L'estate dei poveri



Arriva l'estate e peggiorano le condizioni di vita di tutti noi che
dipendiamo dai salari, dagli stipendi, dalle pensioni. Dipende dai
mutui, dai servizi di uno stato sociale che costa sempre di più, dalla
morte che incombe sui posti di lavoro, dalla scarsa disponibilità di
lavoro dignitoso per il futuro.

Si impoverisce il potere d'acquisto dei salari e degli stipendi (-20% il
dato OCSE), gli assegni pensionistici proposti dal governo non
riconoscono nessuna dignità alla vecchiaia, tanto meno con una
caritatevole ed arrogante tessera prepagata una tantum.

La povertà salariale provoca un calo generalizzato dei consumi, ci fa
soccombere di fronte all'aumento dell'inflazione, del prezzo dei
prodotti petroliferi ed alimentari, dei mutui da pagare.

Ma si i lavoratori sono sempre più poveri, che problema c'è? Ecco pronta
la mano tesa delle banche: indebitiamoci per un prestito che prima o poi
si dovrà restituire, magari contraendo un altro debito, questa volta in
forma di obbligazioni. E così via. Il capitalismo che ti prende alla
gola. Che si vuole riprendere con gli interessi ogni centesimo di
quell'assegno di sussistenza che è diventato il salario, e che ormai
incide appena per il 4-5% scarso su 100 euro di valore dei beni che
produciamo. Già, perché noi siamo ancora dei produttori.

La questione salariale viene rimossa dai luoghi di produzione e di
lavoro: l'insufficienza salariale viene presentata come una sorta di
accidente patologico a cui trovare cure che si baseranno in gran parte
sul contributo del malato stesso, cioè dei lavoratori.

Ed eccoli al nostro capezzale dottori improvvisati ed inaffidabili. E'
pronto a soccorrerci il governo con interventi sul fisco (ICI,
detrazioni sul lavoro straordinario,...) che però pagheremo con le tasse
e con rinnovi contrattuali pari a zero; incassiamo la comprensione
preoccupata del governatore Draghi (che ci chiede di comprare titoli di
stato sottocosto!!), si preoccupa per noi la Confindustria (che ci vuol
dare soldi non suoi puntando alla leva del fisco), ci soccorre poco la
disperazione delle organizzazioni sindacali che con la riforma della
contrattazione sperano di racimolare maggiore disponibilità di soldi, in
cambio di produttività (cioè maggiore sfruttamento) al livello
decentrato e intanto puntano al fisco amico.

Tutto questo non arresterà certo la caduta verticale del potere
d'acquisto dei salari. Le terapie annunciate sono inefficaci. Perché già
viste, perché eludono il problema dell'impoverimento costante a fronte
dell'aumento dei prezzi e delle tariffe.

Non solo, ancora resiste la convinzione che un aumento (inesistente) dei
salari provochi inflazione, per cui ecco il governo fissare all'1,7% il
tetto programmato, e poi la Banca Centrale Europea solerte alzare dello
0,25% il costo del denaro, indifferente se l'economia europea tira o
boccheggi.
La questione sociale del salario va invece riportata proprio all'interno
dei luoghi di lavoro e di produzione (territoriale, nazionale, europeo),
va riportata all'interno dell'erogazione dei servizi pubblici a prezzi
popolari, va riportata all'interno delle politiche dignitose per la
previdenza.

La vera riforma della contrattazione sta nel rilanciare una battaglia
salariale di ampio respiro che punti ad incrementi consistenti
generalizzati a partire dai minimi europei intercategoriali, che riduca
l'impatto della parte accessoria e le tendenze al contratto individuale,
che rimetta in essere un meccanismo di recupero automatico rispetto
all'inflazione, che restituisca diritti e potere contrattuale agli
organismi di base dei lavoratori nei luoghi di lavoro.

Di fronte ai decreti urgenti del governo, è urgente che la risposta dei
lavoratori si faccia sentire, recuperando fiducia e capacità
organizzativa, all'interno della CGIL con l'assemblea autoconvocata del
23 luglio a Roma, all'interno del sindacalismo di base con le iniziative
di aggregazione che si stanno sperimentando, riacquistando autonomia e
capacità di mobilitazione sugli obiettivi concreti, sugli interessi
immediati, senza scorciatoie politiciste.

Poche altre volte abbiamo visto il capitalismo aggredire con una crisi
così mirata ed avvolgente la classe lavoratrice, in Italia e nel mondo,
agendo sull'inflazione insieme ai prezzi delle materie prime e
dell'agricoltura, in un clima di guerre e di terrore, di razzismo e
repressione statale.

La destra ha vinto le elezioni. Non lasciamo che il panico, la
rassegnazione, la disgregazione regalino alla destra oltre ai voti anche
la nostra coscienza di sfruttati.

La cura per i nostri mali è quella di sempre: dipende dalla nostra
capacità di organizzazione e di autonomia per emanciparci dal
capitalismo e dallo Stato, per costruire una società autogestita e solidale.

Fondare, costruire, avanzare, organizzare, dare tutto il meglio di noi
stessi.

Federazione dei Comunisti Anarchici

8 luglio 2008