da www.mondadori.it (articolo pubblicato su panorama)
L' uranio impoverito e la maledizione dei serbi di Bratunac

Vivevano in un sobborgo nei pressi di una fabbrica bombardata nel 1995 con i
micidiali proiettili usati dalla Nato. Dopo la divisione della ex
Jugoslavia, in 4.500 sono dovuti emigrare in una cittadina lontana. Lì
uomini, donne e bambini hanno cominciato ad ammalarsi. E a morire. Una
strage: 400 decessi in quattro anni per varie forme di tumore che i medici
sospettano legati alle conseguenze dei raid. Panorama ha incontrato i
sanitari che li hanno curati e i superstiti di quel sobborgo. Ecco le loro
drammatiche testimonianze. di FAUSTO BILOSLAVO
da Bratunac (Bosnia) 12/1/2001

  «È un dato di fatto che le persone a Bratunac muoiano numerose. È un dato
di fatto che il tasso di mortalità sia pressoché equivalente al tasso di
natalità». Dr. Slavica Jovanovi (Specialista di Medicina del lavoro Dal
Rapporto sulla mortalità degli abitanti domiciliati dal 1996 a Bratunac)

Bozidar Tomic ti guarda fisso negli occhi, come se volesse trasmettere
quello sguardo sofferente di chi sta sentendo la vita scivolargli fra le
mani. Un cancro all'intestino lo divora, ma nel 1995 stava benissimo e
faceva l'operaio-soldato nella fabbrica militare serba di Hadzici, un
sobborgo a una quindicina di chilometri da Sarajevo, vicino al monte Igman,
che a malapena si trova sulle mappe. Poi è scattato l'attacco aereo della
Nato, che nel settembre di sei anni fa ha messo fuori uso lo stabilimento.
Qualche mese dopo, poco prima dell'ingresso delle truppe internazionali, gli
hanno dato l'ordine, assieme a circa 300 persone, di ripulire le macerie e
recuperare i macchinari non danneggiati. «Me li ricordo bene i proiettili
strani che abbiamo trovato, con una parte nera e tozza e una specie di
sigaro appuntito all'apice per quelli rimasti intatti. Io ne ho raccolti
almeno dieci, come tutti gli altri che lavoravano con me: a mani nude, senza
alcuna precauzione. Gli ufficiali ci avevano detto che erano stati sparati
dagli aerei americani, ma nessuno sapeva che fossero pericolosi. Solo adesso
ho scoperto che si trattava di uranio impoverito, materiale radioattivo.
Pensi che molti li tenevano, e li tengono, come souvenir» spiega lentamente
questo serbo bosniaco di 38 anni, nato a Hadzici, ma esiliato a Bratunac,
una misera cittadina al confine fra Serbia e Bosnia dove Panorama è andato
per documentare la sindrome dei Balcani.

«Bozo», come lo chiamano gli amici, ha chiuso i due figli in un'altra
stanza, prima di cominciare a parlare, e la moglie che gli sta vicino lo
ascolta trattenendo a stento le lacrime. «Nel giugno dello scorso anno mi
hanno diagnosticato un tumore al colon. Sono stato operato a Belgrado e
adesso sto sottoponendomi alla chemioterapia, ma devo pure pagarla di tasca
mia. I medici mi hanno detto che potrebbe esserci un collegamento con i
bombardamenti. Sapevo che fra noi di Hadzici era iniziata una moria a causa
di queste malattie, ma non credevo alle voci sulla sindrome dei Balcani. Ora
ho cambiato idea» racconta pallido, con il volto scavato e i capelli rasati
a zero.

Mentre in Italia si attendono i risultati della commissione scientifica e ci
si interroga se l'uranio impoverito sparato dai caccia anticarro A10, di
base ad Aviano, provochi tumori e leucemie, la storia di Tomic e della sua
gente dimostra che un qualche pericolo già esisteva.

