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LA TESTIMONIANZA DI OSCAR NESSENZIA

E

L’ATTENTATO, "COMMISSIONATO", ALLA STAZIONE CARABINIERI

DI FELTRE DEL 22.6.1971

Oscar NESSENZIA, simpatizzante di Ordine Nuovo politicamente attivo a Feltre e poi a Padova sino alla metà degli anni ‘70, è stato sentito il 13.5.1995 in qualità di testimone al fine di acquisire eventuali conferme di quanto riferito pochi giorni prima da Marco AFFATIGATO.

Marco AFFATIGATO, infatti, rievocando in data 2.5.1995 una riunione avvenuta a Padova nel 1974 cui era presente anche Oscar NESSENZIA, ha ricordato che a tale riunione era presente anche il dr. MAGGI, riconoscendolo anche in fotografia.

La presenza del dr. MAGGI a tale riunione ristretta è significativa poichè in tale occasione si era discusso in merito al mantenimento e alla ristrutturazione della struttura clandestina di Ordine Nuovo e gli esponenti padovani presenti avevano confermato la propria disponibilità a rifornire di armi il gruppo toscano di cui in quel momento Marco AFFATIGATO era il rappresentante.

La presenza a tale riunione del dr. MAGGI è quindi sintomatica della sua costante presenza anche quando si dovevano discutere i programmi non solo ideologici, ma anche strettamente operativi delle varie articolazioni di Ordine Nuovo.

Oscar NESSENZIA ha confermato alcune delle circostanze riferite da AFFATIGATO (pur sottolineando di non aver conosciuto tutti i presenti e quindi di non poter ricordare o escludere la partecipazione del dr. MAGGI), ma soprattutto ha rievocato un episodio di cui era stato responsabile nel 1971 e che, nel quadro della ricostruzione generale di questi avvenimenti, non appare affatto trascurabile.

Egli, infatti, aveva commesso un attentato in danno della Stazione dei Carabinieri di Feltre, commissionatogli addirittura da esponenti di apparati istituzionali.

Ecco, in merito a tale episodio, il racconto di Oscar NESSENZIA:

"""Nel 1971, a Feltre, io avevo un circolo culturale che si chiamava "Spitfire".

In quel periodo c'era in paese una certa effervescenza di sinistra che dava fastidio. C'erano soprattutto alcuni professori del Liceo e dell'Istituto Tecnico.

Fu quindi proposto a me a ad un'altra persona di Feltre, un dentista che adesso è al di fuori dell'attività politica, di piazzare una tanica con benzina e due pezzi di candelotto di gelatina dinanzi al portone dell'autorimessa della caserma dei Carabinieri di Feltre. I Carabinieri erano comunque stati avvertiti di quello che sarebbe successo.

La proposta e la consegna della tanica avvennero nel mio circolo da parte di una persona che si qualificò come sergente degli Alpini e di un ufficiale del S.I.D. di Trento, una persona alta, prestante, sui 45 anni, con i capelli brizzolati. Non ne ho mai saputo il nome.

Il contatto fra noi e questi due avvenne tramite un sottufficiale dei Carabinieri di Belluno che probabilmente lavorava per il S.I.D.

L'attentato avvenne, così come ci fu chiesto, credo nel novembre del 1971, e la responsabilità fu attribuita alla sinistra della zona e più esattamente a un gruppetto anarchico.

I danni furono comunque modesti e bruciò solo il portone dell'autorimessa della caserma.....

Fu il sottufficiale dei Carabinieri di Belluno a dire che quell'ufficiale apparteneva al S.I.D. di Trento""".

(NESSENZIA, dep. 13.5.1995, f.3).

L’attentato rievocato da Oscar NESSENZIA è stato individuato in quello avvenuto in 22.6.1971 appunto in danno della Stazione dei Carabinieri di Feltre, commesso secondo le modalità descritte dal testimone (cfr. rapporto del Comando Stazione Carabinieri di Feltre in data 20.8.1971 allegato alla nota del R.O.S. in data 19.6.1995).

L’episodio, pur non fra i più gravi avvenuti all’epoca in Veneto, testimonia comunque la molteplicità delle collusioni fra gli apparati istituzionali e, in funzione operativa, gli ambienti ordinovisti e in particolare la "consuetudine" di attribuire agli avversari politici attentati ispirati da fonti esterne e commessi dalla struttura eversiva veneta.

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IL SEQUESTRO E LE VIOLENZE

SUBITE DA FRANCA RAME

Il 9 marzo 1973, Franca RAME, all’epoca molto impegnata insieme al marito, Dario FO, nell’attività di SOCCORSO ROSSO in favore dei carcerati e in particolare dei detenuti di estrema sinistra, veniva aggredita da alcuni sconosciuti a Milano, in Via Nirone, fatta salire con la forza su un furgone e sottoposta a violenza carnale.

Gli autori del gravissimo episodio erano rimasti sconosciuti, anche se la figura e l’impegno della vittima consentivano, sin dall’inizio, di attribuirlo con ragionevole certezza all’area di estrema destra milanese.

Una prima e più diretta indicazione in tal senso era giunta, nel 1987, da Angelo IZZO il quale, nel corso di dichiarazioni rese al Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano, dr.ssa Maria Luisa Dameno, aveva dichiarato di aver appreso in carcere che il principale responsabile dell’aggressione a Franca RAME era stato Angelo ANGELI e che l’azione era stata suggerita da alcuni ufficiali dei Carabinieri della Divisione Pastrengo, nel quadro del sostanziale atteggiamento di "cobelligeranza" esistente all’epoca fra alcuni settori di tale Divisione e gli estremisti di destra nella lotta contro il "pericolo comunista".

Nell’ambito della presente istruttoria, l’iniziale racconto di Angelo IZZO ha avuto una precisa conferma da Biagio PITARRESI, elemento di spicco della destra milanese negli anni ‘70 e all’epoca vicino a Giancarlo ROGNONI e ai suoi uomini, pur senza far parte del gruppo La Fenice, prima di transitare nei ranghi della malavita comune.

Biagio PITARRESI ha infatti raccontato che l’azione contro Franca RAME era stata in un primo momento proposta proprio a lui, ma egli si era rifiutato ed era quindi subentrato Angelo ANGELI il quale aveva materialmente agito con altri camerati, fra cui un certo MULLER e un certo PATRIZIO (dep. PITARRESI, 9.5.1995, f.5).

Biagio PITARRESI ha anche confermato che l’azione intimidatoria era stata ispirata da alcuni Carabinieri della Divisione Pastrengo, Comando dell’Arma con il quale sia PITARRESI sia ANGELI erano da tempo in contatto in funzione sia informativa sia di supporto in attività di provocazione contro gli ambienti di sinistra.

Angelo ANGELI, del resto, compare più volte negli atti di questa istruttoria (e in particolare nelle dichiarazioni di Carlo DIGILIO e Martino SICILIANO) quale soggetto molto legato, negli anni successivi, in particolare a Pietro BATTISTON (e con lui probabilmente coinvolto in traffici di armi), quale frequentatore dell’ambiente ordinovista veneziano e quale ospite, ancora negli anni ‘80, della casa di Villa d’Adda ove DIGILIO e MALCANGI avevano trascorso una cospicua parte della loro latitanza.

