Per fortuna (mia) l'episodio da raccontarvi non è particolarmente grave, ma direi 'interessante'. Sabato 21 ero a Genova; nel primo pomeriggio ero vicino al piazzale Kennedy quando sono scoppiati i primi scontri con la polizia. Ero insieme a quelle centinaia di persone che, per scappare alle cariche, sono scese verso il mare. Dopo aver aspettato un bel po' di tempo che la situazione si tranquillizzasse, ho deciso, assieme ad altri tre amici, di tentare di ritornare sulla strada percorsa durante la manifestazione (mi pare si chiami Corso Italia). Ci siamo avvicinati, eravamo sotto il livello della strada e dall'alto, dal corso, un gruppo di poliziotti ci ha fatto segno di salire la rampa di scale che permettevano l'accesso al corso. A mani alzate abbiamo fatto quella rampa di scale passando molto vicini ai poliziotti (a meno di due metri) i quali ci hanno sputato addosso. G.M.

 

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Giornate strane queste. Paura, rabbia, dolore, sconcerto. Venerdì 20 eravamo a Genova, io ed altri compagni della provincia di Pisa. Siamo partiti in corteo dal Carlini... le cariche che abbiamo subito sono state violente. cose mai viste. Ma la cosa più agghiacciante è ciò che ci è successo in un bar...sempre venerdì pomeriggio. Irruzione improvvisa di 8 poliziotti armati fino ai denti dentro il bar. Hanno iniziato a picchiare tutti...con una ferocia disumana. Hanno trascinato fuori anche un nostro compagno che stava bevendo ... ed un'altra ragazza che non conoscevamo. LI HANNO MASSACRATI. La ragazza è stata arrestata dopo essere stata picchiata selvaggiamente. Il compagno che era con noi...è riuscito a scappare mentre gli mettevano le fascette. Ha un occhio nero, manganellate sulla schiena..gli sbattevano la testa contro la saracinesca del bar.... Noi tutti che eravamo rimasti dentro il bar abbiamo assistito a tutto ciò senza poter far nulla. uno strazio. Ci hanno spruzzato gas irritante negli occhi. erano eccitatissimi, continuavano ad urlarci di uscire...ma fuori c'era la guerra...sentivamo i compagni gridare 'siamo pacifisti!!'. Ma non serviva a nulla. la loro furia era incontrollabile. Siamo rimasti nel retro del bar, con gli occhi che bruciavano...(non vedevamo nulla) e con il terrore addosso. Davanti a noi un poliziotto che continuava a imprecarci contro. Voleva che uscissimo. Il signore del bar era più sconvolto di noi. Diceva in continuazione ' ma non hanno fatto nulla !!!' ' Andate fuori, per piacere'... parole inutili. Ci bagnavamo la faccia di continuo...per cercare di calmare il bruciore. Poi finalmente se n'è andato. Il gestore del bar ha subito chiuso tutto...e noi siamo rimasti nel bar x circa 30 minuti. LETTERALMENTE SCONVOLTI. Appena siamo usciti ci siamo diretti a corsa verso il campo. C. era già arrivato. Ci siamo abbracciati. Silenzio nelle tende. Facce distrutte dalla paura e dal dolore. Non ho altro da aggiungere. C.

 

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GENOVA , 20 luglio 2001 Vi racconto ciò che ho visto (e sentito) di persona. Partiamo da Milano alle 7 con un treno speciale; arriviamo a Genova attorno alle 12.30, saliamo tranquillamente sugli autobus che ci attendono per portarci a Piazza Kennedy ; allo Stadio Carlini, gli autobus ci fanno scendere: dallo stadio sta uscendo il corteo dei centri sociali, con migliaia di ragazzi imbottiti con giubbotti salvagente, bottiglie di plastica, gommapiuma; il corteo è molto tranquillo e festoso, non si vedono strumenti di offesa .Superiamo il corteo che si sta formando per dirigerci rapidamente a piedi verso piazzale Kennedy, ma corso Gastaldi è sbarrato da un servizio d'ordine (credo di militanti genovesi di Rifondazione) che blocca il corteo in quanto appena più giù stanno avvenendo atti di vandalismo; ci dicono che anche a piazzale Kennedy ci sono altri disordini e ci consigliano di cambiare direzione a questo punto il gruppo milanese è già sparpagliato; con alcuni amici, seguendo un gruppetto della rete Lilliput, pensiamo di dirigerci direttamente verso la nostra 'piazza tematica', piazza Manin, in quanto ci sembra la più pacifica e lontana dalla zona rossa ; seguiamo le strade parallele a Corso Gastaldi e ad ogni incrocio possiamo vedere ciò che accade: qualche decina di tute nere stanno devastando vetrine e bruciando cassonetti; nelle strade laterali che stiamo percorrendo, vediamo arrivare parecchie auto (italiane): arrivano veloci, parcheggiano nelle vicinanze del corso, ne scendono gruppi di ragazzi apparentemente 'normali' che si avviano rapidamente e con decisione verso il luogo dei vandalismi; eppure tra i vandali vediamo solo tute nere, per cui tute e armi sono evidentemente già in loco; ricordo (ma sono ricordi confusi), di aver visto alcuni tipi che decisamente 'stonavano' tra i manifestanti: teste rasate, tipo naziskin osserviamo a lungo questi fatti, mentre camminiamo verso il 'fiume' chiedendoci dove diavolo siano i 20.000 poliziotti: infatti non se ne vede uno; gruppetti di manifestanti appena arrivati come noi vagano sperduti e spaventati; dovunque i pochi genovesi rimasti ci indicano le strade più sicure, non troppo stupiti di quanto sta accadendo. Preoccupati e stanchi (abbiamo gli zaini con le tende), ci arrampichiamo fino a piazza Manin; qui ci sembra di rivivere: giovani, famiglie, banchetti del commercio equo, un complessino che suona; ci rilassiamo, seduti sulle aiuole a poco a poco - saranno state le 14 - gruppetti di anarchici arrivano nella piazza con le bandiere; molti dei presenti non ci fanno caso (non hanno visto quello che sta succedendo sotto), altri li osservano preoccupati, altri cercano di convincerli ad andarsene; qualche decina di black arriva alla spicciolata e si addensa sul lato di via Assarotti; ci chiediamo che fare, ma non sappiamo da che parte andare; i banchetti vengono rapidamente smontati, la gente si alza spaventata. Improvvisamente la piazza si riempie di fumo, tutti corrono sul lato più lontano dai black ma la polizia è improvvisamente comparsa e sta sbarrando la via di fuga: è il panico, ci troviamo tra due fuochi, la polizia schierata da un lato della piazza e i black sull'altro lato della piazza; quello che tutti cercano di fare è togliersi dalla traiettoria polizia-tute nere, nell'ingenua convinzione che queste ultime siano l'obiettivo dei poliziotti; io mi butto verso una scaletta che scende sull'altro lato della strada, ma appena sto per scendere la polizia lancia un lacrimogeno proprio lì; arretro tornando sulla strada, mi trovo tra un gruppo di persone terrorizzate che si appiattiscono contro il muro con le mani bianche alzate; polizia e black si fronteggiano, noi siamo spiaccicati su un lato proprio vicino alla polizia; agitiamo le mani, che sia chiaro chi siamo; i miei amici sono rimasti sull'altro lato e mi urlano 'non stare lì' ma è troppo tardi. Parte la carica; i poliziotti invece di avanzare verso le tute nere puntano dritti su di noi, bastonando le mani alzate; cado, mi riparo la testa con le braccia, conto più di 10 colpi, poi non li conto più; vedo gli scarponi dei poliziotti passare accanto a me e ognuno dà un colpo, forse di più; quando i piedi finiscono di passarmi davanti agli occhi, mi alzo barcollando; vicino a me alcune persone sanguinano dalla testa; i lacrimogeni ci soffocano; i poliziotti sono ancora lì, si sono fermati dopo averci picchiati, ci osservano con indifferenza; i black sono scomparsi, nessuno sembra averli inseguiti ho una mano rotta, non sento più le dita, vago per la piazza, temo un'altra carica, non so dove andare; dopo mezz'ora arriva un'ambulanza che carica solo i più gravi, a me dicono che ne arriverà un'altra; arrivano dei medici volontari a piedi, mi fanno una steccatura d'emergenza, mi dicono di non andare all'ospedale altrimenti mi arrestano; ma dove posso andare così conciata, senza mezzi di trasporto, con lo zaino? Arriva un fotoreporter che era presente e si è preso anche lui una randellata in testa; si offre di portarmi in moto all'ospedale; decido di correre il rischio della denuncia, non ho scelta; ovviamente tutti gli altri presenti, tranne quelli feriti in testa, scelgono di non andare all'ospedale percorriamo in moto corso Gastaldi devastato e fumante, arriviamo al San Martino, lui mostra il pass ed entriamo, evitando i poliziotti il pronto soccorso è pieno di medici e infermieri, tutti allertati e in attesa dei primi feriti: mi portano subito ai raggi; il corridoio pullula di poliziotti in barella, pochissimi i manifestanti; dopo quello che ho appena visto, non ci posso credere e interrogo i medici; si mettono tutti a ridere: “quelli appena li toccano vengono a fare i raggi, così hanno i giorni di permesso! a voi invece vi arrestano!”; vedono la mia faccia e mi rassicurano: “non preoccuparti, fidati”; vicino a me c'è un infermiere volontario con la faccia coperta di sangue, racconta di essere stato estratto dall'ambulanza e picchiato dalla polizia devono operarmi subito, la frattura è scomposta; in sala operatoria mi aspettano in 7-8; “siamo in stato d'allerta, ma finora non ci è arrivato nessuno”; l'operazione dura oltre mezz'ora e nel frattempo la polizia blocca l'entrata dell'ospedale; mi fanno fare uno strano giro e mi ritrovo nel reparto, completamente vuoto; ben tre medici vengono a trovarmi; il responsabile mi rassicura: ha ricevuto l'ordine di segnalare tutti i ricoverati ma non ha nessuna intenzione di farlo; non ci crede ancora neanche lui: “ma siamo diventati matti?” Racconto a tutti ciò che è accaduto, tutti vogliono sapere, mi dicono che anche gli altri ricoverati che man mano arrivano raccontano storie analoghe; medici e infermieri scherzano: “ma sei matta ad andare coi pacifisti? Se ti vestivi di nero non ti succedeva...”; i feriti aumentano, arriva la notizia della morte di Carlo, nessuno ha più voglia di scherzare il giorno successivo, i medici si accorgono che anche la mia spalla destra è malconcia, sembra rotta, mi fanno altre lastre, sempre accompagnata personalmente da un medico che non mi abbandona mai; la spalla non è rotta, è solo una forte contusione: “hanno picchiato sul serio”, dice il medico; vengono fuori altre contusioni ed escoriazioni, dovute al fatto che mi picchiavano mentre ero inginocchiata a terra. Sabato, dalla mia tranquilla camera di ospedale, guardo dalla vetrata la città fumante, tra il rumore degli elicotteri e delle sirene; con i medici vedo in tv la manifestazione enorme e pacifica; dura poco, vediamo in diretta ciò che tutti temevamo: l'irruzione delle tute nere ed il ripetersi del tragico copione del giorno prima; il mio compagno, i miei amici, mia madre settantenne sono lì, in quell'inferno l'ospedale è blindato, gira la notizia che i black vogliano assaltarlo; “non farti vedere in giro”, mi dicono i medici; alla sera, il reparto è pieno. E il peggio deve ancora venire. Domenica mattina, il mio compagno riesce finalmente a raggiungermi, andiamo in taxi fino a Bolzaneto (ma perché quest'ultima vessazione?) e di lì, cambiando due treni, torniamo a casa ne ho per 35 giorni; non posso lavorare né andare al mare, ma ovviamente questo è il meno: l'incubo che abbiamo iniziato tutti a vivere temo durerà molto di più di 35 giorni

