Audizione di Baldassarra in Vigilanza. E l'Ulivo,
insoddisfatto dalle sue risposte, abbandona i lavori
Tv, scontro in Parlamento
sul "Fatto" e "Sciuscià"

Il presidente Rai: per Biagi la colpa è del contratto
inviato tardi, Santoro costa troppo per RaiTre

ROMA - Il caso Enzo Biagi, il caso Michele Santoro: la commissione parlamentare di vigilanza della Rai continua ad affrontare il nervo scoperto dell'informazione sulle reti pubbliche. E, poco soddisfatta dell'audizione del presidente della Rai Antonio Baldassarre e del direttore generale Agostino Saccà, l'opposizione decide di abbandonare i lavori, anunciando la richiesta di un incontro con i presidenti di Camera e Senato sul fatto che, comunque sia, i due giornalisti non andranno in onda. E che le spiegazioni fornite dal presidente dell'azienda non sono convincenti: su Biagi, Baldassarre cita una dimenticanza nell'inviargli il contratto; su Santoro, il fatto che l'unica rete disponibile a ospitarlo, RaiTre, ha un budget troppo ridotto per poterselo permettere.

Ma facciamo un passo indietro. I fatti: Claudio Petruccioli, presidente della commissione di Vigilanza, chiede ai vertici della Rai "notizie precise, chiare e univoche" sulla vicenda che riguarda i due giornalisti. Baldassarre risponde di "aver affermato durante il consiglio di amministrazione che Santoro può essere utilizzato in trasmissioni che rispettino le regole democratiche del pluralismo". Il presidente, dopo aver definito il giornalista "un problema" per l'azienda, ricorda che nessuno dei direttori di rete aveva previsto un programma da affidare a Santoro in prima serata.

"Al momento - prosegue Baldassarre - il consiglio di amministrazione della Rai ha incaricato il direttore generale Agostino Saccà di capire se il direttore di RaiTre Ruffini è disposto a dare a Santoro una trasmissione in seconda serata sulla sua rete. Ruffini ha chiesto però un ulteriore finanziamento: ricordo che esiste un budget al quale bisogna attenersi e Ruffini deve solo trovare lo spazio per Santoro. Vale a dire deve dire sì o no". Insomma: Ruffini non avrà nemmeno una lira in più del previsto, per affidare un programma all'ideatore di "Sciuscià".

Per quanto riguarda Biagi, Baldassarre dice di considerare "un ritardo colpevole" il fatto che la direzione di rete (parliamo di RaiUno) abbia inviato il contratto da firmare in ritardo: unico motivo che impedisce al giornalista di andare in onda, seppure in una fascia oraria meno di punta rispetto agli anni precedenti.

Interpretazione avallata dallo stesso Saccà, secondo il quale in realtà la Rai ha raggiunto con Biagi un accordo "soddisfacente". Il direttore generale difende anche la nuova striscia che ha sostituito "Il Fatto": Max & Tux, con Massimo Lopez e Tullio Solenghi. Premiata sì dall'udience nei primi due giorni, come ricorda il manager Rai; ma contestata da alcuni osservatori perché troppo breve, incapace reggere la concorrenza con
Striscia la notizia.

(18 settembre 2002)

Il conduttore di Sciuscià: "Berlusconi ha voluto oscurarmi
paradossale se ora vestisse i panni dell'editore liberale"
Santoro rifiuta l'invito
di Maurizio Costanzo

ROMA - Michele Santoro non ci sarà quando Costanzo canterà Contessa. Non sarà presente lunedì sera quando il popolare talk show riaprirà i battenti con una trasmissione dedicata all'informazione. Quattro mesi, nella contesta puntata di Sciuscià a doppia conduzione Santoro-Costanzo il conduttore di Canale 5 aveva lanciato una sfida: se il programma di RaiDue non fosse tornato nei palinsesti autunnali, lui avrebbe cantato la canzone di Paolo Pietrangeli alla riapertura del suo show al Parioli. Costanzo dovrebbe mantenere l'impegno, ma Santoro ha deciso di rifiutare l'invito. "Sarebbe veramente paradossale" scrive in una lettera a Costanzo "che il presidente del Consiglio, dopo aver chiesto e ottenuto il nostro oscuramento, vestisse i panni dell'editore liberale, concedendoci mezz'ora d'aria sulle reti di sua proprietà. Francamente preferisco il silenzio o il rumore della strada".

