Il torpore della torpedine. (*)

Di Carlo Bertani

Nel 1982, fulmine a ciel sereno, scoppiò improvvisamente la guerra delle Falkland.

Perché fulmine a ciel sereno? Perché eravamo abituati ad una sonnacchiosa pace venata solo saltuariamente da qualche conflitto arabo-israeliano, roba da copione, con gli israeliani a darle e gli arabi a prenderle, oppure dalla secolare guerra del Vietnam: tutte le altre guerricciole non contavano nulla, erano solo lì per figura.

Quella guerra ebbe un paio di particolarità esclusive; la prima fu che si trattò del primo conflitto aeronavale dalla fine della seconda guerra mondiale, la seconda era che avveniva al di fuori de classici schemi est-ovest, di qua di là del muro, Nato ed associati contro Patto di Varsavia e dipendenti.

La cosa fu alquanto imbarazzante in ambito Nato: a quale dei contendenti si doveva negare l’accesso alle informazioni dei satelliti? Chi doveva essere il prescelto dagli strateghi del Pentagono?

La storia ci dice che fra la solidarietà panamericana ed i vecchi colonizzatori, gli USA scelsero proprio quest’ultimi confermando che esiste, come affermano gli strizzacervelli, un imperituro coagulo d’amore-odio nei confronti dei padri-padroni autoritari e violentatori.

Alla fine la guerra fu vinta dagli inglesi, che in un tripudio di revival del British Empire sbarcarono i Gurkha, i terribili guerrieri mercenari nepalesi addestrati, qualora si trovino a combattere corpo a corpo, a tagliare la gola ai nemici: i britannici giunsero a Stanley, gli argentini si arresero e, tutti insieme, costruirono dei lindi cimiteri di guerra con delle graziose croci bianche nelle brughiere dell’isola.

Ma Nettuno non volle essere da meno: solo a Marte dovevano essere concessi gli onori della ribalta?

Gli argentini possedevano addirittura una portaerei, la Ventiçinco de Mayo, ed avevano anche qualche rottame ex USA da far decollare dal suo ponte ma gli Inglesi spedirono, insieme alle loro portaerei per aerei a decollo verticale, anche un sottomarino a propulsione nucleare, una di quelle talpe del mare che possono starsene tre mesi immerse a poca distanza dal nostro ombrellone sulla spiaggia.

La cosa non era priva di senso: la vecchia Ventiçinco de Mayo, ex Colossus inglese, ex Karel Doorman olandese era una vera e propria portaerei, mentre l’Invincible e la Hermes potevano far decollare solo i Sea Harrier, inferiori (si diceva) ai pur vecchi A4 Skyhawk e Mirage argentini.

Con quel coso che navigava davanti alle acque della Plata, fra i relitti della Graf Spee e quelli di qualche nave di Magellano, gli argentini dovettero tenersi in porto la vecchia baldracca, ma l’aviazione insorse: solo a noi tocca difendere le Malvinas Argentinas?

Qualcosa bisognava pur fare, ed allora ecco che a qualcuno venne in mente il vecchio incrociatore General Belgrano; perché non mandarlo in crociera da qualche parte, ben lontano dalle navi inglesi s’intende, tanto per fare bella figura?

Il vecchio incrociatore era forse la più vecchia nave da guerra del mondo in servizio.

Varato negli anni ‘30 col nome di Phoenix dagli americani, il 7 dicembre 1941 era alla fonda nella rada di Pearl Harbour quando piovvero dal cielo le bombe giapponesi: se la cavò con lievissimi danni.

Per tutta la guerra il Phoenix dribblò mine e sommergibili, bombe e cannonate scortando convogli, portaerei, navi da sbarco. Il 6 giugno 1944 c’era bisogno di navi per effettuare il famoso sbarco in Normandia; gli alti comandi chiamarono ed il Phoenix rispose: presente! Nemmeno i tedeschi riuscirono a scalfire la vernice del glorioso incrociatore.

