3 ottobre 2000

La folla assedia Milosevic
Il governo lancia la linea dura

 

BELGRADO - Non è servito nemmeno un minaccioso proclama del governo a far rientrare gli scioperi e le manifestazioni che stanno paralizzando la Serbia. Anzi, dopo che l'esecutivo ha ufficialmente fatto sapere che è pronto ad "impedire e punire qualsiasi azione sovversiva" cinquantamila persone che stanno manifestando dalla mattinata in piazza Slavjia hanno improvvisato un corteo con lo scopo dichiarato di raggiungere la casa del presidente alla periferia della capitale.

Momento drammatico: nel clima esplosivo di Belgrado sarebbe potuto succedere di tutto con i manifestanti a confrontarsi, muro contro muro, con le squadre antisommossa di Milosevic. Fortunatamente ha poi prevalso il buon senso e il corteo ha deviato dal suo obiettivo principale.

Ma intanto l'opposizione continua a segnare piccole, ma significative vittorie contro il regime. In mattinata il capo di stato maggiore dell'esercito serbo in persona è andato alle miniere di Kolubara già circondate dai blindati per convincere i minatori a non associarsi alla protesta. Tentativo estremo per cerare di far continuare l'attività nel bacino minerario fondamentale per l'erogazione dell'energia elettrica nel Paese.

Tentativo fallito perché i minatori, ma anche alcuni dirigenti, si sono rifiutati di riprendere il lavoro così come aveva chiesto loro, il giorno prima, il capo dell'opposizione Voijslav Kostunica.

Al regime, a questo punto, non è rimasta che una sola mossa: razionare l'energia elettrica e addossare la colpa dei disagi all'opposizione. Cosa puntualmente fatta in questa guerra psicologica in cui Milosevic è maestro. Tuttavia anche oggi da ogni parte della Serbia arrivano segnali di manifestazioni antiregime. Addirittura nel paese natale di Milosevic c'è stato un corteo di 20 mila persone.

Oggi, alle prime luci del giorno, colonne di camion e automobili private hanno bloccato per un paio d'ore la circolazione appena fuori Belgrado. I vigili urbani non sono intervenuti, ma si sono limitati a prendere i numeri di targa degli autoveicoli. Studenti delle scuole superiori hanno in mattinata bloccato a Belgrado piazza Slavija con cassonetti della spazzatura, mentre migliaia di persone hanno manifestato davanti all'Ufficio di statistica - dove sono stati conteggiati i voti delle elezioni del 24 settembre - gridando "ladri, ladri". La polizia è riuscita a impedire a due autocolonne di bloccare un ponte cruciale poco a nord della città e la statale verso ovest. E' stato il primo sintomo di un certo nervosismo delle forze di sicurezza di Milosevic.

In questa situazione al governo non è restata che la strada delle minacce. Gli uomini di Milosevic hanno approvato la linea dura promettendo azioni legali contro chi "ostacola la circolazione stradale, paralizza il funzionamento delle aziende, delle istituzioni e delle scuole". "Misure speciali" saranno adottate nei confronti degli organizzatori di queste attività criminali". Misure che sono già state messe in pratica con l'arresto di militanti dell'opposizione.


4 ottobre 2000
Jugoslavia, l'Alta Corte
annulla le elezioni


BELGRADO - Colpo di scena in Jugoslavia: la Corte costituzionale ha "parzialmente" annullato le contestatissime elezioni del 24 settembre che hanno visto il presidente Milosevic sconfitto dal leader dell'opposizione Kostunica. Una sentenza che, al momento, risulta ambigua e poco chiara per via di quel "parzialmente" che non dice quale parte del processo elettorale la Corte intende cancellare. Secondo quanto recita l'agenzia statale Tanjug "la Corte Costituzionale Federale, dopo un dibattito pubblico, ha deciso unanimemente... di annullare parte della procedura elettorale per l'elezione del presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia".

