DA - LIBERAZIONE -

Il direttore di Liberazione Alessandro Curzi: con Pintor cinquant'anni insieme, eri un modello

Scrive Sandro Curzi, direttore di Liberazione, nel giorno della morte di Luigi Pintor: "Cari compagni del Manifesto siamo con voi in questa triste giornata, ma vogliamo approfittare della vostra cortesia anche per salutare Luigi".
"Caro Luigi, ti salutiamo insieme Bruna ed io, perché per entrambi sei stato un amico tenero e severo e lo sei stato per oltre mezzo secolo: per il tempo intero cioè della nostra vita comune".
"Affetto e ammirazione - prosegue Curzi - questa la cifra dei nostri sentimenti verso di te. Bruna per la tua brillantezza e la tua ironia, io perchè ti ho eletto a esempio del mestiere che mi prefiggevo di fare, avendoti conosciuto appena diciassettenne e tu, di poco più grande, che già mi parevi un uomo. Ci mancherà la tua franchezza mai attenuata dalla tentazione del compromesso, la tua coerenza che ci ha dato forza anche se non veniva più dagli incontri quotidiani ma dalla lettura del tuo 'manifesto'. Riaffiora il ricordo dei tanti dolori che hanno attraversato la tua vita, il riserbo con cui li hai patiti, la carezza con cui accoglievi le nostre parole di partecipazione e di conforto. Ma non vogliamo salutarti così".
"Preferiamo - ricorda Curzi - riandare ad un lontano Capodanno nel quale, sperduti in un'osteria della campagna romana, dove la mezzanotte ci aveva sorpresi, abbiamo brindato insieme. Bevemmo e ridemmo, i quattro o cinque che eravamo tutti abbracciati. Eravamo felici e non solo perché eravamo giovani".

da - la repubblica

Intellettuale, giornalista e scrittore, fu uno
dei fondatori del quotidiano "Il Manifesto"
E' morto a Roma Luigi Pintor
coscienza critica della sinistra
Nel 1969 la radiazione dal Pci
per aver "cristallizzato" il dissenso

ROMA - E' morto oggi, nella sua casa di Roma, Luigi Pintor. Era nato a Roma il 18 settembre 1925, soffriva di un male incurabile del quale si era accorto un mese fa. Pintor, intellettuale eternamente critico con la "sua" sinistra, giornalista, fondatore e animatore del "Manifesto", era stato anche deputato, aveva 78 anni. Fino all'ultimo lo ha assistito la moglie Isabella.

Pintor sfuggì alla condanna a morte durante la guerra di Liberazione, entrò nel Comitato centrale del Pci, fu condirettore de 'L'Unità. Poi, deputato dal 1968 al 1972.

Nel 1969 fu radiato dal Pci insieme al gruppo dei 'dissidenti' e fondò 'Il Manifesto'. La sua storia si può definire quella di un comunista 'politicamente scorretto', prendendo in prestito il titolo del suo ultimo libro che racconta, criticandoli, gli anni del governo dell'Ulivo, dal 1996 al 2001.

Nato a Roma il 18 settembre 1925 da Giuseppe e da Adelaide Dore, Luigi Pintor trascorse la sua fanciullezza a Cagliari. Tornato a Roma, si avvicinò al movimento antifascista clandestino. Era il fratello minore dell'intellettuale antifascista Giaime Pintor, nato nel 1919, e che morì il 1 dicembre 1943 a causa dello scoppio di una mina nel tentativo di passare il fronte, lungo il Garigliano, davanti a Castelnuovo al Volturno.

Pintor partecipò alla guerra di liberazione nelle fila dei Gap. Arrestato dalla famigerata banda Koch, sfuggì alla condanna a morte. Poi venero gli anni del dopoguerra e del Pci. Pintor fu un dirigente di primo piano del partito e nel partito combatté una lunga serie di battaglie sempre da sinistra, su posizioni "ingraiane".

Fino al 1969 quando la sua critica, per il "centralismo democratico" Pci di allora, divenne troppo pesante da sostenere.

Nel comitato centrale del Pci del 5 giugno del 1965, si registrò un fatto clamoroso al momento del voto: quattro componenti, tra cui Luigi Pintor, votarono contro la relazione che a nome della segreteria svolse Paolo Bufalini. La lotta tra la destra e la sinistra del partito si fece più aspra, mentre si manifestò per la prima volta in modo esplicito il dissenso.