Anche il probabile coinvolgimento quali suggeritori dell’azione di alcuni ufficiali della Divisione Pastrengo, alla luce delle complessive emergenze istruttorie di questi ultimi anni, non deve certo stupire.

Si ricordi che, come ampiamente esposto nella prima sentenza-ordinanza di questo Ufficio, il Comando della Divisione Pastrengo era stato pesantemente coinvolto, nella prima metà degli anni ‘70, in attività di collusione con strutture eversive e di depistaggio delle indagini in corso, quali la copertura dei traffici di armi organizzati dal M.A.R. di Carlo FUMAGALLI e la "chiusura" della fonte TURCO, e cioè Gianni CASALINI di Padova, con la soppressione delle relazioni contenenti le informazioni da questi già fornite e che avrebbero potuto essere di notevole importanza per le indagini in corso sulla cellula padovana di FREDA e VENTURA.

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L’ATTENTATO ALLA SEDE DEL GAZZETTINO DI VENEZIA

DEL 21.2.1978

E LA MORTE DELLA GUARDIA GIURATA FRANCO BATTAGLIARIN

L’attentato contro la sede del Gazzettino di Venezia è certamente il più grave avvenuto all’interno della città lagunare e l’unico ad aver anche provocato una vittima.

Quasi all’alba del 21.2.1978, la guardia giurata Franco BATTAGLIARIN aveva notato un ordigno deposto su un gradino dinanzi alla sede del quotidiano, ma appena egli si era avvicinato e aveva tentato di rimuovere l’ordigno, questo era esploso uccidendolo quasi sul colpo.

L’attentato veniva rivendicato telefonicamente da Ordine Nuovo e gli accertamenti tecnici consentivano di appurare che l’innesco dell’esplosivo (rinchiuso all’interno di una pentola a pressione al fine di aumentarne la potenzialità offensiva) era caratterizzato dalla presenza, come temporizzatore, di una sveglia di marca RUHLA, vero "marchio di fabbrica" della struttura di Ordine Nuovo sin dai tempi degli attentati ai treni dell’agosto 1969, commessi appunto, come molti altri successivi, utilizzando orologi o sveglie RUHLA.

Le indagini condotte all’epoca non consentirono tuttavia di giungere all’identificazione dei diretti responsabili dell’attentato.

A tale episodio ha fatto quello che probabilmente è da considerarsi un primo accenno, Carlo DIGILIO nell’interrogatorio reso a questo Ufficio in data 5.5.1996:

"""Ho avuto notizie anche di questo episodio, che avvenne nel 1978 contro la sede del giornale e che provocò la morte di una guardia notturna che era un brav'uomo e che io conoscevo in quanto era iscritto al Poligono di tiro.

Poco dopo l'attentato, come avevo già fatto cenno in un precedente interrogatorio, io andai con Gastone NOVELLA alla caserma San Zaccaria dei Carabinieri dove NOVELLA conosceva il maresciallo COFANELLI del quale era informatore.

In caserma, insieme al maresciallo Cofanelli, c'era un capitano dei Carabinieri che coordinava le indagini e di cui non ricordo il nome, ma solo che era robusto e veniva da Padova.

Ci interrogavano in merito a cosa potessimo sapere dell'attentato, ma in quel momento nè NOVELLA nè io sapevamo niente.

Tuttavia parecchio tempo dopo, durante un incontro con Giampietro MONTAVOCI sulla Riva degli Schiavoni, questi, in un contesto di vari discorsi sulla destra, mi confessò di essere l'autore dell'attentato al Gazzettino.

Durante questo incontro, quando MONTAVOCI fece il primo accenno all'episodio, avevo fatto in modo che si aprisse ed egli, oltre alla sua responsabilità personale, aggiunse che l'attentato era stata una ritorsione conto il Gazzettino che da tempo aveva fatto una campagna di stampa contro la destra.

Dopo l'incontro con MONTAVOCI parlai di quanto avevo saputo con il dr. MAGGI e gli espressi la mia opinione che episodi di tal genere fossero frenati perchè l'attentato aveva avuto in città una vasta eco ed era stato causa di discredito per il nostro ambiente che era sospettato.

Inoltre aveva fatto una vittima innocente.

Dinanzi a queste mie osservazioni MAGGI disse che non sapeva che fare e apparve imbarazzato""".

(DIGILIO, int. 5.5.1996, ff.5-6).

L’indicazione di Carlo DIGILIO, seppure nella sua incompletezza, riporta ancora una volta alla strategia condotta per anni dalla struttura diretta dal dr. MAGGI.

Giampietro MONTAVOCI, infatti, citato moltissime volte negli interrogatori di Carlo DIGILIO e Martino SICILIANO, era stato per molti anni uomo di fiducia e guardaspalle del dr. MAGGI, aveva collaborato stabilmente alla gestione della dotazione logistica del gruppo e, sfruttando le sue capacità di esperto subacqueo, aveva ingegnosamente allestito un deposito di armi chiuso in un contenitore di alluminio immerso a qualche metro di profondità presso la Spiaggia delle Suore al Lido di Venezia (int. DIGILIO, 29.6.1997, f.3).

Giampietro MONTAVOCI è deceduto in un incidente stradale avvenuto nel 1982 non lontano dal confine italo-jugoslavo.

Trattandosi di reato di notevole gravità e non prescritto ed essendo prospettabile la responsabilità, al di là dell’autore materiale, dell’intera struttura diretta dal dr. MAGGI, gli atti relativi all’attentato al Gazzettino sono stati, in questo caso, trasmessi per competenza alla Procura della Repubblica di Venezia, dinanzi alla quale sono attualmente in corso le indagini a seguito degli ulteriori approfondimenti e particolari forniti sull’episodio da Carlo DIGILIO a tale A.G. in successivi interrogatori.

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LE POSSIBILI CONNESSIONI

CON LE INDAGINI IN CORSO IN RELAZIONE ALLA

STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA

Gli interrogatori più importanti resi da Carlo DIGILIO e le più significative testimonianze di riscontro sono stati trasmessi alla Procura della Repubblica di Bologna che ha tuttora aperto un fascicolo di indagine dopo la conclusione dell’istruttoria-bis, condotta dal G.I. dr. Leonardo Grassi, sulla strage del 2.8.1980.

Uno dei capisaldi essenziali dell’iniziale schema dell’accusa, così come formulata già a metà degli anni ‘80, era infatti che esponenti del vecchio gruppo veneto di Ordine Nuovo (fra i quali, in particolare, Massimiliano FACHINI e Roberto RINANI, imputati di concorso in strage) avessero raccolto una notevole quantità di esplosivo recuperato da residuati bellici (si pensava, allora, come luogo di recupero, al Lago di Garda e non ai laghetti di Mantova, indicati nella presente istruttoria da Carlo DIGILIO), inviati tramite emissari (fra cui Roberto RAHO) alla struttura romana erede di Ordine Nuovo per il successivo utilizzo sia nei grandi attentati, pur senza vittime, del 1978/1979 (l’attentato al Campidoglio, alla sede del C.S.M. e così via) sia alla strage alla Stazione di Bologna.

