CINEMA DI G.MONTANINI
From Hell - di Albert & Allen Hughes

Londra, 1888: l'ispettore Fred Abberline (Johnny Depp) deve indagare su
una serie di efferati omicidi ai danni di prostitute, opera del
fantomatico "Jack lo squartatore". Poco a poco, dietro la catena di
omicidi, comincia a delinearsi un complotto...

"From Hell", fumetto di Alan Moore da cui e' tratto il film, e' uno dei
capolavori degli anni '90. Una di quelle rarissime occasioni in cui il
fumetto diventa saggio, cercando attraverso l'analisi di studi
precedenti e di documenti dell'epoca una soluzione coerente al mistero
dell'identita' di Jack lo Squartatore. Partendo da queste premesse
l'unico errore da evitare assolutamente nella trasposizione
cinematografica sarebbe stato quello di cambiare gli eventi per esigenze
narrative, trasformando cosi' una fedele ricostruzione storica in una
storia di pura fiction. I fratelli Hughes, inspiegabilmente, cadono in
questa trappola, lavorando su una sceneggiatura che modifica
pesantemente e in punti salienti il racconto: modifiche che tra l'altro
non hanno giustificazione alcuna, visto che per la maggior parte non
servono nemmeno a rendere la storia piu' "commerciabile". Intendiamoci,
il fatto che, per rendere il tutto piu' cinematografico, si sia messa in
primo piano la figura di Abberline (che nel fumetto non e' cosi'
prominente) e' ampiamente accettabile, quello che accettabile non e'
cambiare avvenimenti storicamente accertati (Abberline, che era sposato,
mori' ben 40 anni dopo gli omicidi senza aver mai palesato poteri
premonitori), oppure cambiare avvenimenti che, pur se non accertati,
costituiscono le basi dello studio approfondito su cui si basa tutta la
teoria sull'identita' di Jack lo Squartatore (ad esempio nella versione
di Alan Moore gli omicidi prendono le mosse da un ricatto delle
prostitute stesse, che invece nel film sono pure vittime)... e tutto
questo per non parlare dell'invenzione sulla sorte di Mary Kelly (che
non rivelo per non svelare particolari importanti del film), veramente
di cattivo gusto (cinematografico).

In questo modo ogni elemento del film diventa totalmente gratuito, non
piu' frutto di ricostruzione ma di pura invenzione. Una pellicola
sicuramente avvincente, tra simbolismi ed efferati omicidi, che pero'
nulla a che fare ha col testo di base. Puro intrattenimento, insomma,
che pero' lascia l'amaro in bocca al pensiero di cosa, invece, avrebbe
potuto essere.
The Gift - di Sam Raimi

Annie Wilson (Cate Blanchett), vedova e con 3 figli a carico, si
guadagna da vivere sfruttando i suoi poteri extrasensoriali per
aiutare la gente di un piccolo paesino. Tra le tante persone che
gravitano attorno alla sua vita ci sono Buddy (Giovanni Ribisi), con
seri problemi nella relazione con suo padre, Valerie (Hilary Swank),
che viene picchiata dal marito (Keanu Reeves) e Wayne (Greg Kinnear),
da cui Annie si sente attratta. Quando la ragazza di Wayne scompare,
Annie cerca di sfruttare i suoi poteri per ritrovarla...

Sam Raimi e' sempre stato un regista tecnicamente ineccepibile e, da
quando ha deciso di accantonare gli eccessi giovanili per realizzare
pellicole piu' convenzionali, le sue somiglianze con Robert Zemeckis
hanno cominciato a farsi sentire. Sam Raimi non e' clone di nessuno,
intendiamoci, ma e' indubbio che i due registi abbiano in comune,
forse unici in una Hollywood popolata da registi discontinui o
monotoni, una conoscenza del mezzo cinematografico che li porta a
realizzare alla perfezione qualunque sceneggiatura abbiano sotto mano.
E allora forse non stupisce il fatto che, volendo trovare un
equivalente di "The Gift", la mente corra subito a "Le verita'
nascoste", con cui le analogie sono piu' d'una (e che non rivelero'
per non rovinare la sorpresa a chi il film deve ancora vedere). E, di
"Le verita' nascoste", questo film ha anche lo stesso difetti: una
regia impeccabile messa al servizio di una sceneggiatura ben fatta ma
fin troppo convenzionale, dove i colpi di scena sono facilmente
prevedibili per lo spettatore piu' esperto. Alla fine siamo di fronte
a un buon prodotto, interpretato da attori purtroppo non sempre
all'altezza (soprattutto Greg Kinnear, inespressivo come sempre, e la
sopravvalutatissima Hilary Swank, vincitrice di un immeritato Oscar),
tra cui spicca un eccezionale Giovanni Ribisi, che non delude al
momento della visione ma che nella memoria si confonde con decine di
pellicole dai toni simili.
Evolution - di Ivan Reitman

Glen canyon, Arizona: il dott. Ira Kane (David Duchovny) e il dott.
Harry Block (Orlando Jones) investigano con l'aiuto dell'imbranato
Wayne (Sean William Scott) sull'impatto di un meteorite e scoprono la
presenza di piccole forme di vita. L'arrivo dell'esercito e la
rapidissima evoluzione di queste creature provocheranno presto un
enorme scompiglio.

