P A R T E Q U A R T A

GLI ATTENTATI DEL 12 DICEMBRE 1969

E L’ATTENTATO DI GIANCARLO BERTOLI DINANZI ALLA

QUESTURA DI MILANO IL 17 MAGGIO 1973

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ORDINE NUOVO E GLI ATTENTATI DEL 12.12.1969:

UNA LETTURA COMPLESSIVA

LA DEPOSIZIONE DI TULLIO FABRIS

La valutazione di una imputazione così delicata come quella di spionaggio politico-militare di cui al capo 33 di imputazione, mossa a Sergio MINETTO e Carlo DIGILIO e prospettabile anche nei confronti di alcuni ufficiali statunitensi e quindi contestata, forse per la prima volta dal dopoguerra ad oggi, nella presente istruttoria ad agenti appartenenti non a Paesi dell’Est-europeo, ma a Paesi della N.A.T.O., comporta innanzitutto l’esame dei fatti storici che sarebbero stati oggetto delle attività di spionaggio e collusione.

Il capo di imputazione, così come articolato, riguarda l’attività illecita della struttura informativa (e i motivi dell’illiceità saranno esposti nel capitolo 52) in relazione alla strage di Piazza Fontana e agli attentati che l’hanno preceduta, la strage dinanzi alla Questura di Milano del 17.5.1973 ed altre situazioni di carattere golpistico o eversivo o attività di depistaggio delle indagini riguardanti tali episodi, tutte avvenute in territorio veneto anche se proiettate su avvenimenti consumatisi prevalentemente a Milano.

E’ quindi necessario, prima di valutare sul piano penale l’illiceità e le conseguenze del comportamento di MINETTO, DIGILIO, del capitano CARRET e degli altri componenti della struttura informativa avente la sua base a Verona, esporre in modo sintetico, ma sufficientemente illustrativo, quanto emerso nel corso dell’istruttoria in relazione agli episodi più gravi e in particolare la strage di Piazza Fontana e la strage dinanzi alla Questura di Milano.

Tali eventi criminosi sono lo specifico oggetto di altre due indagini (condotte rispettivamente, con il rito vigente, da parte della Procura della Repubblica di Milano e, con il rito abrogato in regime di proroga, da parte del Giudice Istruttore dr. Antonio Lombardi) ed hanno visto nel giugno 1997, peraltro sulla base prevalentemente di elementi di prova comuni alla presente istruttoria, l’emissione di provvedimenti restrittivi nei confronti del dr. Carlo Maria MAGGI e di Delfo ZORZI per gli attentati del 12.12.1969 e nei confronti dello stesso dr. MAGGI, di Giorgio BOFFELLI e di Francesco NEAMI per la strage del 17.5.1973.

Non si intende nè sarebbe necessario, in questa sede, duplicare le ampie e dettagliate motivazioni poste a base dei provvedimenti restrittivi del giugno 1997, ma appare tuttavia utile, sotto un profilo logico e ricostruttivo e al fine di offrire un immediato quadro di interpretazione dei comportamenti degli imputati accusati di avere fatto parte della rete americana, esporre, in modo sufficientemente organico e con riferimento comunque ai soli elementi emersi in questa istruttoria, il quadro probatorio formatosi in merito a tali due stragi e ai probabili collegamenti fra di esse sia in tema di comuni mezzi operativi sia in tema di movente di tali azioni (cfr., su tale ultimo punto, il capitolo 40 dedicato al ruolo dell’on. Mariano RUMOR).

L’esposizione degli elementi raccolti può iniziare con l’esame di una testimonianza che forse non è stata, sul piano esterno, eclatante come la collaborazione di Martino SICILIANO e Carlo DIGILIO, ma che sul piano storico e processuale risulta determinante per affermare la responsabilità della struttura veneta di Ordine Nuovo negli attentati del 12.12.1969 e sarebbe stata dirompente se gli elementi di prova che per ragioni di timore sono stati taciuti sino all’autunno del 1994, fossero giunti quantomeno prima della chiusura dei dibattimenti celebrati a Catanzaro.

Ci riferiamo alle nuove e complete deposizioni rese dall’elettricista di Padova, Tullio FABRIS, l’uomo che aiutò Franco FREDA nell’acquisto dei timers, a personale del R.O.S. Carabinieri in data 16 e 17 novembre 1994 e 9.12.1994 (e dalla moglie, Maria Paola BETTELLA, in data 17.11.1994), successivamente confermate con ulteriori precisazioni dinanzi a questo Ufficio in data 24.3.1995.

Il valore di tali dichiarazioni, la cui acquisizione alle istruttorie in corso costituisce un grande risultato sul piano della serietà e della capacità investigativa del personale del R.O.S. Carabinieri, è eccezionale.

Si può affermare con ragionevole certezza che tali dichiarazioni, tenendo presente che provengono da un uomo semplice che per tanti anni, per ragioni più che comprensibili, non aveva avuto la forza di raccontare tutto ciò che sapeva, se acquisite nel corso dei precedenti giudizi, ne avrebbero mutato l’esito facendo franare il castello difensivo dei componenti della cellula padovana.

Se le nuove dichiarazioni di Tullio FABRIS hanno valore solo storico nei confronti di Franco FREDA e Giovanni VENTURA, assolti, sia pure per insufficienza di prove, con sentenza definitiva, esse hanno invece pieno valore processuale e piena attualità nei confronti di altri componenti del gruppo quali il dr. Carlo Maria MAGGI e Delfo ZORZI.

Infatti questi ultimi sono attualmente accusati, come si desume anche dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. di Milano nel giugno 1997, di avere organizzato e commesso gli attentati del 12.12.1969 in concorso con FREDA, VENTURA e altri componenti della cellula padovana e di conseguenza i nuovi elementi emersi a carico dei componenti di tale cellula, fortunosamente assolti, sono pienamente utilizzabili nei confronti di MAGGI e ZORZI contribuendo a formare il quadro complessivo delle responsabilità della struttura veneta.

Del resto, come si delinea chiaramente dalle nuove deposizioni di Tullio FABRIS, gli insegnamenti tecnici che grazie a lui sono stati raccolti da FREDA e VENTURA nello studio legale padovano in merito al funzionamento dei timers erano destinati non ad essere utilizzati direttamente da costoro, ma ad essere travasati agli elementi che dovevano materialmente operare, e quindi certamente a Delfo ZORZI e ad altri componenti della cellula di Mestre/Venezia.

Passando all’esame delle dichiarazioni di FABRIS nel loro sviluppo storico e logico, bisogna innanzitutto ricordare che questi era estraneo al gruppo e a qualsiasi militanza politica ed era semplicemente l’elettricista che Franco FREDA, dopo averlo impiegato in alcuni comuni lavori da artigiano nella fase del rinnovo e dell’arredamento dello studio di Padova, aveva utilizzato per l’acquisto dei timers presso la ditta ELETTOCONTROLLI di Bologna senza spiegargli l’uso che intendeva farne.

Tullio FABRIS infatti, nel settembre 1969, aveva ritirato i 50 timers presso la ditta bolognese pagandoli con denaro anticipato da FREDA e consegnandoli poi alla segretaria dello studio.

Nell’istruttoria condotta prima dai giudici di Treviso e poi dai giudici di Milano, FABRIS aveva confermato l’intervento nell’acquisto dei timers e aveva aggiunto tre circostanze:

- nello studio legale di Padova aveva sentito discutere FREDA e VENTURA dei timers acquistati e ave a visto FREDA cederne uno a VENTURA;

- aveva acquistato per FREDA 5 metri di filo di nichel-cromo (cioè il filo poi utilizzato dal gruppo come resistenza nell’innesco degli ordigni);

- nel settembre 1969, FREDA gli aveva detto che i timers andavano messi all’interno di cassette metalliche e gli aveva chiesto di procurarne qualcuna (si ricordi l’uso, per la prima volta, di cassette metalliche nell’ottobre 1969 in occasione degli attentati di Trieste e Gorizia).

Nel corso della prima istruttoria, anche in sede di confronto con FREDA, Tullio FABRIS non aveva detto di più, pur confermando le precedenti dichiarazioni.

Quanto riferito sino a quel momento da Tullio FABRIS non era tutta quanta la verità e tutto quanto poteva interessare così da vicino l’istruttoria.

Nel corso delle deposizioni rese nel novembre 1994 a personale del R.O.S. e successivamente dinanzi a questo Ufficio egli ha innanzitutto spiegato la ragione della sua parziale reticenza rivelando di essere stato minacciato ben in tre occasioni, proprio mentre erano in corso le indagini milanesi, da persone vicine agli imputati e cioè Massimiliano FACHINI e Pino RAUTI.

Tali minacce sono state confermate anche dalla moglie di Fabris, Maria Rosa BETTELLA, che aveva assistito all’episodio avvenuto all’interno del negozio del marito e che aveva visto come protagonisti, insieme, RAUTI e FACHINI.

Ecco i passi più salienti delle dichiarazioni rese da FABRIS e dalla moglie in merito alle minacce subite:

"""....Voglio far presente che ho molto timore non per avere avuto un ruolo nella strage, ma per essere stato trascinato, a causa della mia ingenuità e buona fede, anche perchè il Sig. FREDA appariva come un rispettabile avvocato, in situazioni che mi hanno permesso di capire che si stavano realizzando delle cattive azioni.

