Percorsi di pace

di Silvio Cinque

Per il nuovo anno diversi libri da proporre tra cui una rivisitazione di Etty Hillesum per la quale le biblioteche di Roma e l'università Roma Tre ed altre istituzioni (Goethe institut, Nederland institut, il Centro di Cultura ebraica il Pitigliani) hanno organizzato un mese di letture, incontri e dibattiti.

Voglio invece consigliare un libro che potrebbe essere tranquillamente letto in una classe, capitolo per capitolo come un diario, o insieme ai propri figli a casa.

Vorrei proporre perciò qualcosa di speciale che spero sia di buon augurio ed indichi un difficile, faticoso esempio, una alternativa, l’unica che abbiamo nella pratica della pace: il libro è del dottor Gino Strada, medico chirurgo di Emergency, il titolo: Pappagalli Verdi, edito per la collana Universale Economica dalla Feltrinelli, 1999. Siamo ormai alla undicesima edizione della Economica con più di centocinquatamila copie vendute. Non voglio però questa volta essere io la presentazione ed il commento del libro con considerazioni e commenti, anche abbastanza ovvi ché l'ammirazione per questo chirurgo esula dalla sua trattazione anche autobiografica. Vorrei invece affidare alla testimonianza di uno stretto collaboratore di Strada quello che nel libro esprime non solo l’animo nobilissimo del suo autore, ma della associazione che egli rappresenta. In più occasioni Strada ha ribadito di essere semplicemente un chirurgo di Emergency e che dietro di lui vi sono persone, medici e paramedici, donne e uomini, altrettanto capaci e stupendi. Sembra una affermazione di falsa modestia, di doverosa liberalità. Ma questa volta l’affermazione è vera ed il libro glie ne dà atto.

Il 9 novembre del 2001, due settimane prima della fine "ufficiale" della mai dichiarata guerra all’Afghanistan, il Teatro Duse di Bologna organizzò il primo di una serie di incontri e dibattiti di carattere politico e culturale. In quella occasione l’incontro aveva per titolo: Da oriente ad Occidente vivere la pace e la guerra con gli occhi delle donne. Furono invitate perciò:

Franca Rame (che poi non poté partecipare per un improvviso malessere), Luisa Morgantini delle "Donne in Nero", Marisa Caputi che insieme alla Morgantini era stata in Pakistan e da quel viaggio ne aveva tratto un documentario, Carla Selva e Nicola Zannini di Emergency. La registrazione di questo e degli altri interventi è dovuta a Radio Tau di Bologna che sentitamente ringrazio. L’intervento di Zannini mi sembra il più indicato come presentazione del libro di Strada, perché il racconto di come sia stato costruito e fatto funzionare, anche se per poco tempo, l’ospedale di Kabul dà l’idea dello spirito e della convinzione che anima non solo l’autore del libro, ma tutta l’organizzazione umanitaria che questo libro racconta e rappresenta. Ecco l’intervento:

"Ipotesi fantapolitica. L’Italia è in guerra. Ma non dico in Afganisthan, dico in guerra qui in Italia.

La Francia un giorno si sveglia e invade l’Italia: conquista il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Liguria e si attesta nei dintorni di Milano. Allora siamo in territorio dove c’è la guerra. Chi di voi ci tiene alla pelle io darei questo consiglio: quello che deve fare è prendere un Kalaschnikov, un fucile, una bomba a mano, un coltello, qualsiasi arma, monta su un carro-armato, su una jeep e va al fronte e va a combattere. Ha sicuramente maggiori possibilità di sopravvivere di uno che resta qua nella propria casa a cucinare da mangiare. Questo è assicurato. Se voi non svestirete i panni di uomini, donne, bambini e vecchi alla guerra non scampate. Se invece forse andate a combattere, il paradosso e questo: che forse forse non vi succederà niente.

