento valse anche a impedire che rimanessero troppe tracce dello stesso RICHARDS negli atti.

Mi disse Marcello SOFFIATI che per far sparire questo fascicolo servirono denaro e connivenze nell'ambiente giudiziario.

Per RICHARDS si era trattato di un episodio squalificante in quanto aveva ceduto con imprudenza armi della caserma a persone estranee all'ambiente militare""".

(DIGILIO, int.14.12.1996, f.5).

Di particolare importanza è il fatto che fra il materiale sequestrato nel maggio 1966 vi fossero ben 5 barattoli di esplosivo gelatinizzante israeliano MC 13, esplosivo certo non facilmente reperibile e sicuramente di provenienza militare.

Tale circostanza non può che ricollegarsi agli stretti rapporti intercorrenti fra la struttura di sicurezza americana e le analoghe strutture israeliane (int. DIGILIO, 6.3.1997, f.1) e alle conseguenti, anche se imprevedibili, ricadute in chiave strettamente anticomunista sulla struttura di Ordine Nuovo, come si è ampiamente esposto nel capitolo 39.

Concludendo in ordine alla figura del capitano Teddy RICHARDS, anche Dario PERSIC ha ricordato di aver avuto modo di conoscerlo a Colognola, presentatogli da Giovanni BANDOLI, e ne ha fornito una descrizione fisica del tutto analoga a quella indicata da Carlo DIGILIO (dep. PERSIC, 18.4.1997, f.4, e int. DIGILIO, 5.1.1996, f.4).

Secondo Dario PERSIC, il militare americano era stato in servizio, sino alla metà degli anni ‘70, lontano dall’Italia, forse in Vietnam, mentre a Verona era rimasta la sua famiglia (dep. citata, f.4) e ciò corrisponde con il racconto di Carlo DIGILIO, il quale ha riferito che il capitano RICHARDS aveva sostituito il capitano CARRET nel 1974 e che il servizio in un altro Paese per alcuni anni era dovuto, probabilmente, a motivi precauzionali visto il pericolo causato dall’ "infortunio" del 1966 (int. DIGILIO, 5.5.1997, f.2).

Anche in relazione alla figura del capitano Teddy RICHARDS, l’esame di vecchi atti processuali e le nuove acquisizioni hanno quindi confermato il quadro fornito da Carlo DIGILIO.

51

IL RUOLO DI LEO JOSEPH PAGNOTTA E JOSEPH LUONGO

LA TESTIMONIANZA DEL MAGGIORE KARL HASS

A partire dalla primavera del 1996, Carlo DIGILIO ha fatto riferimento, con particolari sempre più dettagliati, a due italo-americani, Leo Joseph PAGNOTTA e Joseph LUONGO, i quali, sin dall’immediato dopoguerra, erano stati i punti di partenza della costituzione della rete americana reclutando, in funzione della comune causa anticomunista, sia ex-ufficiali tedeschi sia, soprattutto nel Veneto, ex-repubblichini e altri elementi di estrema destra.

I dati forniti da Carlo DIGILIO in relazione a tali due personaggi, di grandissimo interesse per comprendere gli esordi di tale struttura, sono i seguenti:

- Leo Joseph PAGNOTTA e Joseph LUONGO frequentavano, ancora negli anni ‘70, con una certa assiduità, Colognola ai Colli e soprattutto PAGNOTTA era molto legato a Sergio MINETTO, tanto che Bruno SOFFIATI si era rammaricato pubblicamente che soprattutto MINETTO, più di suo figlio Marcello, avesse alle spalle un personaggio importante come PAGNOTTA in grado di aiutarlo (int. 4.5.1996, f.2; 5.5.196, f.7).

- PAGNOTTA aveva partecipato allo sbarco alleato in Sicilia e da allora aveva sempre operato in Italia insieme a LUONGO.

- PAGNOTTA disponeva a Monfalcone di una ditta di importazione di frigoriferi di nome DETROIT, che era frequentata dal prof. Lino FRANCO e da Sergio MINETTO e il cui stabilimento serviva anche come copertura per lo studio, in favore degli americani, di particolari leghe metalliche e altro materiale di interesse militare (int. 5.4.1996, f.2; 5.5.1996, f.7), settore in cui MINETTO era particolarmente impegnato avendo acquisito informazioni anche provenienti da industrie cecoslovacche grazie ad elementi croati che operavano nella zona di confine.