Erano 4.500 i serbi di Hadzici che nel 1996 hanno preso la via dell'esodo
verso Bratunac per non vivere assieme ai bosniaci musulmani, ma negli ultimi
anni sarebbero stati decimati da uno stillicidio dovuto soprattutto a
neoplasie senza speranza. «Credo che esista una relazione fra i
bombardamenti della Nato, in particolare l'uranio impoverito usato, e questo
fenomeno. Purtroppo non abbiamo ancora dati certi e statistiche ufficiali,
ma non escludo che sia vera la cifra di 400 morti, fino a oggi, solo fra i
rifugiati di Hadzici. Penso che la gran parte di questi decessi sia
riconducibile a tumori che possono ritenersi più che sospetti» assicura da
Belgrado Zoran Stankovic, un noto anatomopatologo che lavora all'ospedale
militare e si è preso a cuore il caso.

Prove concrete non ne esistono, come per tutta la complessa vicenda della
sindrome dei Balcani, però i racconti che si sentono a Bratunac e le
testimonianze dei medici fanno venire i brividi. Alcuni parlano di gente che
si ammala ogni due-tre giorni, a ripetizione. L'ultimo decesso è dell'ex
sindaco di Hadzici, Ratko Radic, che poteva permettersi una vita migliore a
Belgrado. Sua moglie Lyela morì due anni fa, per un cancro ai polmoni. Radic
era un uomo forte, in salute, non fumava o beveva a dismisura rakja, la
grappa locale, come gran parte dei serbi. La sua casa si trovava di fronte a
un'altra fabbrica colpita dalle bombe ed era rimasta lesionata, ma lui non
l'aveva abbandonata fino all'esodo. Djoko Zelenovic, invece, lavorava al
Vojno technico remontni Zavod, compagno di lavoro di Tomic nello stesso
impianto militare di Hadzici duramente colpito, dove gli altri operai
avevano spazzato via i proiettili all'uranio come si trattasse di normali
rifiuti. Rimasto sotto le macerie, era stato tirato fuori vivo e con ferite
lievi. Si considerava un miracolato fino a quando non ha cominciato a
sentirsi male. È spirato sette mesi fa.

«Aveva un tumore senza speranze e i medici di Belgrado hanno sostenuto che
poteva essere stato provocato da una contaminazione delle polveri di uranio
impoverito inalate quando era rimasto sotto le bombe» dice convinto suo
figlio Nedeljko, giornalista con l'elmetto. Ora lavora a Radio Bratunac e si
capisce che non ama i musulmani pure dai simboli cetnici appesi alle sue
spalle. In compenso ha un paio di baffoni alla Gengis Khan e si batte a
spada tratta per dimostrare che la sua gente è stata colpita dalla sindrome
dei Balcani.

Un altro caso strano è quello della piccola e indifesa Sladjana Sarenac, di
soli 14 anni. La madre racconta fra le lacrime che dopo i raid è andata a
giocare nel cratere di una bomba, sempre ad Hadzici. In poco tempo ha
cominciato a perdere le unghie delle mani e dei piedi, a subire convulsioni
epilettiche, nausea, vomito e vuoti di memoria. Non è più tornata quella di
prima. Il professor Stankovic, in un'intervista alla radio jugoslava
indipendente B2-92, l'ha portata come esempio del destino maledetto degli
esuli serbi di Hadzici.

A Bratunac l'unica che ha tentato di svolgere un'inchiesta scientifica è
stata la dottoressa Slavica Jovanovic, la quale aveva denunciato a metà del
'98 un'inspiegabile tendenza all'aumento della mortalità fra la gente del
piccolo paese alle porte di Sarajevo. «Chiedevo di indagare, di istituire
una commissione scientifica anche internazionale, perché notavo qualcosa di
anomalo legato a un fattore esterno. Per mancanza di fondi e ostacoli
politici, anche le mie statistiche si sono dovute fermare» spiega il medico
di mezz'età, che ancora oggi lavora nella cittadina, dove non esiste un vero
e proprio ospedale. Secondo Jovanovic, i casi veramente sospetti sarebbero
200 e tutto è iniziato nel '98, con gente che si ammala e muore in tre mesi.
Attualmente risulterebbero 50 i serbi di Hadzici con il cancro. Dovrebbero
essere monitorati, ma nessuno muove un dito.