Venne la pace e, non sapendo più che farsene, gli yankee lo sbolognarono agli argentini per qualche milione di pesos svalutati: assunto il nuovo nome di General Belgrano iniziò la sua nuova vita, a metà fra la pensione ed un part-time, fra i ghiacci polari ed il tropico del Capricorno.

Ma un vecchio proverbio tibetano recita: "Picchia la pecora per intimidire la capra", e proprio la parte della pecora toccò al vecchio e stanco incrociatore, per intimidire la capra-portaerei e farla rimanere rintanata nella base di Commodoro Rivadavia.

Così il vecchio e stanco incrociatore prese il mare, non in direzione della squadra inglese, ma verso le lontane acque antartiche come a voler dire "Da qualche parte devo pur andare, ma di guerra non ne voglio più sentir parlare...".

L’assassino inglese era però in agguato, si avvicinò furtivo e lanciò un paio di modernissimi siluri "intelligenti" costruiti dalla Marconi; già, perché i siluri britannici li fabbrica la Marconi nelle Midlands mentre quelli italiani la Whithead a Livorno: meraviglie della globalizzazione...

Di siluri intelligenti si trattava, vale a dire sofisticatissimi congegni teleguidati, ma con gran stupore degli inglesi i due signorini di Oxford mancarono il bersaglio.

Cos’era successo? Con certezza nessuno lo sa; forse il vecchio incrociatore mostrò loro il libretto della pensione, forse i due neolaureati inglesi si rammentarono di una saga udita dai loro nonni, un’antica favola che narrava di un vecchio incrociatore americano circondato da un’aura d’invincibilità e, seppur mascherato alla Edmond Dantès lo riconobbero, chissà...

Può darsi che di fronte a tanto obbrobrio furono colti da stanchezza, da una sorta di "torpore" che è forse parte di quella che chiamiamo "intelligenza", vale a dire il rifiuto da parte dei neuroni più evoluti di partecipare a simili ed inutili sabba di sangue.

La cosa fu comunque risolta. A bordo del sottomarino c’erano ancora alcuni vecchi siluri modello seconda guerra mondiale, zotici ignoranti buoni solo per la carica, l’assalto frontale, gente raccattata nei bassifondi di Liverpool che non era certo abituata a pensare; così fu: non pensarono, e trecento marinai argentini (di leva) sprofondarono nei freddi abissi del mar Antartico.

A dire il vero quella guerra creò non poche preoccupazioni in ambito Nato, soprattutto quando i russi offrirono agli argentini le informazioni dei loro satelliti; la cosa ancora oggi ci fa pensare che i russi in quell’occasione persero una buona occasione per tacere.

Perché non lasciare le castagne roventi a bruciare le mani degli USA? No, forse credendo di ottenere qualche spiraglio d’ingresso in America latina, i sovietici andarono ad immischiarsi con una delle peggiori e sanguinarie dittature sudamericane, con coloro che gettavano gli oppositori comunisti direttamente in Atlantico (vivi) dagli elicotteri: insomma, i russi persero una buona occasione per guadagnarci facendosi gli affari loro.

Ma la politica estera sovietica, dai tempi della guerra di Spagna, ci ha abituati a quei mortali giri di valzer con il peggio che ci sia sul pianeta: Ribbentrop-Molotov, Menghistu, gli afgani.

Credo che quella guerra abbia fatto nascere qualche dubbio anche fra i credenti. Scannarsi per quattro scogli popolati da poche migliaia d’abitanti e qualche milione di pecore, di nessuna importanza strategica ormai, nell’era della propulsione nucleare che dona autonomie praticamente illimitate al naviglio militare, penso abbia fatto nascere il dubbio sulla non esistenza di Dio: ma se esiste, non sarebbe sceso personalmente per tagliare quelle isole come funghi e ribaltarle nell’oceano?