Passarono quattro anni e Pintor fu di nuovo protagonista di una battaglia storica all'interno del Pci per la manifestazione e la libertà di dissenso nella vita del partito. L'8 febbraio 1969, in occasione del XII congresso del Pci a Bologna, Pintor, il più noto tra i delegati della sinistra, affiancato da Rossana Rossanda, Aldo Natoli e Massimo Caprara, pronunciò un vivace intervento in contrasto con la maggioranza del partito. Era l'inizio di una insanabile divergenza.

Fu Alessandro Natta in una storica riunione del Comitato centrale (25 novembre 1969) a chiedere e ottenere la radiazione dal Pci del gruppo del Manifesto. Con Pintor vennero cacciati dal Pci anche Aldo Natoli, Rossana Rossanda, Lucio Magri e Massimo Caprara. Li seguirono Valentino Parlato e Luciana Castellina. L'accusa? L'aver "cristallizzato" il dissenso in un piccolo movimento organizzato che aveva "osato" darsi anche un periodico: "Il Manifesto", appunto. Un'accusa che oggi suona quasi ridicola ma che, allora, traumatizzò e divise larghi strati del Pci. Poi, il "Manifesto" come partito durò relativamente poco. Nel 1987, dopo molte battaglie, rientrò di fatto nella sinistra indipendente. Come giornale, "Il Manifesto" (per la prima volta in edicola il 28 aprile 1971) vive e combatte anche oggi la sua battaglia di "coscienza critica" della sinistra italiana. Pintor ne è stato il primo direttore e lo ha condotto in diverse altre occasioni alternandosi con altri membri del collettivo redazionale.

Pur non essendo uno scrittore di professione, Luigi Pintor ha sempre coltivato uno stile pungente anche negli articoli giornalistici, talvolta raffinato, e non di rado arricchito di letterarietà. E proprio nell'ultimo decennio la scrittura ha preso quasi il sopravvento nella sua attività, pubblicando diversi libri, tutti per la casa editrice Bollati Boringhieri, fondata dall'amico Giulio Bollati.

Nel 1991 ha dato alle stampe 'Servabo' in cui, utilizzando una parola di derivazione latina con il significato di conservare, ha rievocato 50 anni di vita. Nel 1998 ha pubblicato un 'romanzo' dal titolo 'La Signora Kirchgessner'; sono poi seguiti nel 2001 'Il Nespolo' e nel 2002 'Politicamente Scorretto', in cui ha riproposto cronache del quinquennio 1996-2001.

Proprio in questi giorni è uscito il suo ultimo libro: "I luoghi del delitto" in cui Pintor, nascondendosi letterariamente dietro la maschera di un archivista, affronta il tema della morte che, forse, sentiva ormai vicina. Negli ultimi anni, purtroppo, il giornalista era venuto più volte a contatto con la lacerazione della fine: soprattutto con la morte prematura di entrambi i suoi figli.

(17 maggio 2003)

DA - IL CORRIERE DELLA SERA

Pintor, il cordoglio del mondo politico

Profondo il cordoglio in tutta la sinistra per la scomparsa di Luigi Pintor. Piero Fassino, segretario Ds, ha detto: «Ricorderemo sempre la lucidità intellettuale, il rigore morale, la passione orgogliosa che ne hanno fatto un'ascoltata e autorevole coscienza critica della sinistra e un grande giornalista italiano». Un vecchio leader comunista come Armando Cossutta parla di Pintor come «combattente strenuo per la causa del socialismo, profondamente convinto delle sue idee e coerentemente fedele ad esse per tutta la sua vita»; gli fa eco il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto: «Siamo addolorati per la scomparsa di una grande figura della sinistra, un esempio di coerenza e tenacia nelle lotte per la libertà e i diritti». Ancora dai Ds la voce del capogruppo al Senato, Gavino Angius: «Scompare una delle voci storiche che, dal dopoguerra ad oggi, ha animato il dibattito a sinistra. Le sue riflessioni, le sue osservazioni "scomode", mai banali, hanno fatto da pungolo e da stimolo anche per chi, proveniendo dalla stessa famiglia politica, aveva fatto una scelta e un percorso diversi. Un editoriale di Pintor andava sempre e comunque letto». Il portavoce del "correntone", Vincenzo Vita, parla di «una notizia terribile. Pintor ha detto e scritto cose indimenticabili. La sua morte fa venir meno una delle grandi intelligenze italiane».