Le prime reazioni degli uomini dell'opposizione parlano apertamente di "trappola". Lo dice per primo, Vojislav Kostunica, il candidato del Dos alla presidenza, il nemico numero uno di Milosevic: "A prima vista può sembrare un cedimento di Milosevic, ma è una trappola molto seria. Dobbiamo essere molto acuti perchè non c'è nessun elemnto per gioire di questa decisione.... Comunque oggi Milosevic è più debole di ieri e diventa sempre più debole". Kostunica ha precisato di non avere ancora il documento della Corte costituzionale e di basarsi sul dispaccio della agenzia ufficiale Tanjug.

Il comunicato, in effetti, sembra fatto apposta per creare ambiguità. Non è chiaro se l'annullamento sia parziale o totale e, soprattutto, non ne sono chiare le conseguenze. E la decisione apparentemente più drastica, quella cioé dell'annullamento totale, non convince l'opposizione. Si teme che sia un modo per Milosevic e soci di prendere tempo e di rifare le elezioni più in là nel tempo, dopo un adeguato periodo di repressione. Lo ha detto chiaramente Zoran Djindjic, uno dei leader del Dos. Kostunica e i partiti che lo sostengono avrebbero accettato solo un verdetto che assegnasse loro la vittoria piena senza ballottaggio. Un verdetto, insomma, che riconoscesse i brogli diffusi nel voto del 24 settembre.

Perché la decisione della Corte risulti più chiara bisognerà aspettare domani mattina, quando sarà resa pubblica la motivazione della sentenza. Le ipotesi al momento, sembrano essere tre: l'annullamento totale del voto presidenziale del 24 settembre che implicherebbe la ripetizione delle elezioni in data da definirsi; l'annullamento del voto solo in Kosovo e in qualche altra circoscrizione; oppure un pronunciamento sui brogli (ipotesi più remota) che dia ragione a Kostunica, annulli il ballottaggio di domenica prossima e assegni la vittoria all'opposizione.

Il G17, un gruppo di economisti e giuristi che sostengono Kostunica, ha confermato che, secondo le prime informazioni, la Corte costituzionale ha annullato le intere elezioni presidenziali, non soltanto lo scrutinio dei seggi di Prokuplje e Vranje, dove sono stati contati i voti del Kosovo e che erano oggetto del ricorso dell'Opposizione democratica serba. Miroljub Labus, un rappresentante del G17, ha fatto sapere che il Dos respingerà questa sentenza.

Mentre si formulano varie ipotesi sul "reale" significato della sentenza, gli Stati Uniti non intendono commentare a caldo l'annuncio della Corte: il Dipartimento di Stato attende, per farlo, "chiarimenti" sul significato dell'annuncio.

Per favorire una risoluzione della crisi jugoslava, il relatore speciale dell'Onu per i diritti umani nella ex-Jugoslavia, Jiri Dienstbier, oggi aveva suggerito che se Milosevic si fosse dimesso, si poteva garantirgli l'immunità. Ma contro questa proposta si è schierato netto il segretario generale dell'Onu Kofi Annan: "Milosevic è' incriminato. Il Tribunale (dell'Aja) lo sta aspettando. Se sarà consegnato (al Triubanale) sarà processato".

Dopo il colpo di scena, la parola passa inevitabilmente alla piazza. Domani a Belgrado è atteso mezzo milione di persone per una grande manifestazione contro il furto elettorale. Sarà probabilmente quella piazza a decidere del futuro della Serbia e di tutta la federazione jugoslava.

8 ottobre 2000

Schumi: "Una vittoria da festeggiare con tutti"

 