"Caro Maurizio" scrive il conduttore di Sciuscià "innanzitutto voglio ringraziarti per aver firmato la petizione che chiede il ritorno in onda del Fatto e Sciuscià e per tutte le posizioni che hai assunto pubblicamente a nostro favore. Ho a lungo riflettuto sul tuo invito a partecipare alla puntata inaugurale del Costanzo Show che sarebbe stata una buona occasione per spiegare a tante persone cosa sta accadendo nella televisione italiana".

"Rifiuterò anche" continua Santoro "i numerosi inviti che mi vengono rivolti a partecipare a programmi di intrattenimento molto prestigiosi. Non mi considero un caso umano ma un caso professionale che ha assunto, mio malgrado, una rilevanza politica. E c'è poco da riderci sopra". E conclude: "Non avertene a male. Contessa, se puoi, cantala da solo. Del resto anch'io ho cantato da solo Bella Ciao e non ho avuto paura di stonare. Tu farai più fatica con le parole che con la musica. Comunque starò in prima fila a guardarti, come ogni anno quando ricominci. In bocca al lupo".

Per quella famosa puntata di Sciuscià Santoro ha ricevuto una lettera di "contestazione disciplinare" dal direttore generale della Rai, Agostino Saccà, che lo ha "richiamato" proprio per la presenza di Maurizio Costanzo, ritenuta inopportuna dall'azienda.

Polemica dunque ancora caldissima anche se oggi in mattinata un invito a Santoro è arrivato da Paolo Ruffini. "Su RaiTre c'è posto per Fazio e Santoro" ha detto il direttore della terza rete a Palermo al Prix Italia. Per Fazio il progetto è quello del meteo, quanto a Santoro, "lunedì ho detto a Saccà" ha detto Ruffini "che sono disponibile ad accoglierlo sulla mia rete dal 2003".

(18 settembre 2002)

Politici, televisione e giornali: le pagelle di d’Arcais

ROMA - I giornali, la tivù, la piazza che ad ogni nome di politico reagiva - vibrante o distratta -, il «quanti eravamo davvero». Dopo San Giovanni, dopo sabato 14 settembre, Paolo Flores d’Arcais passa in rassegna il campo di battaglia: qui i titoli dei giornali avversari, questi i commenti di chi non ha capito. «Leggo su tutti i quotidiani una frase di D’Alema: "La mia presenza a Roma non avrebbe aggiunto alcunché". Va bene la modestia, ma sta esagerando, nel sottovalutarsi"». Chissà quanti applausi avrebbe incassato, D’Alema, se Nanni Moretti l’avesse citato, dal palco, infilando il suo nome con la nonchalance toccata agli altri... «L’avete scritto: l’applauso a Cofferati è stato forte, udibile... E dopo Cofferati, il politico più applaudito è stato Walter Veltroni». Con l’occhio felice del vincitore, Paolo Flores esamina, analizza, critica: la sfida è appena stata lanciata e lui gradirebbe andare al galoppo, proporre, per dire, un confronto, possibilmente in tv: «Portiamo le fotografie, facciamo vedere le riprese dall’alto. Vediamo se c’era più gente sabato 14, o alla manifestazione del Polo, nel ’98, o a quella dell’Ulivo, l’anno scorso».
E’ domenica, «d’Arcais», come lo chiamano i politici del centrodestra senza sapere che, dall’altra parte, egli è per tutti e solo «Flores», Paolo Flores d’Arcais, insomma, ha dormito a lungo e ora si divide tra i due telefoni fissi e il cellulare a portata di squillo. La moglie Anna, che è anche sua efficiente assistente-centralinista-suggeritrice, ogni tanto interviene citando date, nomi, occasioni. È anche suggeritrice di slogan, Anna Flores, giacché quello di sabato 14, «Una festa di protesta», se l’è inventato lei, più o meno un mese fa, preparando le scorte di passato di pomodoro per le cene invernali a casa Flores.
Giornali sparsi sul divano, la giornata, ovviamente, è cominciata leggendo le prime pagine e ci sono cose che al padron di casa non vanno giù. Non gli sono piaciuti i commenti del «Corriere della Sera», apprezza invece il modo in cui è stata raccontata la manifestazione.
Anche dalla tivù gli son venute scarse soddisfazioni: «I telegiornali non li ho visti, però ho guardato La7, l’unica che aveva chiesto la diretta. L’ha chiesta e poi l’ha fatta solo per mezz’ora. Invece di riprendere la folla dall’alto, invece di far girare i cronisti tra la gente, dopo mezz’ora hanno mandato in onda una specie di Porta a Porta, meno fazioso di Vespa, si capisce, ma sempre con gli uomini di governo, con i Macaluso... Abbiamo ricevuto una marea di telefonate di protesta». Bocciata La7, si salva almeno «Primopiano», l’approfondimento del Tg3? Flores appare dubbioso, ma la moglie Anna interviene dalla stanza vicina: «Primopiano era buono». La perentorietà del giudizio modera l’ipercriticismo di Flores: «Però anche a Primopiano dilagava Veneziani e la manifestazione restava sullo sfondo».
Nessun commento sui compagni d’avventura, quelli che con lui si sono avvicendati sul palco, ma almeno un encomio solenne, proprio uno, Paolo Flores d’Arcais chiede di poterlo fare: «Va detto che senza Olivia Sleiter la manifestazione non ci sarebbe stata». Olivia Sleiter, direttore di produzione per il cinema e, assicura Flores, grande organizzatrice. A lei va il pieno dieci e lode della coppia Flores d’Arcais. Su Olivia, ecco, l’accordo è totale.

