2 novembre 2000
Chiude Telefono Arcobaleno
"Ci hanno minacciati"

 

ROMA - Telefono Arcobaleno chiude. L'associazione che segnala i siti Internet a sfondo pedofilo interrompe l'attività con un comunicato di una durezza senza precedenti: "Telefono Arcobaleno è stato sottoposto a ogni tipo di indagine, è stato minacciato, intimorito, fermato". L'associazione fa riferimento anche a una "potentissima lobby pedofila formata da menti raffinatissime annidata in ogni angolo". Parole che ribadiscono e rafforzano il clima di tensione dei giorni più bui dello scandalo nato dalle dichiarazioni del fondatore di Telefono Arcobaleno, don Fortunato Di Noto e del procuratore di Torre Annunziata Alfredo Ormanni, titolare dell'inchiesta su un giro di pedofili intaernazionale. Entrambi, in questa settimana, in una girandola di annunci, smentite, ritrattazioni e precisazioni, avevano denunciato l'esistenza di una lobby, con rami anche in Parlamento, che difendeva i pedofili.

La decisione dell'associazione ha scatenato come prevedibile una serie di reazioni soprattutto da parte dei politici che in molti ora si appellano a don Di Noto perché ci ripensi, perché non privi il paese di "una risorsa tanto straordinaria per la lotta contro la pedofilia". "Francamente non ho capito e non ho condiviso alcune delle cose dette da don Fortunato Di Noto, ma anch'io mi sento di chiedere al sacerdote di Avola di non interrompere il lavoro attento e approfondito svolto in questi anni da lui e dalla sua organizzazione", ha detto il ministro dell'Interno Enzo Bianco.

Il comunicato - che il vicepresidente dell'associazione Giovanni Arena definisce uno sfogo del direttivo che però non deve servire ad alimentare polemiche - è scritto con un tono che lascia poco spazio alla mediazione: "Oggi, 2 novembre, alle ore 15, Telefono Arcobaleno esce di scena e si atterrà, come gli è stato ordinato, a un rigoroso, eterno silenzio". Non è chiaro da chi sia partito questo ordine, ma con tutta probabilità i nemici dell'associazione vanno ricercati, suggerisce ancora Arena, "nelle menti raffinatissime della criminalità organizzata che ormai hanno consolidato la loro presenza nel business della pedofilia".

E l'annuncio prosegue con una denuncia verso il fallimento dello Stato: "Il testamento che l'associazione lascia è il semplice riepilogo di quattro anni di attività che vede un gruppo di giovani volontari impegnati in prima linea a lottare al servizio dell'infanzia al posto di uomini senza spina dorsale che questo Stato aveva delegato proprio per difendere i bambini".

"Purtroppo, tuttavia "..si comincia a morire quando si è soli" e "noi abbiamo paura", aggiunge il comunicato. "Telefono Arcobaleno non esiste più perché chi aveva la forza di difenderlo non lo ha fatto, perché chi sapeva non ha detto, perché chi doveva compiere il proprio dovere si è rivelato vergognosamente piccolo. Non è certo una sconfitta, almeno non la nostra sconfitta. Noi siamo integri, liberi onesti e dunque ancora pieni di speranza".

E in questo caso le accuse scatenano nuove accuse: Alessandra Mussolini, da due giorni in polemica con il ministro della Giustizia Piero Fassino, per un'intervento alla trasmissione Porta a Porta, coglie l'occasione della chiusura di Telefono Arcobaleno per inasprire le sue critiche. "Attorno a questa vicenda c'è un clima strano che denota una situazione d'emergenza - ha detto la Mussolini in una intervista a Rtl - Enzo Bianco non può pensare di affidare il monopolio della lotta alla pedofilia alla polizia delle telecomunicazioni e Fassino, avrebbe la possibilità di modificare la legge sulla pedofilia ma non lo fa, e questo è vergognoso".

 

10 novembre 2000

Lazio, An censura i libri di testo
"Troppo filo-marxisti"


ROMA - Nostalgie da Minculpop nella Regione Lazio guidata da Francesco Storace: il suo governo di centrodstra vuole istituire una commissione di esperti "che analizzi i contenuti dei libri di storia usati nella scuola dell'obbligo" perché, secondo il capogruppo di An Fabio Rampelli, delfino del presidente Storace, "i testi usati abitualmente negli istituti superiori sono troppo filo-marxisti e non garantiscono il pluralismo culturale".