SUZUKA - Questa volta non piange, questa volta bastano gli occhi lucidi e lo sguardo quasi incredulo, come se fosse un principiante al primo successo a testimoniare l'immensa gioia di Michael Schumacher. Il tedesco vive così il suo trionfo mondiale. Il trionfo con la Ferrari dopo le beffe tremende delle ultime stagioni. Quando arriva in sala stampa subito dopo la corsa riesce solo a balbettare: "Grazie, grazie, penso alle feste che ci saranno a Maranello", detto rigorosamente in italiano. Poco prima aveva diretto dal podio il coro dei suoi meccanici che intonavano l'inno di Mameli. Una festa vissuta con tutti, lontano anni luce dall'immagine di uomo robot che il tedesco si portava dietro dagli inizi della sua carriera. Adesso è uno normale, uno che sbaglia le partenze, uno che si commuove, uno che riesce a salire sul tetto del mondo e da così in alto "vorrebbe abbracciare tutti". Le sue sono parole normali, quasi non riuscisse a spiegare bene cosa dire in un momento così esaltante: "Non ho dediche particolari, adesso proprio non saprei. Vorrei festeggiare con tutti quelli che ci hanno voluto bene". Gli arrivano i complimenti eccellenti del Cancelliere tedesco Schroeder e quelli del presidente della Ferrari Montezemolo. Il mondo lo applaude e lui racconta tranquillo la sua impresa. "In verità ci sono tante cose che vorrei dire in questo momento. Parlare dei momenti duri che ci sono stati, e di quelli belli. Ma ora l' unica cosa che mi viene da dire è che vorrei essere in Germania e in Italia insieme ai tifosi, festeggiare con tutti". Dopo il trionfo, la gara. Mai avuto paura di perdere? "Gli ultimi giri sono stato concentratissimo. Avevo paura dei tratti d' asfalto scuro, perchè non capivo se fossero tratti rifatti oppure se erano bagnati. Così ho anche rallentato un pò, per precauzione". Ma Schumi non ha mai avuto paura che la sua Ferrari lo tradisse, al punto che non è rimasto "ad ascoltarla", come usano dire i piloti. "No, ero troppo concentrato sulla pista". Il momento chiave? "Certamente i due giri in cui sono rimasto fuori mentre Hakkinen è rientrato ai box. Lì ho spinto al massimo, la macchina rispondeva bene. Ma quella scelta è stata un capolavoro di Ross Brawn. E di tutta la squadra, che al pit stop è stata perfetta. Lì è stato il momento decisivo: perchè mentre ero fermo Ross via radio mi diceva 'sembra ok, sembra ok' ma temevo che da un istante all' altro mi dicesse 'no, non piu'. Poi 'tutto a posto' e ho capito". Ha capito che sarebbe rientrato in testa e che in fondo a quei 13 giri che gli restavano da fare c'era il Mondiale spalancato per lui. "Però fino al secondo pit stop è stata la gara più dura della mia vita - ha ammesso Schumacher -. Perchè oggi Hakkinen andava fortissimo. Per metà gara siamo andati entrambi al limite, sia lui che io giravamo come se fossimo in qualifica". L' unico neo, la partenza, un neo riconosciuto anche dallo stesso Schumi: "Sul momento sono stato un pò deluso, è stata effettivamente una partenza bruttina. Effettivamente nelle partenze dobbiamo migliorare. Mentre Hakkinen ha dimostrato ancora una volta di essere fortissimo. Se andiamo a riguardare le partenze di tutte le gare vedremo che Mika è stato in assoluto il più bravo". Dopo quella partenza così "sporca", con lui che tenta di stringere Hakkinen contro il muretto, la gara è stata però un esempio di correttezza da parte di tutti. "Dopo - ha detto Schumi - abbiamo pensato solo alla tattica da seguire. E devo dire che Ross Brawn è stato ancora una volta un maestro. Ma i complimenti vanno a tutti, è la vittoria di tutti" E ora? "Ora abbiamo altri traguardi da inseguire. Hakkinen dopo il suo primo Mondiale ha subito voluto vincerne un altro. E poi c'è ancora il Mondiale Costruttori in ballo, e la Ferrari lo vuole. E anch'io".

 



11 ottobre 2000
D'Antoni lascia la Cisl
"In politica, ma da solo"

ROMA - Dal salotto di Porta a Porta, comodamente seduto su una delle poltrone bianche di Bruno Vespa, Sergio D'Antoni annuncia quello che tutti sapevano e si aspettavano da tempo: lascia il sindacato per entrare in politica, ma da solo, rifiutando le alleanze con i due Poli. Quella di Massimo Cacciari, che gli ha offerto la segreteria della Margherita (la nuova formazione politica che raggruppa le diverse anime centriste), e quella di Silvio Berlusconi che lo ha invitato a entrare nella Casa delle Libertà. "Queste offerte - ha detto - non mi interessano, penso che gli attuali Poli siano più cartelli elettorali che politici. Io invece punto all'alta politica e alla reale governabilità di questo paese".

