Dal "capitalismo regolato " alla deregulation globale

Prima di analizzare le dinamiche complesse che hanno determinato la deregulation , considerato il grande clamore che ha suscitato l’introduzione dell’euro, è opportuno fare un breve cenno sull’argomento . Valicando le strumentali diatribe di palazzo e non cedendo alle lusinghe dell’economicismo, vale la pena ricordare che , con l’avvento della moneta unica , si è realizzato il sogno di Carlo Magno e Napoleone .

Ciò significa che , sia pure in guise diverse , le vocazioni imperiali presentano qualche tratto comune . Superando le sterili polemiche e rimuovendo tutte le forme di trionfalismo o di euroscetticismo , occorre sottolineare che il problema non si può esaurire nel puro dato economico-monetario . Pertanto, rievocando il Trattato di Maastricht , varato nel 1991 e firmato nel 1992 , si rileva che il cuore del Trattato è proprio la moneta unica . Al di là delle retoriche europeiste , emerge che i leader europei hanno cinicamente organizzato il futuro , piegandolo ai loro disegni . Intanto , va precisato, che il Trattato è decisamente antidemocratico, vuoi perché considera il consenso democratico un accessorio irrilevante , vuoi perché , come si evince dalla storia universale , sono state sempre le entità politiche a determinare la moneta , e non viceversa . In realtà l’ortodossia maastrichtiana è l’espressione della nuova razza padrona , che attenendosi ad una devastante logica mercantile , legittima l’esclusione e l’azzeramento dello stato di diritto . Ne consegue che tutte le problematiche inerenti la giustizia sociale non possono prescindere dalla verità fattuale , ossia che il postmoderno è plasmato dallo spirito assoluto dell’economicismo . A questo punto , constatando che a molti sfugge la crescente interconnessione tra economia , politica e cultura , vale la pena soffermarsi sulle chiavi di lettura di alcuni intellettuali della provincia-Italia . Qualcuno , infatti, in preda ad un narcisismo delirante , ha lanciato invettive e ha sputato sentenze , con un’arroganza e con una tracotanza , che spingono a rimpiangere lo spirito socratico . Un "luminare" , avvalendosi di toni sarcastici e immedesimandosi nel ruolo di fustigatore politico e culturale , ha formulato le sue tesi, ritenendole verità assolute e incontrovertibili . Da qui un atteggiamento pregno di scherno e di dileggio nei confronti di illuminanti teorie . Ma il dato inconfutabile è che mentre "il luminare" può suscitare apprezzamenti solo nell’Italietta , il talento di altri è stato ed è riconosciuto a livello internazionale .

Vero è che "il luminare" ha fatto scoperte eclatanti , infatti, esplicitando il suo "verbo" e facendo terra bruciata di tutta la sterminata letteratura sulla globalizzazione , ha proposto:"Un sentiero di lettura che testimonia la possibilità di una politica keynesiana nazionale nell’era della globalizzazione economica ". Indubbiamente Keynes era un uomo di altissimo spessore culturale e un grande economista , ma enfatizzare oggi "l’efficacia di una politica economica nazionale" e sostenere che rivisitare Keynes possa essere proficuo, sia per i riformisti che per i rivoluzionari , risultano chiavi di lettura estremamente opinabili . D’altro canto , viviamo in un’epoca caratterizzata da un inquietante ibridismo culturale e da un caos generalizzato , sicché non può destare stupore che imperversi un intollerabile chiacchiericcio . Da qui una scabra verità , ossia che, pur essendo la fase odierna particolarmente destabilizzante , si registra una fenomenologia dell’opportunismo , che investe anche la cultura alternativa . Difatti , alcuni intellettuali , vittime della logica del successo , cavalcano la tigre di una presunta dissidenza , per guadagnare un posto al sole nell’Olimpo mediatico . A questo punto , dal momento che "il luminare" stigmatizza "l’estremismo di maniera " , e non manca di penalizzare "le stupidaggini"di molti "antagonisti", vorrei continuare a percorrere l’iter delle "sciocchezze"e fare qualche precisazione , in difesa di tutta la categoria degli imbecilli . Preso atto che dilaga una destabilizzante barbarie linguistica , sarebbe opportuno decodificare la valenza semantica del termine "rivoluzione" e , nel contempo , sarebbe auspicabile anche una rivisitazione storica . Questa umile ricerca sarebbe illuminante per comprendere che una teoria , nel caso specifico quella keynesiana , non può risultare valida indifferentemente per i riformisti e per i rivoluzionari . Considerando , invece, la virulenza del capitalismo globale , occorre ribadire il concetto che "non esiste rivoluzione senza distruzione della società borghese ".

