Guerre "giuste" e menzogne imperiali

                                                                                                                 

Dopo l’inquietante e "misterioso" attentato  perpetrato ai danni degli Usa, menzogne istituite e alibi imperiali, debitamente surriscaldati dal  fast  food culturale, stanno propagando fuorvianti semplificazioni. Prendendo atto  che la verità  è condannata a una missione  impossibile e considerando  che si è creato uno iato tra  "le parole e le cose", conviene  fare un tentativo per districare il bandolo della matassa. Analizzando la cartografia imperiale, si rileva  che, dopo la  seconda guerra mondiale e dopo la guerra fredda, si è instaurata una forma di  "giustizialismo umanitario", che assolve la funzione di gestire le minacce interne ed internazionali. In realtà, s’impone uno stato di guerra permanente, che è in rapporto simbiotico con il contesto geopolitico e con  il "regime di controllo". Da qui  l’imperversare di una sorta di terrorismo  legalizzato, che pervade  la società, penalizzando il nemico, l’immigrato e tutti gli "eretici del sistema". Il virus  dell’ideologia  globalista è tanto onnipervasivo che investe anche la valenza semantica  delle  parole, sicché, nel caos della barbarie linguistica, la terminologia perde di significato,  vuoi  sul piano della grammatica logica, vuoi  sul piano della prospettiva storica. Dilagano così ossimori trionfali, come  "le guerre umanitarie" o le operazioni  di giustizia infinita. Al di là dello strumentario retorico dei  padroni della terra e dei signori della guerra, si evince che il contesto biopolitico è di guerra, infatti, quest’ultima è diventata mezzo ordinario della politica. In questo scenario, se è valido per certi versi l’assunto di Clausewitz , "la  guerra è la continuazione della politica con altri mezzi", è altresì vero che questo principio, oggi, non è applicabile in  senso lato. Difatti, "le guerre post-nazionali, per usare un’espressione di  U. Beck, non sono più vincolate agli stati, non sono convenzionali, si svolgono in uno spazio bellico trans-nazionale e si esplicitano  anche con la politica delle sanzioni e degli embarghi. Inoltre, si registra l’eversione del diritto internazionale e, nel contempo, il riemergere della figura originariamente teologica della "guerra giusta". Da qui l’assunzione di un opinabile manicheismo, che consente di stigmatizzare e punire gli  infedeli dell’Impero, perpetrando ai danni dei popoli genocidi e massacri. Questo " Nuovo ordine", permette le spedizioni punitive contro il "Nemico", che di volta in volta risponde ai nomi di S.Hussein, Milosevic,  Bin Laden. Va precisato che a proposito dell’attuale guerra, non si possono adottare le chiavi di lettura di Samuel Huntington, che, dopo la caduta del Muro, aveva preannunciato uno scontro di civiltà. Difatti, questa guerra, come tutte le guerre post-guerra fredda, s’inscrive nel contesto biopolitico del neoliberismo. Ciò è suffragato dal fatto che, pur esistendo un’istanza religiosa, l’elite islamista, come rileva Toni Negri, non discute l’ordine neoliberale, ma si limita a contestare "il monopolio di potere esercitato dai monarchi del petrolio". Sicché, le elite islamiste e i talebani non hanno agito unicamente nell’interesse dei  diseredati, ma per motivi egemonici e per il possesso del petrolio. In questo quadro, il razionalismo etico e la retorica   umanitaria  perdono di valenza e s’impone  la nuda verità, ossia che il capitalismo universale, con il suo fondamentalismo, è dappertutto e si riproduce nell’ordine globale. In realtà, con la guerra del Golfo, si è aperta una nuova fase storica, che vede il connubio tra potere economico, politico e militare. Pertanto, al di là delle retoriche neoliberiste, si  evince che poteri globali e organismi sovranazionali hanno ridotto l’Onu ad una  smorfia e trasformato la  Nato nel braccio armato degli interessi geopolitici dell’Occidente. Danilo Zolo ha osservato che il tema centrale delle guerre giuste: "È quello del controllo dei cosiddetti "corridoi" che, da Oriente a Occidente, collegano il mar  Caspio e il Caucaso al Mediterraneo, ai Balcani e all’Europa meridionale, e che europei e statunitensi, considerano di importanza vitale per far affluire le riserve  petrolifere verso i paesi industrializzati." Intanto, mentre i miserabili del pianeta sono in costante aumento, si  legittimano   il terrorismo giusto, il giustizialismo punitivo, il fondamentalismo dell’ideologia "globalista", che poi  sono  il lievito della  guerra  costituente. Dalle  osservazioni  fatte  si rileva,  dunque,  che , in  nome    della  lex  mercatoria  dell’Impero  delle  multinazionali, si  nega l’autodeterminazione  dei  popoli ,si azzera ogni   istanza di multiculturalismo , si legittimano  miseria  e  devastazione, si diffondono torbidi sentimenti  reazionari.  