Il mio PASOLINI di Silvio Cinque.

ovvero: se mio figlio frequentasse Pasolini…..

Scrivere di Pasolini non è cosa che mi riesca facile innanzitutto perché, di fronte ad un grande della cultura del Novecento, il primo limite che voglio evitare è quello di fare delle facili semplificazioni.

Di semplificazioni se ne possono fare di diverso tipo e tutte, nel mio caso, riguardano aspetti che coincidono con le scelte politiche, etiche ed esistenziali.

Di Pasolini è stata spesa ogni parola, talvolta per nascondere l’imbarazzo e il disagio che riguardano alcuni aspetti non semplici da decifrare perché Pasolini non è stato né un intellettuale qualunque, né tanto meno un uomo qualunque.

Ed allora il primo esame di coscienza che Pasolini mi pone è di tipo politico: nessuno, o pochi altri, soprattutto scrittrici, come Pasolini ha imposto alla mia coscienza questo esame preliminare, un esame spietato nel quale mi si chiede da quale parte stare, senza riserve o distinguo.

In occasione dell’8 luglio ho sentito molte opinioni riguardo il GayPride Day: chi era favorevole si sentiva in obbligo di specificare che però era o non era qualcosa: una sorta di coming-out non richiesta e non necessaria. Nel caso di Pasolini questa è la prima, anche se istintiva semplificazione da evitare. Considerazioni tipo -"Scriveva bene, peccato però che fosse…; o malgrado fosse…" - sembrano funzionare da antidoto o addirittura esorcizzare la nostra simpatia o ammirazione. È una semplificazione dentro la quale ed oltre la quale operiamo una scelta di parte. Ed anche quando la scelta si rivolge alla parte favorevole, operiamo talvolta dei distinguo di vario ordine e tipo.

La semplificazione però è riconducibile ad un atteggiamento tipico della destra che ha sempre ridotto Pasolini in un ambito moralistico e scandalistico (non dimentichiamo i processi e le accuse di oscenità), privandolo di quell'atteggiamento senza il quale non è possibile nessuna analisi e nessun approccio: vittime e, al tempo stesso, carnefici di questo pregiudizio che impedisce una visione di Pasolini scrittore, polemista, regista e poeta, ma soprattutto di Pasolini come sensibile ed attento testimone del suo tempo.

Allora sì Pasolini diventa la mia cattiva coscienza e mi porta inevitabilmente a vedermi in una condizione politico-esistenziale dalla quale non mi assolvo: piccolo-borghese.

In nome di questa parte piccolo borghese molto ingombrante e mai doma, voglio allora porre una domanda alla quale personalmente ho dato una risposta, non senza averci a lungo pensato: permettereste che il vostro "bellissimo" adolescente figlio frequentasse Pasolini?

Esiste ancora il piccolo borghese, eccome! e non è solo quello buonista e tollerante, ma è anche quello che riconosce sì la realtà delle differenze, senza però fare di questa realtà un progetto di liberazione o di partecipazione. Torniamo a me ed a Pasolini ed al perché mi senta un piccolo borghese. Innanzitutto i suoi due romanzi: Ragazzi di vita e Una vita violenta. Ho vissuto quei posti e quei personaggi e proprio nei luoghi dove lui li ha descritti. Ma non ero un borgataro, un coatto o un sottoproletario, non avrei fatto i cellerino o il caramba o il prete; non mi sarei dato allo scippo, né avrei campato di espedienti fantastici e geniali. Ero figlio di piccola borghesia impoverita, ritrovatasi, per avverse vicissitudini economiche, a vivere nelle case dei dipendenti dello stato costruite dall'I.N.A. a Ponte Mammolo. Non lontano da lì, in via Tagliere, a Rebibbia, proprio di fronte al carcere, ha abitato per qualche tempo Pasolini, iniziando a scrivere Ragazzi di vita. Torniamo al punto. Non ero il Ranocchia, il Riccetto o il Caciotta e, solo più tardi, Tommaso "santo degli alluvionati", non avrei mai nuotato a fiume o fatto cose del genere. Ero stato educato ed allevato alla bellezza ed alla "arroganza" di chi crede che tutto ciò che si ha sia un premio e come tale un merito e come tale un diritto da guadagnarsi (se si trattava di condividerlo). La differenza culturale e in parte economica, accentuava la barriera tra noi dell'Ina casa e gli abitanti delle case popolari (gli stelloni) o addirittura di Tiburtino III o di San Basilio o di Rebibbia. È immaginabile quindi cosa potesse mai fare una banda di "ragazzini" quando avesse avuto l'avventura di incontrare un ragazzetto vestito con i pantaloni corti all'inglese e le scarpe blu, che non parlava il romanesco e nemmeno il borgataro (che non è il dialetto del Belli, ma il romanesco degli emigranti calabresi e siciliani ed abruzzesi, operai edili ed idraulici, braccianti ed ambulanti), che non diceva le parolacce (non dicevo cojoni, ma "testicoli") e che aveva la disavventura di rappresentare tutto ciò che era lontanissimo e forse anche ostile dalla loro quotidiana condizione di vita. A Roma c’è un modo di dire che è :pija d’aceto, annà in puzza, ovvero prendersela a male subito per ogni forma di presa in giro e di sfottò. E più uno ce sforma e più gli altri lo mettono in mezzo. Uno dei tanti modi di identificare un piccolo borghese è anche questo fatto di pijà d’aceto: un continuo stato della coscienza.