Tale prospettazione d’accusa, che riguardava il livello intermedio fra i mandanti della strage e i suoi esecutori, non è giunto ad un risultato processualmente positivo in quanto le dichiarazioni dei collaboratori Sergio CALORE e Paolo ALEANDRI, in merito a tale traffico di esplosivo e al suo probabile utilizzo, non sono state giudicate sufficienti e gli esponenti della cellula veneta, che erano stati incriminati, sono stati via via assolti, da ultimo Massimiliano FACHINI con la sentenza della Corte di Cassazione in data 23.11.1995, cosicchè il problema della provenienza e della fornitura dell’esplosivo è rimasto aperto e irrisolto.

E’ di tutta evidenza che la pista originaria, collegata ad una possibile responsabilità organizzativa della struttura veneta di Ordine Nuovo, risulta fortemente e nuovamente rinvigorita dalle dichiarazioni di Carlo DIGILIO che ha parlato di ripetuti e massicci invii di esplosivo, sia tritolo sia altro esplosivo di provenienza bellica, alla struttura romana a partire dal 1978, tramite il "corriere" Roberto RAHO (in particolare int. DIGILIO, 7.8.1996 ff.1-3).

Tali invii di esplosivo si accompagnavano ad invii di fucili mitragliatori M.A.B. e altre armi riparate o modificate dallo stesso DIGILIO e questi ha indicato come organizzatori di tale attività il dr. MAGGI a monte e Roberto RAHO a valle, appunto in funzione di "corriere", il quale, nel primo interrogatorio al P.M. di Milano, aveva reso in proposito una significativa confessione (int. 4.10.1995, f.4), pur rifiutando in seguito ogni forma di collaborazione con l’Autorità Giudiziaria.

E’ evidente che parlare del dr. MAGGI e di Roberto RAHO significa parlare implicitamente di Massimiliano FACHINI (ai quali quest’ultimo in particolare, all’epoca, era legatissimo) e sarebbe interessante comprendere perchè, in merito alla figura di FACHINI, Carlo DIGILIO ha sempre mostrato un ostinato e rigorosissimo silenzio.

Solo Luigi FALICA, infatti, nel corso della presente istruttoria, ha fatto cenno al ruolo ricoperto da Massimiliano FACHINI alla fine degli anni ‘70, ricordando che si era legato, a metà degli anni ‘70, a Delfo ZORZI non solo sul piano politico, ma anche sul piano commerciale e ancora, fra il 1978 e il 1979, lo stesso FALICA aveva fornito a FACHINI due M.A.B. residuati della seconda guerra mondiale affinchè, eventualmente modificati, arricchissero la dotazione della struttura (dep. FALICA, 24.2.1994, ff.3-4).

E’ quindi certo che, indipendentemente dall’intangibilità del giudicato relativo ai singoli soggetti, le dichiarazioni di Carlo DIGILIO e le altre testimonianze raccolte, fra cui le iniziali ammissioni di Roberto RAHO, rinvigoriscono l’ipotesi iniziale e consentono di ripercorrere sul piano complessivo la pista concernente l’eventuale apporto fornito dal vecchio gruppo veneto all’esecuzione della strage di Bologna.

Valerio FIORAVANTI e Francesca MAMBRO, inoltre, sentiti da questo Ufficio rispettivamente in data 3 e 12 luglio 1995 in merito alla figura di ZIO OTTO, hanno testimoniato che proprio questi era il contatto più importante sul piano operativo e più riservato di cui Gilberto CAVALLINI disponeva in Veneto, contatto che essi avevano potuto identificare in Carlo DIGILIO (non avendo mai, Gilberto CAVALLINI, fatto loro il vero nome di ZIO OTTO) solo quando della figura di Carlo DIGILIO e del suo nome in codice si era cominciato a parlare, all’inizio del 1995, sulla stampa.

Valerio FIORAVANTI e Francesca MAMBRO hanno inoltre dichiarato che proprio ZIO OTTO, e quindi Carlo DIGILIO, era l’elemento del vecchio gruppo veneto con cui Gilberto CAVALLINI si era incontrato, per ragioni attinenti alla modifica di armi, la mattina del 2 agosto 1980, giorno della strage alla Stazione di Bologna, dopo averli lasciati da soli a Padova proprio nelle ore coincidenti con la strage, in quanto l’identità di tale contatto personale non poteva essere rivelata a nessuno, nemmeno ai suoi camerati all’interno del gruppo N.A.R. (dep. FIORAVANTI, f.3, e dep. MAMBRO, f.3).

Carlo DIGILIO, dopo molte titubanze, peraltro tipiche del suo atteggiamento, ha confermato di aver conosciuto, fra gli elementi dei N.A.R. all’epoca ancora operativi, solo Gilberto CAVALLINI e di aver avuto con lui un contatto il 2.8.1980, pur senza vederlo fisicamente (CAVALLINI aveva deposto un pacchetto sul davanzale intorno alle 12.00/12.30 dopo essersi preannunciato con una telefonata), al Poligono di Tiro di Venezia (int.21.2.1997, f.4), circostanza, questa, successivamente confermata anche al P.M. di Bologna (int. 11.3.1997, f.1).

Il pacchetto con l’arma riparata era poi stato restituito a CAVALLINI tramite il dr. MAGGI (int. al P.M. di Bologna, citato).

Non si tratta certo di un alibi in senso tecnico (Carlo DIGILIO era venuto in contatto, quella mattina, con CAVALLINI e non con FIORAVANTI e MAMBRO, che non conosceva e di cui non era al corrente dell’eventuale presenza a Padova), ma certamente, una volta venuto alla luce OTTO/DIGILIO come meta di CAVALLINI in quella giornata, risulta notevolmente rafforzata la descrizione che del meccanismo dei movimenti di quel giorno FIORAVANTI e MAMBRO hanno sempre fornito al fine di dimostrare la loro presenza non a Bologna, ma a Padova, il giorno della strage e di spiegare le ragioni di tale "sosta" a Padova loro richiesta da CAVALLINI.

Quest’ultimo ha negato di essersi recato a Venezia da Carlo DIGILIO, affermando nuovamente di essersi recato, quel giorno, a Padova da un malavitoso comune dopo aver lasciato sola la coppia FIORAVANTI/MAMBRO, ma la sua negazione suscita molte perplessità, tenendo presente che per un lungo periodo egli ha addirittura negato di conoscere DIGILIO (int. 21.9.1995) con il quale, invece, ha poi ammesso di aver intrattenuto moltissimi rapporti in materia di armi e, solo nel corso dell’ultimo interrogatorio (2.5.1997), ha ammesso tali rapporti pur negando l’incontro di quel giorno.

Si noti che la posizione di Gilberto CAVALLINI è molto delicata in quanto egli si trova nella nell’incomoda e singolare situazione di essere stato condannato con sentenza definitiva per costituzione di banda armata a fini di strage (la strage da commettere era quella di Bologna) senza essere stato incriminato per la strage stessa e conseguentemente è sempre possibile che la sua situazione processuale si evolva in peggio e che egli si senta tenuto ad una linea volta in primo luogo alla difesa di se stesso.

Non a caso, del resto, nel corso dell’interrogatorio registrato dinanzi a questo Ufficio in data 2.5.1997, Gilberto CAVALLINI ha manifestato apertamente le sue preoccupazioni affermando "non vorrei che si passasse sulla mia figura..... per arrivare ad una soluzione di altro tipo, perchè se no poi il cerchio non si chiude mai... quindi questo è un po’ il mio timore" (cfr. pag.13 della trascrizione).