di maria latella corriere della sera. 15 settembre 2002.

Piero Fassino, segretario ds: "A san Giovanni
c'è stata una manifestazione bellissima"
"In piazza la nostra gente
l'alleanza si è rialzata"

Siamo usciti dal cono d'ombra grazie alla Cgil
e ai movimenti ma anche ai partiti
di BARBARA JERKOV

ROMA - La manifestazione dei girotondi il giorno dopo. Qual è il suo bilancio politico, onorevole Fassino?
"E' stata una bellissima manifestazione, che dice di quante risorse umane, di quanta passione il centrosinistra possa avvalersi. Era una piazza che fotografa quella che è oggi la situazione del centrosinistra: donne e uomini che venivano da tutt'Italia, con le loro bandiere di partito, di sindacato, di movimento, dimostrando che è del tutto astratta qualsiasi contrapposizione fra partiti e movimenti. Da quella piazza è venuta una grande domanda di unità, prima di tutto. Il fatto che ci fossero coloro che hanno suscitato movimenti di società civile, i dirigenti dei partiti, una così grande moltitudine di cittadini mi pare rappresentasse bene questa tensione unitaria".

Tensione unitaria e voglia di riscossa?
"E' la dimostrazione di come il centrosinistra non sia a un anno fa. Un anno fa il centrodestra aveva il vento nelle vele, il centrosinistra era piegato dalla sconfitta. Oggi è il centrodestra ad essere in affanno evidente. La sua politica economica è un fallimento, la sua arroganza su giustizia e informazione suscita preoccupazione. Il centrosinistra è uscito dal cono d'ombra della sconfitta e si è rimesso in movimento. Per tante strade. Con l'iniziativa sindacale e con la grande manifestazione della Cgil. Attraverso i girotondi e la società civile. Attraverso i partiti, perché i Ds e le altre forze del centrosinistra in questi mesi hanno riorganizzato le loro fila. Si è rimesso in movimento come Ulivo: in quella stessa piazza, il 2 marzo, abbiamo fatto una manifestazione grande, imponente, che è stata il primo vero segnale di riscossa".

Nel frattempo ci sono state anche le elezioni amministrative, che hanno segnato un'inversione di tendenza.
"Soprattutto, direi. Non si spiegherebbe quella carica e anche quella grande fiducia che veniva dalla piazza di sabato, senza pensare che alle spalle c'è un primo successo elettorale significativo. Abbiamo vinto non solo dove già eravamo forti, ma abbiamo conquistato roccaforti di Berlusconi, spostando elettorato".

Lei dice che per questa riscossa è merito di contributi diversi.
"Come tanti torrenti che affluiscono verso un unico fiume".