Ben altri però devono essere stati i sussulti della coscienza dei cattolici soprattutto quando, in quegli anni, Giovanni Paolo II ricevette in pompa magna, in una Roma blindata dalla polizia per le forti proteste, il dittatore argentino Videla responsabile insieme alla feccia militare cilena, uruguagia, boliviana...bè, si fa prima a menzionare quelli che ne restarono fuori...di uno dei più terribili olocausti del ‘900.

Siccome sappiamo che molti nazisti fuggirono in Sud America, complici anche i comodi passaporti diplomatici che alcune sedi vaticane concessero all’epoca, viene da chiedersi se quell’olocausto programmato, quello sterminio di tutti gli appartenenti alle forze di sinistra sudamericane non abbia qualche collegamento dalle parti della Baviera, del Tirolo o di Odessa.

Ma la chiesa stessa ne approfittò per fare pulizia al suo interno: nello stadio di Santiago e nelle caserme della polizia argentina non finirono solo i militanti comunisti, socialisti od i leader sindacali ma anche i preti della "teologia della liberazione", quelli che passavano più tempo con i campesinos che nelle curie vescovili.

Ciò che avvenne in quegli anni in America Latina è un vero e proprio scheletro nell’armadio del capitalismo internazionale, delle cancellerie occidentali: dopo aver glorificato la fine del "male del secolo" (ovviamente il comunismo) ci si è dimenticati completamente, rimozione collettiva, di quanto è avvenuto fra Panama e Capo Horn in quegli anni.

Forse i complici di questa rimozione collettiva sono molti, e per questo è scattata l’omertà internazionale: il clericalismo retrivo di parte spagnola legato all’Opus Dei (oggi egemone nelle gerarchie vaticane), più i nipoti dei fascismi e dei nazismi europei collegati fra loro e foraggiati dai servizi segreti americani, a loro volta sponsorizzati dalle multinazionali delle materie prime, ITT in testa.

Ora ci fanno vedere la madri di Plaça de Mayo, ormai nonne, come delle patetiche, povere vecchiette che chiedono giustizia contro gli orchi di una favola cattiva; ci si dimentica che i responsabili di quegli scempi sono ancora fra noi, molti ancora in posti di potere, ma si sta ben zitti: si aspetta solo che Pinochet muoia per poterne bruciarne l’effigie.

Ma la giustizia, come nei migliori film di Hollywood, sappiamo che alla fine trionfa sempre: da qualche anno esiste un Tribunale Penale Internazionale per giudicare i crimini di guerra o comunque chi, sperando in una franchigia del diritto internazionale, delinque contro l’umanità.

Con gran gioia abbiamo assistito all’arresto dell’Orco dei Balcani, Slobodan Milosevich e sappiamo che, prima o dopo, in cambio di una mazzetta di dollari i nuovi dirigenti jugoslavi lo estraderanno all’Aia, sede del supremo organo di giustizia.

Non esultiamo, affermiamo però con franchezza: è un buon inizio.

Solo un dubbio ci coglie: basteranno le sole forze del magistrato svizzero, la signora Carla del Ponte, per giudicare tutta la masnada di sanguinari malfattori che lorda l’umanità con crimini efferati? Saranno sufficienti i fondi destinati al funzionamento del supremo consesso giuridico?

Lo speriamo vivamente in quanto il lavoro non mancherà di certo; rimanendo soltanto nei Balcani ci si rammarica della morte di Tudjman, l’ex "presidente" croato che sulla coscienza aveva lo sterminio dei serbi delle Krajne ad opera delle sue milizie, ma anche di un’accozzaglia di bande mercenarie fra le quali pare militassero anche degli italiani.

Niente paura! La dottoressa Del Ponte può contare su un eccezionale documento filmato che riposa negli archivi RAI, trasmesso a ora tarda qualche anno fa, dove quei crimini sono documentati con precisione certosina.