 

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Cari amici, amiche invio a tutti questo messaggio per comunicarvi l'esperienza vissuta a Genova in occasione delle manifestazioni contro il G8. Io e S. siamo arrivati a Genova venerdì 19 mattina e dopo esserci trasferiti nella parte est della città per dirigerci nel piazzale Kennedy, abbiamo trovato una città immersa in una calma inquietante, gli sbarramenti erano ovunque non solo a delimitare la zona rossa ma a tappare varie strade anche con l'uso di container; gli unici automezzi che si vedevano in movimento erano delle forze dell'ordine in assetto di guerra (mezzi blindati, carri armati cingolati, mezzi anfibi, elicotteri che sorvolavano continuamente la città, e naturalmente una marea di auto di pronto intervento). Si incominciavano ad incontrare persone, italiani e stranieri accorsi per manifestare pacificamente, questi incontri rendevano meno preoccupante l'atmosfera, una persona di Genova ci ha guidato per le strade. Nei pressi della stazione Brignole i primi scontri con le forze dell'ordine, la strada bloccata. Il piazzale Kennedy,luogo di manifestazioni di protesta pacifica e festosa nei giorni precedenti (motivo per il quale noi ci siamo recati li), ci si presenta con poche centinaia di manifestanti e con tanta, tanta polizia in assetto antisommossa. Il caso ha voluto che ci siamo imbattuti all'interno della via Rimassa che diventa poi corso Torino, nel bel mezzo di una azione dei gruppi cosidetti black-block o tute nere, che nel giro di circa 15 minuti hanno devastato la via distruggendo banche, incendiando cassonetti, aggredendo un fotoreporter obbligandolo con la forza a consegnare il rullino; alla fine il gruppo che contava non più di un centinaio di persone, si nasconde e si disperde all'interno del piazzale occupato in quel momento dai manifestanti pacifici. La polizia e i carabinieri hanno assistito a tutto questo senza muovere un dito, hanno permesso la distruzione della via, poichè erano a poca distanza e sicuramente al corrente di quello che stava succedendo giusto dietro l'angolo. Per contro dopo molto tempo la reazione delle forze dell'ordine è stata quella di caricare i manifestanti pacifici con lacrimogeni e addirittura con un carro armato sfondando i cancelli del piazzale. Ora noi ci chiediamo perchè hanno aspettato tutto questo tempo per intervenire? Quanto fa comodo alla polizia che ci siano questi gruppi violenti che screditano il movimento? E ai mass-media? Per quanto riguarda le azioni dei black-block c'è da dire che è impressionante la loro rapidità ed efficacia dovute ad una evidente organizzazione gerarchica di tipo militare (partendo dagli 'sbandieratori' per arrivare ai 'generali' che organizzano le azioni distruttive). Nel frattempo la tensione si respira con il gusto acre dei lacrimogeni che la polizia non esita ad utilizzare, arrivano notizie da manifestanti che la situazione sta degenerando anche in altre zone della città, vengono attaccati i gruppi più pacifici, Lilliput, esponenti del mercato equo e solidale, cattolici, è chiaro ormai che le forze dell'ordine tendano a frammentare la manifestazione. Lasciamo il piazzale Kennedy per dirigerci verso piazza Dante dove si dice che la manifestazione sia festosa e allegra. La stada che percorriamo per raggiungere la piazza si presenta o invasa dalle forze dell'ordine o con il già noto scenario di quiete irreale. Attraversiamo il piazzale della questura dove notiamo la presenza di giovani all'interno delle auto, evidentemente fermati. La piazza è in effetti piena di gente che manifesta in modo assolutamente pacifico e festoso. Molte persone si presentavano colorate sul viso e sul corpo, altre suonavano la chitarra e moltissimi 'suonavano' le reti degli sbarramenti. Il portavoce del Genoa Social Forum Agnoletto accompagna i manifestanti verso la piazza Carignano, si crea quindi un corteo la cui coda viene improvvisamente e senza motivo apparente attaccata dalla polizia con i soliti lacrimogeni quando la piazza era ormai sgombra di manifestanti. Incomincia intanto a correre la voce che la polizia attacca violentemente piccoli gruppi di persone picchiando con i manganelli giovani, giovanissimi, donne, gli avvocati del forum e i sanitari a disposizione dei manifestanti. Ci viene consigliato quindi di non abbandonare il corteo e di rimanere compatti. Il corteo raggiunge senza problemi il piazzale Kennedy dove si discute degli avvenimenti della giornata, il clima è positivo si comunica bene in tutte le lingue, si mangia si beve insomma ci si rilassa ma inizia a correre la voce ormai ufficiale dell'assasinio a colpi di pistola di un manifestante da parte di un carabiniere. Si vedranno più tardi le foto e i filmati dell'avvenimento. Si dice che il carabiniere abbia agito per legittima difesa, ovviamente questa versione non ha molto fondamento, intanto perchè il ragazzo non era armato e poi perchè il carabiniere ha sparato a bruciapelo dalla distanza di circa un metro e ha sparato per uccidere mirando alla testa e infatti gli è bastato solo un colpo. La giornata di venerdì è finita per noi in casa di alcuni amici che ci hanno ospitato. La giornata di sabato inizia con la partenza del corteo da piazza Sturla, est della città. Fa molto caldo il cielo è limpido e soffia una leggera piacevole brezza. Si raggiunge il lungomare di viale Italia per raggiungere il consueto piazzale Kennedy, ma non ci si arriva, i disordini sono già iniziati da lontano si possono vedere i proiettili dei lacrimogeni, non si contano, il fumo nero delle auto date alle fiamme. Il corteo nonostante tutto continua e raggiunge il quartiere di Marassi in un clima abbastanza festoso, la gente distribuisce spontaneamente dai balconi delle loro case acqua, focaccia, panini, è molto bello quello che si vede. Si dice che nel corteo ci siano 200.000 persone, una cosa davvero grande. Ma alla coda del corteo c'è l'inferno. Guerriglia in varie vie limitrofe, feriti, ambulanze che vanno e vengono il cielo è invaso dal fumo, i segni dei disordini sono ormai ovunque, la polizia è impazzita attacca tutti. Incontriamo una donna di Bergamo sola e impaurita il suo gruppo è stato attaccato dalla polizia ha perso i suoi compagni non conosce la città, avrà 60 anni, verrà con noi a casa e verrà accompagnata da uno di noi al suo pullman per fortuna senza problemi. Le voci che si sentono in giro sono terribili, violenza dappertutto la situazione è ormai degenerata. Per noi il G8 finisce qui, verso le 22 raggiungiamo la nostra automobile a ovest della città e torniamo a casa. Le impressioni sono di avere vissuto due giorni che sembrano 20, due giorni da regime militare, due giorni in un paese governato da una dittatura, pensieri terribili. Arriviamo a casa verso l'una, stanchi e provati. Ma prima di andare a letto abbiamo istintivamente acceso la televisione e ci accorgiamo immediatamente che non è tutto finito anzi gli abusi di potere da parte delle forze dell'ordine sono culminati in una perquisizione non autorizzata e violenta degli spazi a disposizione del Global Social Forum. Ci siamo messi subito in contatto con i nostri amici a Genova. La polizia ha fatto irruzione all'interno dei locali distruggendo tutto, computer, documenti ecc. ma sopratutto picchiando le persone all'interno causando circa una ottantina di feriti e arrestando la maggio parte degli occupanti. Inoltre i feriti venivano scortati in ospedale dalla polizia e una volta dimessi portati in questura. La cosa gravissima è che durante questa azione agli avvocati, ai giornalisti, alle troupe televisive, a un parlamentare non è stato permesso di entrare per verificare la correttezza dell'azione, inoltre nessun responsabile della questura o del governo era rintracciabile. Alla fine l'interno dell'edificio appare ai cronisti in condizioni terribili, disordine, distruzione ma sopratutto sangue fresco dappertutto, conseguenza delle violenze. Poco dopo parla il capo ufficio stampa della questura di Genova, le sue dichiarazioni rasentano il ridicolo, parla di 10 feriti, del ritrovamento di armi (il famoso coltello svizzero normalmente acquistabile da tutti, bastoni di legno, di ferro, secondo lui bisogna prendersi le manganellate senza difendersi, e le famigerate divise dei black-block, alcune magliette nere e alcuni pantaloni neri, perchè a Genova chi disgraziatamente veste di nero nei giorni del G8 è automaticamente un black-block). E' evidente che si vuole criminalizzare il movimento, e tutto questo è fatto in perfetto stile dittatura. Inoltre l'unica rete televisiva che trasmetteva in diretta queste notizie era RAI3 nelle trasmissioni di RAISAT. Ora noi pensiamo, cosa ci si deve aspettare dal futuro nel nostro paese alla luce di questi fatti? In questi giorni a Genova la libertà della gente è finita quando è iniziata la libertà di otto persone, garantita da un esercito in stato di guerra. Io prego tutti voi di mandare questa testimonianza a più persone possibile e in più posti possibile, è molto importante che si sappiano queste cose perchè le versioni dei media sono contrastanti. Vi salutiamo e ci auguriamo di non vivere altre situazioni del genere, G. e S.