Una cinica classifica delle attività che più comportano il rischio di incappare in una mina antiuomo: al primo posto c’è raccogliere legna da ardere: In Afganisthan, nel Kurdistan iraqueno non c’è energia nella maggior parte dei posti e l’unica fonte è il fuoco, raccogliere legna da ardere. Al primo posto c’è questo. Al secondo posto c’è giocare. Giocare i bambini intendo. Poi tutte le altre: portare le bestie al pascolo, andare a raccogliere acqua lungo gli argini di fiumi e dei torrenti. Questo è forse i luoghi più minati del Kurdistan iraqueno, come sono i luoghi più minati nell’ex Yugoslavia sono i cimiteri. In tempo di guerra la gente dove va principalmente? Nei cimiteri e lungo i corsi d’acqua ad abbeverarsi e questi sono i posti più minati proprio per colpire i civili. Combattere sinceramente non so dove sia la classifica. Però vi posso dire che è molto in là. E queste cose non le dico solo io: sono certificate da Istituti di Ricerca sulla guerra e sulla pace, dalla Nazioni Unite e sono testimoniate dai medici e dagli infermieri di Emergency che tornano dalle missioni all’estero nei nostri ospedali. Il dato è questo: che il 90, 93% delle vittime di una guerra sono civili. Su cento persone in guerra 7 sono combattenti, il resto sono civili. Per questo vi dicevo che avete molte più probabilità di sopravvivere se andate al fronte a combattere piuttosto che stare in casa. Quando abbiamo, preso i contatti coi Talebani per costruire il nostro ospedale a Kabul, sapevamo che le divergenze di opinioni riguardo alle modalità e i tempi per trattare le vittime civili di guerra tra Emergency e i talebani erano molto grosse. Siamo andati però a Kabul quando già da qualche mese erano avviate le attività cliniche del nostro ospedale in Panshir, nella zona sotto controllo della alleanza del Nord. Siamo andati a Kabul dicendo: siamo andati prima là nel territorio controllato dall’Alleanza del Nord perché là di assistenza sanitaria non ce ne era per niente e la popolazione stava peggio, non perché abbiamo fatto una scelta politica. A noi della scelta politica non ce ne frega assolutamente niente. Adesso siamo qua. Se volete vi proponiamo lo stesso programma che abbiamo proposto alle truppe di Massud. Cioè quello di costruire un centro chirurgico per le vittime di guerra. Ora a dir la verità sapevamo che le incomprensioni sarebbero state molte e infatti sono state molte. Il cammino diplomatico è stato in salita, è stato macchinoso c’è voluto tanto tempo. Però alla fin fine i talebani hanno capito e riconosciuto che siamo una organizzazione indipendente, che lavoriamo solo e solamente per aiutare i civili e che non ci importa della politica locale, non ci importa di chi ammazza o non ammazza. Per noi i feriti che ci arrivano nell’ospedale noi li curiamo. Possono essere mujahidin possono essere talebani, possono essere uomini donne o bambini, non ci interessa. E questo i taleban l’hanno riconosciuto, i ministero della sanità talebano l’ha riconosciuto, i contatti con il Ministero degli Affari Sociali sono andati alla fine a buon fine, i contatti con il Ministero degli Esteri talebano hanno permesso di poter stabilire un primo progetto di costruzione per l’ospedale. Lo scoglio più grande da superare rimaneva il Ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del Vizio. Questo è un ministero talebano che si chiama così. Il loro funzionario: Dottor Strada, dottor Strada prego sì, sì. Sì, a noi ci serve il suo ospedale per carità. Riconosciamo che siete indipendenti, riconosciamo il vostro impegno per i civili, non siete schierati lo sappiamo, avete bisogno di un sito dove costruire l’ ospedale, lo volete al centro di Kabul, va bene ve lo diamo. Se questo asilo nido, ce lo avete proposto voi, non c’è problema potete prenderlo.

Avete bisogno di far atterrare aerei delle Nazioni Unite, di far atterrare aerei di qualche altre agenzie per portarvi macchinari, va bene riapriamo l’aeroporto. Avete bisogno di personale medico o paramedico afghano non c’è problema: prendete chi volete. Però si ricordi una cosa dottor Strada: che in Afghanistan le donne non lavorano, non lavorano le donne afghane e non lavorano le donne europee: Se portate un medico donna qua non lavora e si ricordi anche un’altra cosa: che le nostre donne afghane,civili, non possono essere neanche sfiorate né toccate dai vostri medici uomini.