I miei timori sono fondati, in quanto già nel passato ho subìto visite intimidatorie, delle quali voglio parlare perchè si sia coscienti della mia situazione emotiva.

Preciso che subito dopo il primo o il secondo verbale di cui mi è stata concessa lettura (n.d.r.: si tratta di verbali di dichiarazioni rese nel gennaio 1972 dal teste davanti al G.I. di Treviso) ricevetti la visita di una persona che non conoscevo e che mi disse di chiamarsi FACHINI e di essere un amico di FREDA e mi precisò di essere un amico di questi.

Ricordo che era in un periodo freddo.

Il FACHINI mi chiese di raccontargli quali erano state le domande fatte dai Giudici, cosa alla quale io risposi, chiedendomi inoltre se avevo bisogno di aiuto e se il lavoro andava bene.

Io gli risposi che non volevo avere più alcun rapporto con loro.

Il FACHINI in questa occasione non reagì in malo modo.

Voglio precisare che in realtà la prima minaccia la subii proprio contestualmente alla prima deposizione in Padova, allorquando mi incrociai con la mamma di Franco FREDA che mi intimò di stare attento, in quanto mi avrebbe mandato al creatore.

Successivamente, sempre in periodo freddo invernale, nello stesso tempo in cui effettuavo alcune deposizioni in Milano, il FACHINI rivenne, unitamente ad altra persona a me al momento non nota, sempre presso la mia abitazione/negozio.

In questa occasione era presente mia moglie ed alcuni clienti.

I due aspettarono l’uscita dei clienti per iniziare a parlare, cosa che fecero solo con mia moglie, in quanto io arrivai proprio nel momento in cui lei li stava cacciando e la udii dire che gli avrebbe graffiato il muso.

Mia moglie mi narrò che era stata minacciata in particolar modo dallo sconosciuto che si era qualificato come milanese.

Riconoscemmo poi in un articolo di giornale l’individuo che aveva accompagnato il FACHINI, si trattava di Pino RAUTI.

L’ultima minaccia la ebbi nel corso della Fiera Campionaria di quello stesso anno, credo svoltasi in giugno, ove avevo una stand della Hoover.

Preciso che si trattava dei lavori preparatori della Fiera.

Mentre ero alla Fiera mi trovai improvvisamente di fronte al FACHINI, che fu molto più duro della prima volta, tant’è che io ebbi il coraggio di intimargli di non darmi più fastidio""".

(dep. FABRIS a personale del R.O.S. in data 16.11.1994)

"""Non feci allora presente quanto ho inteso oggi dire, poichè ero vittima di una paura ben comprensibile: chi aveva osato tanto non avrebbe avuto alcun timore ad eliminare scomodi testimoni.

Anzi le minacce ricevute, senza che mi venisse accordata alcuna protezione, mi rafforzarono nel convincimento che si era creata una situazione di estremo pericolo per me e per i miei congiunti""".

(dep. FABRIS a personale del R.O.S. in data 17.11.1994)

"""In conseguenza delle testimonianze che resi, prima all'A.G. di Treviso e in seguito all'A.G. di Milano, subii i tre episodi di minaccia che ho già riferito.

Il primo avvenne nel mio negozio dopo essere stato sentito dall'A.G. di Treviso e fu opera del solo Fachini.

Il secondo, sempre in negozio, avvenne dopo essere stato sentito dall'A.G. di Milano e avvenne ad opera di Massimiliano Fachini e di Pino Rauti e in tale occasione era presente anche mia moglie.

Il terzo episodio avvenne quando io lavoravo allo stand della Fiera Campionaria, a Padova, e fu opera del solo Fachini.

Posso precisare che prima di questi tre episodi avevo visto Massimiliano Fachini una sola volta. Egli mi attese una sera davanti al mio box in fondo alla discesa e me lo trovai a fianco proprio quando stavo per tirare su la saracinesca.

Il box si trova proprio sotto la mia abitazione.

Egli si presentò come Fachini e mi disse che era un amico di Freda. Mi chiese se avevo problemi di lavoro e se avevo avuto qualche problema dal punto di vista giudiziario.

Il suo tono non era minaccioso e l'incontro fu breve e del resto era una persona abbastanza di poche parole.

Io in quel momento non ero ancora stato sentito dai giudici, mentre ero già stato sentito dal dr. Stiz quando Fachini venne per la prima volta nel mio negozio.

L'incontro davanti al box si colloca circa un paio di mesi prima della prima venuta di Fachini nel mio negozio.

L'incontro alla Fiera avvenne invece nel maggio del 1972, che è il mese in cui si tiene appunto la Fiera, quindi questa serie di "incontri" si colloca fra l'autunno 1971 e la primavera 1972.

La seconda volta in negozio, Fachini venne con una persona che egli disse venire da Milano, era una persona con il cappello e il cappotto con il bavero alzato e dimostrava circa 40/45 anni.

Durante tutto l'incontro, a parte la presentazione da parte di Fachini, fu sempre quest'uomo con il cappello a parlare con un tono minaccioso e da far paura. Mia moglie reagì vivacemente minacciando di graffiarlo se non se ne fossero andati subito. Fece anche il gesto di uscire da dietro il bancone per raggiungerli.

Circa due settimane dopo riconoscemmo con certezza l'uomo con il cappello in Pino Rauti che apparve diverse sui giornali e in televisione perchè coinvolto nell'istruttoria su Piazza Fontana.

Nel corso delle deposizioni rese all'epoca non ho mai voluto narrare con precisione tutti questi episodi per evidenti ragioni di paura connesse proprio alle minacce che avevo subìto.

Infatti a quel tempo queste persone sembravano in grado di fare del male, la nostra è una famiglia semplice e non abbiamo conoscenze e abbiamo avuto paura.

Posso aggiungere che subito dopo la visita di Fachini e Rauti avevo sollecitato un aiuto al maresciallo Toniolo dei Carabinieri che lavorava al Tribunale di Padova.

Chiedevo sorveglianza e protezione, ma in realtà non ho mai visto nulla, le risposte del maresciallo erano generiche e anzi mi consigliò di non mettermi in mezzo e di limitare le mie testimonianze al minimo indispensabile.

In sostanza il maresciallo Toniolo mi ascoltava quasi con fastidio."""

(dep. FABRIS a questo Ufficio, 24.3.1995)

"""Prendo atto che, dopo avermi resa edotta di quanto deposto da mio marito, mi si richiedono ulteriori particolari in merito all’episodio di cui fui protagonista.

A questo proposito faccio presente che, pur non potendo ricordare con precisione l’epoca, nel periodo invernale in cui mio marito rese le sue deposizioni, si presentarono nel negozio due sconosciuti, che attesero che io avessi finito di servire i clienti che si trovavano al bancone in quel momento.

Usciti i clienti, i due mi si avvicinarono e il più grande di età, quello che indossava un cappello ed un cappotto, con il bavero alzato, mi venne presentato dal più giovane come persona proveniente da Milano.

A questo punto iniziò a parlare l’uomo con il cappello che mi disse: "Vengo per il caso FREDA, voglio sapere quello che suo marito ha detto ai Carabinieri e alla Magistratura negli interrogatori".

Preciso che il tutto fu detto con fare molto autoritario, anzi con prepotenza e in modo che io rimanessi bloccata in un angolo del magazzino.

Risposi che non avevano alcun diritto di fare quelle domande e li invitai con fermezza a recarsi dai Carabinieri o dai Magistrati per apprendere quanto volevano.

Quello col cappotto ribattè che: "Lei si rende conto con chi sta parlando?" e continuò formulando frasi intimidatorie, al che mi avvicinai verso di lui con l’intento di graffiargli il volto e questi a mo’ di difesa si girò dirigendosi verso l’uscita.

Io aprii la porta così da dargli modo di andarsene dal negozio e, proprio poco prima di uscire a seguito dell’uomo più giovane, si girò su se stesso pronunziando le seguenti parole: "Le ripeto che lei non sa chi sono io e vedrà le conseguenze".

Sul vialetto i due si incrociarono con mio marito che, successivamente, chiedendomi che cosa era accaduto, mi informò che l’uomo senza appello era il FACHINI.....specifico che l’uomo senza copricapo rimase, tranne la frase iniziale, sempre muto.

Circa due settimane dopo, rivedemmo l’uomo con il cappello, che era venuto nel negozio, in televisione, dove venne indicato come Pino RAUTI.

Ovviamente prestammo attenzione ai quotidiani e rivedendo la foto di Pino RAUTI avemmo la piena certezza che era colui che si era recato in negozio accompagnato dal FACHINI""".

(dep. BETTELLA a personale del R.O.S. in data 17.11.1994).

Si noti che il riferimento temporale fornito da FABRIS in relazione alla persona di RAUTI è esatto.

FABRIS, infatti, era stato sentito dal G.I. di Milano, dr. D’Ambrosio, dal 19 al 22 gennaio 1972 e al personale del R.O.S. ha fatto presente di essere stato minacciato da RAUTI e FACHINI poco tempo dopo, nel suo negozio, e di avere riconosciuto, ancora pochissimo tempo dopo, RAUTI in televisione in quanto tratto in arresto per concorso nella strage di Piazza Fontana.

Il mandato di cattura nei confronti di Pino RAUTI è stato effettivamente emesso dai Giudici milanesi il 2.3.1972 e quindi la scansione temporale indicata da Tullio FABRIS è assolutamente esatta.