Il meccanismo degli spostamenti di quella giornata, in base alle nuove dichiarazioni di FIORAVANTI e MAMBRO (diversamente da quanto riferito dalla stampa, che ha più volte scritto che sarebbe stato "smontato" il nuovo alibi), non è mai stato preso in esame da nessuna Corte (nemmeno dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 23.11.1995 in quanto l’acquisizione di nuovi atti non era ammissibile in quella sede) e non si comprende, quindi, il tenore di certe reazioni, anche dei difensori di parte civile, secondo cui dovrebbe essere bollato come "depistaggio" il solo fatto che FIORAVANTI e MAMBRO, anche parlando dei rapporti fra ZIO OTTO e CAVALLINI, forniscano ulteriori spunti di ricostruzione sulla struttura veneta e nello stesso tempo si difendano.

E’ certo che i rapporti "riservati" di Gilberto CAVALLINI con il vecchio gruppo veneto disgiunti dalla sua militanza nei N.A.R., e quindi quelli con personaggi come MAGGI, FACHINI, RAHO, DIGILIO, sono ben lontani dall’essere stati completamente approfonditi e sarebbe interessante comprendere se la scelta proprio della mattina del 2 agosto 1980 per il contatto CAVALLINI - DIGILIO sia una coincidenza o sia dovuta ad una ragione specifica e, in tal caso, quale.

Si aprono quindi nuovi spunti di indagine il cui baricentro sembra doversi spostare dall’attività dei N.A.R. a quella della struttura veneta di ORDINE NUOVO, ancora perfettamente operante alla fine degli anni ‘70 e agli inizi degli anni ‘80.

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LE ULTIME ACQUISIZIONI PROCESSUALI

L’ANNOTAZIONE DEL R.O.S. CONCERNENTE JOSEPH LUONGO

E GLI INTERROGATORI RESI DA

MARTINO SICILIANO E CARLO DIGILIO

NELLA FASE FINALE DELL’ISTRUTTORIA

Nella fase finale dell’istruttoria, quando gli atti erano già stati trasmessi al Pubblico Ministero per le richieste finali o erano in fase di deposito in favore dei difensori, sono stati acquisiti alcuni elementi nuovi, di notevole interesse, che saranno specificamente esposti in questo capitolo conclusivo a completamento degli argomenti già trattati.

In data 24.11.1997, il R.O.S., sulla base di ulteriori atti forniti dal S.I.S.Mi. in merito a Joseph Peter LUONGO dispiegantisi fra il 1948 e il 1972, ha trasmesso una nuova, ricca e dettagliata annotazione concernente l’attività di Joseph Peter LUONGO, indicato da Carlo DIGILIO fra gli organizzatori iniziali della struttura informativa in Veneto (cfr. capitolo 51), e concernente altresì la ricostruzione delle varie strutture di intelligence militari statunitensi, molto meno note rispetto alla C.I.A., che hanno operato anche in Italia a partire dal periodo bellico e dall’immediato dopoguerra.

Dall’analisi di tali atti emerge la conferma che Joseph LUONGO è stato un elemento di altissimo livello all’interno delle strutture di sicurezza militari degli Stati Uniti, sempre attivo in Italia nei centri nevralgici e nei luoghi di maggiore tensione.

In particolare è confermato che LUONGO è stato, subito dopo la fine delle ostilità, capo del COUNTER INTELLIGENCE CORP di Bolzano, in seguito capo di una struttura dello stesso servizio con base a Linz (in Austria), nell’ambito della quale egli, fra l’altro, si occupava personalmente di approntare liste di comunisti alto-atesini giudicati pericolosi per gli interessi americani (cfr. annotazione citata, f.3).

Joseph LUONGO si era altresì preoccupato, nel 1949, di verificare che il Governo italiano fosse pronto ad avvalersi, in caso di "sollevazioni di sinistra", dell’opera dei F.A.R. (Fasci di Azione Rivoluzionaria), organizzazione per il cui potenziamento ed efficienza proprio gli americani avevano speso forti somme (cfr. appunto del Ministero della Difesa, Stato Maggiore Esercito, 22.2.1949, e annotazione del R.O.S. citata, f.3, vol.55, fasc.9).

Si tratta dell’organizzazione terroristica formatasi subito dopo la fine della guerra, ispirata da alcuni leaders, fra cui Pino RAUTI e Clemente GRAZIANI (che avrebbero in seguito formato ORDINE NUOVO) e che si era resa responsabile, soprattutto nel 1950, di numerosi attentati nella Capitale.

Il maggiore Karl HASS, reclutato proprio da Joseph LUONGO, ha del resto ricordato, nel suo interrogatorio in data 4.7.1996, che i F.A.R. erano una delle organizzazioni cui si doveva appoggiarsi in caso di vittoria elettorale delle sinistre (f.3) e che inoltre uno dei suoi specifici incarichi per conto di LUONGO era la raccolta di informazioni e la sorveglianza, nella Capitale, degli emissari comunisti tedeschi che giungevano in Italia per prendere contatti con esponenti del P.C.I..

Dai nuovi atti forniti dal S.I.S.Mi., i rapporti fra il maggiore LUONGO e il maggiore HASS emergono, del resto, come continuativi e strettissimi (cfr. annotazione del R.O.S. citata, ff.2-4) ed emerge anche che l’attività del maggiore LUONGO si estendeva non solo all’Alto Adige, ma anche al Veneto, all’Emilia Romagna e alla Lombardia (f.4), in coincidenza con quanto ricordato anche da Carlo DIGILIO in merito ad uno spostamento di LUONGO a Milano insieme a Sergio MINETTO (int.15.6.1996, f.2).

Negli anni ‘60, il maggiore LUONGO, elemento di collegamento stabile con i funzionari del Ministero dell’Interno italiano (ma invece sgradito, per ragioni non note, al Servizio militare italiano), aveva lasciato il nostro Paese rientrando negli Stati Uniti e assumendo altri incarichi (cfr. annotazione R.O.S., f.6), ma nel 1968 era stato probabilmente riaccreditato in Italia, anche al fine di portare a termine una specifica missione di penetrazione presso il Ministero della Difesa ungherese, e veniva richiesta la sua assegnazione alla Base "Camp Ederle" di Vicenza, la stessa ove operavano o avevano operato il capitano David CARRET, Giovanni BANDOLI e Robert Edward JONES e che era il punto di riferimento, fra l’altro, di Dario ZAGOLIN (cfr. annotazione R.O.S., ff.7-9).

Gli ulteriori atti presenti nel fascicolo fornito dal S.I.S.Mi. testimoniano l’attività di LUONGO in Italia, soprattutto a Bolzano, quantomeno sino al 1984, sempre all’interno di strutture di sicurezza dell’Esercito americano la cui evoluzione, col passare del tempo, a partire dal vecchio C.I.C. del periodo bellico e post-bellico sino all’attuale IN.S.COM. (INTELLIGENCE AND SECURITY COMMAND), è visivamente esposta negli schemi allegati all’annotazione del 24.11.1997 (ff.3 e 4 allegati).