Ora l’equazione, il risultato è: le donne non si curano. A Emergency non è mai interessato disquisire sulla legge coranica, sui precetti dell’Islam, o su come volevano impostare la società, se di società si può parlare, i talebani. Non è mai interessato. Però con queste condizioni, con queste premesse è ovvio che non si può lavorare e glielo abbiamo fatto presente. Perché Emergency non va solo nei posti in guerra, nei paesi dove c’è la guerra, a costruire ospedali, per curare le vittime. Certo questo è importante, è il primo obbiettivo. Ma il secondo obbiettivo è quello di formare una sorta di piccola enclave solidale all’interno dell’ospedale. Cosa intendo dire: negli ospedali di Emergency quando si entra ci si guarda negli occhi e si dice: ragazzi qua c’è la guerra, siamo messi peggio l’uno dell’altro. Se non ci diamo una mano tra di noi non arriviamo a domani. E con queste questo non era possibile. Ora anche qui i colloqui sono andati avanti, piano piano le discordie e gli attriti si sono limati e si è arrivati all’accordo: va bene le donne possono lavorare, però mi raccomando: gli uomini da una parte dell’ospedale le donne dall’altro, non devono mai venire neanche a contatto visivo, due ali separate dell’ospedale, va bene questo lo accettiamo. E si comincia lavorare nel centro di Kabul per la costruzione dell’ospedale di Emergency. E ci lavorano duecento operai al giorno. Quotidianamente all’ospedale: imbianchini, muratori, carpentieri, idraulici, elettricisti. A Kabul ci sono, c’erano, 200 persone che ogni giorno lavoravano insieme per costruire un ospedale. Prima 200 persone si riunivano in una posto e lavoravano insieme o per lapidare una donna che ha peccato di adulterio, oppure per lanciare qualche missile contro qualcun altro. Invece noi abbiamo riunito 200 persone afghane, le abbiamo fatte lavorare insieme per costruire un ospedale. La costruzione andava avanti, i muri venivano su, le sale operatorie erano quasi ultimate, si è cominciati ad assumere il personale. Personale medico e paramedico afghano evidentemente deve avere delle conoscenze specifiche: bisogna curare le capacità, le responsabilità, l’esperienza in campo medico ovviamente. Ma per il personale addetto ai servizi questi criteri non erano necessari: allora ci servono 80 persone addette ai servizi medici e le abbiamo assunte. Ci servono un’altra ottantina di persone addette ai servizi, addette alle pulizie, alla lavanderia, alla stireria, alla cura del giardino, alla preparazione dei pasti. Va bene cominciamo ad assumere: che criteri usiamo allora. Vediamo dove vogliamo puntare per dare una possibilità, una speranza di vita. Perché noi non vogliamo solo ricucire le ferite, quello….passatemi il termine, non siamo delle creature ultraterrene, però ricucire le ferite dà la vita. Okay però noi non vogliamo solo dare la vita, vogliamo dare una speranza di vita. Allora su chi vogliamo puntare. Puntiamo sulle donne innanzitutto. Allora precedenza all’handicappato, mutilati di guerra, feriti o chi accusa varie patologie incurabili ad esempio.

E poi diamo spazio alle donne, alle donne vedove, alle donne con molti figli a carico. In Afganisthan c’è una guerra da 22 anni. Io penso che la maggioranza delle donne sia vedova. Quanti morti non lo so, però tanti morti tante vedove e soprattutto poi quelle con molti figli a carico perché una donna deve crescere 5 bambini non ha il marito, non può lavorare. Speranza di vita zero. Ok allora le assumiamo. Anzi proviamo ad andare oltre: proviamo a fondare una cooperativa di donne che lavorano, prima per l’ospedale magari, poi chissà. Perché effettivamente per l’ospedale c’è daffare: bisogna tessere pigiami, tende, camici, lenzuola, materassi, c’è da fare tanto. Fondiamo questa cooperativa di donne. Prima lavorano per l’ospedale e poi magari chissà qualche commissione esterna, non si sa. Forse come molti di voi sanno il sogno è durato poco: dal 25 aprile di quest’anno, giorno di inaugurazione dell’ ospedale a tutto il 16 maggio. Il 17 maggio di quest’anno una pattuglia di polizia dipendente del Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio ha fatto irruzione nell’ospedale ha scavalcato le mura di cinta, ha strappato dei rami dagli alberi, ha frustato alcuni addetti di Emergency afghani, ne ha arrestati tre e rilasciati dopo un mese. Non hanno chiuso l’ospedale, badate bene.<-Continuate pure hanno detto-> Motivazione sarebbe stata quella per cui al momento dell’irruzione alcune donne stavano mangiando insieme nella stessa stanza con degli uomini. Ovviamente non è vero. Allora, cosa abbiamo fatto? Emergency ha deciso non di chiudere l’ospedale, ma di sospendere l’attività clinica. In questo ci sono sessantacinque persone, parte dello staff di Emergency afghano all’interno dell’ospedale che stanno mantenendo le strutture in condizioni igieniche e di manutenzione tali da poter riprendere l’attività clinica appena i talebani possono garantire misure di sicurezza per il personale e per i pazienti. Al momento i talebani si sono dichiarati non in grado di fornire queste condizioni di sicurezza. Emergency ha fatto sapere alle autorità talebane che è disposta in qualsiasi momento ad inviare un team di chirurghi italiani e riaprire l’ospedale. Per il momento questo non è possibile. Ho finito grazie."

Alcuni siti:

Di Gino Strada:

<http://www.emergency.it/pappagalli_verdi/recensione.shtml>

http://www.feltrinelli.it/schede/88-07-81606-7.html

<http://www.repubblica.it/online/mondo/ong/intervista/intervista.html>

del sito ufficiale dell’organizzazione:

<http://www.emergency.it/>

<http://www.emergency.it/help.shtml>

<http://afganews.emergency.it/emergency/rassegna>