Quanto esposto da FABRIS conferma che questi non aveva riferito, nel corso dell’istruttoria, tutti i particolari dei suoi rapporti con FREDA e VENTURA (in caso contrario, del resto, le minacce sarebbero state inutilmente pericolose), ma soprattutto rivela come, per proteggere la posizione di FREDA, si sia attivato addirittura Pino RAUTI, cioè il vertice di Ordine Nuovo, evidentemente nella consapevolezza che l’aggravarsi delle prove a carico di FREDA e VENTURA ed un loro eventuale crollo dinanzi agli inquirenti avrebbe inesorabilmente travolto l’intera struttura dal centro alla periferia.

Il coinvolgimento delle più alte strutture gerarchiche di Ordine Nuovo è del resto in corrispondenza con il complessivo racconto di Carlo DIGILIO, il quale ha riferito che Pino RAUTI aveva partecipato a Padova ad una riunione preparatoria della strategia degli attentati (int. 16.5.1997, ff.3-4) e che, secondo il quadro fornitogli da Delfo ZORZI, tutto era stato deciso a Roma d’intesa con apparati istituzionali.

Passando all’esposizione delle nuove circostanze rivelate da Tullio FABRIS, questi ha riferito di non essersi limitato a rendere possibile l’acquisizione dei timers da parte di Franco FREDA, ma che nello studio legale di Padova vi erano stati ben tre incontri grazie ai quali FREDA e VENTURA avevano imparato a far funzionare gli inneschi, anche con prove pratiche che avevano avuto pieno successo, l’ultima delle quali collegando direttamente uno dei timers alle restanti parti del sistema di attivazione.

Vediamo cosa avvenne nei tre incontri, che costituiscono una prova del nove delle responsabilità del gruppo veneto:

- In un primo incontro nello studio legale, presente solo FREDA (dep. FABRIS al R.O.S., 17.11.1994, f.2; al G.I., 14.3.1995, f.1) viene provato l’innesco formato da: batteria, filo elettrico al nichel-cromo e fiammifero antivento (procurato da FREDA; dep. 24.3.1995, f.3); quest’ultimo, grazie al surriscaldamento del filo elettrico al momento della chiusura del circuito, si accende.

Tale incontro avviene prima dell’acquisto dei timers e Franco FREDA rimane soddisfatto della prova (dep. 5.12.1994, f.1).

Tullio FABRIS ha descritto tale primo esperimento, effettuato quando non erano ancora disponibili i timers, con spontaneità e nello stesso tempo con l’estrema precisione tecnica che gli deriva dalla sua professione (dep. 17.11.1994, f.2).

Si noti che il particolare relativo all’utilizzo del fiammifero antivento è di estrema importanza poichè si tratta della miglioria suggerita dal prof. Lino FRANCO in occasione del secondo accesso al casolare di Paese (int. DIGILIO, 10.10.1994, f.3) ed il fatto che Franco FREDA si sia impadronito di tale espediente tecnico testimonia il travaso delle conoscenze all’interno del gruppo nel periodo in cui il miglioramento dei sistemi di innesco era in fase di continua sperimentazione.

- Il secondo incontro, sempre nello studio di FREDA, presente anche VENTURA, avviene dopo l’acquisto dei timers ed ha carattere teorico in quanto i due si limitano a chiedere a FABRIS in che modo l’innesco provato nel corso del primo incontro possa essere collegato ad un timer.

FREDA annota tutto su un foglio (dep. 5.12.1994, f.1).

Franco FREDA aveva giustificato a FABRIS tale richiesta di informazioni affermando che il timer, con il suo meccanismo di attivazione in ritardo, doveva servire alla "partenza di più missili" (dep. 5.12.1994, f.1).

- Nel terzo incontro, quello decisivo, sempre presenti FREDA e VENTURA, avviene la prova pratica.

Uno dei timers acquistati tramite FABRIS viene collegato al congegno elettrico.

Vengono fatte due prove che hanno entrambe successo ed il filo al nichel-cromo, dopo la chiusura del contatto da parte del timer, accende il fiammifero antivento intorno a cui è avvolto (dep. 5.12.1994, f.2).

Dopo le due prove, VENTURA porta via tutto nella sua borsa.

Conviene riportare integralmente tale descrizione della scena contenuta nella deposizione di Tullio FABRIS in data 5.12.1994 poichè costituisce una fotografia "tecnica", ma a posteriori drammatica, di quello che sarebbe avvenuto poche settimane dopo all’interno della borsa deposta nel salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura e presso gli altri obiettivi della giornata del 12 dicembre 1969:

"""... All’incirca un mese dopo, nell’ottobre/novembre del 1969, si portava l’impermeabile e non il cappotto, vi fu la prova pratica, anche questa volta nell’Ufficio del dr. FREDA.

Fu utilizzato un solo timer e la prova fu piuttosto breve, in quanto si trattò solo di fare il collegamento tra il filo elettrico già sperimentato e i tre morsetti, cioè il "RITORNO UNO", il "COMUNE" e il "RITORNO DUE".

Ribadisco che il timer della ditta RICA non aveva il "ritorno due" ed era quindi inutilizzabile per gli scopi di FREDA.

Il timer della ELETTROCONTROLLI aveva invece tre morsetti.

il collegamento fu fatto unendo la linguetta rimasta libera delle due batterie da 4.5 volt con il morsetto "comune" del timer, invece il filo al nichel-cromo, che era collegato ad un capo ad altra linguetta delle due batterie, fu connesso al morsetto denominato "ritorno due", col faston.

Ovviamente non vi è alcun bisogno di fare collegamenti al morsetto denominato "ritorno uno"; esso è presente solo perchè il commutatore, cioè il timer in deviazione, possa essere utilizzato anche come semplice timer.

Preciso ancora meglio, mentre il timer della Elettrocontrolli poteva fare anche la funzione del timer della Rica, non poteva avvenire il contrario.

Anche in questo caso fu realizzato l’esperimento utilizzando un fiammifero antivento.

Credo di ricordare che furono effettuate solo due prove, esse andarono entrambe bene e sia il FREDA che il VENTURA rimasero molto soddisfatti.

Non vi fu bisogno di cambiare le batterie, furono in grado di sopportare tutti e due i cortocircuiti.

Ovviamente prima si fa il collegamento di una linguetta delle due pile con il COMUNE, poi si carica il timer e, solo dopo questa operazione, si può fare l’ultima connessione tra il nichel-cromo e il RITORNO DUE.

Se non venisse data la carica, il timer si comporterebbe come se la molla si fosse già scaricata e quindi immediato cortocircuito.

Anche in questo caso il FREDA si annotò il tutto e, comunque, in ogni caso, era impossibile che sbagliassero in quanto, come detto l’altra volta, il VENTURA si mise il tutto nella sua borsa e cioè con i contatti con i morsetti ancora attaccati....""".

Tullio FABRIS ha aggiunto che il congegno così preparato era stabile sul piano tecnico, cioè non poteva essere danneggiato da sollecitazioni meccaniche o piccoli urti e che la carica del timer, benchè meno precisa rispetto a quelli attuali in quanto ancora a molla, era comunque abbastanza affidabile in quanto su una carica di 60 minuti poteva portare ad un anticipo non voluto al massimo di 2 o 3 minuti (dep. 5.12.1994, f.2).

Tale prova pratica con l’utilizzo del timer era avvenuta appunto nell’ottobre-novembre 1969, secondo una precisa scansione temporale in cui si sono succeduti i tre incontri e che Tullio FABRIS ha ricollegato anche, con precisione, a sue attività di quel periodo.

Tale circostanza sgretola, quindi, definitivamente la versione di Franco FREDA secondo cui, subito dopo l’acquisto, e cioè nel settembre 1969, egli avrebbe ceduto i 50 timers al fantomatico capitano HAMID dei servizi segreti algerini.

Invece un timer da utilizzarsi come campione era presente nello studio di FREDA varie settimane dopo tale fantasiosa cessione e quindi il racconto di Tullio FABRIS in merito al terzo incontro e alla prova pratica che in tale occasione era stata effettuata indica in modo preciso la responsabilità del gruppo di FREDA e VENTURA e dell’intera struttura veneta nella strage.

D’altronde Franco FREDA aveva fatto presente a Tullio FABRIS che vi era un’altra persona che avrebbe provveduto a realizzare concretamente quanto in quel frangente si stava imparando e sperimentando (dep.5.12.1994, f.2), persona facilmente individuabile in Delfo ZORZI e cioè colui che doveva assumersi il compito di eseguire materialmente, coordinando quel giorno anche gli altri elementi operativi, gli attentati del 12.12.1969.

Oltre a quanto avvenuto in occasione dei tre incontri nello studio legale di Franco Freda, Tullio FABRIS ha riferito altre circostanze di eccezionale gravità che evidenziano, fra l’altro, la sicurezza dell’impunità che caratterizzava i movimenti e le attività del gruppo.

Infatti anche dopo gli attentati del 12.12.1969, Franco FREDA non si era fatto scrupolo di chiedere ancora la collaborazione di FABRIS, tranquillizzandolo in merito alle protezioni di cui il gruppo godeva e promettendo, questa volta, un lauto guadagno.