Domani annuncerà le sue dimissioni all'assemblea della Cisl di Firenze, il sindacato che ha guidato dal 1991. Testardo, ambizioso, superattivo, come lo definiscono i suoi amici, D'Antoni, 53 anni, siciliano, si sentiva stretto nei panni del sindacalista già da diverso tempo.

A una poltrona di governo era andato vicino almeno due volte negli ultimi tempi, sia con l'esecutivo D'Alema-bis, che con quello Amato. Ma non è questo che va cercando. Al contrario, negli ultimi anni, non ha mancato occasione per sferrare attacchi proprio ai governi di sinistra che lo hanno "deluso". Contro quello di D'Alema organizzò una manifestazione storica, anche a scapito di un allontanamento e di una divisione con Cgil e Uil. Tanto che arrivò a definire "morta", l'unità sindacale, anche in concorrenza con l'altro Sergio del sindacalismo, il segretario della Cgil, Cofferati.

E' in modo soft che entra in politica, con una Fondazione che si ispira a padri nobili, Luigi Sturzo, Giulio Pastore, Alcide De Gasperi. Non sarà subito un partito, né un "partitino" come qualcuno gli ha detto in questi ultimi tempi. "Entro fine anno - spiega D'Antoni - decideremo se trasformarlo in un movimento politico. Questo dipenderà dalle adesioni". L'ormai ex leader della Cisl, vuole dar voce "a quei due terzi di cittadini italiani che si sono astenuti al referendum sulla legge elettorale".

Coccolato sia da destra che da sinistra in questi anni, in realtà non si è mai pronunciato sulla sua futura scelta di campo. Né accetta l'accusa o il sospetto di fare una "politica dei due forni" Il suo sogno è costruire un terzo polo. E l'uomo che più si avvicina ai suoi progetti politici è il presidente della Banca D'Italia Antonio Fazio, uomo cattolico, il cui "manifesto" è stato in gran parte apprezzato da D'Antoni.

E non sono pochi quelli che gli rimproverano di voler resuscitare la vecchia Dc. Ma lui, a queste accuse risponde impassibile. "La Dc non ha nulla di cui vergognarsi. Semmai sono di qua e di là quelli che devono chiedere scusa".


12 ottobre 2000

A un cinese dissidente
il Nobel per la letteratura

STOCCOLMA - Per la prima volta nella storia del Nobel della Letteratura il premio è andato a un cinese: Gao Xingjin, drammaturgo, romanziere, regista teatrale e traduttore.

L'artista, sessantenne, è anche uno dei più noti dissidenti del regime comunista di Pechino. Dagli anni Ottanta vive in Francia, dove è considerato uno degli esponenti di spicco dell'avanguardia letteraria sino-francese. La sua è "un'opera di portata universale, segnata da un'amara presa di coscienza e da un'ingegnosità di linguaggio che ha permessso di aprire nuove frontiere all'arte del romanzo e del teatro cinesi". Questa la motivazione dei giurati di Stoccolma.

Diplomato in francese all'Istituto di Lingue Straniere di Pechino nel 1962, lavora come traduttore alla Casa Editrice in Lingue Estere per vari anni, prima di essere inviato in campagna a "rieducarsi" durante la Rivoluzione Culturale. Le sue prime opere, per lo più saggi, pubblicati a partire dal '78, suscitano in Cina un vasto dibattito.

Insieme all'impegno critico, quello teatrale: la sua prima opera per le scene,
Segnale d'allarme (Juedui xinhao, 1982) segna la nascita del "Movimento del piccolo teatro", una sorta di teatro dell'assurdo in versione orientale. La rottura con gli schemi tradizionali della rappresentazione (il pubblico che interagisce con la scena), è anche la forza di un'opera dell'83, "Fermata d'autobus": i critici la accostano, per capacità di rottura, ad Aspettando Godot di Beckett. Il più noto romanzo di Gao è "La montagna dell'anima", scritto dal 1982 al 1989, su un viaggio nel sud del paese, sulle orme della cultura cinese tradizionale oppressa dal nuovo regime.