Ecco, come organizzare adesso questi affluenti perché la loro forza non si disperda di nuovo?
"Personalmente, ho tratto ulteriore conferma di quanto avevo scritto in un articolo che proprio Repubblica ha pubblicato qualche settimana fa. Cioè la necessità che il centrosinistra sia capace di un salto di qualità in tre direzioni: primo, dobbiamo darci un programma che renda evidente sempre di più la nostra proposta alternativa a quella delle destre, così da dare credibilità all'ambizione di essere un'alternativa di governo. Secondo: abbiamo bisogno di dare all'Ulivo un gruppo dirigente che associ tutte le le risorse di cui il centrosinistra dispone. Terzo: abbiamo bisogno di un salto di qualità nel rapporto con la società italiana, sia un rapporto nuovo con i movimenti, e sia con quella tantissima parte di società che non ha ancora fatto una scelta ma è sempre più inquieta di fronte alla politica della destra. Per vincere e tornare a essere maggioranza abbiamo bisogno sia di confermare la fiducia di chi già si è affidato a noi, ma anche - proprio come avvenuto qualche mese fa in tante città - di penetrare nel campo dell'avversario e di conquistare una parte dei consensi che un anno fa andarono a Berlusconi".

In concreto, ritiene che a questo punto nella cabina di regia dell'Ulivo debbano entrare Moretti e gli altri leader dei movimenti?
"Un conto è il centrosinistra come coalizione politica, altro conto è il sistema di rapporti e di relazioni che il centrosinistra ha con la società e con i movimenti. Non sono la stessa cosa. Proprio perché partiti e movimenti non coincidono e non devono coincidere. Io ho parlato di una cabina di regia volendo dire che oltre a Rutelli e ai segretari dei partiti, devono prendervi parte le personalità politiche più significative. Certamente, ad esempio, un uomo come Cofferati e le nostre personalità politiche che sono stati capi di governo. Questo gruppo dirigente dovrà essere capace di interloquire con le tante articolazioni della società italiana e dunque anche con i movimenti e i loro leader".

A piazza San Giovanni gli ultimi due premier del centrosinistra, D'Alema e Amato, sia pur offrendo motivazioni diverse, non c'erano. Come valuta questa assenza?
"Trovo sbagliato imbastire su questo una polemica. L'unità del centrosinistra si costruisce a partire dal rispetto del pensiero di ciascuno. Io mi confronto con Moretti, con Flores d'Arcais, con Pardi, senza pretendere che loro la pensino esattamente come me. E viceversa. La forza dell'Ulivo non sta nell'omologarsi tutti a un medesimo pensiero, ma nel mettere insieme uomini e donne che venendo da storie diverse ed essendo espressione di culture diverse, si uniscono intorno ad un progetto".

Alla fine, fra tutte queste storie e culture diverse, non c'è il rischio che il solo progetto comune sia buttar giù Berlusconi?
"Per questo io dico che ci vuole un programma. Buttar giù Berlusconi è l'obiettivo di tutti. Il modo per farlo è costruire le condizioni non solo perché l'opposizione sia in grado di interdire la destra quando fa scelte sbagliate, ma sia capace di avere una sua proposta che parli ad una maggioranza di italiani, conquistando anche quella parte di elettorato del centrodestra che di fronte alla politica concreta di Berlusconi è sempre più inquieta".

Il quotidiano spagnolo El Paìs si chiede, raccontando la manifestazione di Roma, "E' nata una nuova leadership della sinistra italiana?". Come si è trovato a partecipare per la prima volta sotto e non sopra il palco?
"Mi sono trovato assolutamente a mio agio perché in quella manifestazione c'era la mia gente. Ho passato tre ore a stringere mani, firmare tessere, salutare compagni. Mi sono trovato circondato da un calore, da un affetto che confermano assolutamente come la contrapposizione fra partiti e movimenti non esista. Naturalmente, avvertivo anche la grande domanda che ci veniva e la responsabilità enorme che abbiamo di deluderla. Quando Moretti dice che non ci sono deleghe in bianco, dice una cosa giusta. Anche perché in democrazia le deleghe non sono mai in bianco, i gruppi dirigenti sono sempre sottoposti a verifica".