17 maggio 2003

da - il corriere della sera

Aveva 78 anni, era malato da tempo

E' morto a Roma il giornalista Luigi Pintor

Editorialista de «Il Manifesto» di cui fu fondatore nel 1969, dopo la radiazione dal Pci. Rimase alla direzione fino al 1990

ROMA - Luigi Pintor, editorialista de «Il Manifesto» di cui fu fondatore dopo la radiazione dal Pci nel 1969, è morto oggi nella sua casa romana nel quartiere Trieste, assistito dalla moglie

Isabella. Pintor, 78 anni, era stato colpito da un grave male un mese fa. L'ultimo suo articolo era apparso sul giornale che aveva a luungo anche diretto una ventina di giorni fa.

ESPULSO DAL PCI - Luigi Pintor, di origine sarda, era nato il 18 settembre 1925 a Roma. Giornalista, si iscrisse al Pci nel 1943. Durante l'occupazione tedesca di Roma partecipò alla resistenza nei Gruppi di Azione Partigiana (Gap). Arrestato dalla banda Koch, condannato a morte, tornò in libertà con l'arrivo delle truppe angloamericane. Dal 1946 al 1965 fece parte della redazione dell'Unità, prima come redattore politico poi come condirettore dell'edizione di Roma. Venne eletto nel CC del Pci al X e XI Congresso. Fu membro dell'Ufficio di segreteria del Pci e venne eletto deputato nel 1968 per il Pci in Sardegna. Venne espulso dal PCI nel 1969 - con l'accusa di 'frazionismò, insieme a Rossana Rossanda, Aldo Natoli e Massimo Caprara - per divergenze con la segreteria politica, segretario Longo, sull'invasione sovietica della Cecoslovacchia. Fondò con Rossana Rossanda 'il Manifesto', il cui primo numero (era mensile) uscì il 24 giugno del 1969. Pintor venne rieletto alla Camera come indipendente nelle liste comuniste nel 1987.

DALL'EDICOLA ALLE ELEZIONI - Il primo numero del mensile «Il Manifesto» esce il 24 giugno 1969. Tre mesi dopo il secondo numero contiene un editoriale che condanna duramente l'invasione della Cecoslovacchia da parte dell'Urss. Rossana Rossanda, Aldo Natoli e Luigi Pintor vengono radiati dal Pci. Il mensile continua però ad uscire e nell'aprile del 1971 si trasforma in quotidiano. Parallelamente il gruppo «Il Manifesto» si presenta anche alle elezioni (200 mila preferenze).
Il quotidiano rimane sotto la direzione Rossanda-Parlato-Notarianni-Pintor fino al 1990, quando il comitato di direzione si dimette per divergenze sull'interpretazione del crollo dei regimi comunisti ad est. Con la direzione di Sandro Medici e la Guerra del Golfo arriva una impennata di vendite. Nel '94 viene adottato il formato tabloid. Sempre costretto a navigare nelle acque agitate delle crisi finanziarie e a chiedere ai lettori campagne di sostentamento. il Manifesto si è ritagliato uno spazio nel panorama editoriale della cultura italiana, anche grazie alle iniziative parallele. Dal 1998, sotto la direzione di Riccardo Barenghi, assume la dicitura di «giornale europeo» e resta il sottotitolo «quotidiano comunista».

17 maggio 2003

DA - L'UNITA'

Se n'è andato Luigi Pintor. Una vita per rendere più libera la sinistra
di red

È morto oggi a Roma Luigi Pintor. Il giornalista aveva 78 anni ed era ammalato da tempo. Il collettivo redazionale de "Il Manifesto" dà appuntamento «a tutti quelli che vogliono ricordarlo» lunedì alle 18 in piazza Farnese a Roma

Con Pintor scompare una degli intellettuali più importanti nella storia del movimento operaio. Da sempre considerato «comunista eretico», fu fra i fondatore del gruppo del Manifesto. E a questo ruolo di eretico, Pintor è rimasto fedele fino all'ultimo. Una dissidenza - lo racconta la sua biografia - che comincia ben prima dell'esperienza del Manifesto. E se si vuole essere pignoli, è databile al 1965 il suo primo gesto di rottura dell'ortodossia comunista italiana. Al comitato centrale del Pci del 5 giugno di 38 anni fa si registrò un fatto clamoroso al momento del voto: quattro componenti, tra cui Luigi Pintor, votarono contro la relazione che a nome della segreteria svolse Paolo Bufalini. La lotta tra la destra e la sinistra del partito si fece più aspra, mentre si manifestò per la prima volta in modo esplicito il dissenso.
Passarono quattro anni e Pintor fu di nuovo protagonista di una battaglia storica all'interno del Pci per la manifestazione e la libertà di dissenso nella vita del partito. L'8 febbraio 1969, in occasione del XII congresso del Pci a Bologna, Pintor, il più noto tra i delegati della sinistra, assieme a Rossana Rossanda, Aldo Natoli e Massimo Caprara, fece un vivace intervento in contrasto con la maggioranza del partito. Era l'inizio di una insanabile divergenza che si sarebbe conclusa nove mesi dopo con l'esplusione dal partito.