Ivan Reitman, dopo anni di oblio con film spesso appena sufficienti,
torna alla grande con una commedia fracassona che molto assomiglia al
film che lo porto' giustamente al successo piu' di 15 anni fa,
Ghostbusters, di cui in "Evolution" sono citate intere scene. Il film
e' pieno di trovate interessanti, tra cui spiccano il divertentissimo
utilizzo della sponsorizzazione di una nota marca di shampoo,
realizzato in maniera totalmente smaccata ed esilarante, e un set di
creaturine aliene realizzate in maniera ineccepibile. Peccato solo per
la pessima scelta degli attori, con un pessimo clone di Eddie Murphy,
un sempre piu' impassibile David Duchovny ed uno Sean William Scott
che oltre American Pie non avrebbe mai dovuto arrivare.

Nel complesso un'ottima visione estiva, per chi dal cinema non
pretende necessariamente messaggi ma anche divertimento.
Driven - di Renny Harlin

Jimmy Bly e' un giovane pilota emergente di formula Cart, che lotta
per il titolo mondiale contro il campione Beau Brandenburg. Carl Henry
(Burt Reynolds), team manager di Bly, decide di aiutare Jimmy
affiancandolo a Joe Tanto, ritiratosi da anni dalle corse in seguito a
una vicenda non completamente chiarita.

Parlare di Driven equivale a parlare del nulla, cinematograficamente
parlando. E forse non e' un caso che l'unico altro film veramente
brutto di Renny Harlin (Cliffhanger), che solitamente riesce a fondere
con bravura azione e divertimento, sia stato sceneggiato come questo
da Sylvester Stallone. Perche' l'etica-estetica stalloniana qui e'
presente in tutta la sua banalita', in una continua ricerca di quelle
tematiche che, anche se con Rocky gli avevano valso l'Oscar, Stallone
non e' mai riuscito a rendere a rendere meno che banali. Gia' il fatto
che il film faccia un miscuglio tra Formula Cart e Formula 1 (Burt
Reynolds e' ovviamente modellato partendo da Frank Williams, e il
fatto che il campione abbia un cognome tedesco non e' certo
casuale...), per via del fatto che Stallone non e' riuscito a trovare
nell'ambiente della Formula 1 la collaborazione che aspettava, e'
esemplificativo della poca cura con cui la pellicola e' realizzata: ma
in fondo questo non e' che una piccola goccia d'acqua nel mare dello
squallore del film. La storia e' inesistente, e in un crescendo di
"tarallucci e vino" ci presenta personaggi che alla fine, a modo loro,
risultano tutti buoni. La musica e' utilizzata per coprire i momenti
morti del film, riuscendo cosi' a risultare piu' irritante di quello
che normalmente sarebbe. Gli attori sono o giovani sconosciuti dalle
capacita' recitative di un attore da soap opera, oppure vecchie mummie
la cui capacita' espressiva si e' affievolita nel corso degli anni
(non che Stallone ne abbia mai avuto tanta, comunque). Alcune scene di
incidenti sono girate abbastanza bene, anche se la Computer Grafica
spesso si vede in maniera esagerata. Ma il fulcro del film, la chicca
che riassume in maniera perfetta la sua sciattezza, sono le scene di
sorpasso, che puntualmente si svolgono nella stessa, sconcertante
maniera: le due macchine sono una dietro l'altra, primo piano sui
pedali della macchina dietro con il pilota che cambia marcia e/o
accelera, ed avviene il sorpasso; come se, come nei vecchi cartoni
animati giapponesi di corse automobilistiche (a cui si poteva
perdonare l'ingenuita' degli anni '70), i piloti andassero in quinta,
e per sorpassare gli bastasse ingranare la sesta e accelerare...
Codice: Swordfish - di Dominic Sena

Stanley Jobson (Hugh Jackson), uno degli hacker piu' famosi al mondo,
viene contattato da Gabriel Shear (John Travolta) per realizzare un
piano ambizioso: impadronirsi di 9 miliardi e mezzo di dollari
proveniente da un vecchio programma governativo...