 

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Non potete immaginare, io stesso se non fossi stato li non avrei potuto credere a quello che è successo. Sono un fotografo amatoriale è venerdi mattina per caso a mezzogiorno mi sono trovato in via Torino tra le tute nere e la polizia, non c'era nessun altro manifestante, la polizia che ha sempre affermato di non riuscire a riconoscerli perchè si mischiano nella folla aveva la possibilità di prenderli tutti, c'erano solo le tute nere più una decina di persone come me che facevano foto e riprese televisive (facilmente riconoscibili perchè non eravamo vestiti di nero, a volto scoperto, con macchine fotografiche e telecamere). Ero convinto di rischiare tantissimo, di trovarmi in mezzo alla battaglia, pensavo di fare chissà quali foto ed invece le tute nere hanno distrutto tutta via Torino fino ad arrivare sul lungo mare per più di un'ora sotto agl'occhi della polizia che non ha mosso un dito. Fermi a guardare. Non capivo, poi quando i 'neri' sono scappati la polizia ha attaccato la gente dentro alla fiera che mangiava nell'unico punto di ristoro sparando lacrimogeni a grappolo dagli eliccoteri sui tendoni. Questo è stato solo l'inizio. Per due giorni le tute nere si sono mosse indisturbate eludendo chissà come ogni posto di blocco, impenetrabili per i manifestanti, per i giornalisti, per alcuni parlamentari ma non per loro. Per i manifestanti pacifici il trattamento era diverso:

- lacrimogeni sparati altezza uomo

- lacrimogeni a 'grappolo' sparati dagli elicotteri sulla folla

- manganellate a tutti

- chi si presentava in ospedale veniva portato via senza essere curato, poliziotti che giravano per gli ospedali gridando, insultando, tirando manganellate contro il muro, contro i letti, se non li fermavano i medici avrebbero picchiato la gente anche nei letti!

- chi girava di notte veniva portato via, ci si nascondeva sotto le macchine, tra i cassonetti dell'immondizia mentre sfrecciavano i furgoni che caricavano su tutti quelli che vedevano

- getti di acqua irritante sparata con gli idranti

- gente è arrivata in ospedale ancora nei sacchi a pelo, picchiata mentre dormiva

- donne in ginocchio a mani alzate che venivano pestate a sangue

- madri che scappavano con i bambini in braccio inseguite dai poliziotti

- dei pullman che tornavano a casa sabato sera sono stati bloccati, hanno fatto scendere tutti, hanno diviso ragazzi e ragazze, tutti in ginocchio e hanno ammazzato di botte i ragazzi

- non so quanta gente è in coma, alcuni forse resteranno paralizzati

- ci sparavano da tutte le parti, dal basso, dall'alto,da destra, da sinistra, nessuno faceva niente di male eppure siamo stati tutti massacrati.

Meno male che i genovesi ci hanno aiutato, ci tiravano da mangiare da bere (li era tutto blindato, non si trovava niente di aperto e girare da soli era come andare incontro alla morte, non so come ho fatto a salvarmi, solo per puro culo) e soprattutto ci aprivano i portoni quando scappavamo dalle cariche. Ogni volta che rivedo nella mia testa quello che ho visto mi viene la pelle d'oca. E non avete idea di cosa voglia dire tornare a Milano accendere la televisione e sentire i commenti dei telegiornali, di Berlusconi, di Scajola... ect ect... su come difendono la polizia. E' agghiacciante, quelli hanno fatto un massacro e loro li difendono, sulla nostra pelle. E' scandaloso come nessuna televisione faccia vedere come sono andate le cose a Genova. Per due giorno interi in ogni angolo della città poteva morire qualcuno, è un caso che non ci siano state decine di vittime. Io non sono un 'compagno' come qualcuno potrebbe credere, sono solo uno che vuole giustizia, libertà, democrazia, pace... A.

 

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Questo non è un sogno. E’ un racconto, vissuto dai e con, i miei occhi. E’ la storia di una festa, gioiosa, colorata, ma anche determinata e ferma, finita in tragedia. E tristezza. E’ la storia di una giovane vita spezzata, assassinata dalla protervia e dall’arroganza, dalla certezza dell’impunità. E’ la cronaca di un giorno di follia, cui ne seguiranno altri, che sarebbe giusto definire di follia se non fosse per la sua scientifica programmazione. Eravamo partiti di notte, mercoledì 19, intorno alle ventitré, alla volta di Genova, per essere puntuali il giorno dopo, alle otto, orario di appuntamento con gli altri di “Un Ponte per…” per preparare la nostra partecipazione alla manifestazione del 20 Luglio, indetta dai sindacati di base ma, soprattutto, per portare il nostro contributo nelle piazze tematiche, vero e proprio clou dell’ anti G8, dove saremo presenti con le nostre iniziative all’interno del variegatissimo mondo del movimento anti globalizzazione. Il vento ci sposta il pulmino, decisamente anche lui No Global, con la sua targa napoletana, la scarsa tenuta di strada, le ammaccature varie che ci fanno temere fermi e sequestri molto prima di Genova. Non si va più di ottanta all’ora. Quando sembra finire tutto, una sventagliata di acqua e vento ci investe e ci fa perdere un attimo il controllo. Ma che siano tutti tentativi per scoraggiarci? Restiamo calmi e andiamo avanti, Genova arriverà. E arriva, Genova, senza fermi, senza controlli tutto apparentemente normale. Ci spostiamo con gli altri che troviamo al centro sportivo Sciorba, per andare a Piazza Rossetti, davanti la Fiera. Li iniziamo il nostro lavoro. Distribuiremo datteri iracheni importati illegalmente per via dell’embargo che, in dieci anni, ha causato, anche se in tempi di globalizzazione sarebbe più corretto dire prodotto… quasi due milioni di morti. Laggiù, davvero il G8 se lo ritrovano tutti i giorni, a tavola quando manca il cibo, nelle farmacie quando mancano le medicine, fra le braccia di una madre e lo sguardo impotente di un padre, quando muore un loro figlio. Ed è proprio quello che dico distribuendo i nostri volantini “Fermiamo il massacro in Iraq”. Sembra fantascienza, oppure una presa in giro… Fermare un massacro mangiando datteri? Ebbene è proprio così ed è per questo, cominciamo a pensare, che c’è tanta polizia, tassativamente in assetto guerresco, che la città è deserta, che le serrande dei negozi ma pure delle finestre sono abbassate. Perché attraverso gesti semplici e quotidiani, ma dettati da scelte di fondo, che si mettono in crisi i grossi poteri economici delle multinazionali contro le quali, a parole, tutti sono contro, salvo legittimarle ogni volta che si sceglie anche solo un semplice prodotto alimentare.

