Comunicazione media.

Redazione Namir

 

" L’opinione pubblica " e’ il titolo del libro di Walter Lipman che l’editore Donzelli manda in libreria in edizione economica - pag.420, cona la traduzione di Cesare Mannucci, prefazione di nicola Tranfaglia. Lippmann ( New York 1889-1974 ) e’ un curioso personaggio diviso tra la filosofia e il giornalismo militante. Le sue simpatie andarono inizialmente ai socialisti virando in seguito verso posizioni piu’ moderate. Per alcuni anni a cavallo della guerra ha diretto l’influente rivista The New Republic, ha scritto saggi di filosofia e di politica estera. Il libro su come si forma la pubblica opinione e sulle distorsioni che i media, volontariamente o meno, possono provocare, naque pero’ da un’altra esperienza, la carica di sottosegretario alla Guerra da lui ricoperta nel 1917, cioe’ nel pieno di quel conflitto che per la prima volta vide truppe americane impegnate in un intervento diretto in Europa. Lippmann si rese conto della crescente influenza dei media nella vita politica occidentle. Infatti scriveva - i mezzi di comunicazione di massa sono le fonti principali di formazione dell’opinioni collettiva ma in qualunque societa’ che non sia totalmente assorbita nei suoi interessi ne’ tanto piccola che tutti siano in condizione di sapere cio’ che accade, le idee si riferiscono a fatti che sono fuori dal campo visuale dell’individuo e che per di piu’ sono difficili da comprendere. Il nocciolo della questione e’ chiuso in queste poche parole, cioe’ nello scarto tra i fatti e la loro rappresentazione -. Poi segue a scrivere - Il nocciolo della mia tesi e’ che la democrazia non ha mai seriamente affrontato il problema derivante dalla non automatica corrispondenza delle immagini che gli individui hanno nella mente alla realta’ del mondo esterno -. Il suo libro infatti si apre con quella pagina della Repubblica in cui Platone descrive il meccanismo della conoscenza come una serie di vaghe ombre proiettate dal bagliore delle fiamme sulla parete di una caverna. Secono lo scrittore le cose non sono molte cambiate da allora. Anche se ormai maneggiamo raffinati strumenti elettronici ( che Platone certo non conosceva, ma nemmeno Lippmann ) e abbiamo sotto gli occhi colori brillanti invece di ombre fumose, le distorsioni continuano. - Il modo in cui il mondo viene immaginato determina in ogni momento il comportamento dell’uomo - scrive ancora Lippmann e la gravita’ di questa - immaginazioni - e’ tanto piu’ grande in quanto la stampa - per rendere popolare la politica deve trovare problemi anche quando non ne sono affatto, nel senso che le differenze di giudizio, di principio o di fatto, non richiedono un ricorso alla aggressivita’. Lo scrittore afferma anche che il giornale deve essere una impresa - economica - perche’ solo la sufficienza dei mezzi gli permette di essere libero. I suoi insersionisti devono essere numerosi in modo da poter all’occorrenza dire cio’ che ciascuno si merita senza timore di perdere un finanziamento indispensabile. Soprattutto il giornale deve credere nella sua funzione di servire il pubblico aiutando i lettori a farsi l’idea piu’ precisa possibile. C’e’ da dire che quando Lippmann scriveva il suo saggio , la civilta’ dei media in cui oggi siamo immersi fino al collo era agli albori, non esisteva ne’ la tv. Sono passato 80 anni ma se quel saggio fosse da riscrivere adesso bisognerebbe solo aggiornarlo dal punto di vista tecnico e questa non e’ certo una bella notizia. Il pensatore americano ha posto una questione fondamentale, la maggior parte degli individui non reagisce in base ad una effettiva realta’, ma in base alle informazioni di cui dispone e al quadro mentale, che su quella base, ha costruito. . i media, sono cioe’, il diaframma necessario tra una realta’ complessa ed estesa e una mappa di ragionevole accessibilita’ sulla quale poter ragionare. Il solo rimedio possibile sarebbe la cooesistenza del maggior numero possibile di mappe davvero alternative le une alle altre tra le quali scegliere. Negli ultimi anni e’ successo il contrario, i quotidiani del mondo indicano tutti gli stessi percorsi e le stesse tappe, la liberta’ che ne risulta e’ quindi solo apparente.