Da un viaggio fra le montagne per investigare sulle condizioni primitive di quelle popolazioni e le loro culture, nasce anche
Il selvaggio (Yeren), rappresentato nel 1985 al Teatro dell'Arte Popolare di Pechino e criticata fortemente dalla stampa ufficiale. Sempre nell'85 Gao pubblica Monologo, mai messo in scena e L'altra riva, la cui rappresentazione è immediatamente bloccata. Gao cerca di esplorare quanto di teatrale può esserci nell'evento quotidiano più normale, nel movimento del corpo più semplice e nelle parole apparentemente senza senso. Ma nello stesso tempo il commediografo critica la persecuzione dell'individuo in nome delle regole della vita collettiva. E non a caso l'Accademia di Svezia ha esaltato dell'opera di Gao la lotta per l'affermazione dell'individuo. "E' uno scettico sagace che non ha alcuna pretesa di spiegare il mondo", si legge nella motivazione, "Egli infatti afferma di avere trovato la propria libertà soltanto nella scrittura".

Nell'87, Gao parte per un giro di conferenze in Europa e nel 1988 decide di fermarsi a Parigi, dove vive ancor oggi come rifugiato politico col sostegno del Ministero Francese della Cultura e della Comunicazione. Nel 1990 un'altra sua opera,
Fuga (Taopao), viene di nuovo criticata dalle autorità e da allora le sue pièces non sono più rappresentate sulle scene cinesi. Entre la vie et la mori (poi Au bord de la vie, 1991) è la prima opera scritta in francese. La sua ultima opera teatrale è del 1992, Dialoguer et interloquer, dopo la quale, fino ad oggi, si è occupato essenzialmente di narrativa scritta esclusivamente in lingua cinese.

La produzione teatrale di Gao Xingjian è vastissima: 25 commedie (10 delle quali però distrutte durante la Rivoluzione Culturale) e un libro di saggi sul teatro dove l'autore indica nella centralità dell'attore e nella teatralità esibita la sua poetica. Oscillante tra simbolismo, espressionismo, flusso di coscienza e poetica dell'assurdo, negli ultimi anni Gao Xingjian ha tentato di liberare il teatro dal legame col linguaggio per spingersi verso altri linguaggi, dalla musica al canto al movimento.

Le sue opere sonno state tradotte in moltissime lingue (in italiano soltanto "Fermata d'autobus") e rappresentate negli Stati Uniti, in Australia in Canada, a Taiwan, ad Hong Kong, in Francia, in Germania, in Austria e in Inghilterra.


 


13 ottobre 2000
A Kim Dae-Jung
il Nobel per la pace


OSLO - Lo chiamano il Mandela dell'Asia. E a lui, al presidente sudcoreano Kim Dae Jung, è toccato quest'anno il Nobel per la pace.

Tra Kim Dae-Jung e Nelson Mandela ci sono in effetti numerose analogie. Entrambi hanno alle spalle una vita di arresti, condanne a morte, attentati falliti per un soffio. Ora ad accomunarli c'è anche il premio Nobel per la pace.

Kim Dae-Jung è uno dei protagonisti principali della riunificazione pacifica della penisola coreana. Un processo che ha segnato un'importante tappa: lo storico vertice di giugno a Pyongyang con il collega nordcoreano Kim Jong-Il. Nato il 3 dicembre 1925, in pieno dominio coloniale giapponese, in un'isoletta al largo della città portuale di Mokpo nella Corea sudoccidentale, Kim Dae-Jung nel 1950 viene imprigionato dai comunisti invasori di Kim Il Sung. Scampa alla condanna a morte, grazie allo sbarco delle truppe americane guidate dal generale Mc Arthur a Inchon, porto di Seul, che costringe i comunisti ad un affannoso ripiegamento.