Non stupirò nessuno, quindi, se affermo che non ho affatto un bel ricordo di quegli anni, costretto a viverli tra la protezione invasiva delle mura domestiche e l'impatto con la realtà del quartiere o dell'oratorio dei salesiani.

Quei personaggi zozzi ed allegri, volgari e vitali che animano i suoi romanzi ed i suoi film, li ho vissuti, anche se quasi cinque anni dopo, sulla mia pelle. E li ho cordialmente odiati, detestati e disprezzati. È a questo punto che emerge il primo esame di coscienza e riguarda le scelte politiche e nello specifico l'essere "compagno". Possono i sensi di colpa ispirare liberamente le scelte?

Naturalmente non ho una risposta definitiva o preferisco non averla; tuttavia rimane il punto relativo alle simpatie che in seguito ho nutrito per le classi oppresse fino a militare e scegliere per una parte politica precisa.

Parte di queste scelte furono certamente dettate dai sensi di colpa e dalla confusione che tuttora permane ed alberga tra buonismo e pacifismo, tra tolleranza e coinvolgimento.

Ma non fu confusione quella che ci portò tra i giardini di Valle Giulia a fronteggiare l'espressione istituzionale della Repressione di quegli anni, in un percorso sognato e immaginato negli anni successivi, molto simile ai suoi corto metraggi tipo "Cosa sono le nuvole" o "La terra vista dalla luna". I Celerini di allora sono gli stessi che stanno davanti al carcere di Ponte Galeria o a difesa della Fiera di Genova per Tebio, o alla stazione di Firenze contro la Nato, vittime, ma non incolpevoli, come i ragazzetti dei suoi libri e della mia infanzia. Certo è che oggi, di fronte ai celerini di oggi, celerini di sempre, la mia coscienza politica si fermerebbe in un sit-in pacifico e non violento. Senso di colpa?

Forse, ma soprattutto la convinzione che solo un atteggiamento diverso può far mutare il corso degli eventi e solo (per dirla come Pintor) il recupero e l’analisi dei punti di partenza e non di arrivo può indicare alcune soluzioni.

Eppure in questi anni convulsi e confusi mi è capitato spesso di pensare a chissà cosa avrebbe detto Pasolini e chissà cosa ne avrebbe scritto e su quali testate compiacenti o condiscendenti o indipendenti. Il brutto, anzi il bruttissimo, è che Pasolini manca, se ne sente la mancanza, ma non ce ne si rende conto. Per esempio, cosa avrebbe detto lui, il più europeo dei friulani, di questa sporca guerra dei Balcani? Di questa America europea che per gli albanesi costituisce il mito italiano (magistralmente descritta da Amelio) e li porta, come i nostri nonni di 50-80 anni fa, a realizzare i sogni rovistando nel dormiveglia della cattiva coscienza degli altri? A lui sarebbero interessate soprattutto le storie semplici ed amare di donne e uomini in fuga, in viaggio. Avrebbe catturato i loro sguardi e le loro parole e si sarebbe certamente schierato accanto a questi nuovi borgatari sottoproletari, che ci ostiniamo a chiamare extracomunitari, come fossero marziani o personaggi di chissà quale saga fantastica.

Il primo esame di coscienza riguarda quindi l'impegno ed il significato politico.

Il secondo è l'onestà intellettuale che mi obbliga ad una serie di principi: quello di dire sempre la verità, anche se è poca e piccola e solo mia (ma qui entra in ballo la certezza che l'insieme di piccole verità, anche se poche e solo nostre fanno una verità più grande: il segreto è nell'ascoltare e nell'ascoltarsi); quello di non svendere le idee in cambio di comodità o interessi immediati o personali; quello di essere sempre tenacemente, antipaticamente, caparbiamente sé stessi e soprattutto identificabili, comprensibili, raggiungibili.