Si può quindi concludere che gli elementi indicati da Carlo DIGILIO in merito al ruolo di Joseph LUONGO sono documentalmente provati e che effettivamente questi era stato uno dei primi artefici della struttura americana che, cooptando ex-ufficiali nazisti ed ex-repubblichini (e fra questi, probabilmente fra i primi, Sergio MINETTO), aveva impostato soprattutto nel Nord-Italia la politica di sicurezza e informativa anticomunista che si sarebbe sviluppata sino agli anni della strategia della tensione e anche sino ad anni più recenti.

Martino SICILIANO, rientrato temporaneamente in Italia nell’estate del 1997, ha reso ulteriori dichiarazioni e fornito precisazioni sia a questo Ufficio sia ad altre Autorità Giudiziarie, fra cui la Procura della Repubblica di Brescia e l’Ufficio Istruzione di Venezia.

In relazione ai temi di interesse per la presente istruttoria, merita di essere ricordato che Martino SICILIANO ha messo a fuoco i suoi ricordi in merito al campo di addestramento svoltosi nell’ottobre 1971 nei pressi di Barni (cui aveva già fatto cenno nei suoi primi interrogatori in data 18.10.1994 e 15.3.1995) ed ha riconosciuto alcune scene riferentisi a tali esercitazioni in un gruppo di fotografie che erano state nel frattempo recuperate da questo Ufficio.

Si tratta delle fotografie tratte dall’istruttoria sviluppatasi nel 1972 a carico di Giancarlo ESPOSTI, Angelo ANGELI, Francesco ZAFFONI ed altri in relazione ad alcuni attentati e ad alcuni episodi di detenzione di armi ed esplosivi, in occasione della quale, mostrando così, al tempo, un certo atteggiamento di collaborazione, Angelo ANGELI aveva consegnato ai Giudici inquirenti le fotografie scattate a Barni in cui comparivano lo stesso ANGELI e alcuni altri militanti impegnati nelle esercitazioni.

Ecco il racconto di Martino SICILIANO, di interesse in relazione alle complessive attività del gruppo La Fenice:

"""....io rimasi solo un giorno presso il campo, che era costituito da tre o quattro tende, e posso confermare la presenza soprattutto dei milanesi e cioè ROGNONI, ESPOSTI, PAGLIAI, ZAFFONI, ANGELI e, mi sembra, anche AZZI, in pratica quasi tutti quelli dell'area de La Fenice o quantomeno gli elementi più attivi.

Come ho già detto io vidi solo alcune armi da fuoco, pistole Beretta cal.9 portate da ESPOSTI e ROGNONI.

La località era appunto Barni, sulle montagne sopra Lecco e prospicienti il lago.

Prendo visione di alcune fotografie allegate al fascicolo della Procura di Milano, in cui si vedono alcuni dei partecipanti al campo, e posso dire che in una fotografia si vedono molto bene Angelo ANGELI e Giancarlo ESPOSTI con i Ray-Ban, inginocchiati mentre maneggiano miccia e candelotti di esplosivo.

In un'altra fotografia si vedono, in marcia, a destra ANGELI e a sinistra, con la tuta maculata, ZAFFONI, i quali compaiono anche in una terza fotografia, insieme ad una persona che non riconosco, mentre puntano le pistole.

In un'ultima fotografia c'è Francesco ZAFFONI, steso a terra durante l'addestramento al cosiddetto "passo del leopardo".""".

(SICILIANO, int. 14.10.1997).

La descrizione fatta da Martino SICILIANO del campo di addestramento di Barni è stata confermata, nelle sue linee essenziali, da Francesco ZAFFONI, ben visibile nelle fotografie, il quale, nell’ambito della medesima testimonianza (resa in data 27.12.1997 nella fase conclusiva dell’istruttoria), ha avuto anche modo di riconoscere il palazzo di Venezia ove aveva sede il circolo "Il Quadrato" e dove era stato ospitato nel 1974 insieme a Piero BATTISTON prima di fuggire all’estero (cfr. capitolo 5 della presente ordinanza) e di confermare alcuni particolari relativi all’arrivo a Milano di Marzio DEDEMO, inviato dal dr. MAGGI, da Venezia, subito dopo la grave aggressione subìta dalla moglie di Giancarlo ROGNONI (cfr. capitolo 9).

Martino SICILIANO, nel corso dei suoi ultimi interrogatori, ha rievocato un nuovo episodio e cioè il progetto di attentato contro l’Autogrill "Cantagallo" dopo che i suoi dipendenti, improvvisando una sorta di sciopero, si erano rifiutati di servire l’on. Giorgio ALMIRANTE che si era fermato presso l’Autogrill al ritorno da una manifestazione politica:

"""....ricordo benissimo l'episodio dell'autogrill Cantagallo che risale all'inizio degli anni '70 e a seguito del quale i camerieri, riconosciuto Almirante proclamarono subito uno sciopero di protesta.

Ricordo anche che Almirante si era fermato presso l'autogrill di ritorno da una manifestazione politica mi sembra in concomitamza con qualche manifestazione elettorale.

Il nostro ambiente subì l'episodio come un affronto non solo per l'M.S.I. in quanto tale, ma anche per Ordine Nuovo che era rientrato nel M.S.I. e che vedeva inoltre nell'on. Almirante, benchè non sulle nostre posizioni, un simbolo per tutta la destra.

Si discusse quindi, in Via Mestrina, sulla possibilità di dare una risposta forte a tale affronto e ZORZI, in particolare, progettò la collocazione da parte del nostro gruppo di un ordigno esplosivo all'esterno dell'autogrill, collocandolo in particolare in prossimità di tubi o bombole di gas al fine di aumentare la potenza dell'esplosione.

Il progetto si arrestò in quanto l'M.S.I. prese una propria autonoma iniziativa che si concretizzò in una spedizione punitiva all'Autogrill capeggiata da Pietro CERULLO, che all'epoca era uno dei responsabili giovanili del Partito a livello nazionale.

La spedizione punitiva ebbe notevole risalto in quanto sfociò nel danneggiamento dell'autogrill e in tafferugli con i camerieri che erano stati responsabili dell'episodio contro Almirante e di conseguenza un nostro ulteriore intervento, perdipiù di quella gravità, avrebbe finito col mettere in difficoltà il partito in cui eravamo ormai inseriti.

Quindi, dato il notevole risalto che ebbe l'iniziativa condotta dall'on. Cerullo, abbandonammo il nostro progetto""".

(SICILIANO, 20.10.1997).

Lo "sciopero" di protesta dei dipendenti del "Cantagallo" al momento dell’arrivo dell’on. ALMIRANTE, episodio che all’epoca suscitò un certo clamore, e la successiva "spedizione punitiva" dei militanti missini contro l’Autogrill, sono effettivamente avvenuti nel giugno 1973.

Si aggiunga che Vincenzo VINCIGUERRA, in una recente deposizione resa a personale del R.O.S. su delega della Procura della Repubblica di Brescia nell’ambito delle indagini sulla strage di Piazza della Loggia, ha riferito l’episodio in termini sostanzialmente analoghi.