Ecco, in merito ai discorsi di FREDA prima e dopo la strage, il racconto di Tullio FABRIS:

"""...voglio ancora precisare che in un tempo successivo alla strage di Piazza Fontana e quando il tempo volgeva verso la primavera quindi, credo, nel marzo o aprile 1970, mentre mi trovavo nell’Ufficio del signor FREDA, sito in Via San Biagio, alla presenza del signor Giovanni VENTURA, mi fu chiesto se desideravo lavorare per loro in maniera continuativa per eseguire i collegamenti elettrici tra i timers e le pile ed il resto del materiale occorrente citato nel verbale redatto ieri.

Precisarono testualmente:"La pagheremo bene e sarà protetto in quanto se dovessero verificarsi dei problemi, anche a noi, stia tranquillo che c’è una persona importante a livello governativo che ci darebbe una mano e che proteggerebbe anche lei".

Non risposi subito e presi tempo e nell’arco di due giorni ne parlai con mia moglie decidendo in senso negativo e, ritornando presso l’ufficio del FREDA, questa volta da solo, lo informai del mio diniego.

Voglio precisare che all’epoca io e mia moglie stavamo costruendo con sacrifici la nostra casa e che dei soldi ci avrebbero fatto molto comdo, ma erano successi alcuni episodi che ci fecero molto riflettere e ci imposero di staccarci completamente da quell’ambiente.

Tali episodi sono essenzialmente:

1) il far presente da parte del FREDA, nel corso del secondo semestre del 1969, che in dicembre di quello stesso anno si sarebbe verificato qualcosa di molto importante;

2) il legare, sempre da parte del FREDA questi eventi importanti, ricordo il plurale, alle specifiche richieste in campo elettrico che mi faceva per crearsi un bagaglio culturale nello specifico settore;

3) il parlare da parte del FREDA, genericamente, della realizzazione di un "COLPO DI STATO" e comunque di una "DESTABILIZZAZIONE" della situazione politica italiana.

Preciso che i termini virgolettati sono esattamente quelli utilizzato dal FREDA ed erano in riferimento a quanto doveva accadere nel dicembre 1969.

Intendo specificare che queste frasi dette dal FREDA non trovavano la loro origine in una particolare confidenza, ma in un forte desiderio di vantarsi di quest’ultimo e di appalesare il suo potere..."""

Tullio FABRIS, tuttavia, dopo essersi anche consultato con la moglie (dep. 24.3.1995, f.1), non aveva accettato tali proposte e aveva troncato ogni rapporto con FREDA evitando anche di parlargli per telefono.

Infatti egli aveva ormai compreso per quale disegno era stato utilizzato:

"""...Poichè l’Ufficio me lo chiede, intendo anche dire che ebbi un fortissimo travaglio emotivo.

Il pomeriggio del 12.12.1969, dopo aver appreso da un cliente di quanto era accaduto a Milano, ebbi in cuor mio la certezza morale che FREDA e VENTURA erano degli assassini, tuttavia non vi volevo credere.

Vi prego di credere che fu un grave contrasto emozionale.

Solo più tardi, quando mi fu fatta la proposta di lavoro continuativo, ebbi la certezza che erano stati loro: il chiedermi di lavorare per loro fu da me interpretato come un complimento alle mie conoscenze elettriche, da quel momento non ho più voluto avere alcun rapporto neanche telefonico con il FREDA, tant’è che facevo rispondere mia moglie...""".

I discorsi di Franco FREDA, riferiti da FABRIS, in merito alle protezioni godute (si ricordi che sino al 1971 il gruppo veneto non sarebbe stato toccato dalle indagini) e al collegamento dell’azione delle persone vicine a FREDA con la realizzazione di un progetto golpistico (si veda, sul punto, ampiamente il capitolo 38 della sentenza-ordinanza di questo Ufficio conclusiva del primo filone istruttorio) sono in perfetta sintonia con le restanti acquisizioni processuali.

Non a caso, del resto, Vincenzo VINCIGUERRA aveva sottolineato che l’acquisto dei timers da parte di FREDA senza particolari precauzioni (ed anzi coinvolgendo addirittura una persona come FABRIS, estranea al gruppo) era dovuto al fatto che l’operazione del 12.12.1969 si inquadrava in un piano golpistico che, secondo gli autori degli attentati, avrebbe certamente avuto successo e quindi gli stessi, lungi dall’essere perseguitati, si sarebbero anzi trovati in breve volgere di tempo in posizioni di maggior potere (int. VINCIGUERRA, 10.7.1992, f.1).

31

LE DICHIARAZIONI DI VINCENZO VINCIGUERRA

RELATIVE ALL’ "OPERAZIONE" DEL 12.12.1969

LA MANIFESTAZIONE DEL M.S.I. E DI ORDINE NUOVO

INDETTA A ROMA PER IL 14.12.1969

Vincenzo VINCIGUERRA ha reso a questo Ufficio, fra il 1991 e il 1993, una serie di interrogatori in cui egli ha ritenuto di fornire alcuni elementi di conoscenza in suo possesso utili a ricostruire la storia di quella che egli stesso ha definito l’ "operazione" del 12.12.1969.

Si tratta di elementi di conoscenza appresi in parte nella prima fase della sua militanza nella struttura di Ordine Nuovo, e precisamente nella cellula di Udine di cui facevano parte Carlo CICUTTINI e Ivano BOCCACCIO, e in parte nella seconda fase di tale militanza quando egli, per non essere tratto in arresto per il fallito dirottamento di Ronchi dei Legionari in cui Ivano BOCCACCIO aveva trovato la morte, aveva raggiunto la Spagna e si era unito al gruppo di latitanti gravitanti intorno a Stefano DELLE CHIAIE, proseguendo poi la sua attività politica in Avanguardia Nazionale anche in Sud-America e durante i periodi di rientro clandestino in Italia.

In relazione a molte delle notizie che egli ha ritenuto di rendere note nel corso degli interrogatori, talvolta ampliando in tale sede spunti o concetti già accennati in documenti o libri da lui scritti e pubblicati anche nel normale circuito editoriale, Vincenzo VINCIGUERRA ha ritenuto di non rendere comunque noto il nome della fonte, non intendendo mettere in difficoltà e magari coinvolgere in procedimenti penali camerati sulla cui onestà e buona fede non erano mai sorti dubbi durante la militanza e quindi diversi da quelli risultati collusi con apparati dello Stato i cui nomi, invece, potevano essere indicati senza remore.

Tale scelta, del tutto spiegabile in un’ottica di "militante rivoluzionario" quale si è sempre considerato e si considera VINCIGUERRA, ha certamente in parte ridotto la portata processuale delle sue dichiarazioni, ma di certo non l’ha annullata in quanto si tratta pur sempre di notizie ricevute in un contesto di affidabilità reciproca fra i due interlocutori all’interno di una ristretta cerchia di persone e di conseguenza tali notizie, indipendentemente dall’indicazione della specifica persona che ne è stata la fonte ed integrate dalle altre la cui fonte VINCIGUERRA ha invece reso nota, rimangono dati coerenti e processualmente utilizzabili.

Ad avviso di questo Ufficio, la figura di Vincenzo VINCIGUERRA e il suo peculiare comportamento all’interno del mondo di estrema destra sono stati efficacemente scolpiti in un passaggio della relazione che nel 1994 ha concluso i lavori della Commissione Parlamentare sulle stragi all’interno dell’ XI Legislatura, passaggio che per la sua precisione merita di essere riportato:

"""....Questi, però, non si ritiene (e non è) un "pentito" o un dissociato.

Infatti Vincenzo VINCIGUERRA ha sempre premesso di non essere disposto a rivelare tutto quanto a sua conoscenza e, in particolare, non è mai stato disposto a fare rivelazioni che direttamente o indirettamente portassero all’individuazione di responsabilità penali di persone che professassero le sue stesse idee politiche, così come si è sempre riservato il diritto di scegliere il momento in cui rivelare le notizie in suo possesso.

D’altro canto, VINCIGUERRA non hai chiesto attenuazioni di pena, accettando di scontare l’ergastolo irrogatogli e in questo modo si è, per così dire, pagato il diritto di rivelare quello che ritiene opportuno nel momento che reputa adatto.

Ovviamente questo ha ridotto considerevolmente la portata della collaborazione di VINCIGUERRA che resta, comunque, il caso più rilevante di collaborazione con la Giustizia su questo versante delle indagini..."""

Quindi, pur non essendo VINCIGUERRA tecnicamente un collaboratore, è certo che egli, dal suo punto di vista essenzialmente storico e politico, ha contribuito in modo significativo a ricostruire alcuni passaggi della strategia della tensione.

L’attendibilità di Vincenzo VINCIGUERRA risulta decisamente avvalorata dal venir meno, con le indagini di questi ultimi anni, dell’ipotesi prospettata dal G.I. di Venezia, dr. Casson, secondo cui l’attentato di Peteano sarebbe stato in qualche modo connesso, forse sotto il profilo dell’esplosivo utilizzato, al deposito NASCO di Aurisina dell’organizzazione GLADIO e lo stesso VINCIGUERRA, lungi dall’essere un nazional-rivoluzionario puro e coerente, sarebbe stato legato a GLADIO o, come altri ordinovisti, a qualche altro apparato istituzionale e di conseguenza l’attentato da lui commesso non sarebbe stato un gesto di attacco diretto contro lo Stato, unico in tale settore e quasi parallelo alle azioni delle Brigate Rosse, ma parte, sin dall’origine, della strategia della tensione e delle sue oscure connivenze (cfr. ordinanza del G.I. di Venezia in data 24.2.1989 nel procedimento Peteano-ter, ff.9 e ss., vol.27, fasc.2).