"Codice : Swordfish" non e' un capolavoro. Solitamente quando si dice
questo di un film, si intende dire che non e' un bel film. Non e'
questo il caso, anzi, ma la precisazione e' fondamentale perche' i
primi 10 minuti sono incredibili, uno degli incipit migliori degli
ultimi anni, e il resto del film, che pur e' un'ottima pellicola, non
riesce a mantenere queste altissime pr(e/o)messe. Dominic Sena, su cui
nessuno avrebbe scommesso 10 lire dopo la deludente prova di "Fuori in
60 secondi", si dimostra regista di classe, e ci sforna uno
spy-gangster movie con un paio di scene memorabili (oltre l'inizio, e'
da ricordare almeno la scena dell'incontro tra Stanley e Gabriel) e
con pochissime cadute di tono. C'e' qualche bestialita' informatica,
ma in fondo nemmeno troppo grave rispetto alla media hollywoodiana, e
qualche lungaggine di troppo nella presentazione della figlia di
stanley, ma tutto sommato sono peccati poco piu' che veniali. Il resto
funziona benissimo, con musiche non eccelse ma ben dosate e
grandissimi attori (John Travolta, perennemente sopra le righe, e' in
una forma smagliante). Da non perdere.
Final Fantasy - di Hironobu Sakaguchi

2065: la terra e' ormai in rovina in seguito all'assalto dei phantom,
una razza aliena incorporea che uccide col tocco. Aki, una giovane
scienziata, cerca di salvare la terra ricercando i 7 spiriti (essenze
che si trovano dentro gli esseri viventi) che possono cacciare gli
alieni, mentre il generale Hein e' convinto che l'unico modo sia
l'utilizzo della forza...

Mai film e' stato piu' atteso da chi segue con passione l'evoluzione
del cinema dal punto di vista degli effetti speciali: la realizzazione
in computer grafica di attori che, almeno nell'intenzione, avrebbero
dovuto essere praticamente indistinguibili da attori veri, era un
progetto quantomeno ambizioso. E riuscito a meta', anche se non e'
certo questa la pecca peggiore del film.

Partiamo comunque dall'inizio, dagli attori: la realizzazione grafica
e' sorprendente e i personaggi del film, in alcune inquadrature,
sembrano proprio persone reali. Soprattutto il dottor Sid, realizzato
in maniera veramente egregia. Il problema e' il movimento, fluido ma
irreale. E a questo punto non penso sia un problema di tecnologia, ma
di sensibilita'. Forse agli animatori andrebbero affiancati degli
esperti di movimento, dei coreografi magari, perche' per la
realizzazione di un vero attore virtuale manca veramente poco...
Questa irrealta' degli attori, comunque, non si puo' giudicare
negativamente nell'ambito del film, proprio perche' il film stesso e'
un apripista, una sorta di esperimento. L'importanza di questo passo
(che non e' necessariamente un passo positivo, questo giudizio pero'
lo lascio al singolo spettatore) giustifica le prevedibili pecche di
animazione.

La sceneggiatura. Ecco, sulla sceneggiatura sorgono i problemi. E
purtroppo si nota la collaborazione tra Giappone e America, con il
Giappone che spinge sulla visionarieta' e sull'onirismo e l'America
che ha prevedibilmente cercato di imporsi per inserire elementi che
riconducessero il film su schemi piu' scontati e tradizionali. La
trama e' interessante, una commistione di fantascienza ed ecologismo
new age che ingloba, probabilmente in maniera involontaria, alcune
delle idee base di Scientology. Ci sono pero' diverse cadute di tono,
sia con situazioni improbabili (gli eroi riescono sempre a scamparla
da situazion che definire disperate e' eufemistico) che come
caratterizzazione dei personaggi (il "cattivo", il generale Hein, e'
totalmente monodimensionale, quando in realta' il suo essere non
necessariamente malvagio ma solamente ottuso avrebbe potuto portare ad
un personaggio intrigante). E in fondo dispiace anche che, non avendo
i problemi di budget che limitano i film "dal vivo" nella costruzione
di situazioni fantascientifiche, ci sia limitati un po' troppo.

Nel complesso quindi, un film riuscito a meta', sicuramente importante
per gli intenti, ma rovinato da una mancanza di coraggio tipicamente
americana.

Spy kids - di Robert Rodriguez

Gregorio (Antonio Banderas) e Ingrid (Carla Gugino) sono agenti
segreti ormai ritiratisi dopo aver messo su famiglia. Quando
torneranno in missione dopo anni di inattivita', saranno i loro figli
a doverli togliere dai guai...

Non si puo' giudicare Spy kids senza partire da un'indispensabile
premessa: e' un film per bambini. E, come tale, non giudicabile con i
canoni del cinema per adulti. "Spy Kids" infatti e' un po' una via di
mezzo tra le divertenti avventure dei film "dal vivo" Disney degli
anni'60, e la potenza visionaria di un "Toys". I personaggi sono
caricaturali, le situazioni inverosimili, ma il ritmo e' quello giusto
per divertire un bambino, e la realizzazione (non per niente il
regista e' Robert Rodriguez) e' meno classica di quello che ci si
aspetterebbe da un film dal genere. Concludono tutto dei bravi attori
e degli ottimi effetti speciali.

Se avete dei figli, portateli senza timori, altrimenti andate solo se
siete amanti del genere.

 

 

 

 

 

prima pagina.

 

 

 

contatore http://artenamir.interfree.it - WWW.NAMR.IT

e forum