SCAMPOLI DI MODERNITA'

Dalle 7 alle 9 e dalle 19 alle 21, gli autobus sono pieni di migranti. A quell’ora, circa la metà dei passeggeri è di origine africana. Giovani madri nere hanno con sé minimo 2 bambini, la mattina; la sera, discorrono tra loro. I giovani maghrebini sono sempre in coppia, qualche volta a gruppi di 3-4; mai soli. Sono quasi sempre nervosi, con lo sguardo sospettoso, a volte arrogante. Le donne dell’est-europa, carnagioni bianchissime, sono bellissime e altissime, come indossatrici d’alta moda. I migranti asiatici (Cinesi mai) sono per lo più donne filippine, spesso non più giovani, e giovani uomini del Bangladesh.

Stasera, quasi mi appisolo in bus, mischiando etnie e lingue, all’ingrosso, con l’orecchio appeso ad un giornaleradio. Squilla un sms. “Per la prima volta in vita mia ho visto la schiavitù. Lavorare dalle due di notte alle sette di ogni sera, e così via. La camminata che cambia, lo stipendio non pagato, la fame. Neanche i carboidrati che servono per reggersi in piedi. Ma sempre avanti, con la rassegnazione negli occhi, ed il barlume della speranza che non esiste più. Automa! Cazzo! Vorrei urlare, ma a cosa serve?”.

Mi scappa un "Mamma mia!!". Spero sia retorica o poesia, o un apologo come quelli che invio ogni tanto ai compagni, da vecchio trombone.

Chiamo l'autrice: “Ciao. E’ una poesia quella che hai scritto. Vero?!” – “No. Non lo è purtroppo… Quello schiavo è mio padre”. La voce si rompe. Singhiozza. Trattiene a stento, mischiando nelle lacrime la rabbia e l’umiliazione. Si scusa. Non conosco suo padre. Le chiedo quanti anni ha. “54, quasi 55” (solo un anno più di me). Lascio che si sfoghi e poi: “Cara compagna, quando la commozione e l’indignazione si acquieteranno, scrivi tutti questi pensieri; dagli una forma concreta; spiega al mondo la tua disperazione e la rabbia. Cerca di razionalizzare e poi condividi. Qualche volta, dopo si sta meglio, credimi”.

Se un grande dolore, specie familiare, diventa letteratura, e poi magari un’esperienza da condividere, si sublima: come perdesse gran parte del suo peso disperante. Ripenso a Luigi Pintor, al suo “Servabo”. Sarò utile..

“Gli manca tanto per la pensione?” – “Non sa neanche se la prenderà la pensione. Lavora solo in nero…”. Intanto è passato il pianto. “Grazie Lorenzo ché mi hai telefonato..” - “Grazie a te, cara. Un abbraccio forte forte per te e un altro per il tuo babbo”. “Mi raccomando, scrivi e poi condividi con tutti”.

Che mazzata. Altrochè pisolino. Non manca molto al capolinea. Davanti a me, una mamma e la sua figliola. Di origine filippina, senza dubbio. Sul marciapiede, quasi marciando, passa una decina di boy-scout “in alta uniforme”. La piccola (quinta elementare o prima media) con un italiano perfetto, madrelingua: “Mamma, sono boy-scout, vero?! Mi piacerebbe tanto.. in classe ce ne ho tre: tutti maschi. Mi porti, vero?! Loro si trovano sempre il sabato, al campo sportivo..”. In un italiano quasi altrettanto madrelingua, la mamma glielo promette, un po’ soprapensiero, come una cosa normale, di cui non si discute. Una conversazione italiana.

La bimba – futura lupetta – verosimilmente è una straniera in Italia di terza generazione. Le prime migranti filippine (le migliori badanti del mondo) alla fine degli anni ’80 erano già qui. Ma chi nasce in Italia non è italiano, neanche se parla italiano meglio di me; neanche se sogna di diventare boy-scout..

Viviamo come in una lunga notte della civiltà, e brancoliamo nel buio. “Ha da passa’ ‘a nuttata”, diceva Eduardo. Ma quanto lunga è? Quando finirà?!

 

Lorenzo Mazzucato

(Padova)