E non è soltanto una dichiarazione di intenti: mercoledì nel tardo pomeriggio, il consiglio regionale ha approvato, anche se in un'aula mezza vuota, una mozione di una paginetta che mette nero su bianco questi intendimenti. Vi si legge testualmente che "dal momento che molti manuali di storia usati dagli studenti raccontano i trascorsi della nostra nazione mistificandone alcune pagine e omettendo di scriverne altre, dando l'impressione di voler far prevalere una sorta di verità di Stato assai spesso incompatibile con la realtà... il consiglio regionale del Lazio impegna presidente ed assessori a istituire una commissione di esperti che svolga un'attenta analisi dei testi evidenziandone carenze e ricostruzioni arbitrarie".

"E' assurdo che in Italia - ha poi insistito Rampelli - non esista un organismo preposto al controllo e alla verifica dei contenuti di questi testi". E Storace, a breve distanza, spiega di "prendere atto con serietà della decisione del consiglio". Non solo. Sempre la mozione suggerisce di "studiare forme di incentivazione per autori che intendessero elaborare nuovi libri di testo, finanziati con fondi regionali, anche da distribuire gratis alle famiglie".

E sono più d'uno i testi messi all' indice dal centrodestra laziale ma su tutti l'odiatissimo (da An) "Elementi di storia, XX secolo" di Augusto Camera e Renato Fabietti "vero millantatore della storia, ad esempio sui silenzi della tragedia delle foibe o la capziosa differenziazione tra lager e gulag", così chiosano i portavoce di Azione Studentesca, l'organizzazione giovanile di destra che ha stilato la lista dei "libri indegni" citata pari pari dagli onorevoli laziali del centrodestra. Organizzazione che, pochi mesi fa, si è anche distinta per una sua azione da repulisti: ha fatto un blitz in una libreria romana marchiando con timbro dell'infamia tutte le copie del libro in vendita, poi acquistate in blocco da un deputato di An per evitare la denuncia penale. Ma gli intenti di quell'assalto ora hanno avuto la loro soddisfazione istituzionale.

Sulla vicenda è insorta compatta l'opposizione, su tutti i Ds: "Con An siamo ad idee da regime, alla censura come 70 anni fa. Probabilmente il prossimo passo saranno i roghi dei libri non graditi al partito dell'onorevole Storace" dice ad esempio il segretario romano dei Ds Nicola Zingaretti. "E' vergognoso e preoccupante il tentativo di questa destra romana e laziale, la peggiore d'Italia, di usare le istituzioni per fini di parte e campagne ideologiche. La misura è oramai colma", aggiunge il capogruppo regionale dei Ds Meta.

E ancora la diessina Giulia Rodano: "Si scopre la faccia reale di questa amministrazione regionale, difficile non definirla di stampo fascista. Vorrei sapere cosa ne pensano i liberal del Polo. In Italia i libri di testo sono scelti dagli insegnanti secondo una prerogativa assoluta prevista dalla Costituzione che è la libertà di insegnamento. Non saranno certo Rampelli o Storaca a impedire questa libertà. E' tipico dei regimi autoritari pensare che la scuola debba imbonire e non formare intelligenze critiche. Il tempo delle storie ufficiali fortunatamente è stato seppellito, ovunque anche a Mosca". Per Salvatore Bonadonna, di Rifondazione, "An cerca di dare argomenti alle teorie revisionistiche volte a legittimare il fascismo. Pensare di mettere le istituzioni al servizio di una tesi di parte, condannata dalla storia, è pericoloso", mentre Alessio D'Amato (Pdci), taglia corto, "Rampelli confonde Storace con Starace". Con una coda di velenose polemiche. "Mi pare curioso che chi oggi si è strappato le vesti, non abbia fiatato in consiglio regionale quando la mozione è stata approvata all'unanimità" ha sibilato Storace in tarda serata, citando i suoi verbali, ma la sinistra lo ha subito stoppato: "Unanimità su quest' atto vergognoso? Se al presidente davvero risulta questo, chiederemo la rettifica di quelle carte sbagliate".


Nizza, fatto l'accordo
sulle riforme europee


NIZZA - L'Europa avrà un volto nuovo. Da un punto di vista politico-amministrativo, almeno, dopo un'estenante maratona negoziale, i Quindici sono riusciti a trovare un accordo sulle riforme internazionali al vertice di Nizza. I paesi membri hanno infine sbloccato l'impasse provocata dalla rivolta dei "piccoli" paesi dell'Ue, Belgio e Portogallo in testa seguiti da Grecia, Finlandia, Austria e Svezia, contro l'asserita arroganza dei grandi.