Paventando gli strali di qualche luminare di turno , vorrei sottolineare che parlare oggi di rivoluzione non significa avvalersi di categorie obsolete , infatti, nessuno è così folle da progettare probabili prese della Bastiglia o Palazzi d’inverno , che peraltro non hanno più un luogo . Essere al passo con i tempi , però, non significa proporre compromessi o alchimie . Difatti , prendendo atto che il villaggio globale è, di fatto, un villaggio letale, diviene conseguente che s’impone l’esigenza di opporre una volontà autenticamente rivoluzionaria , per liberarsi dal gioco parassitario del capitalismo e del governo imperiale.

Avrei molte cose da aggiungere , ma preferisco , avvalendomi del supporto di illuminanti letture, indagare sulle complesse dinamiche che hanno determinato il passaggio dal capitalismo regolato alla deriva globale .

Innanzitutto, rilevando che il "novitismo" ha generato un nuovo lessico che espelle il termine capitalismo , ritenuto un arcaismo fuori moda , giova evidenziare che dietro la magica parola "neoliberismo" si cela sempre il vecchio assassino della storia . Pertanto,

constatando che il capitalismo non solo è avido e famelico , ma spesso è anche mimetico e multiforme , vale la pena fare un breve excursus storico . Vero è che anche prima del capitalismo non mancavano oppressi ed oppressori , tant’è che Marx sosteneva:" Negli annali della storia reale , sono le conquiste, l’assoggettamento , il regno della forza bruta che hanno sempre prevalso ". Nelle società precapitalistiche , però, non solo esisteva un vincolo personale tra dominante e dominato , ma quest’ultimo poteva godere anche di una sorta di protezione patriarcale da parte del dominante . Inoltre, nelle società precapitalistiche il prodotto dello sfruttamento dello schiavo , del servo della gleba o del plebeo , era consumato dalle classi privilegiate ed era poco "reinvestito ", sicché " la crescita" era quasi impercettibile . Facendo un’analisi sommaria , si evince che il capitale produttivo compare , sia pure in forma embrionale , alla fine del medioevo e procede fino a giungere alla fine del secolo XVIII.. Va precisato che in questo lungo lasso di tempo il capitale si esplicita sotto quelle forme che Marx definisce "antidiluviane ", ossia caratterizzate dalla presenza del capitale mercantile e del capitale finanziario(usuraio).

Successivamente, con la rivoluzione industriale e con l’uso dell’energia meccanica , i progressi nella produttività del lavoro consentono una "riproduzione allargata", ovvero "la crescita". Quest’ultima , però, non è stata in grado di eliminare i problemi legati alla disoccupazione di massa , alla stagnazione , alla recessione , alla depressione . E’ opportuno sottolineare che ,dopo la seconda guerra mondiale , si è imposto "il capitalismo regolato" dallo stato-nazione . Difatti ,"gli anni dal 1948 al 1973 videro un tasso di crescita globale pari al 5 percento l’anno , con crescite e crolli dai caratteri insolitamente moderati per la storia del capitalismo "(Brecher e Costello). Se il capitale regolato garantiva lo stato sociale, è altresì vero che non mancavano sperequazioni economiche e discriminazioni sociali. Pertanto, evitando di cadere nelle reti di un’immotivata nostalgia e , al tempo stesso, demistificando le esercitazioni riformistiche , giova rievocare Gramsci , che affermava:"Anche il liberismo è una regolamentazione di carattere statale , introdotto e mantenuto per via legislativa e coercitiva: è un fatto di volontà consapevole dei propri fini e non l’espressione spontanea , automatica del fatto economico"