- PAGNOTTA, sempre utilizzando come copertura la sua attività commerciale, si occupava di aerei militari e pezzi di ricambio destinati al Medio-Oriente e comunque ad alleati degli americani (int. 4.10.1996, f.2).

- Sergio MINETTO operava stabilmente con loro tanto che Carlo DIGILIO ricordava che un giorno MINETTO era partito da Colognola alla volta di Milano ove aveva un appuntamento con Joseph LUONGO per un’operazione informativa (int.15.6.1996, f.2).

- Il "riciclaggio" degli ufficiali tedeschi che avevano svolto servizio in Italia durante la seconda guerra mondiale era stato una delle attività più proficue per i due agenti americani, poichè tali ufficiali, in cambio di aiuti finanziari e della possibilità di sfuggire alle sanzioni, avevano messo a disposizione le conoscenze che avevano accumulato sul territorio italiano e sugli elementi considerati di sinistra (int. 12.10.1996, f.3).

Leo Joseph PAGNOTTA è da molto tempo deceduto, ma Carlo DIGILIO ha comunque potuto riconoscerlo senza difficoltà in una fotografia acquisita da personale del R.O.S. presso l’abitazione della figlia Annamaria, tuttora residente a Padova, consentendo così un primo positivo riscontro (int. 29.10.1996, ff.1-2, e fotografia di Leo Joseph PAGNOTTA, vol.20, fasc.1, f.9).

Ma soprattutto dagli atti forniti dal S.I.S.Mi., relativi al fascicolo aperto sin dalla metà degli anni ‘50 in relazione alla figura e all’attività di PAGNOTTA, risulta che questi, nato a Brokton (U.S.A.) il 29.1.1915, era responsabile a quell’epoca del Counter Intelligence Corp di Trieste, il servizio di sicurezza militare americano affiancato all’Esercito degli Stati Uniti e già operante nel nostro territorio sin dal momento dello sbarco degli Alleati in Sicilia, agiva in posizione non ufficiale sotto la copertura di rappresentante di prodotti importati dagli U.S.A. ed era interessato alla ditta AVIPA di Trieste di cui era titolare John HALL, elemento legato a Giovanni BANDOLI di cui si parlerà nel capitolo 54 (cfr. nota del Centro C.S. di Trieste in data 12.10.1959, vol. 20, fasc.1, f.79).

In seguito, PAGNOTTA, sposatosi con una donna italiana, era divenuto socio e gestore di fatto della ditta DETROIT (formalmente di proprietà dello zio della moglie) che si occupava dell’importazione di frigoriferi e disponeva di un capannone a Monfalcone e di un ufficio di rappresentanza a Padova (cfr. nota del Centro C.S. di Padova in data 6.9.1972, vol.20, fasc.1, ff.44 e ss.).

Leo Joseph PAGNOTTA, presente in Italia sin dal 1943 e sin da tale epoca inserito nell’amministrazione alleata in Italia, aveva continuato a frequentare, anche dopo il suo congedo dal C.I.C., ufficiali e civili americani di stanza in Veneto (cfr. nota citata, f.47).

La figlia di PAGNOTTA, Annamaria, sentita dal personale del R.O.S., ha confermato che suo padre era stato presente in Italia sin dal momento dello sbarco in Sicilia (dep. 13.1.1997, vol.20, fasc.1, f.4) e un dipendente di PAGNOTTA a Padova, Adriano PATRON, ha riferito che Leo Joseph PAGNOTTA non aveva mai nascosto di essere stato un ufficiale di collegamento fra l’Esercito degli Stati Uniti e le Autorità italiane e in seguito impegnato in attività informative per il suo Paese di origine (dep. 16.1.1997, vol.20, fasc.1, ff.3-4).

In un altro fascicolo sempre fornito dal S.I.S.Mi, e relativo all’attività delle strutture informative americane, si riferisce che Leo Joseph PAGNOTTA, per conto del C.I.C., aveva avuto l’incarico di costituire a Milano, nella metà degli anni ‘50, un centro informativo destinato a lavorare sulla situazione jugoslava e in genere sui Paesi d’Oltre Cortina (cfr. nota di accompagnamento del R.O.S. in data 4.3.1996 e atti allegati, vol.20, fasc.11, f.24).