Arriviamo in una zona dove la situazione è irreale, per comprare un giornale si fanno chilometri, per un bar manco a parlarne, tranne qualche temerario. Ma temerario, perché? Stanno per calare i barbari, o sono già arrivati da un pezzo? Il nostro pulmino è visibile, coi suoi datteri, i ventagli, le magliette con la scritta “Contrabbandiere Etico”, i manifesti che annunciano le prossime iniziative contro l’embargo. Siamo pronti. Partiamo, in prima, piano piano, alla volta della prima delle piazzette tematiche che intendiamo raggiungere. Cominciamo da Piazza Carignano, vicino a Piazza Dante. C’è già molta gente, iniziamo la distribuzione, qualcuno lascia sottoscrizioni, non ci avevamo pensato e così un cesto lo attrezziamo per i soldi e si riempie subito. Chi mille, chi diecimila, ognuno per quello che può, se può, altrimenti è lo stesso. La solidarietà la si coglie negli sguardi curiosi di chi chiede, di chi si informa, nella telecamera di uno dei registi impegnati nel girare il film sul movimento anti G8. Inizia il corteo verso la famigerata zona rossa, e ci accodiamo per fermarci un poco prima, anche perché un attivista di Attac, movimento non violento francese ma con tante sedi anche in Italia, ci consiglia di fermarci e girare il furgoncino per essere pronti a una eventuale fuga, sempre da mettere in conto. Gli diamo retta, anche se tutto sembra tranquillo, ognuno calato nel suo ruolo, nella sua parte. Passano gli ottoni, intonano Bella Ciao, e poi musiche di Bregovic, l’Internazionale, la Tammurriata Nera. E’ tutto molto colorato e davanti a quelle ridicole inferriate, e oscene, va in onda uno spettacolo di fantasia e leggerezza che è un piacere, si canta e si balla. Poi, arriva il tempo di andare via. C’è stato lo sfondamento, adesso le uniformi sono schierate e si teme un attacco più pesante delle scariche di acqua che provocano bruciore sulla pelle. Ce ne andiamo. La strada è in salita e a metà, due persone ci chiedono di accompagnare una anziana signora. Lo facciamo volentieri, il suo volto mi è noto, la sua lingua… è argentina, è nel movimento, poi quelle parole… sono la presidente… Madri de Plaza de Majo… Stiamo dando un passaggio a Hebe de Bonafini! Siamo commossi, io la tocco, come fosse un’icona e lo è, ma è vivente! Quando scende l’abbraccio forte, spero di non aver esagerato. Lei ringrazia e se ne va. Ma madre Hede due parole le ha dette, pure. “C’è molta polizia in borghese, bisogna stare attenti”. E lei se ne intende… Cominciano ad arrivare notizie di scontri. La nostra prossima tappa è Piazza Manin, ma per arrivarci ci rendiamo subito conto che sarà un bel problema. Non abbiamo radio, le uniche notizie che circolano sono i tam tam nel movimento. Cominciamo a scendere da Piazza Carignano per ripassare a piazza Rossetti, ma ci sono vie bloccate. Via via che avanziamo, il paesaggio lunare della mattina ci appare in tutta la sua devastazione. Eppure da quelle parti non doveva passarci nessun corteo, come mai tutta quella distruzione? Vetrine spaccate, auto coi vetri rotti, cassonetti dati alle fiamme. Sembra un assaggio, perché l’atmosfera è quella del passaggio di un uragano che deve essere andato oltre. E oltre, è dove ci dirigiamo noi. Per piazza Manin è impossibile passare. Ci dirigiamo, allora, verso viale Gastoldi, dovremmo incrociare uno spezzone del corteo dei Cobas e delle tute bianche che, in realtà, per l’occasione hanno dichiarato che avrebbero dismesso le tute, quasi a voler rimarcare la loro completa adesione a un movimento che diventa sempre più importante e composito. Ma anche li non si passa. Si vede tanto fumo, laggiù in fondo al vialone, la strada è sbarrata, c’è un andirivieni di ambulanze. Qualcuno di noi telefona a casa, anche per sapere cosa succede. Arrivano le prime notizie, si parla di due ragazzi morti, uno travolto da un mezzo della polizia, un altro ammazzato da un colpo di pistola. Col tempo, sapremo che erano la stessa persona. Un ragazzo poco più che ventenne, Carlo Giuliani, romano residente a Genova, è stato ammazzato. Cominciamo a girare cercando strade per continuare la nostra opera, coscienti che siamo qui per dare voce agli invisibili, emarginati dal mondo che li schiaccia con scelte infami ma infinitamente redditizie per il grande potere economico. No, non ci sentiamo ridicoli a distribuire datteri in mezzo a gente che è appena stata massacrata di botte da altra gente pagata, non so quanto e non mi interessa, per farlo. Anzi! A ridosso di piazza Manin ci infiliamo in mezzo a tanti ragazzi con gli occhi gonfi, la pelle irritata, qualcuno pestato. Stanno scendendo verso piazzale Kennedy, il ritrovo del GSF. Sono impauriti, molti di loro fanno parte di quell’associazionismo cattolico che ha deciso di starci concretamente, dalla parte degli oppressi e contro gli oppressori. Ci viene spontaneo, ci fanno tenerezza, sono giovani, noi siamo tutti intorno ai quaranta, chi più chi meno. Scendiamo, li chiamiamo, vengono intorno, hanno bisogno di sicurezza, diamo loro datteri, addolciscono la bocca, abbiamo anche acqua che questa città, tranne un bar, con lo stemma di Rifondazione e un quadro di Fabrizio De André, che ha resistito alla chiusura. Continuiamo con loro. Alcuni ragazzi con degli strumenti musicali, le loro uniche armi, ci regalano delle belle suonate in cambio dei datteri. Proseguiamo fino a quando, al momento di svoltare per via Torino, ci si accorge che le schiere di uniformi sono già pronte alla guerra. Davanti c’è fumo, a destra ci sono i marziani, a sinistra c’è fumo, dietro, ancora marziani. Che fare? Fabio, il nostro presidente, vuole parlamentare coi marziani, ma non lo fanno avvicinare. Ci spostiamo col furgoncino per non intasare il traffico di auto che cercano un varco per guadagnare la strada di casa, verso sinistra. All’improvviso, sirene di ambulanza gettano tutti in apprensione. Poi, altre sirene, stavolta dei blindati in uniforme, si lanciano a folle velocità verso tutti noi. Ci spostiamo ancora per non farci travolgere, arrivano da laggiù, facciamo appena in tempo. Dal tetto dei blindati, qualche uniforme ostenta il suo fucile di precisione, altri i manganelli, agitandoli quasi a dire “Adesso veniamo!”. Il corteo si disperde e arretra. E’ iniziata la carica. Hanno perso la testa, forse. O, invece, ce l’hanno ben salda. Ragazzi si fanno avanti a mani alzate, ma non trovano la forza per andare avanti. Hanno paura, abbiamo paura. La paura è sentimento nobile ed è nobile ammetterla. Non siamo eroi, nessuno qui è un eroe. Ma stare qui a frapporre i propri corpi, i propri volti davanti a tanta protervia, in nome di ideali nobili e così tanto concreti, come… azzeramento del debito per i paesi in via di sviluppo… destinazione di una cospicua parte del prodotto interno lordo per sviluppo e cooperazione, quella vera… lotta alle multinazionali che producono OGM, pesticidi, mucche pazze sempre e solo in nome del profitto, il loro… lotta al commercio di armi… lotta ai guadagni selvaggi in borsa… restituzione della dignità ai paesi più poveri… abolizione dei paradisi fiscali.. lavoro per tutti, senza sfruttamento… stare li per questo, beh… ti fa sentire forte. Solo che quando parte la carica, o sei veramente armato ma non come ci hanno raccontato, inebetendoci, i mezzi di informazione, chiamiamoli così, cioè con sassi, bastoni o altre stupidaggini del genere. O sei armato di bazooka e bombe a mano, oppure è meglio che te ne vai. Noi ce ne siamo andati, anche perché qualcuno cominciava ad avere davvero paura di finire in mezzo a quelle uniformi, che nulla di umano lasciavano presagire. La sera, a piazzale Kennedy, c’è un atmosfera di rabbia e tristezza. E tanta tensione. Per arrivarci, abbiamo dovuto fare un giro lunghissimo, arrivando fino a Nervi dopo essere usciti dall’autostrada, percorrendo tutto il lungomare. Chissà perché, stasera il mare non mostra il suo solito aspetto seducente. Non mancano le provocazioni, come quell’elicottero che continua a volteggiare sul piazzale pieno di gente del Genoa Social Forum. Illumina chiunque, col suo fascio (fascio…) di luce, arrogante, provocatorio, insolente. Ai cancelli, si viene quasi alle mani. Passa una volante (ma proprio di la, deve passare?). Parte una bottigliata contro il fianco dell’auto in uniforme, parte un ragazzo all’inseguimento, forse è ubriaco, dove crede di andare da solo? Ma non è solo, la volante lo sa, perciò sgomma e schizza via, impaurita. Dal palco si invita a non uscire in gruppetti, potrebbe essere pericoloso, si rischia di essere caricati o portati via. Si decide di confermare la manifestazione per domani, come si potrebbe altrimenti? C’è Gad Lerner, il giornalista, che cerca di iniziare una trasmissione straordinaria sugli accadimenti del giorno. Trova, con quel clima, il coraggio di sorridere mentre dice… Se però continuate a mandare affanculo l’elicottero, non si sente più niente! Dice che si collegherà con Ferrara, altro giornalista, perché si deve sentire anche chi la pensa in modo diverso. Ci sono boati di fischi. Diverso da chi? Diverso da cosa? C’è stato un ragazzo ammazzato, come si fa a pensare qualcosa di diverso da questo? Un ragazzo che stava li come tutti noi, che non ha accettato di stare a subire cariche e botte, che ha provato a difenderci, a difendere la sua, la nostra, la libertà di tutti e per questo è morto. E chi sostiene che era un violento, è in malafede, perché sempre, la nostra società, vuole spiegazioni accettabili alle efferatezze che accadono. No, non c’è giustificazione, un ragazzo è morto