Adesso che succede, segretario? Gli ottocentomila di piazza San Giovanni da cosa capiranno che la loro richiesta di unità e di risposte concrete è stata raccolta?
"Chi ha la responsabilità politica di dirigere l'Ulivo deve dare un segnale forte e fare subito le scelte necessarie. Allora: costituiamo subito il "laboratorio progettuale" per scrivere il programma del centrosinistra. Costituiamo subito il gruppo dirigente del nuovo Ulivo. Terzo: un piano serrato di iniziative concrete di mobilitazione. Penso alla battaglia sulla legge Cirami, sulla Finanziaria, al tema dell'informazione, su cui abbiamo il dovere di avanzare una proposta che sia in sintonia con il messaggio di Ciampi; penso all'impegno per scongiurare una nuova guerra".

(16 settembre 2002)

14.09.2002
Tutti insieme, l’Italia è in movimento
di Piero Sansonetti

Era una piazza enorme. Gli organizzatori dicono che ci fossero più di un milione di persone. Sicuramente è stata una delle tre o quattro manifestazioni più grandi degli ultimi vent’anni. Alle tre del pomeriggio era impossibile avvicinarsi al palco, non si passava più, la folla si pigiava su via Labicana e su via Emanuele Filiberto. Era anche una piazza un po’ insolita.
C’erano alcune decine di migliaia di persone che probabilmente non erano mai venute prima ad una manifestazione politica. C’era un numero grandissimo di bambini, anche piccoli, coi passeggini, le palle, i giocattoli: cioè c’erano le famiglie. Non erano le vecchie famiglie comuniste romane, quelle storiche, politicizzatissime, che riempivano piazza San Giovanni e le feste dell’Unità negli anni ‘70 e ‘80: erano famiglie di ceto medio, benestanti, serene - "per bene", potremmo dire - che la politica la conoscono da poco. Ma insieme a loro c’erano migliaia e migliaia di militanti dei partiti e dei sindacati, militanti del movimento no-global, e altrettanti "girotondini", cioè intellettuali, professionisti, lavoratori che oggi non si fidano più troppo dei partiti e preferiscono far politica in proprio. C’erano tutte queste cose insieme, mischiate, equilibrate, che si integravano e formavano una forza politica potente, una forza d’urto, un punto di riferimento per un pezzo d’Italia che su tante cose non la pensa allo stesso modo, ma su una si: non ne può più del berlusconismo.
E’ impossibile dire se la piazza fosse giovane, o cinquantenne, o vecchia, o maschile, o femminile, o rossa, o radicale, o moderata, se fosse borghese o proletaria, o se prevalesse il ceto medio, o gli intellettuali, o gli impiegati, o i commercianti: c’era tutto. C’era una foltissima rappresentanza di tutta quella parte d’Italia che non si riconosce più in Berlusconi. Che lo detesta. Sicuramente c’erano anche molti elettori che un anno fa hanno votato per la destra, e ora sono delusi, scorati, arrabbiati, furiosi, perché si sentono presi in giro. Le televisioni di Berlusconi (cioè più o meno tutte le televisioni) continuano a dire che in democrazia l’unica cosa che conta è la cabina elettorale, il voto e il suo risultato, e che il resto è eversione, è estremismo, follia totalitaria. Cioè dicono che la democrazia prevede che un cittadino abbia diritto di parola non più di una volta ogni cinque anni. Per il resto decide solo Palazzo Chigi. Impera Mediaset. Chissà come pensano che sia stato costruito questo paese, che ha avuto il divorzio e l’aborto quando comandavano i democristiani, che ha ottenuto lo Statuto dei lavoratori quando l’opposizione di sinistra era al 25 per cento, che ha mandato sotto processo ministri, e ha cacciato premier e presidenti della Repubblica che disponevano di maggioranze solidissime in Parlamento. E chissà se ignorano che nella patria del liberalismo, in America, le leggi contro il razzismo sono state scritte dopo oceaniche manifestazioni di piazza e interminabili cortei di migliaia di chilometri, e che la rivolta degli studenti ha fatto persino perdere una guerra guerreggiata alla Casa Bianca.