Risulta così confermato, con riscontri difficilmente contestabili, il quadro fornito da Carlo DIGILIO e cioè che Leo Joseph PAGNOTTA rappresentava uno dei punti di partenza in Veneto delle rete di cui poi sarebbero entrati a far parte il prof. Lino FRANCO e Sergio MINETTO, quest’ultimo in grado di giustificare i suoi contatti con la ditta DETROIT di PAGNOTTA in ragione della sua attività di frigoriferista.

Ma gli elementi di riscontro acquisiti non terminano qui.

Infatti, in occasione della perquisizione operata da personale del R.O.S., su disposizione di questo Ufficio, nel gennaio 1997, nell’abitazione di Annamaria PAGNOTTA veniva rinvenuta e sequestrata un’agenda del padre risalente al 1955.

Tale agenda, già ad un primo esame e nonostante le difficoltà di decifrazione della scrittura, risultava contenere numerosissime annotazioni manoscritte relative alla commercializzazione di aerei militari, di pezzi di ricambio per gli stessi e di altro materiale di uso bellico (cfr. nota del R.O.S. in data 4.10.1996, vol.20, fasc.1, ff.24 e ss.).

La completa decifrazione ed analisi di tale agenda veniva quindi affidata al tenente colonnello dell’Aeronautica Sergio Venezia, ottimo conoscitore fra l’altro delle strutture militari americane e inglesi (cfr. vol.20, fasc.1, f.15).

Dalla relazione tecnica del colonnello Venezia, depositata in data 20.6.1997, emerge in modo inequivoco che Leo Joseph PAGNOTTA, nella seconda metà degli anni ‘50, era stato l’agente intermediario non palese di un Governo Occidentale (certamente gli Stati Uniti d’America vista la provenienza della maggior parte del materiale militare) nella vendita di aerei, parti di ricambio e altro materiale a Paesi amici dell’area Medio-Orientale, in sostanza Israele, a quell’epoca teatro di conflitti (cfr. vol.20, fasc.14, ff.4 e ss.).

In parole povere, Leo Joseph PAGNOTTA, anche con un guadagno economico personale, ma certamente su direttive "superiori", aveva organizzato la vendita a Israele, in occasione della seconda guerra arabo-israeliana dell’autunno 1956, di velivoli, carri armati, battelli, mine terrestri e navali, munizioni ed equipaggiamenti vari (descritti negli accurati schemi illustrativi allegati alla relazione, tratti dalla decifrazione degli appunti di PAGNOTTA), materiale tutto proveniente dal surplus militare degli Stati Uniti e di altri Paesi Occidentali che ufficialmente non poteva essere venduto a Israele.

Infatti gli impegni istituzionali vigenti all’epoca impegnavano da un lato gli Stati Uniti a non rifornire "ufficialmente" Israele, mentre i Paesi Arabi erano avvantaggiati potendo acquistare materiale militare dall’Unione Sovietica e dai Paesi ad essa alleati.

Con simili procedure non ufficiali, invece, agenti di fiducia come PAGNOTTA (che, fra l’altro, era di origine ebrea) avevano aiutato Israele, più debole sul piano militare soprattutto in termini di velivoli, a disporre di mezzi militari statunitensi, canadesi e britannici formalmente non più in carico dopo la seconda guerra mondiale alle Forze Armate di tali Paesi in quanto sostituiti da mezzi più moderni.

Tale azione di "riequilibrio" delle forze in campo aveva dato i risultati sperati per gli occidentali in quanto, come noto, l’ "attacco preventivo" israeliano nel Sinai dell’ottobre 1956 aveva avuto successo e i Paesi Arabi avevano dovuto rinunziare al loro sogno di cancellare dal Medio Oriente l’ "Entità Sionista".

Si aggiunga che da ulteriori atti forniti dal S.I.S.Mi. nella fase finale dell’istruttoria, è emerso che nel 1955 Leo Joseph PAGNOTTA era in contatto con l’ing. Hussein SADEGH, Addetto Commerciale presso l’Ambasciata dell’Iran (Paese allora gravitante nel campo occidentale) a Roma, al fine di intavolare trattative per l’acquisto di una notevole partita di petrolio grezzo persiano (cfr. nota in data 29.10.1955 del Raggruppamento Centri C.S., in atti S.I.S.Mi., con nota di accompagnamento del R.O.S. in data 18.9.1997, vol.55, fasc.8, f.28).