Mai una ricostruzione così infondata, sfornita non solo di qualsiasi elemento di prova, ma anche di qualsiasi dato indiziario, è stata così cara al mondo dei mass-media, soprattutto all’inizio degli anni ‘90, all’emergere del "caso GLADIO", tanto da essere ancora oggi riportata meccanicamente ogniqualvolta, nell’ambito di commenti ricostruttivi, viene rievocato l’attentato di Peteano.

L’effetto di tale ingiustificato ed erroneo collegamento è stato nefasto in quanto è stato una delle ragioni non ultime per le quali VINCIGUERRA, limitando così la portata delle sue dichiarazioni, ha ritenuto che non fosse possibile alcuna forma di completa ricostruzione, da parte sua, degli anni della strategia della tensione di fronte ad una Autorità Giudiziaria.

Egli infatti ha più volte, e non a torto, sottolineato che non era possibile individuare, se non in modesta parte, nell’Autorità Giudiziaria, e quindi nello Stato, un interlocutore credibile se la sua posizione e la sua scelta di vita venivano, anche a livello dei mass-media, radicalmente rovesciate, trasformandolo da combattente rivoluzionario, che in nome di un ideale si era risolto ad una scelta estrema contro rappresentanti dello Stato (e perdipiù Carabinieri, all’epoca sovente "cobelligeranti" della destra), in uno dei tanti soggetti collusi e condizionati dagli apparati dello Stato e dalle sue strategie.

L’ipotesi fatta propria dal G.I. di Venezia è venuta meno per due ordini di ragioni.

In primo luogo, nonostante l’audizione in questi ultimi anni e nelle più varie istruttorie di centinaia di imputati e di testimoni appartenenti alle aree più diverse dell’estrema destra nonchè ai servizi di sicurezza, non è stato acquisito il minimo elemento che indichi un collegamento fra il gruppo udinese di Ordine Nuovo, di cui VINCIGUERRA faceva parte, e GLADIO e, in verità, neanche fra tale ultima organizzazione e la struttura veneta di Ordine Nuovo nel suo insieme.

In secondo luogo è venuta meno l’ipotesi di un collegamento fra il NASCO di Aurisina e l’attentato di Peteano tramite l’eventuale provenienza dal deposito di GLADIO, scoperto nel 1972, dell’esplosivo e dell’accenditore a strappo utilizzati per allestire a Peteano la trappola contro i Carabinieri, ipotesi avanzata dal G.I. di Venezia (cfr. ordinanza citata, ff.9-10 e 13 e ss.).

Per quanto concerne l’esplosivo, infatti, la perizia ha evidenziato che quello utilizzato per l’ordigno era esplosivo civile da cava (e non l’esplosivo militare del tipo "C4" presente nei NASCO) e perdipiù VINCIGUERRA ha spiegato con abbondanza di particolari e dettagli come egli se lo sia procurato, nell’estate del 1970 insieme ad alcuni camerati anche originari della zona, sull’altipiano del Piancavallo, rubandolo da una baracchetta del tutto incustodita di una ditta che stava effettuando lavori di sbancamento (int. 13.1.1992, ff.3 e 4, e, anche su delega del G.I. di Venezia, int.27.3.1992, ff.1 e 3).

Tale episodio, confrontando i particolari forniti da VINCIGUERRA e gli esiti degli accertamenti esperiti dalla Digos di Venezia (cfr. annotazioni in data 13.2.1992, 27.2.1992 e 4.5.1992, vol.27, fasc.2), è facilmente individuabile nel furto subìto nel luglio del 1970 dall’impresa "Avianese" che stava effettuando lavori nella zona (e proprio sulla strada sterrata indicata da VINCIGUERRA) e che nulla, ovviamente, aveva a che fare con GLADIO.

Per quanto concerne l’accenditore a strappo, l’ipotetico collegamento si basava sul fatto che dal NASCO di Aurisina erano risultati mancanti due accenditori a strappo e che uno strumento analogo, utilizzato normalmente per il sabotaggio, era stato utilizzato per far esplodere, al momento dell’intervento della pattuglia dei Carabinieri, l’ordigno nascosto a Peteano nella FIAT 500.

A parte la circostanza che non vi era alcuna prova , nemmeno generica o indiziaria, che l’accenditore utilizzato a Peteano fosse uno dei due mancanti da Aurisina, il collegamento si basava sull’esilissima circostanza secondo cui nessun accenditore a strappo od oggetto similare era mai stato rinvenuto in alcuna zona del Friuli-Venezia Giulia (cfr. ordinanza citata, f.10) e quindi tale accenditore, definito strumento di difficile reperimento, doveva "necessariamente" provenire dal NASCO di Aurisina.

L’assunto di partenza è però del tutto erroneo in quanto da una semplicissima ricerca è emerso che proprio a Udine, il 31.3.1971, poco più di un anno prima dell’attentato di Peteano, erano stati rinvenuti, insieme ad esplosivo e ad altro materiale, ben 50 accenditori a strappo di cui qualche gruppo appartenente alla malavita politica o comune si era evidentemente liberato (cfr. nota della Digos di Trieste in data 29.4.1993, vol.27, fasc.6, ff.21 e ss., e accertamenti di polizia scientifica, ff.3-4).

Caduta, quindi, ogni ipotesi di collegamento fra l’attività di Vincenzo VINCIGUERRA e apparati istituzionali di qualsiasi natura (circostanza questa che, insieme all’assoluta mancanza di ricerca di benefici processuali, dà alle sue dichiarazioni piena affidabilità), è possibile passare ad illustrare gli elementi di conoscenza relativi alla strage di Piazza Fontana che egli ha inteso fornire negli interrogatori resi a questo Ufficio fra la primavera 1991 e la primavera 1993.

Ecco in sintesi gli elementi contenuti nelle dichiarazioni di Vincenzo VINCIGUERRA:

- Sul piano generale VINCIGUERRA ha innanzitutto confermato quanto già dichiarato sin dal 9.8.1984 al G.I. di Bologna, poco tempo dopo avere rivendicato la propria responsabilità per l’attentato di Peteano e cioè che il baricentro della struttura stragista al servizio degli apparati dello Stato si trovava in Veneto e in Lombardia, pur dipendendo dalla struttura centrale di Ordine Nuovo di Roma e ne facevano parte i militanti responsabili e operativi della varie cellule: fra gli altri MAGGI e ZORZI a Venezia; SOFFIATI e il colonnello SPIAZZI a Verona; l’intero gruppo di FREDA e FACHINI a Padova; NEAMI, PORTOLAN e BRESSAN a Trieste; Roberto RAHO a Treviso; ROGNONI a Milano; Cristano DE ECCHER a Trento; con agganci minori a Mantova, a Rovigo e in Carnia (int. 4.10.191, f.2).

Tale gruppo di persone era rimasto in stabile collegamento sin dagli anni ‘60, formando una struttura politicamente ed umanamente omogenea e, anche al momento del rientro di Ordine Nuovo nel M.S.I. , aveva mantenuto all’interno del Partito la propria identità e le proprie capacità operative.

Solo l’attentato di Peteano (concettualmente non una strage, ma un’azione di guerra), compiuto dal piccolo gruppo di Udine, si differenzia dagli altri episodi dell’epoca in quanto commesso contro lo Stato e non in collusione con gli apparati dello Stato e oggetto di attività di depistaggio all’insaputa e contro la volontà dei suoi autori.

- Gli attentati del 12.12.1969 si inquadrano in una strategia golpista e per essi erano stati utilizzati uomini sia di Ordine Nuovo sia di Avanguardia Nazionale (int.9.3.1992, f.1; 16.6.1992, f.2).

Tale strategia era stata introdotta nel nostro Paese grazie all’elaborazione teorica e all’ispirazione dell’AGINTER PRESS di GUERIN SERAC (int.9.3.1992, f.2) che era la "mente" degli attentati e, in particolare, era in contatto con Stefano DELLE CHIAIE (int.20.5.1992, f.2).

Elemento caratterizzante di tale strategia era la creazione di falsi gruppo di estrema sinistra e l’infiltrazione in altri già esistenti, al fine di far ricadere su di essi la responsabilità degli attentati (int.16.6.192, ff.3-4), provocare l’intervento delle Forze Armate ed escludere il Partito Comunista da qualsiasi possibilità di influenza significativa sulla vita politica italiana (int. citato, f.3).

- Centrale nella ricostruzione degli avvenimenti del 12.12.1969 è poi, secondo il racconto di VINCIGUERRA, il significato della manifestazione indetta per il 14.12.1969, a Roma, dalla Direzione del M.S.I., subito dopo il rientro di Ordine Nuovo nel Partito, manifestazione che, all’indomani degli attentati, avrebbe dovuto innescare la richiesta da parte della "piazza di destra" di un "Governo forte" e di un intervento dei militari.

Vincenzo VINCIGUERRA, pur ignaro in quel momento del vero significato strategico dell’adunata, la sera del 12.12.1969 era già partito alla volta di Roma:

"""....In merito all'adunata di Roma, posso specificare che io partii da Udine con Cesare Turco, proprio la sera del 12 dicembre 1969, in treno per Roma per recarci appunto alla manifestazione.