E siamo ad un'altra data storica nella vita del Pci. Il 25 novembre 1969 Alessandro Natta propose al comitato centrale comunista la radiazione dal Pci dei redattori del Manifesto appartenenti al comitato centrale: Luigi Pintor, Aldo Natoli, Rossana Rossanda. La radiazione venne decisa con 6 voti contrari e 3 astensioni. Pochi giorni dopo, il 2 dicembre, venne radiato dalla federazione di Napoli l'onorevole Massimo Caprara, segretario particolare di Palmiro Togliatti dal 1944 fino alla morte del segretario comunista.

La rivista Il Manifesto era nata poco tempo prima per dare voce politica e culturale al dissenso all'interno del partito. Poco tempo dopo dalla radiazione, Il Manifesto si costituì come gruppo parlamentare a cui aderirono, oltre a Natoli e Pintor, anche Caprara, Liberato Bronzuto ed Eliseo Milani.

Da allora Luigi Pintor divenne forse l'intellettuale più in vista della nuova sinistra, che seppe incontrare anche le nuove istanze giovanili provenienti dal movimento del '68. C'è poi un'altra data importante nella biografia di Pintor: il 28 aprile 1971, giorno in cui Il Manifesto arrivò per la prima volta in edicola nelle vesti di quotidiano. Era un progetto a cui Pintor e Rossanda, in testa, avevano lavorato alacremente per quasi due anni, per dare forma politica e culturale ad una voce «a sinistra» del Pci, capace di coniugare avanguardia e tradizione dei valori del movimento operaio.

Primo direttore del quotidiano fu proprio Pintor, che nell'arco di una storia trentennale ha ricoperto più volte questo incarico, alternandosi alla guida con altre firme storiche del gruppo dei fondatori.

DA - L'UNITA'

Quella «giusta» superbia, quella «giusta» tenacia
di Oreste Pivetta

Leggendo della morte di Luigi Pintor, accanto alla commozione per la scomparsa di uno di noi, di uno che ha lavorato all’Unità quasi vent’anni (fino al 1965), verrebbe la curiosità di sapere come ne avrebbe scritto lui. Non in un libro, perchè nei suoi libri, brevi rapidi, densi, la morte compare sempre, ma con il gusto di sviare attraverso "terze persone" la sensazione di un’autobiografia, nell’ultimo in particolare, appena pubblicato, un testamento, un addio, un’estrema riflessione rivolta a se stesso oltre che ai suoi lettori e/o amici, dopo che «il medico curante mi ha detto che ho pochi mesi di vita» (proprio questo l’inizio del racconto).

Verrebbe la curiosità di sapere come ne avrebbe scritto invece in uno di quei fondi, di quegli articoli che una infinità di volte hanno "aperto" la prima pagina del Manifesto, poche righe sempre, per svelare il retroscena, il pregiudizio, l’inganno di tante storie e per ricostruire e sommare piccoli indizi di verità, con ironia e sarcasmo e l’amarezza in sottotono. In una pagina di Servabo, il primo quasi romanzo nella sua carriera di particolarissimo narratore, memoria del fratello Giaime (morto ventiquattrenne nell’esplosione di una mina, mentre tentava di attraversare la linea di guerra, per organizzare la Resistenza nel Lazio), raccomandava: «Abbondare nei particolari, visto che l’insieme è inafferrabile...». Non è facile, perchè suggerire non un qualsiasi particolare, ma i particolari che contano, gli indizi di verità, pretende attenzione, osservazione, pazienza e modestia, raffinatezza e inventiva. Lo sguardo giusto che è il contrario della banalità, la banalità che ha il vezzo dei sistemi astratti e delle frasi comuni.