In conclusione, è di tutta evidenza come l’analisi dell’agenda di Leo Joseph PAGNOTTA e l’attività "non ufficiale" da questi svolta in direzione dell’area medio-orientale confermi e integri in modo insuperabile il racconto di Carlo DIGILIO relativo a tale importante personaggio della struttura americana.

Per quanto concerne la figura di Joseph LUONGO, questi è stato identificato nell’omonimo, nato a New Haven (U.S.A.) il 3.5.1916, cittadino statunitense residente, a partire dalla metà degli anni ‘80, a Bolzano evidentemente, ormai, come pensionato in congedo dalle strutture di cui aveva fatto parte (cfr. nota del R.O.S. in data 15.4.1997, vol.20, fasc.2, f.15).

Anche in relazione alla figura di Joseph LUONGO è stato possibile, con assoluta precisione, trovare conferma del quadro fornito da Carlo DIGILIO tramite atti recuperati dalla Direzione del S.I.S.Mi, e risalenti alle fasi abbastanza iniziali della formazione della rete americana.

Infatti veniva acquisito un atto, portante la data 22.3.1960, contenente il quadro fornito all’epoca ai nostri Servizi dal maggiore Albert VARA (ufficiale di collegamento fra il C.I.C. americano e il nostro SIFAR) degli agenti e fiduciari appunto del Counter Intelligence Corp operanti nel Nord-Italia sotto la copertura delle basi SETAF (cfr. nota d’analisi del R.O.S. in data 23.9.1996 e atto allegato trasmesso dal S.I.S.Mi. in data 23.7.1996, vol.20, fasc.2, ff.20 e ss.).

Nella parte manoscritta di tale appunto, Joseph LUONGO è indicato come Capo dell’Ufficio di contatto, a Roma, con il Ministero dell’Interno e vi è accanto, fra parentesi, il nome CAPUTO, corrispondente certamente a Ulderico CAPUTO, all’epoca funzionario del nostro Ministero con compiti di sicurezza (f.30).

Nello schema allegato agli appunti manoscritti, che dovrebbe essere quello originale statunitense, il nome di Joseph LUONGO è indicato con quelli di altri agenti nel rettangolino che porta in inglese il titolo "PROGETTI SPECIALI - RECLUTAMENTO E COLLEGAMENTO" ed è seguito da altri 3 rettangolini contenenti l’indicazione delle squadre operanti a Verona, Vicenza e Livorno, luoghi ove appunto esistevano ed esistono Comandi americani (f.33).

E’ quindi certo che Joseph LUONGO fosse un quadro di alto livello della struttura militare di sicurezza statunitense, proprio con il ruolo di organizzatore e reclutatore indicato da Carlo DIGILIO.

In un altro documento fornito dal S.I.S.Mi. (cfr. nota della Direzione del Servizio in data 10.5.1994 e analisi del documento da parte del R.O.S. in data 13.5.1994, vol.20, fasc.5), risalente al 1975 e definito allora dal S.I.D. "esatto nelle linee generali" (f.7), Joseph LUONGO è indicato come uno dei principali appartenenti ad una rete di spionaggio americana operante a Vicenza, molto probabilmente diversa e successiva a quella descritta da Carlo DIGILIO.

Si noti che nel documento, originariamente in lingua inglese e tedesca e proveniente da un briefing informativo tenuto nel marzo 1975 a Wiesbaden tra appartenenti a più Servizi in ambito N.A.T.O., è presente una sorta di lamentela (attribuibile al funzionario del nostro Servizio che ha tradotto e presentato l’appunto) collegata al fatto che il servizio segreto americano avrebbe teso ad una completa supremazia informativa in ambito N.A.T.O. assicurandosi il monopolio delle informazioni nell’ambito dell’Alleanza e raccogliendo notizie anche sulle attività di polizia interna ed esterna del nostro Paese (f.5).

Per tale ragione fine dell’appunto è anche quello di proporre indagini sugli agenti non noti indicati nell’elenco (ma fra questi non LUONGO, indicato come "noto") per verificare se si tratti di agenti illegali e non accreditati (f.7).