Tutti gli altri anni di prigione, sette in tutto, gli arrivano in regalo dai dittatori militari sudcoreani Park Chung-hee (1961-1979) e Chun Doo-hwan (1980-1988). "Ho sempre creduto che l'unica via di salvezza per il nostro paese sia una piena democrazia nel Sud e un impegno costante per la pace con il Nord in vista della riunificazione della penisola" dice nel nel 1973 al processo intentato contro di lui dal presidente Park Chung-hee. Un anno prima, pur perdendo le elezioni presidenziali, si era affermato ormai con il leader politico dell'opposizione.

E sono le idee guida del suo programmma politico che arrivano a maturazione con la vittoria nelle presidenziali del 1997, all'età di 72 anni, dopo due sconfitte nel 1987 e nel 1992.

"La mia vita con Kim - ha confessato in suo libro la moglie Lee Hee-ho - è stata un continuo tormento, carcere, condanne a morte, sconfitte politiche a ripetizione, sostenuta sempre però dalla certezza di camminare insieme nella giusta direzione".

Ora a 75 anni,Kim Dae-Jung sta raccogliendo il frutto del suo impegno: la visita di Kim Jong-Il a Seul, forse nella primavera prossima, quando si ripeterà la storica stretta di mano che a giugno stupì il mondo. La stessa stretta di mano che c'è stata tra gli atleti coreani che alla Olimpiadi hanno sfilato, fianco a fianco, sotto la stessa bandiera.



21 ottobre 2000
Convention Ulivo
è il Rutelli day

MILANO - Bandiere, sorrisi, musica e slogan. E' in quest'aria di festa grande che al Palavobis di Milano, stracolmo di gente per la Convention dell'Ulivo, il sindaco di Roma Francesco Rutelli ha ricevuto l'investitura ufficiale a candidato premier.

C'è ottimismo nelle parole del neocandidato alla leadership del centrosinistra: "Da alcune settimane vedo un nuovo entusiasmo, vedo gioia e voglia di iniziare insieme questo cammino". Ed è con questo entusiasmo che Rutelli riesce a vedere lontano, verso quella che definisce "la più grande rimonta della storia elettorale recente, che ci porterà a vincere le elezioni della prossima primavera". Poi spende due parole per Berlusconi: "E' già un pò nervoso, non sa come prendermi, pensava di vincere per superiorità manifesta ma ha sbagliato i suoi conti. Dice solo che sono un 'mandatario', ma anche un bambino capirebbe che non è così...".

E' stato il sindaco di Reggio Emilia Antonella Spaggiani, pochi minuti dopo mezzogiorno, a celebrare il rito dell'investitura. Con tanto di formula: "Ci sarà una convention nazionale - ha detto Spaggiani - per stabilire il programma. Chiediamo che sia Francesco Rutelli a guidare questa nostra battaglia per il primo governo del ventunesimo secolo".

Poi, il sindaco della "città tricolore" ha illustrato i prossimi passi del programma: dopo le elezioni verrà istituita una consulta nazionale della coalizione per la costruzione di una politica unitaria tra l'attività del governo, del Parlamento e delle forze politiche. "Sappiamo che la sfida è difficile, ma sappiamo che possiamo vincerla. Noi ci presentiamo agli italiani con i risultati positivi dei governi di Romano Prodi, di Massimo D'Alema e di Giuliano Amato".

Sì, perché oggi al Palavobis di Milano quello che circola tra i più di 8 mila invitati è l'ottimismo, l'orgoglio e, perché no, l'allegria. A parteciparvi, i leader politici della Maggioranza, tutti, seduti in prima fila. Moltissimi esponenti dell'Ulivo, tanti i vip, moglie del sindaco compresa, anche se nascosta tra la folla in cinquantesima fila.
Sul palco, solo Amato e Rutelli: alle loro spalle passano le immagini che raccontano i quattro anni di governo del centrosinistra. Primo fotogramma, Romano Prodi sorridente, che sale sul pullman. Ultimo, Giuliano Amato che durante "Porta a Porta" invita gli elettori del centrosinistra a riconoscersi in Francesco Rutelli. Applausi.