Luigi Pintor avrebbe risolto il nostro imbarazzo. Avrebbe detto di sè qualcosa di meglio del nostro, banale appunto, "grande giornalista", oppure «grande giornalista comunista», forse citando una cronaca, un episodio, un pensiero, usando un’immagine, cogliendo una voce. Faccio un esempio, approfittando appunto di uno dei suoi fondi, dove ovviamente non parla di sè ma di uno dei più "scandalosi" eventi di questo millennio, l’attentato alle torri gemelle: «Ho sentito un telespettatore mormorare, mentre guardava Manhattan bruciare e crollare quelle torri e un grande viale carico di macerie: sembra Beirut». Un video acceso, il film che corre, lo stupore dello spettatore e quella parola in fondo: Beirut. Il "grande paese" consegnato a un universo di rovine, di morti quotidiane, di lutti senza fine, che è il mondo in cui viviamo. Non poteva scegliere "parola" più efficace di Beirut per risalire dal "particolare" alla condizione comune, al male che arriva ovunque, che non risparmia nessuno: «E adesso scopriamo che non ci sono nè confini nè isole».

A caso torno molto indietro negli anni, a un articolo che si intitola "Bottiglie", datato 1 novembre 1972. Riferisce alcune statistiche a proposito di incidenti sul lavoro: ogni giorno dodici operai muoiono sul lavoro. Si chiede: «Ma se ogni giorno dodici operai muoiono sul lavoro, com’è che non se ne ha notizia ogni giorno? Questo è il particolare più interessante di tutti. Non sono solo i "grandi numeri", il bilancio annuale del macello industriale a lasciare indifferenti (come il tonnellaggio delle bombe Usa in Vietnam). È anche la morte quotidiana. Qualche volta filtra, ma in generale non se ne sa niente: la morte fisica di un operaio fa meno notizia, sui giornali, di un alterco in una osteria, i suoi resti finiscono come una bottiglia vuota nel secchio della spazzatura. Il giornale di Agnelli, poi, non dà neanche le statistiche...». La "parola" in questo caso è "spazzatura", un corpo offeso, ferito, spezzato. Le sconfitte di una classe si traducono nel volo della bottiglia.
Pintor era comunista, aveva partecipato giovanissimo alla lotta di Liberazione (era nato nel 1925 a Roma), era stato nel partito comunista, era diventato giornalista all’Unità dal 1946, era stato un dissenziente, aveva contribuito alla nascita della prima "corrente" del Pci, aveva creato nel 1968 una rivista, il Manifesto, colta all’inizio dai più giovani come l’esibizione momentanea di un gruppo di intellettuali molto critici e apolacalittici e assai attraenti, perchè sembrarono comunque nuova forza per la sinistra di lotta. La rivista che era poi diventata un quotidiano (che Pintor aveva diretto dal primo numero nel 1971 fino al 1995, salvo alcuni intervalli).