Con uno spirito un po' macabro, ma efficace, Nedeljko Zelenovic ci porta al
cimitero e passa fra le croci più recenti con incisa la data del decesso
('98, '99, 2000) ripetendo per molte volte la parola «Ocrana», che significa
cancro.

L'unico fatto certo è che il 12 settembre di sei anni fa la Nato ha
scatenato l'inferno ad Hadzici. Panorama ha rivelato nel numero scorso che a
eseguire l'ordine di attacco fu l'attuale capo di stato maggiore
dell'Aeronautica, il generale Andrea Fornasiero, al tempo comandante della V
Ataf. La sua flotta aerea contava anche sugli A10 partiti da Aviano per
colpire gli obiettivi serbi in Bosnia, ma il governo italiano continua a
sostenere di aver saputo dell'utilizzo dei proiettili all'uranio solo un
mese fa. Per questo motivo Fornasiero sarà ascoltato dalla procura militare
di Padova, che ha aperto un'inchiesta sulle morti sospette dei soldati
italiani impiegati nei Balcani.

L'ex fabbrica militare serba di Hadzici è tornata in funzione, anche se
alcuni capannoni sono abbandonati e portano ancora i segni delle bombe.
Davanti al cancello vigila il custode Blazevic Veisil, un omaccione con i
capelli grigi e un grembiule blu. «Ero in trincea con i bosniaci e ricordo
bene i bombardamenti. Sono intervenuti dei caccia che sparavano mitragliate
impressionanti (gli A10 anticarro americani, ndr). Diversi proiettili li
teniamo come ricordo, ma decine se non centinaia saranno ancora conficcati
nel terreno qua attorno». Sono i micidiali dardi all'uranio, che un altro
guardiano ci consegna scatenando il panico tra il contingente italiano.
Nonostante la convivenza con l'uranio, Veisil giura di sentirsi bene: «Sono
sanissimo, a parte i denti che si muovono come se li dovessi perdere da un
momento all'altro».

Nura Ramovic vive in un villaggio sopra Hadzici. Proprio qui correva la
prima linea e il marito ci porta a vedere i depositi di munizioni dei serbi
sventrati dalle bombe Nato. Molti si ricordano esplosioni simili a piccoli
funghi atomici, con fiamme alte fino a 150 metri. Forse nei bunker potevano
esserci armi non convenzionali. «Noi stiamo bene, ma la gente si ammala
sempre più spesso di cancro» osserva Nura. «Mio fratello è morto un anno fa
di un male misterioso. Un altro, che combatteva con l'esercito bosniaco, si
è ammalato stranamente. Gira voce che sia la sindrome dei Balcani...».



Le scorie di uranio (e plutonio) che abbiamo in casa
In Italia c'è una bomba nucleare innescata: sono le 284,5 tonnellate di
barre di uranio altamente radioattivo già utilizzato nei reattori nucleari e
contenente il pericolosissimo plutonio (assente nell'uranio impoverito della
Bosnia). Dove si trovano queste scorie? In centrali e depositi chiusi dopo
il referendum antinucleare dell'87. Sempre più fatiscenti e a rischio
terrorismo.
Da anni si discute inutilmente di un «cimitero» alternativo e definitivo. «A
Caorso in provincia di Piacenza c'è il 65,5 per cento di questo uranio e il
governo non ha alcuna intenzione di spostarlo» assicura il senatore di Forza
Italia Giampaolo Bettamio che da tempo si occupa del problema. Sembra che la
Sogin, la società incaricata dello smantellamento delle centrali, abbia
presentato un progetto per un deposito «provvisorio» di cento anni a Caorso.
Il deposito con i problemi più urgenti sarebbe quello di Saluggia
(Vercelli): le piscine di raffreddamento, dove si trovano le barre, già da
tempo hanno iniziato a perdere acqua radioattiva. L'Anpa (Agenzia nazionale
per la protezione ambientale) avrebbe emesso un'ordinanza di sgombero
urgente. C'è, infine, un mistero plutonio: si sono perse le tracce dei circa
50 kg ricavati nel centro di ricerca di Rotondella (Pt).