Ciò significa  che  "L’Impero  del  Male" non ha  più  un territorio specifico,  perché  è  dappertutto  e  si  riproduce, con   meccanismi   perversi,  nel  Nuovo  ordine   globale. A  questo  punto, "per  tagliare la testa al  re",  occorre mettere  in  luce  che   la  tragedia  americana   s’inscrive   nel   sistema di  dominazione globale  che,  come  un   demiurgo    plasma  il   pianeta   sub  specie  pecuniae. Pur  evitando  di  ricorrere   a  retrive   dietrologie,  conviene  rilevare   che   l’attentato  va   contestualizzato  in  un   quadro  di   recessione. Ciò è  suffragato dal  black-out  delle  compagnie  elettriche della California e  dalla   crisi    delle  aziende  di  telecomunicazione.  Sicché,   è legittimo   sostenere    che   il  cordoglio  per   le  vittime  non  è   stato   per  tutti   dello  stesso  grado   d’intensità.  Difatti, per  le  multinazionali     dell’industria  della  sicurezza,  per  quelle    degli  armamenti,  per  le  aziende   elettroniche,  il  dolore    è   stato  esorcizzato   per  via  dell’intervento  "divino" del  Dio- profitto. Per  quanto  concerne   la  spedizione   punitiva   contro  il "Mostro", è  opportuno   aggiungere  che  non   esistono  prove  attendibili    della   sua   responsabilità.  Vero è  che  Usa  e  alleati,  oltre   ad   essere   depositari   dell’arte  divinatoria,  posseggono  anche    l’arte  "mistificatoria", pertanto   nulla   vieta   che   le  prove   si  possano    costruire. Ma, dal  "paese  delle   meraviglie"  passiamo   al   Bel-paese,  ossia   l’Italietta,  dove   i   fascisti   di  governo,  guidati  dal   piazzista   Berlusconi,   stanno   strumentalizzando   l’attentato,  per   penalizzare   i  movimenti  No-global,   con  l’infamante  accusa  di  terrorismo. Su  quest’ultimo  è  opportuno  soffermarsi  , perché  l’allarme-terrorismo   imperversa  e  ciò  consente  non  solo   fuorvianti   semplificazioni, ma anche  di  stringere  la   vite  della  repressione   e di  incrementare  il   regime  di  controllo.  Pertanto, onde  evitare che  il  dissenso  sia  condannato  al silenzio,  sono  doverose   alcune  precisazioni . In realtà, la  parola  "terrorismo" è  polimorfa,  si  cela  dietro  mille  forme e  si  trasforma  nel  tempo. Ciò  significa  che  , quando si  parla  di  violenza, di terrorismo,sono  indispensabili chiavi  di lettura variegate,  perché c’è  più   di  una  violenza. Vero  è  che  i  termini   comunemente  impiegati      sono  equivoci: violenza,  terrorismo, rivolta, sommossa. Occorrono, dunque,  alcune distinzioni. Esiste  una violenza  strumentale, premeditata, che  può  proporsi  di  cambiare  la  società,  o di impedire il  cambiamento.  In   altre parole , esistono due tipi di violenza: una rivoluzionaria e una violenza reazionaria  . Quest’ultima è stata  l’essenza   del  fascismo che ha usato  il  terrorismo  per  negare  le  norme  costituzionali .Per quanto  concerne la  violenza  rivoluzionaria,  giova rilevare    che  i rivoluzionari  autentici  non  predicano la violenza e, d’altra  parte  , Marx  dava  la  preferenza   alla  rivoluzione  non  violenta.  Fatte  queste  osservazioni, è necessario  evidenziare   che  il  termine "terrorismo" ha  assunto   una  valenza  negativa  per  via  del  fatto  non  trascurabile  che  la  storia  è  stata  scritta  dai  vincitori. Inoltre, per suffragare  che il termine è stato mistificato, basti pensare che i nazisti definirono terroristi i partigiani. Pertanto, prendendo atto che il terrorismo e la guerriglia sono stati parte integrante della  lotta  partigiana, è opportuno valicare un’ottica distorta, dal momento che, se alcuni popoli sono  vittime della repressione e privati del diritto di autodeterminazione, il terrorismo non solo è  giustificabile  ma necessario.  