E’ evidente che il problema non è quello di invocare "lo Stato keynesiano , rimpiazzando i fattori economici con fattori morali ", perché , di fatto, con lo stato-nazione, si è realizzata la sussunzione della società civile nello stato . Diviene conseguente che non si può enfatizzare il capitalismo dello stato-nazione e il compromesso fordista . Da qui l’esigenza di operare un distinguo tra riforme subalterne e riforme rivoluzionarie .

A questo proposito Henri Maler e Jacques Bidet hanno osservato che è opportuno stabilire una linea di demarcazione tra coloro che optano per la regolazione del capitalismo e coloro che " vogliono cambiare la faccia del mondo "

In realtà oggi un salto di paradigma s’impone perché, con la globalizzazione economica si è innescato un infernale circolo vizioso , che vede la sovradeterminazione della logica del mercato, sicché le scelte politiche finiscono con l’essere una variabile dipendente dell’economia globale . D’altra parte la fenomenologia capitalistica odierna presenta caratteristiche peculiari , che implicano la globalizzazione del capitale finanziario, la glocalizzazione , ossia le scelte delle multinazionali che privilegiano la localizzazione globale , la deterritorializzazione , la smaterializzazione del capitale , la produzione immateriale . Ne consegue che le proposte di un capitalismo "sostenibile" possono rappresentare solo una fase di transizione , ma non la panacea di tutti i mali .

Nel contempo sarebbe un grave errore sperare che lo stato-nazione possa sortire effetti positivi , e ciò è suffragato dalle osservazioni di Francois Chesnais , che qualifica la globalizzazione come" quella configurazione particolare del capitalismo , nella quale il capitale , tanto finanziario quanto reale , ha recuperato , grazie soprattutto all’aiuto degli Stati più forti , una libertà d’azione pressoché totale ".

Inoltre, giova sottolineare che l’attuale sistema proprietario si esplicita attraverso la costituzionalizzazione del potere , su un piano sopranazionale , con una costruzione centralizzata di norme . Ciò significa che la nuova formazione storica è "L’Impero", che vede gli Usa come superpotenza egemone . Vero è che, come vuole Toni Negri , il monismo della realtà imperiale , per via del lavoro immateriale , crea il potenziale per una sorta di comunismo spontaneo , rappresentato dalla moltitudine .

Indubbiamente il potenziale esiste , e ciò si evince dal fatto che si sta manifestando "un general intellect non –proprietario e non-statale", ma è necessario ribadire che sarebbe auspicabile "invocare non l’epifania del volontario , ma del rivoluzionario".

Per coloro che vedono nel passato una sorta di Eden , è utile ricordare che lo stato-nazione, con le sue procedure di negoziazione, ha mostrato che le protezioni sociali non sono state in grado di disinnescare gli antagonismi sociali . Difatti, rivisitando l’epoca del nazionalismo economico e del compromesso di classe , si rileva che i movimenti degli anni 70 si collocavano fuori dall’area istituzionale . Pertanto, evitando di enfatizzare l’astrazione giuridica , conviene evidenziare che, mentre , con il fordismo , lo stato fungeva da regolatore , sussumendo la società civile , con la globalizzazione economica l’unico regolatore è il mercato. A questo punto vale la pena ripercorrere , sia pure in modo sommario, le tappe che hanno segnato l’esodo del capitale . Seguendo un iter progressivo, si può sostenere che dagli inizi degli anni 70, le multinazionali, in maggioranza americane, cominciarono a non metabolizzare i vincoli degli Stati. Dal 1974 fino a giungere al 1990 , le multinazionali via via , diventano così transnazionali , mondiali .