Ciò conferma quanto già rilevato nella parte introduttiva della sentenza-ordinanza di questo Ufficio del marzo 1995 e cioè che, nonostante il lungo tempo trascorso e l’intrinseca difficoltà che ha sempre caratterizzato le indagini sulle stragi e l’eversione di destra, quasi nessun episodio o circostanza importante toccata dall’istruttoria è sorretta, sul piano probatorio, da una sola testimonianza; al contrario, in quasi tutti i casi il racconto si basa su due o anche più testimoni, perdipiù (come DIGILIO, SICILIANO, VINCIGUERRA, BONAZZI, FABRIS e così via) del tutto indipendenti l’uno dall’altro, in quanto da moltissimi anni non più in contatto, mentre in altri e non pochi casi il riscontro è stato fornito da un dato documentale reperito, il più delle volte, grazie all’Archivio del S.I.S.Mi.

Anche Carlo DIGILIO, nello scorcio finale dell’istruttoria, ha reso alcuni interrogatori di notevole importanza, il cui contenuto non è necessario riportare interamente in questa sede trattandosi di circostanze di diretta rilevanza per le indagini collegate in corso presso la Procura della Repubblica di Milano.

Si può tuttavia ricordare che Carlo DIGILIO, parlando di Gastone NOVELLA (il croupier del Casinò del Lido di Venezia, simpatizzante di Ordine Nuovo), ha fornito ulteriori particolari sul concentramento, a Venezia, nella notte in cui doveva aver luogo il "golpe Borghese", riallacciandosi così al quadro già esposto nel capitolo 38 della sentenza-ordinanza del marzo 1995:

"""Gastone NOVELLA era inoltre molto legato al Principe BORGHESE, anche per tradizione familiare, e insieme al padre era fiduciario, per Venezia, del Fronte Nazionale.

Del resto Gastone NOVELLA era presente con me, Marino GIRACI con il padre e lo zio, e, fra gli altri, anche Giorgio BOFFELLI al concentramento dinanzi all'Arsenale nella notte fra il 7 e l'8 dicembre 1970.

C'erano altri militanti nella vicina sede dell'Associazione Marinai ed attendemmo dalle ore 22 circa sino quasi a mezzanotte quando arrivò il contrordine.

C'erano pronti anche alcuni motoscafi militari proprio lì davanti, sotto i capannoni della Marina.

Infatti, tramite contatti con ufficiali della Marina era assicurato anche il loro intervento nel momento in cui l'azione fosse scattata.

Gastone NOVELLA ci aveva assicurato che le navi americane erano state allertate e che anche loro erano d'accordo ed effettivamente CARRET mi confermò che varie navi da guerra erano state, per precauzione, tenute fuori dal porto in quei giorni per evitare che fossero colpite dalle improvvise reazioni dei gruppi comunisti se fossero rimaste attraccate""".

(DIGILIO, int. 19.12.1997).

Di interesse ancora maggiore è quanto riferito da Carlo DIGILIO, sempre con riferimento iniziale al "golpe Borghese", in merito alla figura di Dario ZAGOLIN, in precedenza oggetto solo di scarsissimi accenni:

"""Premetto che intorno alla zona del Lido di Venezia, alla fine degli anni '60, si coagulava un gruppo facente riferimento sia al FRONTE NAZIONALE sia a ORDINE NUOVO e che era impegnato nella progettazione di quello che poi sarebbe stato il tentativo di golpe del Principe BORGHESE. Di questo gruppo facevano parte, come ordinovisti, Giangastone ROMANI, BARBARO (quello che faceva il grossista di bibite), un certo DE COL (che era un elemento esaltato) e alcuni componenti della squadra di pallavolo dell'associazione sportiva FIAMMA e cioè Erminio DORIA (in seguito affogato in Sardegna) e suo fratello Marco che sposò la sorella di Marino GIRACI (di nome Gabriella) e che aveva un negozio di specialità veneziane in Calle delle Rasse.

Sempre del medesimo gruppo, ma aderenti al Fronte Nazionale, c'erano Osvaldo GIRACI, suo figlio Marino e suo fratello Livio, poi Emilio NOVELLA e suo figlio Gastone, che faceva il croupier al Casino del Lido, e poi il capitano di Lungo Corso GODEAS, molto amico dell'armatore LIGABUE.

Ai margini di questo gruppo gravitava Roberto ROTELLI che metteva a disposizione il suo peschereccio per battute di pesca e anche per l'ispezione delle navi affondate al largo del Lido.

Faccio presente che fu proprio ROTELLI, insieme a DE COL, a deporre, nuotando sino ai giardini di Sant'Elena, l'ordigno che distrusse il Monumento alla Partigiana all'inizio degli anni '60.

Voglio ancora far presente che in questo contesto di persone una figura di notevole spicco era Emilio NOVELLA, il quale, durante la seconda guerra mondiale, aveva combattuto in Garfagnana, credo nella Divisione Monterosa, nell'ultima fase della lotta e della resistenza delle forze italo- tedesche.

Emilio NOVELLA parlava molto bene il francese anche perchè proveniva da Montecarlo ed era un massone di "grado 33", appartenente ad una loggia credo proprio facente riferimento a Montecarlo.

Ricordo che suo figlio Gastone propose anche a me di aderire ad una loggia massonica esponendomene i vantaggi, ad esempio in relazione alla possibilità di trovare posti di lavoro e vincere concorsi pubblici.

Io tuttavia rifiutai perchè non ho mai avuto simpatia per la massoneria.

Sempre di quest'area di persona faceva parte anche Giorgio BOFFELLI, pur non abitando vicino al Lido.

Nel periodo in cui si stava preparando il golpe BORGHESE e vi era la necessità di utilizzare ogni elemento utile e, in particolare, che avesse capacità operative, sentii parlare da Gastone NOVELLA, da BOFFELLI e da Marino GIRACI di due militanti di Padova, Dario ZAGOLIN e del suo luogotenente BEPI, che erano elementi molti fidati e che avrebbero costituito il retroterra operativo per gli elementi veneziani.

Di questo BEPI, certamente diminutivo del nome Giuseppe, non ricordo il cognome, ma ricordo tuttavia che aveva combattuto nella Legione Straniera francese, da cui era uscito con il grado di sergente e con una pensione, e quindi poteva svolgere il ruolo di istruttore.

Invece ZAGOLIN era più portato per compiti informativi e di raccordo.

Dopo il fallimento del tentativo del Principe BORGHESE, vi fu un notevole allarme perchè vi era il timore che potessero essere aperte indagini e ZAGOLIN era fra quelli che sapevano tutto sulla cospirazione e disponevano del quadro completo degli affiliati.

Effettivamente una sera anch'io conobbi Dario e Bepi.

Era venuto da me Gastone NOVELLA e insieme ci recammo a Mestre in Corso del Popolo dove incontrammo Dario e Bepi che venivano da Padova su una vecchia CITROEN DS19 guidata dal Bepi.

Ci portammo in una zona isolata in quanto Gastone doveva parlare con i due dello sviluppo della situazione.

Erano trascorsi circa 6 mesi dal fallito golpe BORGHESE, infatti ricordo che era tarda primavera o inizio estate.

Ricordo anche, a titolo di curiosità, che mentre ci portavamo in questa località isolata, un'automobilista di passaggio con targa di Treviso non ci diede strada e Dario e Bepi, che erano molto robusti di corporatura e che quella sera erano molto nervosi, si fermarono con l'intenzione di pestarlo anche se poi lo scontro rientrò.