L'accordo di compromesso sul nodo principale della trattativa, la riponderazione del voto, mantiene sullo stesso livello i quattro grandi paesi (Germania, Francia, Italia e Regno Unito) in termini di voti nel Consiglio Ue. Ciascuno ne avrà 29, mentre Spagna e Polonia saranno a quota 27. Il Trattato ha esteso il voto di maggioranza a 29 aree decisionali (incluso il commercio nei servizi e la proprietà intellettuale) e a 6 conferimenti di carica che richiedevano, finora, l'unanimità.

Sulla riforma della Commissione è previsto che, dal 2005, i paesi più grandi (Germania, Francia, Inghilterra Spagna e Italia) perdano il loro secondo commissario, mentre i paesi entranti ne avranno uno fino al raggiungimento della soglia di 27 stati membri e, quindi, di altrettanti commissari. Una commissione un po' pletorica, compensata da maggiori poteri al presidente. Il Trattato consente infine ad otto o più stati di procedere ad un processo di integrazione accelerato in aree designate, fermo restando che gli altri paesi possano aggiungersi in un momento successivo. Rimangono escluse aree quali la difesa e, comunque, con implicazioni militari.

La presidenza francese ha condotto le trattative, attraverso tre successive bozze, partendo dagli argomenti meno spinosi - la nuova composizione della Commissione, le regole per far scattare le cooperazioni rafforzate, la tabella di marcia delle riforme da qui al 2004. Dopo aver trovato un accordo preliminare su questi temi, i leader Ue sono passati agli argomenti più ostici: l'estensione del voto a maggioranza qualificata, la riponderazione dei voti all'interno del Consiglio europeo e dei seggi del Parlamento Ue. Il negoziato si era bloccato proprio sulla riponderazione dei voti del Consiglio a causa di un braccio di ferro tra i paesi medi e piccoli dell'Unione, Belgio e Portogallo in testa, contro i grandi.

A sbloccare il negoziato sarebbe stato un atto "di grande saggezza" da parte del Belgio che ha, alla fine, accettato di avere un voto in meno dell'Olanda (13 a 12) nel Consiglio della Ue "riponderato". Il riconoscimento viene da una fonte diplomatica italiana. L'accordo, ha sottolineato la fonte, è stato raggiunto in base ad una proposta italiana presentata nelle ultimissime ore.

Soddisfazione, con qualche punta di rammarico per quanto è rimasto sacrificato nello scontro degli interessi nazionali, è stata espressa da tutti i partecipanti per quello che è stato il più lungo vertice della storia dell'Unione europea. "A forza di discutere - ha commentato il presidente francese Jacques Chirac - abbiamo raggiunto un risultato più che dignitoso, un buon risultato". Leggermente meno diplomatico il presidente della Commissione europea Romano Prodi: "Non nascondo una punta di rammarico per non aver ottenuto di più, ma dobbiamo essere contenti di quello che abbiamo ottenuto" pur invitando a riflettere sui "veti insormontabili" che alcuni paesi hanno posto.

Soddisfazione anche tra i "ribelli" che alla fine hanno capitolato. Sfinito, con il volto disfatto come la maggior parte dei suoi colleghi, il primo ministro belga Guy Verhostadt è stato l'ultimo ad accettare l'accordo e ha spiegato di avere tutelato il diritto dei paesi piccoli a disporre di un peso maggiore al momento di votare: "Noi volevamo più Europa, non meno Europa". Secondo il primo ministro svedese Goran Persson, "tutti hanno ottenuto un trattamento equo". "Questo - ha aggiunto - è un grande giorno per l'Europa. Adesso siamo pronti per l'ampliamento". "Un grande accordo" lo ha definito il capo del governo spagnolo, Josè Maria Aznar. Nonostante le difficoltà della vigilia, ha aggiunto, si è riusciti a raggiungere una soluzione soddisfacente anche su questioni così "delicate" quali il peso di ciascun paese membro nelle votazioni nel Consiglio Europeo. "Un buon accordo", ha dichiarato il cancelliere austriaco Wolfgang Schussel uscendo frettolosamente dalla sala dei lavori, mentre il primo ministro finlandese Paavo Lipponen ha detto che "il risultato è buono". Insomma, al di là della diplomazia, il risultato raggiunto è probabilmente ai limiti inferiori di quanto poteva essere considerato accettabile, prima del vertice. Visto come sono andare le cose e i problemi che c'erano, però, può essere definito un successo. Il prossimo vertice, nel 2004, questo l'hanno detto in molti, andrà preparato meglio.

L'accordo raggiunto a Nizza verrà ora ratificato dal Parlamento europeo nel corso dei prossimi due mesi.