Una serata con Macchine Teatrali
Di Silvio Cinque


È sempre un gran piacere per me tornare al Tufello, dove gli anni di liceo mi hanno trascorso tra circoli culturali, sedi di partito e di movimento, prati che sembravano intoccabili e messi lì per la nostra giovine gioia di ragazzi in amore e politica. Difficile allontanarsene.
Così l’occasione di tornare al circolo culturale di Via Capraia 81 è un ottimo motivo. Questa sera l’antico storico circolo ha ospitato, ma non è la prima volta, Macchine Teatrali che hanno presentato lo spettacolo: Una piazza d’Italia,  molto liberamente tratto dal libro di Tabucchi, interamente rielaborato e ripensato da Item Maestri, con Edoardo Ribatto e Simona Vitale.
Una piazza d’Italia è la storia di una Storia che non c’è. In tempi di revisione storica e di rifacimenti ed adattamenti per nuovi profili, in un tentativo di negare la Storia, come se questo la storia non l’avesse gia visto e previsto, questa piazza  è un lungo sguardo complesso e composto dove si intrecciano, si intersecano, si incontrano e si riconoscono avvenimenti, persone episodi che hanno tutti uno stessa sostanza. Come gli ingredienti composti e diversi mescolati insieme fanno un cibo nutriente, ricco di sfumature e di sapori, di echi retrogustativi e perciò evocativi, così questa piazza mescola ed amalgama, scioglie ed integra, ricompone in un unico cibo, la Storia, persone, fatti, avvenimenti. Non appaia però in questo una presunzione crociana metafisica e trascendente (!) malgrado la presenza muta delle Muse di De Chirico. Perché queste Muse appaiono, vivono, soffrono, interagiscono con la forza profondamente espressiva della passione recitante di Edoardo Ribatto e la presenza inquietante, mascherata e sfingica, di Simona Vitale a rappresentare, oltre le apparenze, le mode ed i modi della cronaca e del quotidiano, non solo il filo, il cordone che intreccia queste vite e queste storie apparentemente lontane ed estranee tra le pieghe del tempo, ma la natura ed il significato, la forza ed il motore della storia stessa. Che si tratti di paesi del Carrarese, della presa
di porta Pia, della morte di Carlo Giuliani a piazza Alimonia o della crudeltà del nazismo, sono i protagonisti che uniscono e danno significato. Protagonisti non protagonizzati, perdenti, esclusi, coloni o cafoni per dirla alla Silone che fanno la Storia, sono la Storia ma essendo antagonisti e perdenti, esclusi e condannati, ne sono al di fuori. Lo scenario, la Piazza appunto, in cui si presenta la Storia è così assurdamente fuori dal tempo, altra prerogativa da cui i perdenti sono esclusi, in una sorta di ambientazione priva di contorni e di caratteristiche. Ciò che dà spessore caratteristica colore a questo scenario sono uomini e donne che con le loro scelte, ufficialmente perdenti, combattono una Vita che non li/le vuole vivere. Ciò che dà vita a queste scelte è inevitabilmente una sorta di linguaggio poetico che nella sua tragica disperazione, perché sempre ineluttabilmente succube di ingiustizia, di vita e di morte ingiusta, percorre leggero, quasi distratto le azioni e le scelte e le colloca dando voce alla…Storia. È perciò grazie a questa voce che la storia si ritrova senza tempo riconoscendo nei corpi e nella lotta dei corpi la propria dignità. Si arriva così alla scelta che porterà alla nascita di Andrea (un nome da città), alle cipolle di Carlo, al piede di Garibaldo, al rito della crusca, alle streghe ed ai coloni, fino alla città di Radio Alice, l’unica al mondo,
ahimè,  ad avere due torri. Piazze dunque, come un grande acquario, ma è certamente meglio il mare se si potesse vedere d’un colpo d’occhio solo, nel quale si muovono creature vissute in epoche diverse, diverse per dimensioni, funzioni, ma tutte accomunate da quest’acqua senza la quale non cresce niente, neanche la rabbia, la disperazione e l’orgoglio di esserci malgrado tutto.
Un teatro, per assurdo, da percepire e vedere al buio, magari alla radio, magari Alice, con impostazione di musiche e rumori sapientemente miscelati da Rocco Giordano.
Macchine Teatrali e cioè Laura e Marco e tutto un gruppo di collaboratori e collaboratrici,  da tempo tenta una strada difficile che è quella di dare spazio proprio a queste storie. Il teatro perde il suo aspetto ufficiale, legale, il suo apparato canonizzato, per diventare normale, possibile senza eludere le regole della ricerca e della buona impostazione recitativa. Un teatro che dalla cronaca va direttamente alla Storia che è fatta di pensiero e confronto e scelte spesso controCampo. Per cui si rappresentano Baroni allucinati e anomali in una Puglia  feudale e integralista, Omossessuali nella maschilissima Sicilia, Protagonisti curiosi e teneri, vittime non di sé stessi ma della brutalità dell’apparato repressivo ed omicida di piazza Alimonia, Bassette innamorate di Radio magari clandestine e operatori cinematografici conoscitori fortuiti e fortunosi di poche parole tedesche. Un teatro che certo non piace ai potenti, ai sapienti ed ai borghesi perché non li rappresenta, non li riconosce, non ne omaggia  servilmente il potere, perché non parla di loro, ma di altro da loro, confondendoli, disorientandoli e perciò, accusandoli. Un teatro che ha bisogno tuttavia di mecenati curiosi, amministratori sensibili e perché no? coraggiosi ed anomali, un po’ donchisciotteschi, come i suoi personaggi.