La piazza di ieri non aveva niente di sovversivo. Era pacifica, educatissima, in alcune sue frange persino un po’ sorniona. Alle tre in punto su via Labicana sfilava il corteo che si era formato spontaneamente a piazza Vittorio, ed era guidato da una banda musicale molto compita, che suonava a ripetizione il "ponte sul fiume Kuwait", cioè la canzone del film che celebra l’eroismo dei prigionieri americani. Non era roba da "Potere operaio". Slogan pochi, poche canzoni di lotta. Clima di festa, facce serene. C’è solo un pezzo agguerrito del corteo, quello degli immigrati, guidato da un centinaio di lavoratori del Bangladesh che grida a squarciagola: "legge schifo, legge schifo..". Non ce l’hanno però con tutte le leggi, solo con una: la Bossi-Fini.
La forza di questo enorme girotondo era proprio qui: nella sua calma e nella sua eterogeneità. Non si parlava addosso, non cercava la retorica o il grido di esaltazione di se stessi: voleva parlare agli altri. Lo ha detto in modo magistrale Vittorio Foa, il più vecchio di tutti, il più saggio, il più ricco di storia, di ricordi, di eredità gloriose. Ha detto: l’importante è riuscire a cambiare la testa all’Italia, è far tornare tutti a ragionare. Dobbiamo parlare a quelli che un anno fa hanno votato per Berlusconi, spiegare loro che quest’uomo è pericoloso, perché vuole una legge che non è uguale per tutti, perché vuole forzare la Costituzione, perché non lascia libertà di informazione. Foa è un gigante della politica italiana, è un simbolo e una inesauribile memoria vivente. Lui si ricorda di quando, ragazzetto di vent’anni, vide la polizia entrare in casa sua e mettergli le manette: lo portarono in galera, perché era un antifascista, e poi buttarono la chiave e lo lasciarono in cella per anni e anni. Foa ieri ha fatto un appello all’unità e a un nuovo spirito comune che tenga insieme movimenti, partiti, sindacati, e tutte le nuove forme della politica, che sono il segno di un disagio di massa ma anche di una nuova grande vitalità.
La manifestazione di ieri ha detto una cosa chiara: che in Italia è in corso, ormai da un anno, un sommovimento politico che solo i ciechi possono non vedere. Negli ultimi 14 mesi, cioè dalle giornate di Genova, si sono svolte almeno una decina di imponenti manifestazioni politiche. Che hanno coinvolto milioni di persone. Il grado della partecipazione popolare è tornato ai livelli che non si vedevano da dieci anni, o da venti, e forse li ha anche superati. I soggetti della politica si sono incredibilmente moltiplicati, e si sono dislocati su un campo molto vario di posizioni. C’è una parte del movimento, che ieri era preponderante, sensibile soprattutto sul terreno della giustizia, c’è il movimento sindacale, c’è la grande forza dei pacifisti (che ieri è stata rappresentata da Gino Strada), ci sono i partiti tradizionali, come i ds o la Mergherita. Non è vero che la crescita del movimento ha portato ad un aumento delle divisioni. Su temi come la guerra, per esempio, la sinistra era molto più divisa due o tre anni fa, e ancora lo era appena un anno fa, ai tempi dell’Afghanistan. Del resto ieri si è visto come anche da parte dei leader dei "girotondi" è stato compiuto uno sforzo evidentissimo per smussare gli spigoli, evitare le tensioni, mediare. Moretti ha tenuto dal palco un discorso molto bello, molto onesto, nel quale ha liberato la discussione di tutti gli acidi che l’avevano un po’ inquinata nei mesi scorsi. Ha criticato i partiti, ma ha anche criticato la società civile", è uscito dalla contrapposizione di due realtà che difficilmente possono restare contrapposte senza suicidarsi. Ha mostrato la tempra del vero leader, di quello che sa farsi carico anche dei problemi degli altri. Ha limitato la polemica con D’Alema, in unalunga intervista alla "Sette" a un solo sorriso, un po’ ammiccante e in fondo molto dalemiano. Persino uno come Flores, che in genere - per carattere, per formazione - non riesce ad astenersi dalla polemica interna, ieri è stato quasi esemplare per misura e autocontrollo.
Adesso, naturalmente, viene la parte più difficile. Dopo il successo della manifestazione si passa i problemi concreti, e sono terribili. La minaccia di guerra, innanzitutto; e poi le questioni sociali e la battaglia parlamentare sulla legge Cirmai e sull’articolo 18. Se i movimenti e i partiti faranno tesoro di questa manifestazione, che è un monumento al pluralismo, e sapranno "usarsi" reciprocamente, allora i rapporti di forza tra destra e sinistra, in Italia, cambieranno molto.