Ricordo che i discorsi tra Gastone e i due padovani riguardarono il rischio che la vicenda del golpe divenisse nota.

In seguito, nell'ambiente di cui ho parlato, la figura di ZAGOLIN cadde in disgrazia in quanto si diceva che egli aveva reso nota una serie di nomi ad una struttura informativa e in particolare a quella della Questura di Verona.

Ricordo che Gastone NOVELLA era arrabbiatissimo e diceva che ZAGOLIN doveva essere punito.

Quando si seppe che ZAGOLIN era fuggito in Grecia vi fu una fitta corrispondenza fra l'Italia e i fuoriusciti italiani in Grecia per rintracciarlo e sottoporlo ad una sorta di processo e quando Angelo ANGELI, molti anni dopo, mi disse che in Grecia era stato una sorta di custode o carceriere di ZAGOLIN e avrebbe potuto decidere della sua vita, tale racconto mi si ricollegò subito a quello che era avvenuto all'inizio degli anni '70.

Faccio presente che, all'epoca, in Grecia vi erano anche MASSAGRANDE e BESUTTI e credo siano stati anch'essi coinvolti nella vicenda ZAGOLIN""".

(DIGILIO, int. 10.12.1997).

Dario ZAGOLIN e il suo luogotenente BEPI, da identificarsi certamente in Giuseppe MENOCCHIO (anch’egli inquisito nell’istruttoria sul "golpe Borghese" e la Rosa dei Venti condotta dal G.I. di Padova, dr. Giovanni Tamburrino), erano quindi in stretto contatto, in quegli anni, con l’area veneziana e soprattutto con il gruppo di Ordine Nuovo del Lido di Venezia, intorno a cui gravitava anche Roberto ROTELLI, il fornitore della gelignite a Delfo ZORZI (cfr. capitolo 34).

Tale inquadramento dei contatti di Dario ZAGOLIN è molto importante poichè la sua figura aveva cominciato a delinearsi già all’interno del primo troncone dell’istruttoria.

Dario ZAGOLIN, elemento importante del tentativo di golpe del Principe Borghese e dei progetti successivi, sfuggito alla cattura grazie alle coperture di cui godeva e rifugiatosi da quell’epoca in Francia, era infatti risultato (cfr. capitolo 61 della sentenza-ordinanza del marzo 1995) in contatto con servizi di sicurezza italiani e probabilmente anche americani, in contatto altresì con Licio GELLI agli inizi degli anni ‘70 e in seguito, a Parigi, ove si era rifugiato, con Stefano DELLE CHIAIE.

Tali circostanze sarebbero semplicemente "di contorno" se l’autovettura FIAT 1500 targata "Padova" di Dario ZAGOLIN, come già emerso nell’istruttoria condotta negli anni ‘80 dal G.I. di Catanzaro, dr. Emilio Le Donne, non fosse risultata parcheggiata, l’11.12.1969 e cioè il giorno precedente la strage di Milano, in Piazza Diaz a soli 400 metri da Piazza Fontana.

I collegamenti con il gruppo veneziano , svelati da Carlo DIGILIO nell’interrogatorio in data 10.12.1997, sono dunque di estrema importanza in quanto, anche in base ad altri elementi che in questa sede non è possibile riportare, Dario ZAGOLIN è divenuto l’ultimo soggetto, in ordine di tempo, indagato per il reato di concorso nella strage di Piazza Fontana nelle indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Milano.

Carlo DIGILIO, infine, nell’interrogatorio svoltosi in data 19.12.1997, si è risolto a precisare un particolare importante in merito al ruolo ricoperto da Giovanni VENTURA nella giornata del 12.12.1969:

"""Intendo a questo punto fornire una ulteriore precisazione in merito ai fatti più gravi, che ritengo importante e che si spiega alla luce delle mie iniziali titubanze a riferire alcune circostanze che ricollegavano la mia presenza appunto agli attentati più gravi nella loro immediatezza.

In uno dei miei primi interrogatori, che l'ufficio mi fa presente essere avvenuto in data 16.4.1994, io avevo riferito che Delfo ZORZI mi aveva parlato di VENTURA come "QUELLO DELLE BOMBE INESPLOSE" in occasione dell'incontro che avvenne al fine di organizzare l'evasione dello stesso VENTURA e quindi molto tempo dopo gli avvenimenti.

In realtà, tale concetto mi fu esposto da ZORZI, e con rabbia, anche "a caldo" nell'incontro che avvenne nel gennaio/febbraio 1970, sempre a Mestre, e di cui ho parlato nell'interrogatorio in data 20.1.1996 a foglio 7. In tale occasione Delfo ZORZI parlò con estrema soddisfazione dell'azione cui aveva partecipato a Milano e dei risultati che poteva avere per la destra e però aggiunse che vi era stato un problema in quanto una delle due bombe di Milano non era esplosa, era stata ritrovata e gli elementi che le componevano avrebbero potuto consentire agli inquirenti di risalire agli autori degli attentati.

Secondo ZORZI, ciò era colpa di VENTURA, ritengo con riferimento alle operazioni di innesco dell'ordigno, e definì appunto in questa occasione VENTURA come "quello delle bombe inesplose".

Ebbi la sensazione che con tale frase egli si riferisse al fatto che anche alcuni degli altri attentati preparatori, che avevano preceduto quelli del 12 dicembre 1969 e in cui aveva messo mano VENTURA, fossero falliti per colpa sua.

Del resto quando, dopo la preparazione delle scatolette di legno avvolte in carta da pacchi nel casolare di Paese, eravamo in procinto di lasciare il casolare, parte delle scatolette erano state prese da ZORZI e parte da VENTURA, che quindi si divisero la responsabilità delle ultime fasi esecutive.

Nel corso dell'incontro in cui si parlò del progetto di evasione, ZORZI mi ribadì che VENTURA era un imbecille perchè, come era responsabile delle bombe inesplose dimostrandosi un incapace, così aveva fatto la leggerezza di confidarsi con il suo amico LORENZON, ma nonostante questa serie di comportamenti andava fatto evadere proprio perchè vi era il rischio che, per tale suo carattere, cedesse e si mettesse a parlare con gli inquirenti.

Avevo inizialmente attribuito tale discorso di ZORZI solo all'incontro relativo al progetto di evasione di VENTURA in quanto, nella prima fase della mia collaborazione, avevo ancora delle titubanze discendenti dalla gravità di quanto ero in grado di dire e volevo tenermi un po' lontano dal riferire la mia presenza nelle situazioni più gravi e immediate rispetto ai fatti""".

(DIGILIO, int. 19.12.1997, ff.3-4).

Giovanni VENTURA, quindi, era direttamente coinvolto e si era personalmente occupato del secondo attentato organizzato a Milano per la giornata del 12.12.1969, e cioè la collocazione dell’ordigno, rimasto inesploso, in un corridoio della filiale di Piazza della Scala della Banca Commerciale.

Carlo DIGILIO aveva appreso tale circostanza da Delfo ZORZI non, come inizialmente riferito, solo nel 1973, quando era in fase di organizzazione l’evasione di VENTURA, ma nell’immediatezza dei fatti, allorchè Delfo ZORZI gli aveva esposto il suo consuntivo della giornata del 12.12.1969.

