Le profonde ferite di Genova
si curano con la nonviolenza


di Mao Valpiana

Non voglio dire nulla dei G8, che hanno concluso il vertice con un niente
di fatto. Non voglio dire nulla del "blocco nero", composto da
professionisti della guerriglia urbana. Non voglio dire nulla della
polizia, delle sue provocazioni, della sua violenza.
Mi interessa, invece, parlare di noi e delle prospettive del movimento di
critica alla globalizzazione.
Dopo Seattle, dopo Goteborg, dopo Genova, se il movimento vuole avere un
futuro, deve affrontare con chiarezza la questione della nonviolenza. Non
solo come parola magica da inserire nelle dichiarazioni di principio, ma
come fine e mezzo del proprio agire. Qual era il fine? Impedire ai G8 di
riunirsi, o trovare soluzioni per un'economia di giustizia? Le tecniche
della nonviolenza non possono essere ridotte a training per parare i colpi
della polizia, né basta alzare le mani bianche in alto per fare un'azione
nonviolenta. Oggi bisogna ripensare completamente i metodi ormai inadeguati
come i mega cortei indistinti che sono stati utilizzati dai teppisti quali
paravento per  le loro scorribande. Dopo Goteborg era evidente (l'abbiamo
detto e scritto) che la manifestazione di massa a Genova non andava fatta,
che sarebbe stata una trappola. Abbiamo suggerito (ed organizzato)
centinaia di iniziative locali, in tutta Italia, cortei silenziosi in fila
indiana (per rappresentare chi non ha voce e per essere visibili con la
propria identità): un modo per evitare la globalizzazione del movimento
antiglobalizzazione… Ma non siamo stati ascoltati.. All'interno del Genoa
Social Forum (GSF) è prevalsa la logica "di massa": tutti uniti sotto la
bandiera del no-global (anarchici, comunisti, cattolici, scout, pacifisti,
ambientalisti, cobas, tute bianche, missionari, antimperialisti, socialisti
rivoluzionari, partiti e sindacati…), pronti ad offrire una prova di forza.
Invece a Genova è stato un massacro, in senso fisico e politico. Tutto
prevedibile e previsto.
Troppo facile ora dire che mille delinquenti organizzati hanno impedito a
centomila persone pacifiche di manifestare e che la polizia ha fatto il resto.
Non basta dissociarsi dalla guerriglia del Black Block; non basta
denunciare le violenze delle forze dell'ordine.
Quel che è accaduto a Genova ha radici profonde e mette in evidenza limiti,
approssimazioni, ambiguità di un movimento troppo variegato, che ha
allargato indistintamente i propri confini.
Per mesi il GSF ha tollerato ed accettato l'obiettivo delle tute bianche:
"invadere la zona rossa". Il subcomandante dei centri sociali, promosso sul
campo a vice portavoce del GSF, ha farneticato per settimane di "guerra ai
G8", ha dichiarato che "l'illegalità diffusa è alla base del cambiamento",
ha definito i poliziotti "soldati dell'impero". Il GSF anziché sconfessare
le tute bianche ed escluderle dal movimento, ha concesso loro il
riconoscimento politico e le ha accettate come parte integrante e
prioritaria. Il portavoce dei centri sociali ha conquistato la scena, si è
messo sotto i riflettori e davanti alle telecamere: obiettivo raggiunto. Da
quel giorno il capo delle tute bianche ha indossato la maschera da buono,
dichiarando che loro sarebbero andati ad invadere la zona rossa "solo con i
corpi, con gli scudi ma senza bastoni" e avrebbero deposto anche le divise.
Un consumato politico. Ma chi semina vento raccoglie tempesta. Carlo
Giuliani, il 23enne morto, ha preso sul serio le parole di sfida e di odio,
ha creduto alla guerra contro i G8 e con un estintore voleva colpire un
soldato dell'impero. Le parole sono pietre! Tollerare politicamente chi ha
enfatizzato gli animi con proclami e addestramenti al corpo a corpo, è
stato un errore clamoroso da parte del GSF. Come è stato un errore
mantenere il corteo del 21 luglio dopo la tragedia annunciata del ragazzo
morto.
Quando Gandhi assistette a violenze scatenate dall'interno del suo
movimento, sospese ogni campagna in atto. La nonviolenza è una cosa seria,
che non si improvvisa. E' da irresponsabili convocare migliaia di persone
ad una manifestazione politica delicata, senza avere la capacità e gli
strumenti per gestirla.
Genova lascia una ferita aperta, che non si può richiudere addossando tutta
la colpa alla polizia, né si può esorcizzarla dichiarando "vittoria" perché
il G8 è stato ridimensionato, come ha fatto avventatamente il portavoce del
GSF. I problemi del movimento sono ben  più profondi e tali resteranno
finchè non si affronterà seriamente il nodo della nonviolenza. A partire
dai contenuti, ancora troppo vaghi e generici per un movimento che si
prefigge addirittura lo stravolgimento dei rapporti economici mondiali.
Ci vuole ora una pausa di riflessione, una purificazione. Ci vuole un lungo
lavoro per creare omogeneità di intenti e di linguaggio, di strategia e di
tattica. Un movimento non può fare scorciatoie. Deve crescere lentamente,
nella chiarezza. Diversamente si combinano solo guai.
E ancora una volta la nonviolenza è questione centrale.