Vi era già, ovviamente, la notizia degli attentati e ricordo che alla stazione fummo fermati da un Commissario di Polizia di Udine che ci interpellò pensando che fossimo diretti a Milano.

Ritengo significativo ricordare che era giunta per quella manifestazione una convocazione a parteciparvi anche con i simboli di Ordine Nuovo, ed infatti avevamo un cartellone con l'ascia bipenne che noi stessi avevamo preparato per quell'occasione.

La convocazione era avvenuta tramite Maggi e non escludo che mi fosse giunta anche da Roma.

In sostanza, la convocazione per la manifestazione era avvenuta come se il rientro di Ordine Nuovo nel M.S.I. non ci fosse stato e in quel momento Ordine Nuovo si presentava ancora come un'entità autonoma rispetto al M.S.I. con i propri dirigenti ed i propri simboli. Giunti a Roma restammo tutto il giorno di sabato 13 dicembre in attesa di notizie in quanto non vi era più la certezza che l'adunata si sarebbe svolta ugualmente. Sino a tarda notte le notizie erano ancora incerte. La domenica mattina, e cioè il 14, si seppe che l'adunata non si sarebbe svolta, in quanto sospesa dal Governo, e in serata ripartimmo per Udine.

Nel libro io cito la confidenza di Angelo Ventura a Franco Comacchio, riferita da questi all'Autorità Giudiziaria, per sottolineare quello che anche per mia conoscenza era un collegamento tra i due episodi, cioè gli attentati del 12 dicembre e l'adunata di Roma, come inseriti in un'unica operazione politica. Indico negli attentati del 12 dicembre 1969 non l'inizio della strategia della tensione, bensì il detonatore che, facendo esplodere una situazione, avrebbe consentito a determinate Autorità politiche e militari la proclamazione dello stato di emergenza.

A domanda dell'Ufficio, questo mio elemento di conoscenza della verità del collegamento dei due episodi di cui parla Comacchio risale agli anni '70, prima della mia carcerazione..."""

(VINCIGUERRA, int.13.1.1992, ff.2-3)

Gli articoli e le manchettes delle pagine del quotidiano "Il Secolo d’Italia" del dicembre 1969, acquisite in copia (vol.10, fasc.10), sono in piena corrispondenza con la descrizione di Vincenzo VINCIGUERRA relativa a tale manifestazione.

Sin dai primi giorni di dicembre, infatti, il quotidiano del Movimento Sociale Italiano annunzia con grande enfasi la manifestazione al Palazzetto dello Sport, definita "Incontro con la Nazione", "Appuntamento con la Nazione" e "Grande Adunata".

Oratore principale della giornata era ovviamente il Segretario del Partito, on. Giorgio Almirante, il quale, con il suo discorso, avrebbe dovuto fare appello all’ "intesa e compattezza delle forze nazionali nel momento di emergenza" che si stava vivendo, riservando al suo Partito solo il privilegio, nella lotta per salvare l’Italia, di "combattere sulla trincea più avanzata" (cfr. "Il Secolo d’Italia", 12.12.1969, pagine 1 e 8).

Solo il 14.12.1969, giorno della manifestazione, il quotidiano darà la notizia del divieto, per tale giornata, di qualsiasi manifestazione pubblica e quindi anche della "Grande adunata", attribuendo tale provvedimento alla "debolezza del regime verso il P.C.I." e ad interventi in tal senso dei socialisti del P.S.I. e dei repubblicani (vol.10, fasc.10, f.9).

Anche Martino SICILIANO ha ricordato l’importanza della manifestazione, a cui Ordine Nuovo avrebbe dovuto presentarsi in ranghi compatti con scudi e insegne, e di essere stato fermato, mentre insieme ad altri mestrini stava per partire alla volta di Roma, dal contrordine del dr. MAGGI che comunicava l’annullamento della manifestazione (int.21.8.1997, ff.3-4).

Martino SICILIANO ha anche ricordato che, nei giorni precedenti, Delfo ZORZI aveva partecipato a Mestre ai preparativi della manifestazione, a dispetto della versione di ZORZI che, quale linea difensiva, ha cercato di sostenere di essere stato ormai lontano, in quel periodo, dalla vita politica attiva, di non avere frequentato quasi più Martino SICILIANO e soprattutto di avere trascorso a Napoli i giorni precedenti il 12.12.1969.

- Punto centrale è certamente il fatto che Vincenzo VINCIGUERRA, militante ancora giovanissimo nel dicembre 1969 e non inserito nei progetti strategici più delicati, avesse appreso a metà degli anni ‘70 (come precisato nell’interrogatorio in data 16.6.1992, f.5) che gli attentati del 12.12.1969 e l’adunata di Roma facevano parte di un’unica operazione politica.

Si tratta, come rilevato dallo stesso VINCIGUERRA anche nel suo libro "La Strategia del Depistaggio", citato nell’interrogatorio in data 13.1.1992, di una notizia del tutto analoga alla confidenza che Angelo VENTURA, fratello di Giovanni, aveva fatto a Franco COMACCHIO e che quest’ultimo aveva riferito agli inquirenti nel corso dell’istruttoria sulla cellula padovana (int. COMACCHIO al P.M. di Treviso, 6.11.1971).

Franco COMACCHIO aveva infatti ricevuto da Angelo VENTURA, pochissimi giorni prima del 12 dicembre, la confidenza che di lì a poco sarebbe "avvenuto qualcosa di grosso", in particolare "una marcia di fascisti a Roma e qualcosa che sarebbe avvenuta nelle banche".

Due avvenimenti strategicamente collegati, dunque, ed è significativo che quanto appreso da VINCIGUERRA da fonte diversa rispetto a quella di COMACCHIO (int.VINCIGUERRA, 16.6.1992, f.5) confermi a posteriori il racconto di quest’ultimo, purtroppo sottovalutato nelle fasi dibattimentali come è avvenuto per tante circostanze raccolte nel corso delle prime istruttorie.

Perdipiù nel corso della presente indagine anche Giampaolo STIMAMIGLIO, gravitante nell’ambiente veronese di Ordine Nuovo e molto legato, anche sul piano amicale, alla famiglia VENTURA, ha riferito che sia Giovanni VENTURA sia il fratello Luigi gli avevano confidato, prima dei fatti del 12.12.1969, che presto sarebbe avvenuto "qualcosa di grosso" che avrebbe cambiato la situazione politica in Italia (dep. 16.3.1994, f.2).

Giuseppe FISANOTTI, anch’egli appartenente all’area di Ordine Nuovo di Verona e cognato di Giampaolo STIMAMIGLIO avendone sposato la sorella Rita, ha confermato che sia Giampaolo sia Rita gli avevano riferito le confidenze a loro volta ricevute da Giovanni VENTURA già all’epoca dei fatti, circostanza questa che conferma l’attendibilità della testimonianza di Giampaolo STIMAMIGLIO (dep. FISANOTTI a questo Ufficio, 8.5.1993, f.2).

Gli avvenimenti del 12.12.1969 erano stati, quindi, senza troppe cautele e in varie occasioni, preannunziati dai fratelli VENTURA ed era stato rimarcato il collegamento con la manifestazione del 14.12.1969 così come VINCIGUERRA aveva in seguito appreso da fonti del tutto differenti.

- Per quanto concerne la materiale esecuzione degli attentati, il gruppo di Ordine Nuovo di Trieste aveva partecipato agli attentati ai treni dell’8/9 agosto 1969 (int.2.12.1992, f.3; 21.12.1992, f.3), mentre Avanguardia Nazionale era responsabile, fornendo un apporto operativo determinante, degli attentati della giornata del 12 dicembre 1969 avvenuti a Roma (int.29.6.1992, f.2).

Si noti che tali indicazioni di VINCIGUERRA, seppur laconiche e incomplete, sono in perfetta sintonia con le altre acquisizioni processuali e cioè le dichiarazioni di Carlo DIGILIO e, per quanto concerne gli attentati all’Altare della Patria, quelle di Graziano GUBBINI e di Giuseppe ALBANESE (rispettivamente, dep ai GG.II. di Milano e Bologna in data 24.1.1994, f.7, e dinanzi al G.I. di Bologna in data 3.9.1992, f.3).

- Aldo TRINCO, commesso della libreria "Ezzelino" di Padova e appartenente alla cellula di Franco FREDA, incontrando Vincenzo VINCIGUERRA nel 1972, aveva più volte rivendicato al gruppo di Padova la corresponsabilità nella strage esprimendosi in modo cinico con le parole "Siamo stati noi, in fondo era plebe" (int. 16.6.1994, ff.4-5).

- Delfo ZORZI, nel 1973, aveva proposto a Vincenzo VINCIGUERRA di collaborare alla fuga di Franco FREDA, il quale avrebbe dovuto evadere dal carcere ove era detenuto ed espatriare inizialmente in Austria attraverso un valico di confine non troppo sorvegliato e il cui attraversamento clandestino non doveva essere troppo impegnativo sul piano fisico in quanto, all’epoca, FREDA soffriva di problemi alla schiena.

Compito di VINCIGUERRA era quello di individuare il valico più adatto ed egli aveva scelto a tal fine il Passo del Giramondo, che era sorvegliato da pochissimi militari della Guardia di Finanza e tramite il quale si poteva raggiungere l’Austria senza troppe difficoltà (int. 13.1.1992, f.3).