Il quadro dei riscontri, tuttavia, non si ferma qui.

Insieme agli atti appena citati, concernenti anche Joseph LUONGO, il S.I.S.Mi. ha fornito una fotografia risalente al primo dopoguerra che ritrae alcune persone in posa durante una cerimonia di battesimo e sul retro di tale fotografia sono indicati, fra le persone effigiate, Karl HASS, il secondo da destra, e, al suo fianco, il colonnello "Josip" LUONGO (cfr. vol.20, fasc.2, ff.2 e ss.).

Karl HASS, il maggiore delle SS addetto in Italia, durante la seconda guerra mondiale, ai servizi di sicurezza, corresponsabile in tale veste del massacro delle Fosse Ardeatine e recentemente condannato per i reati ad esso connessi, è stato sentito da personale del R.O.S. in data 4.7.1996 in merito ai rapporti intrattenuti, a partire dal primissimo dopoguerra, con i servizi segreti occidentali che gli avevano consentito di vivere indisturbato in Italia e di evitare conseguenze in relazione al gravissimo episodio in cui aveva avuto parte (cfr. vol.20, fasc.9).

La testimonianza di Karl HASS, estremamente significativa anche se probabilmente incompleta e reticente, costituisce la conferma completa del racconto di Carlo DIGILIO in merito al ruolo svolto da PAGNOTTA e LUONGO nella formazione della rete americana in cui sarebbero poi entrati Sergio MINETTO e le altre persone man mano reclutate in Veneto soprattutto nelle località in cui si trovavano importanti basi americane.

Il maggiore HASS, infatti, ha confermato innanzitutto di aver lavorato, già a partire dal 1943, per il Comando dei servizi di sicurezza tedeschi, che aveva sede a Verona (e a cui, secondo le testimonianze raccolte nella presente istruttoria, sarebbe stato vicino Bruno SOFFIATI che gestiva una propria rete informativa), partecipando ad importanti operazioni di intelligence quali l’arresto, insieme a Otto SKORZENY, dei Ministri italiani che avevano "tradito" il Duce e la costituzione di una rete di radiotrasmissioni, denominata IDA, che avrebbe dovuto continuare a trasmettere dati da Roma anche dopo l’ingresso nella capitale degli anglo-americani (dep. citata, f.1).

Arrestato dagli Alleati e trasferito in un carcere americano a Roma, dopo pochi giorni Karl HASS era stato contattato dal maggiore PAGNOTTA del Counter Intelligence Corp che gli aveva proposto di lavorare per il servizio segreto militare americano.

A tal fine era stato portato, nel marzo del 1947, in Austria, a Gmunden, presso il Comando del C.I.C. e qui gli era stato presentato il maggiore LUONGO che fungeva anche da elemento di collegamento fra il C.I.C. e il Ministero dell’Interno italiano (dep. citata, ff.2-3).

Gli era stato quindi fornito un falso passaporto italiano a nome GIUSTINI ed era quindi rientrato a Roma, alloggiando in un convento, e incaricato di compiti informativi in favore degli americani nel quadro della difesa dalla comune minaccia marxista.

In previsione della possibile vittoria del Fronte delle Sinistre nelle elezioni del 1948, il maggiore HASS aveva quindi attivato una serie di contatti fra la struttura americana e gli ambienti dell’estrema destra romana al fine di concordare un eventuale piano di occupazione, in caso di vittoria elettorale delle sinistre, dei principali edifici pubblici e del trasmettitore radio di Monte Mario (dep. citata, f.3).

Nel corso di tale attività, fra l’altro, il maggiore HASS era entrato in contatto con il funzionario del Ministero dell’Interno Ulderico CAPUTO (f.6) e cioè proprio il funzionario indicato nell’appunto del 22.3.1960 appena illustrato, accanto al nome del maggiore Joseph LUONGO.

All’inizio degli anni ‘50, il maggiore HASS era rientrato in Austria continuando a lavorare per il Military Information Service nell’ambito di Radio Free Europe (dep. citata, f.4).

In una successiva deposizione a personale del R.O.S. (18.11.1996, vol.20, fasc.9, ff.13 e ss.), Karl HASS ha ricordato anche di aver svolto un’attività di collaborazione con il dr. Ulderico CAPUTO e con gli americani nell’attività di sostegno logistico e psicologico di un agente sovietico transfuga in Occidente.