Pintor era rimasto comunista, osservando la fine del comunismo, il crollo del muro di Berlino, la ristrutturazione del mondo all’ombra della potenza unica, le infinite guerre dopo la pace di cinquant’anni fa, quella che pose fine al fascismo e al nazismo. Per capire qualcosa del suo comunismo bisognerebbe probabilmente ripensare a quegli anni di guerra: «Tutto quello che io so, per poco che sia, l’ho imparato in quei due o tre anni...». Lo scrive, in un altro "fondo" sul Manifesto, nel 1999. Aveva visto in tv un documentario sull’invasione nazista dell’Unione Sovietica e sulla tragedia del corpo di spedizione italiano sul Don e lo racconta: «Tutto era perduto in quei giorni ed anni, le democrazie europee erano crollate sul campo come carta pesta, le armate corazzate del terzo Reich e le croci uncinate dilagavano sul continenete e oltre senza colpo ferire, il fascismo e il terrore non conoscevano più ostacoli... Meno uno, il solo al di qua dell’Atlantico e dei mari del del nord e del Sud...». L’Unione Sovietica di Stalin, di cui qualche anno più tardi un esponente del governo d’allora, nel Parlamento italiano, dirà: «...di certo è stato un uomo su cui Dio ha impresso la sua impronta...». Era un modo, tra il paradosso e la provocazione, per cercare «metafisica a parte» (si chiedeva Pintor, metafisica a parte: come saranno usciti dalle acciaierie oltre gli Urali quei cannoni e quei carri pesanti capaci di respingere e di frantumare la macchina da guerra tedesca?) le ragioni di una storia che si chiamava comunismo o comunismi, Lenin e Stalin e tante altre cose insieme molto più vicine a noi, riconoscendo almeno il dubbio tra le presunte "certezze" di chi vince: «Totalitarismo e democrazia sono due parole senza qualità. Avrebbero bisogno di molti aggettivi per l’appunto qualificativi. Un dispotismo può essere illuminato e una democrazia putrefatta e non è semplice districarsi tra queste antinomie...». Questa è una svelta lezione per gli ex, gli anti e i postcomunisti d’oggi, un aforisma, di Giano, il vecchio Giano centenario, che osserva il mondo da sotto il Nespolo. Siamo arrivati a uno dei libri di Pintor, quello che forse più apertamente si propone, appunto, come osservazione della vita, delle sue cose, lasciando i pensieri correre liberi «come nuvole oltre il fogliame», senza vincoli di trame.
Il primo romanzo di Pintor era stato Servabo (1991). Dopo venne La signora Kirkggessner (1998), seguito dal Nespolo (2001). Per ultimo, è arrivato I luoghi del delitto (appena in libreria). Il sottotitolo di Servabo è "Memoria di fine secolo". Spiega lo stesso Pintor: «Scritta sotto il ritratto di un antenato mi colpì, quand'ero piccolissimo, una misteriosa parola latina: servabo. Può voler dire conserverò, terrò in serbo, terrò fede, o anche servirò, sarò utile». Raccontare diventa il modo per sè e per gli altri dunque di «riordinare nella fantasia dei conti che non tornano nella realtà», dai ricordi della prima giovinezza all'esperienza della guerra, che ha deciso del suo futuro e formato il suo modo di agire «politico»; dagli entusiasmi alle prove più dure anche della vita privata, la sorvegliatissima confessione dell'autore, particolarmente difesa col pudore e quasi col silenzio proprio là dove ci aspetteremmo la rivelazione di fatti che hanno avuto una grande incidenza pubblica, ci offre il ritratto di un uomo sempre fedele a se stesso, disilluso e portato a coniugare i successi e le sconfitte, quasi più le sconfitte come è costretto a riconoscere chiunque abbia occhi per misurare la debolezza della cultura più che il tramonto delle ideologie.
Le pagine che seguono, della Signora Kirchgessner o del Nespolo, soprattutto, tengono fede allo stesso impegno e alla stessa disciplina, se pure con una diversità di toni, nella varietà delle emozioni, nella maggiore aderenza tra pensiero e ricordo, nella capacità di affrontare direttamente i temi della morte, della malattia, del dolore, del lutto, della vecchiaia, nell'intreccio, meno contrappositivo, di privato e pubblico. Pintor, dopo anni o decenni di militanza politica e di giornalismo militante, di stretta concomitanza con il presente, provava a tornare sui propri passi, rifare il cammino all'incontrario, ricominciare da capo, per rivivere qualcosa che si è già vissuto o dargli una via d'uscita.

Altro ancora si dovrebbe dire dell’ultimo libro, i Luoghi del delitto, che, come si diceva all’inizio, è il più aperto e dichiarato confronto con la morte. Più che con la morte, con la fine della vita, perchè è sempre lì, a ritroso, che si guarda, a una umanità colpita dai «delitti non commessi ma non impediti». Proprio ne I luoghi del delitto, Pintor confessa: «Diventare un idiota era la mia aspirazione di adolescente, che per i greci voleva dire stare in disparte con innocenza. Se proprio dovevo crescere mi sembrava il miglior modo. Invece uno stupido si impiccia di tutto senza capire nulla e mio malgrado ho preso questa strada». Che non sarebbe poi una strada troppo gloriosa, perchè lo spiega Pintor stesso ancora nel Nespolo, regalandoci per assurdo e per autoironia la sintesi dei suoi mestieri, giornalista e scrittore: «Per scrivere un libro nel terzo millennio ci vuole una smisurata superbia. Basta entrare in una biblioteca comunale e guardare le vetrine di un cartolaio per capire che il mondo non ha bisogno di un volume in più... Per scrivere sui giornali basta invece un’ottusa tenacia. Se un professionista scrive di media tre fogli a macchina due volte la settimana per cinquant’anni (media bassa) fanno quindicimila pagine stampate, pari a trenta volumi di cinquecento pagine, una enciclopedia che richiede uno stipo tutto per sè, un’opera monumentale di cartapesta». Dove finiranno tutte quelle pagine?