Il creatore del commissario Montalbano sarà
a Roma il 14 settembre con i "girotondini"
"Aderisco alla manifestazione
contro il Cavaliere da jogging"

di ANDREA CAMILLERI

Con questa lettera, lo scrittore Andrea Camilleri aderisce alla manifestazione dei girotondini in programma a Roma (piazza san Giovanni) il 14 settembre. Il testo esce sulla newsletter "Centomovimenti" diretta da Lamberto Sechi. Per riceverla è necessario andare al sito www.centomovimenti.it e iscriversi.

Con una tuta blu da jogging, circondato dai suoi membri del gabinetto in giacca e cravatta, Berlusconi, al termine del Consiglio dei ministri del 30 agosto, ha dichiarato alla stampa che la proposta di legge Cirami è prioritaria e va approvata al più presto possibile. Apro una parentesi. Perché Berlusconi ama farsi vedere in tuta da jogging anche quando non dovrebbe, per un minimo di rispetto verso ciò che rappresenta e i suoi stessi elettori? Sappiamo le conseguenze di questa sua forsennata mania su coloro che gli stanno attorno per sudditanza, rovinose cadute, crolli fisici, infarti sfiorati e via di seguito, ma non conosciamo le ragioni che questa mania hanno provocato. Io vorrei portare un mio modesto contributo: penso che Berlusconi, conoscendosi meglio di ogni altro, tenti di scappare da se stesso. Senza naturalmente riuscirci. Qualche ministro, a vederlo conciato in tuta, ha avuto un'atterrita premonizione: vuoi vedere - si è detto - che ai prossimi consigli dovremo presentarci tutti in felpa e fare dieci giri di tavolo al galoppo ogni mezz'ora? Chiusa la parentesi.

Con questa dichiarazione, Berlusconi ha fatto due cose: ha gettato la maschera e ha voluto fare un gesto di sfida. Dando la priorità alla legge Cirami rispetto alle vere priorità (economia allo sfacelo, sanità allo sbando, scuola nel caos, conti pubblici alla deriva, inflazione in salita, disoccupazione al sud in aumento), egli vuole salvare se stesso e i suoi più fidati amici dai processi che li vedono coinvolti. È cosa risaputa. La prima azione che faranno i suoi avvocati-deputati, una volta approvata questa legge, sarà quella di ricorrere al legittimo sospetto contro i giudici di Milano e di Palermo. E così guadagneranno tempo fino alla prescrizione del reato. Berlusconi è un recordman in fatto di prescrizioni. Il gesto di sfida poi è un gesto d'arroganza: con quella frase Berlusconi ordina ai suoi e agli alleati, che non hanno più dignità, di votare la legge ad ogni costo facendo leva sui numeri, vale a dire sulla stragrande maggioranza di yesmen alla Camera e al senato. E l'opposizione non potrà fare nulla se non coraggiosamente, ma vanamente, cercare di contrastare la preponderanza numerica degli avversari.

Finito il Consiglio dei ministri, Berlusconi ha indossato giacca e cravatta ed è volato all'informale riunione dei ministri degli esteri europei dove si è affrettato a dichiarare che firmerà un patto bilaterale con gli Usa in controtendenza all'Ue: con questo patto bilaterale, i soldati americani che commetteranno eventuali atrocità in territorio italiano non saranno sottoposti al giudizio del tribunale internazionale, ma godranno, in Italia, dell'impunità. In parole povere, gli Stati Uniti possono comportarsi nel nostro paese come in una colonia. A Berlusconi non interessa nulla che gli altri paesi europei abbiano diverso convincimento, lui preferisce allinearsi con Israele, la Romania e Timor-Est, perché ogni idea di tribunale e di giustizia lo sconvolge, gli fa alzare la pressione, non lo fa dormire la notte, gli fa cadere i pochi capelli che gli restano e gli aumenta le rughe invano nascoste dal fondotinta. La giustizia, per Berlusconi, è come il panno rosso per il toro. Quest'uomo rappresenta un autentico pericolo per l'Italia e l'Europa.

Ecco perché sarò presente alla manifestazione del 14 settembre. E accanto a me, naturalmente, ci sarà il commissario Salvo Montalbano. Mi piacerebbe molto se, tra la folla, egli potesse riconoscere tanti dei suoi lettori.

(7 settembre 2002)

 

 

 

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