Onde  evitare  fraintendimenti, non  intendo  avallare  il  deprecabile  attentato  perpetrato  ai  danni   degli Usa,  anche  perché, nel contesto attuale, tutti  i  popoli sono vittime innocenti delle aberranti macchinazioni dei poteri globali. Le osservazioni    fatte   perseguono   l’obiettivo     di  evidenziare  che  l’assunzione  di  alcune  categorie   potrebbe   sortire   effetti   tanto   eclatanti,  da  giungere   al   paradosso   di  definire   Garibaldi un  terrorista   e Ocalan un criminale. Assodato   che  "il   mondo   in  cui  si   pensa   non   è   il   mondo  in   cui    si   vive",  vorrei focalizzare   l’attenzione   sul   rapporto  "Mostri- Occidente". Ricorrendo   alla  verità   effettuale,  emerge    che  S. Hussein  è  stato  finanziato   dalla  CIA   per    neutralizzare   l’influenza   iraniana,  che  Bin  Laden  è  stato  formato  sempre  dalla   CIA,  per   combattere  ,con  modalità  terroristiche, il regime  sovietico.    Inoltre , i  talebani  sono  stati   finanziati   dall’Onu,  per  sottrarre   alla  Russia   il   controllo   sui  principali  gasdotti   provenienti  dalla   ex   Unione  sovietica .  A   questo   punto   ,  nell’intento    di   far   luce   nella   rete  di  menzogne   ,  occorre   smascherare   la   retorica  da   cow-boy   di   Bush, che ha adottato la teoria   del   capro   espiatorio .  Difatti,  l’unico  "nemico"  non    può   essere   Bin Laden,   dal   momento   che  esiste  un   ampio   conglomerato   transnazionale  di   gruppi   terroristici.   E’  evidente,  dunque,   che   s’impone   una   regia    diabolica   che    stabilisce  le  regole   del   gioco  planetario,  in   nome    della  dura    lex    mercatoria e  di   tutti   gli  interessi  geopolitici. Ma, a  questo   punto    emerge  un  dato , ossia che  il   mondo   della   rappresentazione  non   corrisponde  alla  realtà .   Infatti,   se  esiste  una   violenza   fulminea   e   deprecabile ,  è   altresì  vero   che   esiste  una   violenza   istituzionalizzata, legalizzata, che si traduce in una  forma  di   terrorismo   legittimato .  Da  qui  " il   potere   repressivo  costituente",  come  lo  definisce  Isidoro  Mortellaro ,  ed  una  sorta  di   dispotismo  capriccioso ,che  si  avvale   dell’immacolata  coercizione. In questo scenario ,  "l’umanitarismo   armato",  lungi  dall’essere  etico ,  persegue   la  colonizzazione  planetaria ,  per  l’accaparramento  delle  fonti  energetiche  e  per  interessi  egemonici-strategici. La  nuova  arte  bellica   ,dunque,  come  vuole  Alessandro  Dal  Lago, vede "la  guerra  come  la   continuazione  dell’azione  di  polizia  con  altri  mezzi " .   Pur  stigmatizzando   ogni  forma  di  dietrologia ,vale  la  pena  rilevare  che, se alla base di tutti i processi esiste la mano invisibile del neoliberismo, è altresì vero che s’impone "il  protagonismo egemonico" degli Usa, come hanno osservato  R. Hass e S. Huntington. Questa indiscussa preminenza si registra in tutti i settori funzionali, economico, militare, diplomatico ,culturale . Pur  constatando  che esiste  l’egemonia –Usa , non  si  possono usare ,però,    griglie  interpretative  obsolete  , infatti , il  mondo  non  è  unipolare , né  si  può  parlare  di  imperialismo americano  . Continuando  l’indagine  sulla  Grande  Mela  e  considerando  il  ricorrente   leit-motiv,  "siamo  tutti  americani " ,vorrei  fare   alcune  precisazioni. Fuori  dai cori e dalle deliranti glorificazioni, giova rievocare, sia pure per sommi capi, l’esaltante storia "della grande democrazia. In realtà, gli Usa, da  più di  duecento anni perpetrano ai danni dei popoli genocidi e repressioni. Basti pensare agli indiani, all’America Latina, all’Indonesia, al Vietnam, al Cile, all’Argentina, a Timor . Inoltre,  gli Usa, sempre in nome dei diritti umani, applicano la pena di morte in modo  sistematico, non risparmiando minori e malati mentali. Per quanto concerne il razzismo, è sufficiente   menzionare Malcolm x e M..L. King. Non mancano, poi, una devastante stratificazione sociale, la povertà, l’esclusione, i ghetti. Pertanto, negando i toni enfatici che esaltano il  modello statunitense e rimuovendo le ovazioni per la guerra giusta, tengo a precisare che "non sono americana", ma sento di essere palestinese, curda, irachena, perché non esistono  vittime di serie A e vittime di serie B, né vittime visibili e vittime invisibili. Che fare, dunque, in un contesto così concepito? Progettare un altro mondo, in cui i diritti umani, una  democrazia sostanziale, un’eguaglianza reale, abbiano pieno diritto di cittadinanza. Ciò significa  operare un salto di paradigma per approdare ad una rivoluzione culturale, che, nel suo momento genetico implichi una stretta connessione tra giustizia sociale e pace. Seguire questo iter deve  essere un imperativo categorico, se si vuole espellere la nefasta ideologia del turbocapitalismo e  costituire un autentico diritto cosmopolitico.

Wanda Piccinonno