E applausi arrivano quando Amato ripropone quel "lancio" televisivo in forma ufficiale: "Sono qui per passare la palla a Rutelli, se fate giocare tutta la partita a me poi come finisce?". Le metafore sportive proseguono nel discorso del premier uscente: "Alla fine questa staffetta sarà una 4x100". "Ciascuno di noi ha fatto un pezzo del percorso e non è sparito. Alla fine, quando avremo vinto e avrai vinto, la squadra sarà con te perché avremo vinto insieme".

La palla e il testimone, dunque, in mano a Rutelli. Che, completo cachi e camicia azzurra, coccarda tricolore sul risvolto della giacca, quando comincia a parlare solleva un'ovazione: "Guardo voi - ha detto - vedo i volti dei leader politici e di governo, dei militanti e dei simpatizzanti. Nei vostri volti leggo la storia della democrazia italiana". "Saluto in voi le diverse tradizioni che hanno fatto la democrazia italiana, le più sane, vive e decisive per la storia dell'Italia".

"Mi fate questa mattina - ha proseguito Rutelli - il più grande onore che si possa fare a chi come me ha dedicato tutta la sua vita alla politica. Mi affidate una responsabilità immensa, mi proponete di prendermi cura della nostra Italia e di farlo a nome di coloro le cui idee sono le mie. Solo insieme potremo farlo". Ma sarà possibile farlo, secondo il sindaco capitolino, solo in nome della libertà: "Se c'è una cosa che dobbiamo riprenderci al cento per cento è la parola libertà che non possiamo lasciare al Polo".

Infine, una promessa, quella che "faremo di tutto per organizzarci bene per usare i mezzi della democrazia per raggiungere, convincere e motivare gli italiani, come ho imparato nel durissimo e difficilissimo mestiere di sindaco".



23 ottobre 2000
Umts, Blu si ritira
l'asta fallisce

ROMA - Sono usciti in tutta fretta dal bunker del ministero delle Comunicazioni annunciando: "Per quanto ci riguarda è finita, la gara è sospesa". Con queste poche parole il pool di Blu che partecipava alla gara per l'assegnazione alle licenze per l'Umts dopo appena due giorni di rilanci ed 11 tornate ha messo la parola fine a quella che doveva essere l'asta del secolo ed ha decretato il fallimento della gara.

La decisione del consorzio guidato da Giancarlo Elia Valori è stata consegnata agli uffici ministeriali alle 9,50. Al quel punto al responsabile dell'asta non restava altro da fare che sospendere "la fase dei rilanci competitivi" e trasmettere gli atti al Comitato dei ministri che secondo alcune fonti sarebbe già stato convocato per decidere sul da farsi.

Il comportamento di Blu non è piaciuto a Palazzo Chigi che sta pensando seriamente ad aprire una battaglia legale. "Blu - dicono fonti del ministero - deve potere dimostrare che perde la gara secondo le regole, il governo deve invece riuscire a dimostrare che fin dall'inizio della fase competitiva non era intenzione di Blu di partecipare, facendo ripartire così la competizione per 4 licenze con 5 sfidanti". Se questi sono i termini giuridici della questione è chiaro che la materia è bollente.

Ma in attesa di passi ufficiali da parte del governo ci si deve fermare alle cifre ufficiali, cifre molto inferiori a quanto sperato dai ministri economici. L'asta per l'assegnazione delle licenze Umts, a meno di sorprese dell'ultima ora, termina dunque a quota 23.550 miliardi di lire, cui andranno aggiunti ulteriori 3.200 miliardi per le frequenze aggiuntive riservate ai nuovi entranti Ispe ed Andala.

La graduatoria, informa ancora il ministero, rimane ferma a quella della tornata precedente, la decima, che vede in testa Omnitel con un'offerta di di 4.740 miliardi, seguita da Ipse a 4.730 miliardi, da Wind a 4.700 miliardi, Andala a 4.700 miliardi e Tim a 4.680 miliardi.