Potrà poi, se avrà tempo, fare un salto in Brasile e chiedere a qualcuno, anche al solito Pinco Pallino che aspetta alla fermata dell’autobus, notizie sui cosiddetti "squadroni della morte" vale a dire quei vigilantes che, al soldo dei commercianti, ripuliscono le vie delle città carioca dagli orfani, dai derelitti senza casa, dai poveracci d’ogni genere: una specie d’azienda di nettezza urbana che invece della pala usa la pistola.

Da lì sarà facile scendere in Argentina, passando magari per il Cile, e donare finalmente alle nonne di Plaça de Mayo il sorriso riportandosi all’Aia i generali Videla, Galtieri e Pinochet (sempre che non siano disponibili fondi per noleggiare una nave, così da poter imbarcare anche interi Stati Maggiori ed i loro tirapiedi).

Se ama viaggiare potrà fare un salto dalle parti dell’ex URSS e verificare se corrispondono a verità quelle voci, ma anche quelle intercettazioni telefoniche ed ambientali, dove si narra di trattative di bambini per i "pezzi", il traffico d’organi internazionale: poveri innocenti colpevoli soltanto d’essere nati poveri, e quindi buoni solo per "far pezzi di ricambio" ad uso e consumo dei paesi ricchi.

Scendendo un poco potrà visitare la Cecenia, il Kurdistan, poi il Medio Oriente e verificare la potenza di fuoco dei bambini palestinesi, vera arma assoluta del nuovo millennio, tanto che gli israeliani devono spedire loro contro le 40 tonnellate dei carri armati Merkawa.

In Asia troverà senz’altro materiale interessante: lo sterminio dei cristiani ad opera dei mussulmani indonesiani che va avanti lentamente ma con regolarità, oppure quello dei tibetani ad opera dei cinesi, una Lunga Marcia verso l’annientamento d’un popolo; se poi vorrà dilettarsi d’archeologia criminale c’è sempre lo scheletro di Pol Pot da riesumare.

In Africa è meglio che la signora non si rechi; si sa, il continente nero è contagioso e fa venire il cosiddetto "Mal d’Africa": potrebbe trovare tanto di quel materiale da non voler più ripartire.

Solo un dubbio ci coglie; siamo a conoscenza delle doti del magistrato svizzero e della sua grande intelligenza sin da quando, in collaborazione con la Procura di Milano, "fiutò" la pista dei miliardi di Craxi: splendida coreografia cui mancò solo l’atto finale, quello del ritrovamento dei soldi.

Per questo temiamo il subdolo nemico che spesso accompagna questa dote, la malattia che ben noti fisiologi ormai riconoscono come attributo inscindibile degli alti quozienti intellettivi; la variante umana di quel torpore studiato e riconosciuto per la prima volta nei mari della Plata, e che da quelle vicende ha tratto il suo nome scientifico: il torpore della torpedine.

(*) Il titolo non è mio ma mi è stato suggerito da un allievo, Alessandro Saffirio, 4° Scientifico A: un grazie alla sua fantasia!

Carlo Bertani è nato a Biella l’8 marzo1951. Negli anni ’70 si trasferì nei pressi di Torino e, con un gruppo di amici ed amiche, fondò una comunità agricola dove tentarono, nell’oceano delle esperienze della "beat generation" italiana, la via dell’agricoltura naturale e biodinamica.

Dopo alcuni anni di attività in campo commerciale, si trasferì a Savona dove, dal 1980, è insegnante di laboratorio presso il Liceo "Calasanzio"di Carcare (Savona).

Ha scritto "Il futuro ci può aspettare?", in via di pubblicazione presso Di Salvo Editore-Napoli , un libro per ragazzi ed adolescenti sul mutare della società sotto la spinta dell’incremento tecnologico attuale. Ha scritto inoltre, in attesa di pubblicazione, "Tramonti ad Oriente", un romanzo storico ambientato negli anni precedenti la partenza di Colombo, un saggio sull’informazione in tempo di guerra dal titolo "Kossovo e dintorni: la verità addomesticata" e "Lo zufolo di Izmal", una storia d’immigrazione clandestina vista attraverso gli occhi di un bambino curdo.

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