Il progetto era stato poi abbandonato senza che VINCIGUERRA ne avesse mai potuto conoscere le ragioni.

Le non buone condizioni fisiche di Franco FREDA sono state confermate da lui stesso, il quale ha riferito che all’epoca portava un busto ortopedico soffrendo di un’ernia del disco (int. FREDA a questo Ufficio, 14.10.1994, f.5).

L’episodio ricordato da VINCIGUERRA è in perfetta sintonia con la proposta fatta nello stesso periodo da Delfo ZORZI a Carlo DIGILIO di collaborare all’evasione di Giovanni VENTURA adoperandosi per duplicare la chiave della cella ove questi era detenuto (int. DIGILIO, 29.1.1994, f.3; 16.4.1994, ff.2-3) ed entrambi i progetti sono evidentemente indicativi della pregressa comune operatività del gruppo di FREDA e del gruppo di ZORZI nell’operazione del 12.12.1969.

- Infine VINCIGUERRA ha rievocato un colloquio avuto con Adriano TILGHER, braccio destro di Stefano DELLE CHIAIE, nell’estate del 1979, pochi mesi prima che VINCIGUERRA scegliesse di costituirsi anche per non essere più coinvolto nelle attività di forze che si dicevano "rivoluzionarie", ma in realtà gli apparivano sempre di più al servizio dello Stato e delle sue logiche di potere.

Era da poco stato pubblicato un libro scritto da Massimo FINI concernente le indagini sulla "pista nera", soprattutto l’istruttoria milanese dei Giudici D’Ambrosio e Alessandrini, e nel libro l’autore aveva sostenuto la corresponsabilità di Avanguardia Nazionale negli attentati del 12.12.1969.

Commentando il contenuto del volume, VINCIGUERRA, all’epoca divenuto già militante di Avanguardia Nazionale ed ancora convinto dell’estraneità almeno di tale organizzazione alla strategia delle stragi (mentre gli erano ormai chiare le responsabilità dell’organizzazione in cui aveva militato in precedenza e cioè Ordine Nuovo), aveva affermato che la ricostruzione del giornalista era comunque priva di significato, ma Adriano TILGHER lo aveva smentito rispondendogli testualmente "Ti sbagli, perchè D’Ambrosio ha capito tutto" (int. 16.6.1992, f.4).

La preoccupazione di Adriano TILGHER, espressa con tale commento, si riferiva non solo alla corresponsabilità di Avanguardia Nazionale, ma anche agli agganci istituzionali individuati dagli inquirenti e al ruolo di GUERIN SERAC, la cui importanza era stata compresa nel corso dell’istruttoria milanese, ma non aveva potuto essere approfondita anche a seguito del trasferimento dell’istruttoria (int. citato, f.4).

Il commento preoccupato di Adriano TILGHER ricorda il fastidio con cui Stefano DELLE CHIAIE, a Madrid nel 1974, aveva rinfacciato a GUERIN SERAC l’incauta intervista rilasciata dal suo braccio destro, Robert LEROY, al settimanale "L’Europeo" in cui questi, pur senza ovviamente far riferimento ad azioni eversive, aveva rivelato i rapporti esistiti in passato fra lo stesso LEROY e gli italiani DELLE CHIAIE, MERLINO e SERPIERI (int. VINCIGUERRA, 20.5.1992, ff.1-2; si veda il testo dell’intervista in vol.12, fasc.6, ff.6 e ss.).

Tale affermazione, secondo DELLE CHIAIE, era pericolosissima in quanto DELLE CHIAIE e MERLINO erano indicati nell’appunto del S.I.D. del 16.12.1969 (forse in parte originato proprio dalla confidenze di Stefano SERPIERI, legato al S.I.D.) come elementi in contatto con SERAC e LEROY, gerarchicamente dipendenti da questi e organizzatori, in tale veste, di alcuni degli attentati del 12.12.1969 proprio su ispirazione dell’AGINTER PRESS.

Ogni riferimento a tali collegamenti era quindi potenzialmente molto dannoso in quanto toccava un nervo scoperto della strategia complessiva degli attentati e gli inquirenti (che, secondo una fonte attendibile come Adriano TILGHER, "avevano capito tutto") avrebbero potuto non lasciarsi sfuggire l’occasione di approfondire ancora, anche alla luce dell’intervista, tale pista.

32

LE DICHIARAZIONI DI

MARTINO SICILIANO ED EDGARDO BONAZZI

Come già si è accennato nel capitolo 3, Martino SICILIANO, dopo gli attentati a Trieste e a Gorizia, non era più stato inserito nel gruppo operativo e non aveva quindi partecipato alla fase direttamente preparatoria ed esecutiva degli attentati del 12.12.1969.

Tuttavia la sua presenza in alcune significative circostanze precedenti e alcune confidenze che aveva potuto raccogliere dopo i fatti gli hanno consentito di fornire agli inquirenti elementi precisi ed univoci in merito alla progressione strategica e operativa che aveva portato agli attentati.

Gli elementi forniti da Martino SICILIANO sono già in parte sparsi in vari capitoli del presente provvedimento e possono qui essere riassunti solo in via di sintesi:

- Sin dalla metà degli anni ‘60, nel gruppo si era cominciato a parlare di ordigni esplosivi e in particolare Martino SICILIANO aveva ricevuto da Delfo ZORZI e nascosto nella sua camera da letto, che condivideva con il fratello Carlo, una valigetta contenente alcune armi e tre scatole di legno , simili a quelle per sigari di lusso, con all’interno di ciascuna di esse un detonatore, del filo elettrico e quant’altro di utile per l’innesco di ordigni esplosivi (int. 12.10.1995, f.3 e int. al P.M. di Milano, 13.10.1995, f.2).

Tali scatole di legno apparivano una sorta di prototipo di quelle che, assemblate presso il casolare di Paese, sarebbero state utilizzate per contenere senza destare sospetti l’innesco e l’esplosivo degli ordigni deposti sui dieci convogli ferroviari (int.18.7.1996, f.4 e 25.9.1996, f.3).

La presenza della valigetta nell’abitazione della famiglia SICILIANO e, nelle linee essenziali, il suo racconto sul punto sono stati confermati dal fratello, Carlo SICILIANO (dep. a personale del R.O.S., 27.10.1995, f.1 e 4.2.1997, f.1).

- Intorno al 1968 ZORZI e SICILIANO avevano imparato da Piercarlo MONTAGNER, diplomato in elettrotecnica, ad attivare un circuito formato da una batteria, filo elettrico, un orologio, funzionante da timer, con un perno infilato nel quadrante e filamenti di microlampadina come resistenza.

La prova tecnica per l’innesco di un congegno esplosivo aveva avuto successo (int. 21.3.196, ff.3-4, e 18.7.1996, f.4).

In questa fase di apprendistato, Delfo ZORZI aveva anche parlato della possibilità di utilizzare, avvolto dal filamento, un fiammifero antivento (int.21.3.1996, f.4) e cioè lo stesso tipo di fiammifero indicato come adatto allo scopo dal prof. Lino FRANCO durante la "lezione" tenuta al casolare di Paese.

- In alcune riunioni ristrette tenute a Padova presso la libreria "Ezzelino", FREDA, TRINCO, MAGGI, ZORZI e MOLIN, alla presenza dello stesso SICILIANO, avevano delineato la strategia dei primi attentati dimostrativi diffusi, in particolare quelli sui treni (int. 6.10.1995, ff.6-6, e 29.9.1996, f.4), destinati a disorientare la popolazione e a provocare la richiesta di misure di emergenza e il dr. Carlo Maria MAGGI si era anche pronunziato, nello stesso periodo, a favore della necessità di porre in essere attentati più gravi in luoghi chiusi e affollati (int. al P.M. di Milano, 11.10.1995, f.7).

- Nelle stesse riunioni era stato individuato come uno dei primi obiettivi l’Ufficio Istruzione di Milano e dell’attentato, poi effettivamente avvenuto il 23.7.1969, dovevano occuparsi VENTURA e FREDA, quest’ultimo in particolare più adatto ad avere facile accesso in un Tribunale in ragione della sua professione di procuratore legale (int.20.12.1996, f.2).

L’ordigno, deposto - ma non esploso - in un corridoio dell’Ufficio Istruzione, era stato nascosto in una scatola di lozione per capelli, secondo l’indicazione in base alla quale dovevano essere utilizzati contenitori esterni che dessero l’idea di un qualsiasi oggetto dimenticato, ed inoltre era stato utilizzato come temporizzatore un orologio di marca RUHLA, una sorta di "firma" simbolica di Ordine Nuovo (int.20.12.1996, f.3), ricordato come tale anche da Carlo DIGILIO.

- Martino SICILIANO aveva poi partecipato personalmente alla spedizione di Trieste e Gorizia, prove tecniche i cui elementi di collegamento con gli attentati del 12.12.1969 sono stati ampiamente esposti nel capitolo 15 di questa ordinanza.

- Dopo gli attentati di Trieste e Gorizia, che avevano visto il mancato funzionamento del congegno, Delfo ZORZI, nell’autunno del 1969, aveva comunicato a Martino SICILIANO che, anche grazie al lavoro di ZIO OTTO, il sistema di timeraggio era stato migliorato e reso più sicuro (int. 20.10.1994, f.3), circostanza questa che testimonia come la campagna terroristica non si fosse fermata, ma fosse anzi in progressione e in pieno svolgimento.