Il testimone non ha aggiunto altro, ma quanto ora esposto è più che sufficiente per confermare che le risultanze istruttorie relative alla formazione e al funzionamento della rete americana corrispondono a verità.

Al fine di integrare i dati raccolti sul ruolo svolto in Italia dal Karl HASS sono stati acquisiti, con la collaborazione del S.I.S.Mi., tutti gli atti di interesse ancora presenti in vecchi fascicoli del SIFAR e del SID (cfr. nota della Direzione del S.I.S.Mi. in data 5.9.1996 e lettera di accompagnamento e di analisi del materiale raccolto, ad opera del R.O.S., in data 21.2.1997, vol.20, fasc.9. ff.74 e ss.).

Da tali documenti e dall’analisi ragionata fatta dal personale del R.O.S. emerge non solo che Karl HASS era stato un agente del C.I.C. (tanto da avere l’incarico di controllare a Roma i comunisti tedeschi in contatto con il P.C.I. e da svolgere, all’inizio degli anni ‘50 a Linz in Austria, presso una scuola di spionaggio americana, l’attività di insegnante per la preparazione di agenti tedeschi; cfr. nota R.O.S. citata, f.82), ma che i rapporti fra questi e il maggiore LUONGO erano stati ben più intensi e duraturi tanto da protrarsi quantomeno fino al 1962, allorchè il maggiore LUONGO era stato dichiarato persona non gradita e allontanato dall’Italia a seguito di scontri interni fra il servizio segreto civile del Ministero dell’Interno e il SIFAR, con il cui Direttore di allora il maggiore LUONGO era entrato in contrasto.

In sostanza il maggiore Karl HASS, ancora interessato, all’inizio degli anni ‘60, ad attività informative concernenti il terrorismo altoatesino (cfr. nota R.O.S. citata, f.87), sarebbe stato sempre tutelato dai funzionari dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, dr. Gesualdo BARLETTA e dr. Ulderico CAPUTO, entrambi a stretto contatto con la rete informativa del maggiore LUONGO, meno gradito, per ragioni che oggi è ormai difficile stabilire, al servizio segreto militare italiano dell’epoca, e cioè il SIFAR (cfr. nota R.O.S. citata, ff.86 e 92-93).

A chiusura del cerchio dei riscontri concernenti la figura del maggiore LUONGO, Carlo DIGILIO, visionata la fotografia della cerimonia di battesimo fornita dal S.I.S.Mi. (che riguarda il battesimo, a Roma nel 1949, della figlia del maggiore LUONGO; cfr. dep. Karl HASS, 4.7.1996, ff.7-8), ha riconosciuto senza difficoltà nella terza persona da destra Joseph LUONGO, conosciuto a Colognola in quanto in stretto contatto con Sergio MINETTO (int. DIGILIO, 12.10.1996, ff.3-4).

Sarebbe stato certamente di grande interesse sentire il maggiore Joseph LUONGO, ancora vivente, sulla formazione e l’attività della struttura di spionaggio da lui coordinata, sui suoi rapporti con Sergio MINETTO e tutto il gruppo di Colognola ai Colli nonchè sui suoi rapporti con il maggiore Karl HASS ed altri ex-ufficiali tedeschi.

Il maggiore LUONGO, ormai pensionato, si era stabilito da alcuni anni a Bolzano e quindi una sua convocazione sarebbe stata abbastanza agevole.

Le notizie relative alla sua esistenza in vita e alla circostanza che egli risiedesse in Italia sono state tuttavia acquisite solo fortunosamente nella primavera del 1997 e in quel momento stata appurata un’altra circostanza che non appare certo casuale.

Joseph LUONGO aveva lasciato l’Italia ritornando negli Stati Uniti nel giugno del 1996, rendendosi così concretamente irreperibile proprio nei giorni in cui il suo nome era uscito per la prima volta durante gli interrogatori che il maggiore Karl HASS aveva reso alla Procura Militare di Roma (cfr. nota del R.O.S. in data 15.4.1997, vol.20, fasc.2, ff.15-16).

Certamente non una coincidenza.

 

 

 

 

 

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