Ma non si può limitare Pasolini senza ucciderlo ulteriormente e nuovamente. Non si può levare il colore alle ali di una farfalla e pretendere di vederla volare ancora. O la si accetta per come è o la si uccide per come è, ma non la si può trasformare. E così il tentativo di mettere "il mare Pasolini" in una piccola bottiglia fortunatamente naufraga ogni volta.

La prima volta che mi sono imbattuto nel Pasolini cinematografico è stato quando uscì Teorema.

Teorema che è un film di una tensione religiosa fortissima. Eppure, malgrado la problematica elevata e difficile, non fu un impatto positivo perché in quegli anni di Ponte Mammolo, era il 1968, oltre a farmi misurare continuamente con i personaggi dei suoi romanzi, mi portavano anche a fare i conti con la censura e le restrizioni dell'età: tutta la mia famiglia andò a vedere "Teorema", ma io restai a casa perché non avevo l'età giusta.

Tuttavia Pasolini, sia quello letterario che quello cinematografico, rimane per me l'autore che più abbia sconcertato e scosso la mia coscienza. Il Pasolini di "Salò o le 120 giornate di Sodoma" è quello che più di tutti e di ogni altro ha delineato e determinato la consapevolezza del mio antifascismo.

Se oggi so perché sono antifascista è grazie anche a questo film, oltre ad autori come Morante, Calvino, Fenoglio, Orwell e… Silone.

Credo anche che questo film abbia in qualche modo decretato la sua condanna a morte: ritenere infatti che Pasolini sia morto per incidente d'auto è come credere che Gesù Cristo sia morto di freddo, o di tetano fulminante

Il mio cammino piccolo-borghese mi porta continuamente a lottare contro il moralismo che nei suoi libri viene condannato in una sorta di sberleffo canzonatorio o provocatorio. (E qui i fantasmi dei suoi borgatari personaggi tornano ad ossessionare la mia infanzia).

Il terzo esame è proprio in questa esaltazione innocente del corpo, nello stupore quasi infantile per tanta bellezza, che rincorre i miei turbamenti adolescenziali e le prime crisi di coscienza che mi avrebbero portato ad abbandonare i salesiani del Gerini, per altri preti, magari operai, magari di ben altre periferie. Ed allora anche "Il Vangelo secondo Matteo" o "Uccellacci e Eccellini" o il bellissimo "La Ricotta" ridanno un senso alla mia "religione del mio tempo", ma anche alla mia eroticità ancora, tuttora, molto sofferta.

Parlare di Pasolini nello spazio di poche pagine è impossibile.

Voglio però alla fine di questa strada tributare una testimonianza particolare relativa all'Associazione Fondazione Pier Paolo Pasolini diretta da Laura Betti.

L'occasione di conoscere la Fondazione è stata quando l'Istituzione Biblioteche è stata chiamata a censire il materiale della Fondazione nell'ipotesi che passasse al Comune.

Nel periodo in cui, con alcuni colleghi, ho lavorato alla Fondazione, ho avuto la fortuna di vivere con forte intensità e talvolta drammaticità l'opera di Pasolini della quale Laura Betti è appassionata, attenta e amorevole curatrice. Il Fondo consta di un archivio contenente editi ed inediti, uno schedario con articoli, recensioni e libri, una collezione di tutti i film e le opere cinematografiche; fotografie, tesi di laurea per le quali la è prevista da parte della Fondazione un encomio ed una borsa di studio.

È un fondo ricchissimo e complesso, nato tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, che solo l'attenzione e la dedizione di Laura Betti, coadiuvata dal bibliotecario Giuseppe Iafrate, rendono accessibile al pubblico.

Purtroppo è frequentata prevalentemente da un ristretta cerchia di studiosi, specialisti e studenti che lasciano poi, come copia morale, il frutto del loro lavoro. Questo fa sì che il Fondo abbia una importanza notevole, sia per le tesi di laurea o di studio, sia per il materiale cinematografico e fotografico, sia per l'accurata raccolta degli articoli sui giornali.

Il Fondo si divide essenzialmente in Opere di ed Opere su Pasolini.

Nell'archivio fotografico si parte dagli anni di Casarsa fino a quelli dell'idroscalo di Fiumicino.

Le tesi di laurea, moltissime di studenti stranieri, abbracciano argomenti di vario genere.

È doveroso qui, ribadire la utilità e l'importanza di questo Fondo che merita spazio, pubblicità e risorse molto più cospicue di quelle attuali. Questa testimonianza relativa alla Fondazione è un tributo doveroso che conclude in qualche modo un rapporto tra me, Pasolini e le sue ceneri così bruscamente ed inspiegabilmente interrotto.

Come ultima considerazione voglio segnalare il sito <http://clarence.spray.it/home/pasolini/index.html> nel quale vengono riportati anche importanti riferimenti all’Associazione "Fondo Pier Paolo Pasolini".