Carlo DIGILIO si è risolto a riferire tale importante particolare solo in uno degli ultimi interrogatori secondo la sua tipica scelta di "progressione" delle dichiarazioni che, tuttavia, nulla toglie alla logica interna e alla credibilità complessiva e finale della sua collaborazione, tenendo anche presenti gli enormi ostacoli di ordine soggettivo ed oggettivo che tale collaborazione, soprattutto nella sua fase centrale, ha incontrato.

I L D I S P O S I T I V O

p. q. m.

Il Giudice Istruttore

Visti gli artt.372 e 378 c.p.p.

Dichiarata chiusa la formale istruzione

Sulle richieste del Pubblico Ministero parzialmente difformi

d i c h i a r a

non doversi procedere, in quanto i reati sono estinti per intervenuta prescrizione, nei confronti di:

- ROGNONI Giancarlo, AZZI Nico e DE MIN Francesco per i reati di cui al capo 4) di imputazione.

- ROGNONI Giancarlo per i reati di cui al capo 7) di imputazione.

- DEDEMO Marzio per i reati di cui ai capi 8) e 9) di imputazione.

- VINCIGUERRA Vincenzo, RICCI Mario e CARMASSI Piero per il reato di cui al capo 11) di imputazione.

- GUILLOU Yves Felix Marie alias GUERIN SERAC, DELLE CHIAIE Stefano, VINCIGUERRA Vincenzo, RICCI Mario e CARMASSI Piero per i reati di cui al capo 12) di imputazione.

- MONTAGNER Piercarlo per il reato di cui all’art.306, II comma, c.p. (partecipazione semplice a banda armata), così derubricato il reato di cui al capo 13) di imputazione.

- ZORZI Delfo, SICILIANO Martino, MONTAGNER Piercarlo e MAGGI Carlo Maria per i reati di cui al capo 14) di imputazione.

- ZORZI Delfo, VENTURA Giovanni, FREDA Franco e POZZAN Marco per i reati di cui al capo 15) di imputazione.

- MAGGI Carlo Maria, ZORZI Delfo, SICILIANO Martino e VIANELLO Giancarlo per i reati di cui al capo 16) di imputazione.

- ZORZI Delfo, SICILIANO Martino e MONTAGNER Piercarlo per i reati di cui al capo 17) di imputazione.

- FREZZATO Giuseppe per i reati di cui al capo 18) di imputazione.

- VIANELLO Giancarlo, PORTOLAN Manlio, MAGGI Carlo Maria e COZZO Anna Maria per i reati di cui ai capi 19) e 20) di imputazione.

- DIGILIO Carlo per i reati di cui al capo 21) di imputazione.

- SICILIANO Martino, ANDREATTA Piero e ZORZI Delfo per i reati di cui al capo 22) di imputazione.

- FREZZATO Giuseppe per il reato di cui al capo 23) di imputazione.

- MAGGI Carlo Maria per i reati di cui al capo 24) di imputazione, limitatamente alla detenzione delle mine anticarro, di cui al primo alinea.

- MAGGI Carlo Maria e DIGILIO Carlo per il reato di cui al capo 25) di imputazione.

- MINETTO Sergio per il reato di cui al capo 34) di imputazione.

d i c h i a r a

non doversi procedere nei confronti di BANDOLI Giovanni e JONES Robert Edward in ordine a quanto contestato al capo 33) di rubrica perché il fatto non costituisce reato.

d i c h i a r a

non doversi procedere nei confronti di:

- BATTISTON Pietro in ordine al reato di cui al capo 3) di rubrica per non aver commesso il fatto.

- BALLAN Marco in ordine ai reati di cui ai capi 5) e 6) di rubrica per non aver commesso il fatto.

Visto l’art.90 c.p.p. del 1930

d i c h i a r a

non doversi procedere nei confronti di ZORZI Delfo, SICILIANO Martino e NEAMI Francesco in ordine ai reati di cui ai capi 19) e 20) di rubrica per inammissibilità di un secondo giudizio, essendo già interventua sentenza di proscioglimento istruttorio e non essendo possibile disporre la riapertura dell’istruzione trattandosi di reati comunque estinti per intervenuta prescrizione.

Visto l’art.374 c.p.p. del 1930

o r d i n a

il rinvio a giudizio dinanzi alla Corte d’Assise di Milano, competente per materia e territorio, di:

- BATTISTON Pietro per rispondere dei reati di cui ai capi 1) e 2) di imputazione.

- GUILLOU Yves Felix Marie alias GUERIN SERAC e DELLE CHIAIE Stefano per rispondere del reato di cui al capo 10) di imputazione.

- SICILIANO Martino per rispondere del reato di cui al capo 13) di imputazione.

- MAGGI Carlo Maria e DIGILIO Carlo per rispondere dei reati di cui al capo 24) di imputazione, limitatamente alla detenzione dell’acido picrico e del tritolo consegnato a Roberto Raho, di cui al secondo alinea.

- DIGILIO Carlo e MAGGI Carlo Maria per rispondere dei reati di cui al capo 26) di imputazione.

- DIGILIO Carlo, MAGGI Carlo Maria e CAVALLINI Gilberto per rispondere dei reati di cui al capo 27) di imputazione.

- MALCANGI Ettore per rispondere del reato di cui al capo 28) di imputazione.

- PRUDENTE Lorenzo per rispondere dei reati di cui ai capi 29) e 30) di imputazione.

- MALCANGI Ettore, DIGILIO Carlo e CARUSO Enrico per rispondere dei reati di cui al capo 31) di imputazione.

- MINETTO Sergio e MAGGI Carlo Maria per rispondere del reato di cui al capo 32) di imputazione.

Visti gli artt.39 e ss. c.p.p. del 1930

d i c h i a r a

la propria incompetenza per territorio in ordine alle imputazioni associative ascritte a ROGNONI Giancarlo ai capi 5) e 6) di rubrica (artt.270 e 306 c.p.) e la trasmissione degli atti relativi alle stesse e di copia della presente ordinanza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Brescia.

Visto l’art.299, II comma, c.p.p. del 1930

d i s p o n e

la trasmissione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Milano degli atti relativi al capitano David CARRET in relazione ai prospettati reati di spionaggio politico e militare (art.257 c.p.) e concorso in strage (art.422 c.p.) e negli altri attentati avvenuti dall’aprile 1969 al 12 dicembre 1969.

d i s p o n e

la trasmissione di copia della presente ordinanza al Giudice Istruttore dr. Antonio Lombardi - sede - per quanto di interesse in relazione all’istruttoria concernente la strage di Via Fatebenefratelli, a Milano, in data 17.5.1973.

d i s p o n e

la trasmissione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Roma di copia della presente ordinanza e degli atti relativi ai NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO citati al capitolo 71.

d i s p o n e

la trasmissione di copia della presente ordinanza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Venezia per quanto di interesse in relazione all’indagine nei confronti di MAGGI Carlo Maria relativa all’attentato al Gazzettino di Venezia in data 21.2.1978.

Milano, 3 febbraio 1998

Il Giudice Istruttore

Guido Salvini

 

 

 

 

 

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