mentre manifestava, costretto ad attaccare per difendersi, costretto a prendere in mano la prima cosa che ha trovato a terra per gettarla su chi non faceva distinzione di sorta nello sparare ad altezza d’uomo, nel tirare lacrimogeni ad altezza d’uomo, nel picchiare selvaggiamente chiunque gli si parasse davanti. Su chi da cielo, terra e mare, ha mostrato muscoli e li ha usati su gente inerme, forte solo della propria volontà e dei propri ideali. Ce ne torniamo a casa alla spicciolata, nonostante gli inviti del palco, nonostante dall’ospedale tanta gente sia stata portata via dalle uniformi ferita e sanguinante, senza neppure aspettare le cure mediche, coi medici impotenti a fermare l’ingiustizia. Perché non corriamo tutti la, per proteggerli? Sono nostri compagni e qui, c’è gente che mangia e beve birra. Perché, perché non corro la? Non dormiamo da due giorni, forse è arrivato il momento di farlo. In questa atmosfera che qualcuno definiva “cilena” , arriva qualche bottigliata sul palco allestito per l’occasione. Alla fine, la trasmissione non si farà. Troppa tensione, troppa rabbia. Lerner se ne va senza le sue domande da fare e le sue risposte da dare. Forse, stasera, c’è ben poco da capire. Forse, stasera, c’è solo da restare tutti, in silenzio. Ho dormito nel furgoncino, alla fine. Non ho voglia di lavarmi, non ho voglia di mangiare, solo di tornare in quelle piazze. Ho bisogno, abbiamo tutti bisogno di ritrovarci, di contarci. Saranno partiti in tanti per la manifestazione conclusiva di oggi? Mi telefonano degli amici, stanno già li, è una gioia sentirli. Sono venuti in tanti, sono qui per Carlo, gli canteranno Bella Ciao, a questo partigiano che, come si cerca di fare con tutti i partigiani, si cercherà di sporcare nella memoria. Ma non ci riusciranno, perché non lo sanno che essere partigiani significa il rispetto degli uomini e delle donne che hanno sempre combattuto per la libertà. Non lo sanno, perché per loro la libertà è avere una bella auto, una bella casa, spendere per cene e pranzi e feste, e fregarsene del prossimo. Perché per loro, un partigiano è un semplice idealista, nulla a che fare coi divertenti furbi che ci ha regalato il nostro bene amato paese. Sono questi, oggi, i nostri degni rappresentanti. Andiamo verso il centro col nostro furgoncino, vorremmo passare in piazza Alimonda e portare un sacchetto di datteri a Carlo, solo per dirgli che non molleremo. Ma è difficile, c'è già tanta gente, notizie di scontri, schiere di uniformi dappertutto. Passiamo davanti a una questura, due uniformi ci indicano col dito. Avviso i mie compagni che ci stanno venendo dietro. Arrivano. Sono in tre, a sirene spiegate, ci fermano e urlano di scendere, come in preda a raptus di follia, per calmarsi un istante dopo, quando capiscono che non siamo noi ciò che stanno cercando. Perché questi non cercano persone, cercano cose. Per questi, tutto è impersonale, da trattare senza rispetto. Fanno per rientrare in macchina, ma altri due furgoni arrivano sgommando e inchiodando. Ne scendono altre uniformi, altre divise, altra follia, la stessa. Urlano, sfoderano pistole che puntano alla tempia di Alessandro e Massimo che stanno davanti. Calmi, bravissimi, straordinari, i miei compagni si lasciano schiacciare a terra da ginocchia, pugni, braccia, stivali, pistole. Cervelli in uniforme… Davanti ad Adriana, si para in ginocchio un uniforme con pistola puntata contro. Altre divise gridano che 'Non sono loro', ma queste nuove uniformi non sentono, cercano di aprire il portellone laterale, dove sono io e un altro compagno, ma non ci riescono. Grido che aprirò io, ma, ancora, d'incanto… 'Non sono loro, non sono loro! Andiamo via e voi, andatevene!' Ripartono, fra sgommate e sterzate, in preda alla loro lucida, fredda, calcolata follia, davanti agli occhi di gente che assiste, incredula, allo spettacolo, riportandosi via ginocchia, pugni, braccia, stivali, pistole. E i loro cervelli in uniforme... Arriviamo a piazzale Kennedy, dove abbiamo appuntamento con Marinella. Risaliamo il corteo che è già partito, non avendo retto alla spinta, sempre maggiore, della folla che, come un fiume in piena, ha bisogno di trovare il suo sbocco al mare. Ed eccolo qua, il mare, quello di Genova, quello cantato da Fabrizio De Andrè. Chissà cosa ne penserebbe di tutto questo e dell’infame uso strumentale che si continua a fare del termine anarchico. Ma cosa pensava ce lo ha raccontato. Lui, dalla parte delle minoranze c’è sempre stato e per davvero. Ci sistemiamo col furgone e cominciamo il nostro lavoro. Otto scatole di datteri se ne vanno in oltre mille e cinquecento bustine di carta e bicchieri. Distribuiamo almeno cinquemila volantini, ottomila adesivi con la scritta “IO ROMPO”, riferita all’embargo all’Iraq. Incontriamo tanta gente, anche amici di altre città… Anche tu? Si, anche io! Mi commuovo incontrando un mio amico torinese, Roberto, partito nonostante tutto, come tanti, soprattutto dopo quello che è successo. Sono abbracci forti, veri, non c’è spazio per tentennamenti. Stiamo dalla stessa parte, è quella giusta, lo sentiamo dentro, è così. Mi compare davanti Michele, sorride, poi scoprirò che era il sorriso di chi ha vissuto momenti drammatici e per questo è felice di vederti. Anche io lo sono, è davvero bello starci. Si rimane così, quando la passione ti fa fare delle scelte. Puri e semplici, come dovrebbe essere la vita di tutti, di ognuno e chi non è d’accordo, che se ne vada. Sulla luna o su Marte. E proprio da Marte sembrano provenire quegli elicotteri, minacciosi, quegli scafi e quei gommoni, che controllano, quegli scudi laggiù. Chiudiamo il furgone, l’aria si fa pesante, il corteo si blocca, comincia a indietreggiare. Continuo a volantinare, gridando di stare calmi, dicendo che in Iraq, questi hanno saputo fare di molto peggio, non facciamoci prendere dal panico che siamo qui per difendere anche chi non può nemmeno farlo. Mi ritrovo a cinquanta metri da quelle uniformi, partono i lacrimogeni, il corteo, già spezzato in due precedentemente, ora indietreggia, poi si arresta, prova a riorganizzarsi ma non ce la fa. C’è gente anziana, ragazzi coi fazzoletti sulla bocca, i limoni servono a poco. Si tenta di restare calmi, ma mentre mi volto, un’ondata di fumogeno mi investe ed è terribile. Sono nuovi, ti soffocano, ti fanno sentire un topo alla ricerca di aria, proprio non puoi resistere. Sto per svenire, lo sento, ora mi travolgono, penso, ora cado e resto per terra, preda delle uniformi. Con l’ultima energia possibile, metto un fazzoletto alla bocca, me lo ha regalato un turco, protestava per le decine e decine di prigionieri turchi che si sono lasciati morire in carcere di fame, quando non massacrati direttamente dalla polizia di un governo che se ne frega dei diritti umani, che ancora non fa parte del grande circo ma sta per entrarci con pieno diritto. Comincio a correre anche io, cosa che non ha fatto Carlo, ieri. Ma qui si rischia di restare travolti. All’improvviso compaiono persone vestite di nero, gridano parole incomprensibili, corrono verso le strade laterali, portandosi dietro gente, mentre i megafoni urlano di non lasciare il lungomare, di arretrare ma di non ficcarsi nelle stradine laterali. Trovo un’oasi senza fumogeno, ho gli occhi che mi stanno uscendo, mi brucia tutto. Le lacrime non sono lacrime vere e si sente. Mi vengono in mente i miei due bambini e corro via. Più in la, sono state spaccate delle condutture dalle quali esce acqua in abbondanza. Ci si sciacqua, di corsa e si beve. Sarà buona? Non è che ci salviamo dalle uniformi e ci infettiamo con l’acqua? Genova, hai chiuso tutti i tuoi rubinetti, ma l’acqua te l’abbiamo presa ugualmente. Scusaci, ma ne avremmo davvero fatto a meno. Ci siamo persi, il furgone è caduto in mani nemiche e i telefoni non funzionano. Si prova finché non incontro un amico di Milano, ma anche lui non ha più visto nessuno. Finalmente, ci ritroviamo. Tentiamo di riprendere il furgone e torniamo indietro. Ce la facciamo. Aspettiamo che si calmi anche la zona della stazione e poi proviamo a passare. Direzione Nervi, per il lungomare. Da li, autostrada e poi, Roma Giungiamo nella zona di Recco. Abbiamo lasciato Genova da poco, attraversando il lungomare, riaperto dopo i blocchi. Elicotteri e gommoni, camionette e furgoni, schiere di uniformi in assetto di guerra, sono lontani da noi. Non negli occhi, però, ne nelle orecchie e, soprattutto, nell'animo. Ci fermiamo in un ristorante per rilassarci prima del viaggio. E' un po' caro e ci arrangiamo. Due tavoli più in la, una bella ed elegante signora parla con altri commensali, di un altro tavolo. Aria snob, auto lussuosa al parcheggio, sbraita contro comunismo e dimostranti, tutti vandali e violenti, insozzatori della sua bella città, quasi se la fosse comprata o scelta, prima di nascere. E alla fine, il classico… 'Han fatto bene a sparare!'. Cerco aria, proprio come qualche ora prima in mezzo ai lacrimogeni. Ma non riesco a trovarla e, alla fine, proprio uno non ce la fa più. Vado la davanti e dico… 'Scusate, volevo solo tranquillizzare la signora. Ce ne stiamo andando, stia tranquilla, signora e scusi, davvero, ci scusi tanto se le abbiamo sporcato la città col rosso del nostro sangue. La prossima volta andremo a sporcare altrove e lei, non avrà più da preoccuparsi'. In silenzio, si volta e riesce solo a prendere una boccata cancerogena dalla sua sigaretta, fumata con tanta eleganza. Arriviamo di notte. Non sapevamo ancora che altro sangue avrebbe sporcato quella città.