Ma il discorso sarebbe riduttivo , ove non si facesse riferimento alla caduta del Muro e a tutti i fenomeni connessi alla macchina informatica , all’impresa che diviene rete transnazionale ,al ruolo determinante delle istituzioni sovranazionali come Fmi, Bm , G8,

Omc, Ocse , Wto

Questo inedito assetto comporta una sovranità globale , che ,di fatto , esercita un potere biopolitico a livello planetario . Ciò significa che , come sostengono J. Brecher e T. Costello , Fmi , Bm eWto, assumono le caratteristiche di "sovrani assoluti " , perché

"non debbono rendere ufficialmente conto delle loro azioni pressoché a nessuno "

Per comprendere appieno la dittatura dei mercati finanziari sono illuminanti le dichiarazioni fatte a Davos nel 1996 , dal presidente della Bundesbank , che affermò:" I mercati finanziari giocheranno sempre di più un ruolo di gendarmi….Gli uomini politici devono capire che sono ormai sotto il controllo dei mercati finanziari e non più soltanto dei dibattiti nazionali ". Vero è che la globalizzazione economica ha un carattere multidimensionale e ciò implica la presenza di eclatanti contraddizioni , sicché non può destare stupore che si registrino approcci nazionalisti . Il trionfo liberista ,infatti, genera anche regimi reazionari e incrementa disegni demagogici della destra populista , l’Italia berlusconiana docet . A proposito di quest’ultima , vale la pena evidenziare che, pur rilevando i misfatti del regime , non si può condividere l’ipocrisia della pseudosinistra .

Per quanto concerne la legge Bossi-Fini sono illuminanti le osservazioni di Salvatore Palidda , che intervenendo sul "Manifesto", ha affermato :"Al di là della demagogia più o meno apertamente razzista dei leghisti e di buona parte dell’attuale maggioranza , la politica migratoria del governo Berlusconi-Fini non fa che accentuare tutte le pratiche ignobili già operanti durante la passata legislatura " . Il sociologo, inoltre, avvalendosi di un’analisi esemplare, non manca di fare riferimento alla legge Turco-Napolitano e , al tempo stesso, sottolinea la connessione tra la situazione italiana e i parametri di un "liberismo sempre più violento , mafioso, razzista "

Fatte queste doverose precisazioni e continuando ad indagare sulla deriva della situazione esistente, giova mettere in luce che ipotizzare un ritorno alle economie nazionali , risulta una tesi opinabile , considerati i mutamenti sostanziali che hanno caratterizzato il passaggio dal fordismo al postfordismo. Ne consegue che anche l’esasperato richiamo alla sovranità nazionale inficia la possibilità di una lettura esaustiva sul quadro globale. E’ necessario considerare , infatti, che il capitalismo globale , con le sue istituzioni sovranazionali , richiede la soluzione di variegati e complessi problemi , che vanno da quello del lavoro a quello ambientale, dalla proliferazione nucleare allo stato di guerra permanente, dalla distribuzione delle risorse ai diritti umani . Soprattutto, per quanto concerne il lavoro , sarebbe opportuno valicare i parametri della società-sistema e del lavoro-merce . In altri termini , occorre rompere con alcuni stereotipi interpretativi e culturali , per elevarsi ad un più alto livello di coscienza. Da qui l’esigenza di una rivoluzione culturale e politica , che implichi la resurrezione dei corpi , del tempo della vita , della liberazione del lavoro vivo . Non senza ragione Anthoni Giddens propone di definire il socialismo in una nuova prospettiva , che vede il primato di tutte le attività non strumentali . E’ giunto il momento dell’Esodo e ciò richiede la formazione di comitati di liberazione dal capitalismo , per produrre rapporti di cooperazione , regolati dalla reciprocità e dalla mutualità e non più dalle leggi del mercato e del profitto .