24 ottobre 2000
Addio alla leva militare
approvata la riforma


ROMA - Gli ultimi costretti a portre la divisa saranno i ragazzi dell'85 e con loro la naja passerà in soffitta. Dopo il via libera della Camera arriva oggi quello del Senato che ha approvato la legge che abolisce (meglio sospende) il servizio militare obbligatorio. Il testo è stato votato dall'aula con il solo "no" di Rifondazione Comunista e l'astensione dei Verdi e del Pdci. Una legge che non abolisce la leva obbligatoria (servirebbe una modifica costituzionale) ma la sospende, prevedendola solo "in caso di guerra o di particolari casi di crisi". Una riforma che potrà dirsi completata solo nel 2006 quando in Italia avremo meno soldati, e quelli che ci saranno saranno pagati. L'esercito italiano, che adesso conta 270mila unità, verrà ridotto nell'arco di un settennato a 190mila effettivi: tutti volontari, professionisti e pagati (circa 2 milioni e mezzo lordi al mese).

"La riforma della leva è il dividendo della pace dopo 50 anni", ha detto il ministro della Difesa Sergio Mattarella nella conferenza di presentazione alla stampa. "Dal 2006 avremo un nuovo esercito adeguato alle esigenze contemporanee che non sono di guerra bensì di strategia di difesa della pace e dei diritti umani". Un passaggio epocale per il nostro Paese secondo il ministro che ha sottolineato quanto questa riforma sia fondamentale per stare al passo con gli altri stati europei: quelli che non hanno ancora abolito la naja, proprio in questi mesi stanno approvando le leggi apposite di riforma del servizio militare. "Una grande svolta anche per quel che riguarda la vita dei nostri ragazzi" ha aggiunto Mattarella "che non saranno più costretti a interrompere il loro percorso formativo, ma potranno guardare all'esercito come a una diversa opportunità di lavoro".

Ecco cosa prevede nel dettaglio la nuova legge. Ci saranno meno divise, avremo un esercito più "snello". Il cambiamento sarà graduale: nei sei anni ci sarà una riduzione progressiva del numero degli ufficiali e dei sottufficiali. Il reclutamento dei militari di leva, poi, diminuirà fino a scomparire.

La truppa verrà sostituita con personale volontario in servizio permanente. La ferma andrà da uno a cinque anni. E Mattarella ha preannunciato che entro breve il governo presenterà un disegno di legge affinché siano migliorate la condizioni di vita dei militari, con la previsione di una indennità di mobilità e la regolazione specifica dell'orario di lavoro per una categoria professionale così particolare.

E proprio quello dei volontari è uno dei temi chiave della riforma. Per andare a regime ne servono 110.000, ottantamila in più rispetto a oggi. Per incentivare le adesioni si punta sul trattamento economico, sulla possibilità di trovare lavoro, finita la ferma, nelle forze di polizia, nella pubblica amministrazione, nei vigili del fuoco ma anche a facilitazioni nel mercato del lavoro privato. Per farlo sarà creato una sorta di ufficio di collocamento per trovare lavoro ai congedati. "Questa è una cosa di cui vado particolarmente orgoglioso, è l'unico sistema concreto per incentivare la mobilità anche per chi sceglierà l'esercito" ha detto Mattarella. Di fatto un giovane potrà scegliere la professione di "militare" senza essere completamente tagliato fuori dal mondo del lavoro.

Ovvio che un esercito fatto da professionisti abbia dei costi. Servono soldi per pagarli ma anche per adeguare le strutture e gli equipaggiamenti. Allo Stato l'operazione costerà oltre 1.000 miliardi per il triennio 2000-2002: 43 miliardi per il 2000, 362 per il 2001 e 618 per il 2002. L'onere a regime, dal 2020, è fissato in un massimo di 1.096 miliardi.

Infine una questione ancora aperta: i timori delle associazioni che impiegano giovani obiettori (quasi 100.000 l'anno) che si domandano cosa succederà quando, con il servizio militare, sparirà progressivamente anche l'obiezione di coscienza. Per questo hanno sempre chiesto che la riforma del servizio militare e di quello civile procedano di pari passo. La prima però è legge, la seconda non ancora.