 

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Verso le 15,30, sono arrivati all'inizio della piazza un gruppo di Black Block, seguiti dalla polizia. Alcuni di noi erano al banchetto in piazza altri tornavano su dalla via centrale dove si erano tenute le manifestazioni pacifiste verso la barricata della zona rossa (Via Assarotti verso piazza Corvetto,se non sbaglio).Molti si sono posti con le mani alzate di fronte ai Black Block per evitargli di andare a disturbare chi manifestava pacificamente quando è partita improvvisamente la carica. In quel momento mi trovavo lì per dire ai miei compagni di scappare. Il fumo dei lacrimogeni insopportabile mi ha portato a nascondermi in un cantuccio dall'altro lato della via, ma mentre vomitavo, i lacrimogeni aumentavano mi sono portato quindi verso la piazza all'entrata di una via laterale.Ormai dei Black Block non ce n'erano. Erano presenti pochi di noi con la maglietta bianca e i poliziotti. Un poliziotto ci ha spinto a rimanere attaccati al muro manganellando una ragazza con la maglietta bianca, insultandola, un'altro poliziotto gli fece segno di smettere e questi smettendo ha puntato il manganello al mio petto minacciando qualcosa (aveva la maschera e non ho capito cosa dicesse) io urlavo che eravamo pacifisti. Intanto dietro di loro in mezzo la via tranquillo c'era un ragazzo tutto bardato da guerriglia che sorridendo faceva segno di smettere alla polizia, mi ha incuriosito e intontito tale atteggiamento, considerando il fatto che noi non potevamo muoverci di un millimetro per non prenderle. Quando la situazione sembrava calmarsi mi sono portato un po’ più verso la piazza (un metro al massimo), un ragazzo tutto sanguinante dalla testa era appoggiato accanto a noi alla cancellata del muro ,poi si è buttato per terra sul marciapiede. Noi terrorizzati non riuscivamo a soccorrerlo, la polizia lo guardava senza alcun intervento, solo ad un certo punto un giornalista (aveva la pettorina gialla) ha chiamato i soccorsi. Visto che la situazione andava per calmarsi sono scappato verso la Piazza per poi dileguarmi con tutti gli altri. G.M.

 

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Vi prego di leggere e diffondere. Ciao a tutti, sono Paolo di Parma (qualcuno non mi conoscerà, scusatemi se mi sono permesso di prendere i vostri nomi da qualche mailing list) Sono tornato poche ore fa da Genova, anzi da Pavia dove sono stato rinchiuso per tre giorni per aver partecipato alle manifestazioni in modo assolutamente tranquillo e pacifico. Stavo aiutando una DOTTORESSA medico con croce rossa su pettorina bianca ad aver cura di un ferito quando sono arrivati i carabinieri. A nulla è servito alzare le mani in alto. Mi hanno portato via e menato per una notte. Le offese gli insulti i pugni e le manganellate che ho preso hanno fatto qualcosa dentro di me che non dimenticherò.... Ed ora sono accusato di resistenza aggravata ed altre cose tipo che avrei tirato un sasso al militare, quando l'unica cosa che avevo in mano era la mia macchina fotografica e legata alla cintura una borraccia rossa scambiata per una molotov. Ora sono a casa e non so quando avrò il processo ma rischio tanto..... Non mi dilungo in particolari sulle botte perchè ora la mia priorità è trovare testimoni. VI CHIEDO se qualcuno può testimoniare o è in possesso di video fatti attorno alle 14 di Venerdì 20 in ViaTolemaide (continuazione di C.so Gastaldi) durante il corteo partito dallo Stadio Carlini. In questa zona un piccolo cortile interno sulla sx rispetto al procedere del corteo è servito come via di fuga a tante persone tra cui il sottoscritto. Io ero vestito come nella foto allegata [ Nota: la foto e' disponibile all'indirizzo http://www.peacelink.it/altrinformazione/foto/foto1.jpg ] , con in più un paliacate al collo, una macchina fotografica al collo ed una borraccia rossa legata sul fianco dx. Se avete materiale video o foto anche dubbie vi prego di inviarmele, ve ne sarò grato. paolo

 

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Ore 21.00 del giorno 24/07/01.

va in onda lo speciale di canale 5 sul G8. tra le varie immaggini c'e' né una molto strana fanno vedere la perquisizione alla scuola Diaz, e dicono che e' iniziata alle ore 24,00 circa e anche il capo della polizia l’ha confermato ieri nell'intervista con Mentana, dicendo di aver trovato resistenza all'interno della scuola quindi suppongo siano entrati dopo le 24,00. Subito dopo lo speciale di canale 5 fa vedere cosa le forze dell'ordine ( le chiamo ancora cosi ) trovano all'interno, e qui che, chi ha la possibilità di riguardarlo potrà notare che il filmato girato dalla polizia con videocamera dove riprende in un angolo buio, con solo la luce della stessa, vari oggetti tra cui maschere antigas bastoni ecc. dopo la perquisizione. Il particolare strano è che come tutte le videocamere sul display viene riportato giorno e ora; ebbene notate il giorno è il 21/07/01 e l'ora 22,45. Allora come è possibile che abbiano trovato tutta quella roba due ore prima di entrarci? Se qualcuno mi sa dare una risposta lo faccia per favore se no lo faccia presente a quelli di canale 5 che hanno montato come al solito un bel servizio. grazie

 