Occorre , dunque , rompere con un tempo sussunto dalla logica del capitale , per introdurre un nuovo stile di vita , in cui diritti , passioni e affetti abbiano pieno diritto di cittadinanza , universalmente Lucidamente Felix Guattari sostiene :" Si tratta di costruire….dando possibilità ai mutamenti virtuali che porteranno le generazioni future a sentire e pensare diversamente ….Conviene che la qualità della produzione di questa nuova soggettività divenga la finalità prima delle attività umane ".

Ciò richiede una nuova filosofia economica e la riscoperta dell’ imperativo kantiano , quest’ultimo ,però, dovrebbe inglobare quella "animalità" dell’uomo , che è fatta di corpo e di passioni . E’ evidente che la costruzione di un mondo nuovo esclude la presenza dello Stato assistenziale e rende , nel contempo, obsolete le invocazioni di una riterritorializzazione nazionalista . Chiavi di lettura particolarmente incisive per un salto di paradigma sono fornite dal pensiero femminile . Muovendosi in questa prospettiva , Rossana Rossanda accusa la sfera politica di battersi su parametri maschili , essenzialmente produttivisti , che prescindono dai tempi del corpo , della riproduzione, degli affetti .

Preso atto che non solo s’impone l’esigenza di abbattere il capitalismo , ma anche la cultura del potere maschile , occorre riscoprire la potenza del corpo collettivo , per opporre al sistema di dominazione pratiche comuni di liberazione. A questo proposito sono proficue

le osservazioni di Judith Revel , che credendo nella resistenza e appellandosi al "General Intellect" di marxiana memoria, propone un "biosapere" o "una sapienza biopolitica" . Quest’ultima sarebbe particolarmente incisiva , perché consentirebbe un coordinamento consapevole di tutte le forze di resistenza . In altri termini, dinanzi all’universalismo di stampo imperiale e al " setaccio capitalistico a maglie variabili ", è opportuno opporre una resistenza globale . La nuova organizzazione su base comunitaria, però, dovrebbe espellere tutte le contraddizioni , generate dalla presenza di forze dell’area istituzionale , che cinicamente praticano l’unica politica che conoscono , ossia la doppiezza . E’ giunto il momento di chiudere con i compromessi , con l’ipocrisia , con i lacchè del capitalismo globale . Contro il darwinismo sociale e contro i parametri di un inedito dispotismo si deve opporre una resistenza "senza se e senza ma ". Pertanto , constatando che i miasmi hanno invaso la società e le istituzioni, s’impone la necessità dell’esodo , della fuga, della disubbidienza , dell’astensionismo , della diserzione .

Non senza ragione il "buon maestro " Toni Negri sostiene :"l’esodo dal presente è la sola politica del presente ". Da qui l’esigenza di una pratica politica che s’ispiri ai quattro principi etici spinoziani , che sono poi all’origine della vita comune :"agire secondo il dettame della ragione ; frenare l’istinto ; non fare agli altri quello che non si vuole sia fatto a sé ; difendere il diritto altrui come il proprio ". Non l’etica keynesiana , dunque, ma un’etica che renda sacro il legame sociale e che implichi il desiderio di vivere insieme in una società autenticamente democratica .

Per effettuare un salto di paradigma non si possono , però, proporre categorie obsolete, né si può enfatizzare " la localizzazione delle lotte ". Difatti , come lucidamente affermano Michael Hardt e Antonio Negri ," la strategia della resistenza locale non riesce a identificare il nemico e , dunque , lo maschera ….Ma , soprattutto, questa strategia di difesa del locale risulta dannosa poiché oscura e persino nega le reali alternative e i potenziali di liberazione che esistono nell’ Impero " . ("Impero ") .

Contro l’Impero postmoderno , dunque, è necessario , sia pure in guise diverse, appellarsi ancora una volta al vecchio barbuto di Treviri , invocando a gran voce :" Proletari di tutto il mondo unitevi ".

Wanda Piccinonno