Tale affermazione, inoltre, è in perfetta corrispondenza con quanto riferito dall’elettricista Tullio FABRIS e da Carlo DIGILIO in merito al fatto che l’impegno frenetico del gruppo, non solo di ZORZI ma soprattutto di VENTURA, fosse diretto non più alla ricerca dell’esplosivo, ma alla risoluzione del problema degli inneschi, visto che una buona parte degli attentati preparatori (‘attentato al Palazzo di Giustizia di Torino, i due attentati al Palazzo di Giustizia di Roma, quello all’Ufficio Istruzione di Milano, due dei dieci attentati ai treni e gli attentati di Trieste e Gorizia) erano falliti per vari difetti dei sistemi di attivazione.

Giustamente, del resto, si è rilevato, nella parte motivazionale di più di una sentenza conseguita all’istruttoria sulla "pista nera" che il gruppo si era costantemente affannato nella modifica e nel tentativo di migliorare sia i sistemi di innesco (utilizzando prima fiammiferi normali, poi filamenti di microlampadine, poi fiammiferi antivento) sia i sistemi di temporizzazione (utilizzando prima il doppio circuito a caduta di corrente, poi gli orologi RUHLA, infine i timers per lavatrice), proprio per evitare gli inconvenienti che avevano portato al fallimento di 6 dei 17 attentati che, dall’aprile all’agosto 1969, avevano preceduto quelli del 12.12.1969.

- Qualche settimana dopo gli attentati del 12.12.1969, in occasione del Capodanno trascorso a casa di Giancarlo VIANELLO, Delfo ZORZI aveva riconosciuto, a seguito delle insistenti domande dei camerati, che l’operazione del 12.12.1969 era stata "pensata" a livello molto alto, per aiutare l’Italia a difendersi dal comunismo e che gli anarchici arrestati alcuni giorni dopo la strage erano dei "capri espiatori" e non c’entravano nulla (int. 7.6.1996, f.3, e 8.6.1996, ff.1-4).

Pur senza assumersi esplicitamente responsabilità personali, Delfo ZORZI aveva affermato che gli attentati erano stati organizzati da Ordine Nuovo del Triveneto e commissionati dai livelli più alti dell’organizzazione e aveva ricordato quanto già comunicato a SICILIANO qualche tempo prima e cioè che i difetti tecnici che si erano presentati nei precedenti attentati erano stati superati migliorando i sistemi di innesco e di timeraggio grazie all’intervento di ZIO OTTO (int. 8.6.1996, ff.3-4).

In merito alle vittime che tali attentati avevano causato, ZORZI si era espresso in modo cinico, ricordando ai camerati che la strada della rivoluzione doveva essere percorsa anche se ciò comportava "la morte di qualche persona" e che, secondo i teorici nazisti, anche il sangue poteva essere il motore di una rivoluzione nazionale che avrebbe salvato l’Italia e l’intera Europa dal comunismo ( int. citato, f.4).

In sostanza ZORZI si era espresso negli stessi termini riferiti anche da Carlo DIGILIO, secondo cui Delfo ZORZI vedeva quanto era accaduto come una semplice "operazione" di guerra che non comportava particolari problemi dal punto di vista morale (int. DIGILIO, 12.11.1994, f.7).

- Nel 1971 Franco FREDA, dopo il suo primo arresto ancora limitato al solo reato di associazione sovversiva e quindi prima dell’incriminazione per strage, aveva inviato dal carcere a Martino SICILIANO alcune lettere che si giustificavano solo con l’interesse a "tenere sotto il controllo" lo stesso SICILIANO, camerata certamente non dei più determinati, qualora fosse interrogato o inquisito dall’Autorità Giudiziaria (int. 6.10.1995, f.5).

Ciò conferma che Martino SICILIANO disponeva sin da allora di elementi di conoscenza incompleti, ma potenzialmente pericolosissimi, in merito a quanto avvenuto e che i rischi insiti in tale situazione erano perfettamente noti anche ai componenti della cellula di Padova.

- Martino SICILIANO ha ricordato che il dr. MAGGI era stato il coordinatore della campagna di minacce contro il Giudice Istruttore di Treviso, dr. Giancarlo STIZ, attuata mediante l’invio di numerose lettere di minaccia dopo che il magistrato aveva dato l’avvio alle indagini sulla cellula di FREDA e VENTURA e, per primo, intuito l’importanza della "pista nera".

Tale campagna, di cui si era parlato in occasione di una riunione ristretta del gruppo di Ordine Nuovo di Mestre (int. 5.12.1996, f.2) è un altro segnale indicativo della precedente, comune operatività fra la cellula padovana, colpita dalle indagini del Giudice Stiz, e la cellula di Mestre/Venezia, per molti anni, invece, mai toccata da interventi investigativi.

- Nella stessa logica si colloca certamente l’allontanamento di Martino SICILIANO dall’Italia, all’inizio del 1973, in direzione della Germania Federale, allontanamento propostogli dall’amico Marco FOSCARI, ma molto probabilmente suggerito a FOSCARI da qualche altro militante ben più coinvolto nelle vicende di Ordine Nuovo.

Marco FOSCARI aveva infatti comunicato d’urgenza a Martino SICILIANO che, con l’arrivo a Milano dell’istruttoria sulla c.d. pista nera e lo sviluppo delle indagini ad opera dei giudici milanesi, egli correva grave pericolo e circolava la voce di nuovi arresti, dopo quelli di FREDA e VENTURA, fra cui quello dello stesso SICILIANO (int. 12.9.1996, ff.1-2).

Marco FOSCARI aveva quindi procurato a SICILIANO un "passaggio" clandestino a bordo di un camion della ditta del comune amico tedesco Sturznickel, titolare di una ditta di giocattoli per la quale FOSCARI lavorava.

Martino SICILIANO aveva passato il confine al Brennero raggiungendo poi la sede della ditta di Sturznickel, vicino a Gottinga, e trattenendosi in quel luogo per oltre un mese sino a quando Marco FOSCARI gli aveva comunicato che le acque sembravano essersi calmate (int. citato, f.3).

Tale fuga si colloca fra il gennaio e il febbraio 1973, momento assai "caldo" per l’istruttoria e prossimo alla semi-confessione di Giovanni VENTURA dinanzi ai Giudici D’Ambrosio e Alessandrini.

Essa ha avuto certamente una funzione preventiva, da possibili cedimenti di Martino SICILIANO e ricorda quindi un po’ l’allontanamento forzato da Trieste dell’avv. Gabriele FORZIATI, anch’esso suggerito al possibile testimone da alcuni camerati paventando il pericolo di un imminente arresto.

In conclusione, le dichiarazioni di Martino SICILIANO si saldano perfettamente con quelle più dirette e dettagliate di Carlo DIGILIO, così come entrambi i racconti sono in sintonia con quanto successivamente appreso in un ristretto e affidabile ambiente carcerario da Edgardo BONAZZI.

Le dichiarazioni di Edgardo BONAZZI sono già state illustrate, nei loro punti rilevanti, al capitolo 7 della presente ordinanza e in sintesi egli ha confermato di aver appreso che gli attentati del 12.12.1969 erano stati organizzati ed attuati con l’apporto prevalente della struttura di Ordine Nuovo del Triveneto e che Delfo ZORZI era colui il quale aveva materialmente deposto la valigetta nel salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano.

E’ quindi sufficiente , in questa sede, richiamare l’attenzione su una testimonianza di riscontro ad una importante affermazione di Edgardo BONAZZI.

Questi ha dichiarato di aver appreso da Guido GIANNETTINI, Nico AZZI e Pierluigi CONCUTELLI che Pietro VALPREDA aveva funzionato da "capro espiatorio" secondo un piano già preordinato, in quanto sul taxi di ROLANDI era salito, al fine "incastrare" l’anarchico, un militante di destra che gli assomigliava notevolmente (dep.BONAZZI 15.3.1994, f.4, e 7.10.1994, f.2).

Tale ricostruzione dell’avvenimento centrale che aveva portato all’arresto di Pietro VALPREDA è stata confermata, seppur in modo piuttosto timido e laconico, da Giampaolo STIMAMIGLIO, gravitante nell’area veronese di Ordine Nuovo ed amico intimo di tutta la famiglia VENTURA sin dall’adolescenza.

Giovanni VENTURA gli aveva infatti confidato che Pietro VALPREDA era stato un falso obiettivo per l’Autorità Giudiziaria e che le indagini erano state intenzionalmente dirottate su di lui, mentre FREDA e lo stesso VENTURA, pur non avendo partecipato materialmente all’esecuzione degli attentati del 12.12.1969 (circostanza questa che emerge anche dalla presente istruttoria e dalle stesse confidenze ricevute da BONAZZI in carcere), avevano coordinato il progetto globale degli attentati (dep.STIMAMIGLIO, 16.3.1994, f.2).

La fonte della rivelazione ricevuta da STIMAMIGLIO e il carattere strettamente confidenziale della stessa, avvenuta in tempi non sospetti, la rendono assai attendibile tantopiù in quanto il suo significato si salda perfettamente con quanto in seguito appreso in carcere da Edgardo BONAZZI da personaggi di rilievo appartenenti allo stesso ambiente.

 

 

 

 

 

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