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Sono stato a Genova? Davvero? Mi sembra un secolo fa, sembra un brutto sogno, un b-movie. Prendiamo la navetta da Sestri la mattina di sabato. L'emozione per l'uccisione di un manifestante si è un po' attutita nella notte. Non ho più la tensione e la paura che mi attanagliavano quando siamo partiti da Torino. La rabbia, quella sì, è rimasta... Credo che andrà tutto bene. E la gente che ho intorno mi fa ben sperare. Ci sono un sacco di giornali che girano. Si parla, si scherza. Una volta a Nervi cerchiamo di capire come muoverci. Telefono a un amico della Rete di Lilliput; mi dà appuntamento in via Pisa. Dopo mezz'ora riusciamo a salire su un autobus. Qualcuno parla al telefonino e riferisce che ci sono già scontri. Dove? Non si sa. Dalle parti di Piazza Sturla c'è un cordone di polizia. Ma nessuno gli rompe le palle e loro ricambiano l'indifferenza. Vediamo uno di quelli del Black Block. Volano un paio di 'testa di cazzo' che non sembrano impressionare più che tanto il responsabile guerrigliero. Iniziamo a risalire il corteo. Volano insulti verso chi sta facendo come noi. Hanno ragione, ma vorremmo provare a cercare alcuni amici. Dai balconi piove acqua. Bacinelle e pompe dei genovesi danno una bella prova di solidarietà. Riscalda il cuore. Grazie genova. Sfiliamo fino alla chiesa di Sant'Antonio. C'è gente con cartelli in tutte le lingue che invitano al silenzio e all'annullamento del debito. Proseguiamo lungo Corso Italia. Fischi, urla di 'Assassini-Assassini' davanti alla caserma dei carabinieri. Ma il servizio d'ordine tiene a distanza dal cancello. Qualcuno improvvisa un concerto di percussioni su un cartello che riserva un parcheggio agli eroici tutori della legge. Ci picchia sopra quasi con delicatezza. Gente che balla divertita. Un paio di volontarie ci dicono che avanti ci sono i lacrimogeni. 'Non abbiate paura e continuate ad avanzare'. Ma non si può. Da lontano vediamo la battaglia. Ci avviciniamo un po'. Sembra che chi sta attaccando la polizia sia un piccolo gruppo. Lacrimogeni sparati anche dai terrazzini. Illusione ottica? Eppure sembra proprio così. Scendiamo alla spiaggia. Ci sono delle docce e fa davvero caldo. Quando torniamo in strada, un quarto d'ora dopo, la situazione sembra essere peggiorata. Il lancio di lacrimogeni si fa più lungo. C'è una scalinata gremita di gente che porta a un'altra strada. Un lacrimogeno finisce lassù fra le urla di paura e indignazione. Un altro proprio dentro un balcone. Applausi per l'ottimo lancio. Le tute nere non avrebbero saputo fare di meglio. Di colpo da spettatori dello scontro ci trasformiamo, nostro malgrado, in attori. Iniziano a cadere lacrimogeni fra di noi. Quelli coi guanti corrono a prenderli per gettarli in mare. Ancora applausi, ma non siamo più tanto tranquilli. C'è un momento di panico. Arretriamo. Camminando all'indietro. Non dev'essere piacevole beccarsi uno di quei cosi in testa. Non ci posso credere! Non stavamo facendo assolutamente niente! Eppure corriamo. C'è uno slargo, un cancello aperto che porta al mare... Viaviavia! Urlo un paio di volte. 'Piano, non correte!' Inutile. Scavalchiamo una staccionata per arrivare al cancello. Una ragazza urla disperata che sta male, che qualcuno la aiuti. Si tiene un braccio. E' il panico totale. Mi giro un secondo. I celerini sono già lì. Scena apocalittica. E' un uomo quell'armadio con la maschera antigas che emerge fra il fumo? Sono le lacrime che non mi fanno vedere bene? Solo allora sento le urla del motore di un blindato. Via. Di corsa. Arriviamo al cancello. Un ragazzo urla istericamente di chiuderlo. Non si può, la gente continua ad arrivare. Testa a posto. Scenderanno anche qui? Ci siamo persi un paio di amici. Una è rimasta più in su per cercare il suo ragazzo. La recuperiamo. Ancora il fumo dei lacrimogeni...Occhi e faccia che bruciano. Un ragazzo non dice niente e ci passa un limone. Forse è straniero. C'è gente che scende portata a braccia, facce insanguinate. Un altro in preda all'isteria 'Di qui non si esce, non c'è uscita, siamo fottuti'. Bestemmie. Poi ci si calma. Non sono scesi. Decidiamo di salire noi. Non siamo dell'umore di farci un bagno e ad ogni modo il mare è pieno di gommoni della polizia. Ma quanti sono? Sopra, come sempre, le pale degli elicotteri. Fermo un ragazzo. 'Ci sono gli sbirri su?': 'Do you speak english?'. 'Sì, ma fanno passare'. Andiamo allora... Sfiliamo braccia alzate davanti a loro. Due o tre ci filmano. Uno ci guarda sarcastico dicendo 'Pace e amore'. Se non fossi sotto shock riuscirei almeno a pensare che quel manganello glielo ficcherei volentieri nel culo. Ci sono auto rovesciate e un poliziotto che, senza la giacca e il casco sembra Robocop per via delle protezioni, che sta aiutando a medicare una signora ferita dai suoi colleghi. Sangue. Fermano un paio di persone. Non ci sono manganellate arbitrarie. Solo l'arroganza di alcuni e la stanchezza di altri. Ma i giornalisti sono a due passi. Cosa accadrebbe se non ci fossero? Arriva un furgone che scarica acqua e panini. Mangiamo controvoglia. Lo stomaco è chiuso. Cerchiamo di raggiungere il resto del corteo. C'è una banca con i vetri sfasciati e un paio di macchine bruciate. Il rumore improvviso che sentiamo è quello di un blindato che centra una macchina parcheggiata. Non passiamo per Piazza Alimonda. Non c'è niente da vedere. Incontriamo un signore, 65 anni. E' col gruppo di Pinerolo (credo) di Rifondazione. E' arrabbiato. 'Bisognava venire organizzati! Io ho alzato le mani davanti ai tedeschi, non ho più voglia di farlo con 'sti stronzi!' Costeggiamo la ferrovia. Non ho idea di dove siamo. Un gruppo di cinque tute nere scavalca un cancello e si dà alla fuga fra gli applausi ironici di quelli che stanno lì attorno. Urla di sirene. Paura. Ci lanciamo dall'altra parte del corso. Se ne vanno. No! Una jeep si ferma davanti a una casa dello studente. Alziamo le mani. Ma non vogliono noi. C'è gente che corre giù per le scale. Le mani alzate. Uno si becca una manganellata. Perchè? Cos'ha fatto? Non abbiamo visto niente. La jeep riparte. Elicotteri nel cielo e fumo da più parti. Non sappiamo dove andare. Siamo stanchi e non abbiamo più voglia di vedere giacche blu. Il sentimento è diffuso. Il corteo non si sa bene dove sia finito. Sono le sei. Decidiamo di tornare a casa. Come sarà andata? Quanti eravamo? Le voci ci inseguono sull'autobus. 300mila persone, scontri ovunque, infiltrati, polizia brutale. Un romano in stazione ci dice che ci sono state manifestazioni parallele in varie città. Parla anche di scontri. Più tardi un tipo in televisione parla dell'attacco di migliaia di anarchici con spranghe e pietre al fondo di Corso Italia. Che queste cazzate le vada a raccontare agli inviati de 'Il giornale' e di 'Libero'. Ci credono soltanto loro. Sono successe davvero queste cose? Ero io? E' realistico, è credibile, che io mi senta fra quelli che non hanno visto quasi niente di quanto è successo? Se fosse un romanzo qualcuno lo considererebbe realistico? Era Genova quella città desolata? Erano tutori dell'ordine democratico quelli che tiravano i lacrimogeni fra gente che si riposava all'ombra, anziani sorridenti, ragazzini di 13 anni?

 