A ovest della bosnia raddoppiati i casi di leucemia

Nella zona occidentale della Repubblica serba di Bosnia i casi di leucemia e
di tumore al cervello nel '98 e '99 sono raddoppiati rispetto agli inizi
degli anni Novanta. La stessa incidenza di queste malattie sembra essere
stata registrata nel 2000. La notizia arriva direttamente da Banjia Luka,
riferita dalla dottoressa Jelica Predojevic, responsabile del locale reparto
di ematologia pediatrica che in passato aveva studiato anche gli effetti sui
neonati delle radiazioni di Chernobyl. Marino Andolina, pediatra-immunologo
triestino, esperto in trapianti di midollo osseo sui bambini, ha raccolto la
sua segnalazione. E spiega: «Non è giusto considerare l'uranio il (solo)
colpevole, il benzene è molto peggio come cancerogeno ed è stato liberato in
enormi quantità anche dai bombardamenti sulle raffinerie».
Un allarme rilanciato dalla stima presentata dal comitato Scienziati contro
la guerra: l'uranio usato nei Balcani provocherà «un tumore in più l'anno
ogni 8-10 mila persone. Su una popolazione di 2 milioni di persone, come
quella kosovara, si tratta di 200-250 casi in più all'anno». Per quanto
riguarda i militari, il rischio è più alto, perché le occasioni e le
modalità della loro esposizione sono più forti. «Su 40 mila soldati italiani
impiegati negli scenari jugoslavi possiamo attenderci da 10 a 20 casi
all'anno in più di tumore rispetto al normale».



Il generale: «l'uranio non è il killer dei soldati»
«L'uranio impoverito non c'entra niente». L'esercito italiano passa al
contrattacco. Finora il compito di contenere la valanga delle polemiche se
lo erano riservato le autorità politiche. Adesso anche i militari sono stati
autorizzati a parlare. E Panorama ha sentito il sottocapo di stato maggiore
dell'Esercito, generale Roberto Speciale.
Non vorrà mica sostenere che l'uranio impoverito non fa male?
Lo sostengono fonti autorevolissime come l'Organizzazione mondiale della
sanità e il Congresso Usa. E si sa come gli americani tengono alla salute
dei loro soldati.
In Bosnia non eravate stati avvertiti dei pericoli e in Kosovo sì: come mai?
In Bosnia si pensava che il problema non esistesse. C'erano 40 mila uomini
di 42 paesi e noi arrivammo ultimi agli inizi del '96, tre mesi dopo i
bombardamenti. Mi rifiuto di pensare che l'Onu chiese i bombardamenti
sapendo che potevano ritorcersi contro i suoi stessi uomini. E gli americani
avrebbero posto il loro campo base a Tuzla, la zona più bombardata?
Invece in Kosovo?
In Kosovo ci saremmo trovati davanti a carcasse fumanti di carri armati
colpiti dall'uranio, cioè nell'unico momento in cui quel materiale può
essere pericoloso.
È vero che la Nato non voleva che gli italiani portassero il reparto Nbc,
quello specializzato contro le contaminazioni?
Sì. Abbiamo dovuto insistere.
Eppure parecchi nostri soldati in Kosovo dicono di non avere mai sentito
parlare di uranio impoverito.
Può darsi che il termine «uranio impoverito» non sia stato usato. Ma avevano
l'ordine tassativo di stare alla larga dai siti bombardati e dai resti dei
blindati.
Se non è stato l'uranio, sono state le vaccinazioni?
Il protocollo delle vaccinazioni è stato approvato dal ministero della
Sanità.
E il benzene per pulire le armi?
Il solvente contiene solo lo 0,4 per mille di composti di benzene. Nella
benzina verde ce n'è l'1 per cento.
Vorrebbe sostenere che tutti i decessi e i malati siano legati a fattori
normali?
Purtroppo potrebbe essere la realtà, su un campione così ampio di
popolazione. Chi sostiene il contrario tenta di dividere politici e
militari. Ma noi non abbiamo nascosto nulla a nessuno.

mostraccio