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Una festa di compleanno. Sabato 21 luglio. Ore 8: partiamo da Torino, io mia moglie ed alcuni amici aderenti al Torino Social Forum; come noi partono quelli della Rete di Lilliput, di Mani Tese, di Rifondazione del WWF. In largo Brescia ci saranno almeno una quarantina di pullman. Siamo ancora sgomenti per gli eventi del giorno precedente.Ore 11 circa: Al casello di Genova Nervi: coda. Ci si aspetta una perquisizione che invece non avviene. Nuova coda in corso Europa. In senso opposto scorre una colonna di almeno dieci cellulari della polizia, stipati di militi, ognuno sormontato da un poliziotto con relativo fucile lancia-lacrimogeni. Rimango raggelato o forse mi sono soltanto perso gli ultimi mesi di questa realtà genovese.Ore12 circa: decidiamo come gli altri manifestanti di scendere dal pullman e proseguire a piedi verso il punto del concentramento. I Genovesi non ci sembrano ostili malgrado l’ennesima invasione. Passiamo accanto al centro di accoglienza dell’ex ospedale psichiatrico; mi sorprende l’ordine attorno alle tende, non un sacchetto né un materassino o sacco a pelo. Dai balconi qualcuno ci applaude, il corteo risponde festoso. L’una circa: raggiungiamo Sturla: folla enorme e variegata. Ammiro con invidia certe acconciature coloratissime. D’accordo con gli altri del gruppo decidiamo di risalire il corteo alla ricerca dello striscione del Torino Social Forum. Dopo circa mezz’ora li perdiamo e rimaniamo in quattro, io P. C. e F.. Risaliamo ancora il corteo lungo corso Cavallotti alla ricerca di qualche gruppo conosciuto cui poterci aggregare. Troviamo un’amica delle Donne In Nero e veniamo accolti nel loro gruppo. In una traversa intravedo a molta distanza da noi un gruppo con i caschi azzurri, ma saranno a circa 500 metri! Lungo il percorso non ne abbiamo trovati e non ne troveremo altri. Ci accompagna l’inquietante volo di due o più elicotteri che forse ci stanno riprendendo; saluto di rito. Ore 14.00 circa: davanti alla chiesa di Boccadasse un pullman a due piani di tipo londinese di quelli di DROP THE DEBT: ballano sul tetto. Incontriamo fortunosamente A. che per quelli di UN PONTE PER… sta distribuendo datteri iracheni. Ci abbracciamo, siamo emozionati, mi racconta di una brutta disavventura capitatagli al mattino, ma questa è un’altra storia o forse fa sempre parte della stessa ? Ci salutiamo con la promessa di reincontrarci…non accadrà.  Ore 15.00: il corteo staziona sul lungomare, siamo a fianco di un muro con cartello di LIMITE NVALICABILE, vetri rotti a terra. In alto sul terrazzo dell’edificio interno scorgo alcune persone: uno mi sembra in borghese con in testa un casco azzurro, gli altri vestiti di nero con un copricapo nero. Un’anziana signora esce da una finestra di una casa vicina, ci applaude. Alcuni hanno messo a disposizione un tubo per l’acqua dal giardino, molti cercano refrigerio. Fa un caldo terribile! Ma tutto va bene; il gruppo che ci precede balla a ritmo di samba.  Ore15.20: Ripartiamo. Qualcuno ha sentito tramite telefonino che in piazza Kennedy sono in corso violenti scontri. Sappiamo di dover passare lì vicino. Primi segnali di nervosismo. Tutti i gruppi, compreso il nostro, dispongono un doppio cordone sui lati per evitare infiltrazioni di qualsiasi tipo.  Ore 15.30: il corteo si arresta; sulla sinistra , oltre gli alberi, c’è il mare, sulla destra c’è un muro di pietre al disopra del quale mi sembra di percepire la presenza di un giardino. Oltre la testa , non molto distante, si vede il fumo dei lacrimogeni; davanti scorgo le bandiere dei Verdi. Dietro c’è uno spezzone di Rifondazione (di Napoli?). Scorgo diverse persone con le magliette della Rete di Lilliput. Momenti di tensione: alcuni urlano di sedersi a terra per poter evitare pericolose fughe indietro, altri consigliano di indietreggiare di un passo, altri ancora di avanzare. Siamo costretti a stare seduti sul marciapiede di destra , contro il muro, alzando le mani in segno di PACE. Ci rialziamo sempre con le mani alzate. Alterniamo momenti in piedi ad altri seduti.  Ore 16.00 circa: SI SCATENA LA FOLLIA! Il fumo dei lacrimogeni si fa più vicino. Vedo qualcosa con una scia che arriva dal giardino sopra di noi spremo il limone sul fazzoletto, così a mia moglie P.. Arrivano altri lacrimogeni più in basso la gente scappa all’indietro veniamo schiacciati e bloccati contro il muro ho paura di essere schiacciato come negli stadi ho paura per C. che è più piccola di noi e scompare. Il fumo mi prende gli occhi e la gola; limone limone limone sul fazzoletto su quello di P. sugli occhiali di F. Funziona non soffoco più la folla in fuga mi schiaccia un po’ di meno.  SENTO QUALCOSA BATTERE RITMICAMENTE CHE SI AVVICINA!  Ci troviamo di fronte della gente con scudi e manganelli urlano cose che non capisco dietro le loro maschere. Abbiamo tutti le braccia alzate gridando continuamente PACE PACE. Mi arriva il primo colpo su un fianco cado per terra cerco di ripararmi la testa con le braccia alzate sento dolore intenso al polso destro mi butto verso P. cerco di ripararle la testa prendo un altro colpo sulla mano mi sembra meno forte meno male! Quell’uomo è mancino, impugna il manganello con la mano sinistra e tiene lo scudo con la destra, mi colpisce soprattutto sul lato destro. Da qualche parte sento che stanno pestando F. PACE AAHIA… MA PACE , CAZZO! Quell’uomoverde continua mi prende a calci a terra sento un dolore fortissimo dietro al ginocchio destro mi brucia, fino alle palle. Ha la tuta grigioverde, sul petto porta due strisce dorate, su una sta scritto GUARDIA DI FINANZA; su quella sulla sua sinistra c'è qualcosa in inglese come ANTITERRORISM NUCLEUS o GROUP o altro di simile. Sul casco verde c’è un’aquila gialla, mi sembra. Continua ad urlare come un orco non so se parla in italiano…fa cenno di picchiarmi ancora. Si intromette  qualcuno senza casco, pelato, in camicia chiara con le stelle una due tante stelle, dice BASTA….. E’ l’interruttore: ha due posizioni VAI PICCHIA/STOP FERMATI. Minacciosamente qualcuno mi fa cenno di alzarmi, urlano. P. vicino a me piange e grida BASTA BASTA PERCHE’ CONTINUI, COSA TI HO FATTO IO? In piedi con le braccia alzate iniziamo a camminare, continuiamo a dire PACE a chiunque, PACE, PACE… pace un cazzo, mentre cammina P. prende una manganellata sulla coscia destra da un altro orco verde senza maschera. Mentre camminiamo dispensando pace, alla nostra destra arrivano velocissimi due blindati azzurri che si fermano affiancati al centro della strada. Passiamo vicini ad un altro con manganello, con casco e interamente ricoperto da un’armatura di plastica nera; è altissimo. Non ha alcun segno di riconoscimento, né sull’armatura né sul casco. Non mi sembra abbia la maschera antigas eppure non vedo il chiaro del viso, non ne percepisco gli occhi. Si vedono soltanto spuntare strisce di tessuto nero sotto l’armatura che ricopre le cosce, forse una tuta sportiva con una scritta BIANCA ripetuta in sequenza in campo nero. Svoltiamo in corso Piave (?) e cerco di zittire una ragazza che urla BASTARDI, ho paura che ricomincino a picchiare. Ci seguono braccia alzate pace camminare pace pace; un’anziana signora vicina a me continua a ripetere AIUTO HO PAURA MI SENTO MALE! Qualcuno la porta via. C. incazzata si avvicina ad un signore in borghese con la pettorina blu polizia e incomincia a chiedergli ERAVAMO SEDUTI CON LE BRACCIA ALZATE, CI AVETE ATTACCATO, PERCHE’ ? Lo sentiamo rispondere TANTO SIETE TUTTI DEI BOMBAROLI. Porto via C. che insiste, il tipo si sta innervosendo. Riconosciamo degli amici che ci accolgono; ho male al polso destro, dietro il ginocchio destro ho una vasta ecchimosi, il pantalone è strappato in più punti. P. alza la gonna e scopre un’ecchimosi di circa dieci cm. sulla coscia destra. F. ha due staffilate sull’avambraccio destro e una vasta ecchimosi sul cavo popliteo destro (amici anche in questo).  Un anziano signore ci spiega la strada più breve per raggiungere l’appuntamento con il pullman, vorrebbe ospitarci ma non vogliamo disturbarlo. Siamo distrutti fuori e dentro, ci sediamo sullo scalino del portone, ci abbracciamo E’ TUTTO FINITO, DAI!  Ore 16.45 circa: siamo in via Trento. Mezz’ora di apparente tranquillità. Avvertiamo via telefono il capo pullman dell’accaduto e lo preghiamo di aspettarci. Lì vicino c’è un cespuglio; mi vergogno un po’ ma …piscio, finalmente! E non smetto più, ma non basta.  Ore 17.00 circa: vediamo alcuni avvocati del GSF e qualche giornalista di CARTA, vorremmo denunciare l’accaduto ma hanno la nostra stessa faccia e non gli rompiamo le palle. Ore17.30 circa: continuano a passare lividi, teste rotte, nasi sfasciati di tutte le età e tutti i colori. Salutiamo i compagni e proseguiamo lungo via Trento, al fondo troveremo via Tolemaide con l’appuntamento. In rapida successione passano cinque cellulari blu polizia con rispettivo omino lanciagas incastonato sul tetto. Curva sgommate colpi sordi lacrimogeni. Ci risiamo, fermi. Svolta l’angolo, vedi ragazzini proni a terra con mani alzate, poliziotti, sotto lo sguardo dell’uomo dalla pettorina blu responsabile del sillogismo MANIFESTANTI = BOMBAROLI, mollano a casaccio calci sui fianchi o manganellate. Scendi la scaletta, dai! Due macchine bruciate… Ma è via Tolemaide… e laggiù i nostri compagni di viaggio: ci medicano , ci abbracciano e io inizio a parlare e parlo parlo parlo e non smetto più, non riesco a smettere , non ci riesco. Vorrei piangere,invece, ma il grilletto non riesce a scattare porca troia! E parlo parlo, anche con un giornalista del Tg3 Piemonte, ma sono stanco e poco incisivo e poi tagliano anche un pezzo d’intervista. Ma siamo già a  Torino, non te n’eri accorto? E poi domani rivedremo A., dai nonni; A. che di lacrimogeno conosce solo la cipolla e che con i manganelli ha visto solo Arlecchino e Pulcinella e che quando le dici NON PASSARE DI LA , NON SI PUO’ ti chiede severa PERCHE’ ? A proposito il 21 era il giorno del mio 40° compleanno, non è stata una bella festa e come regalo mi rimangono dei segni difficili da cancellare, dei grossi lividi sul corpo e nell’animo di P. e il braccio ingessato del mio amico F.. Ho voluto inviarvi questo sfogo perché non riesco a sfogarmi per niente e voi mi capite. Potete farne ciò che riterrete più opportuno: come testimonianza, come lettera , come riempitivo, potete anche tagliuzzarla in tanti pezzi e inserirli qua a la quando meno te l’aspetti, ma VI PREGO, CREDETEMI E FATE IN MODO CHE MI CREDANO, PERCHE’ IO ANCORA FACCIO FATICA. GRAZIE. R.N.