un appello ai pacifisti ed ai nonviolenti con i piedi per terra

un appello ai pacifisti ed ai nonviolenti con i piedi per terra

di Alfonso Navarra

La situazione del Medio Oriente e' grave e pericolosa in quanto costituisce lo scenario principale della guerra "unica, globale, preventiva e permanente" dichiarata da Bush, ufficialmente contro il terrorismo e per la democrazia, in realta' per controllare il petrolio, risorsa strategica e vitale dell'economia mondiale.

La crisi israelo-libanese va inserita in questo contesto: e' parte integrante della spinta bellica degli USA e di Israele, che strumentalizza la contro-spinta del regime iraniano, un impasto di fanatismo religioso e di militarismo.

Il governo Prodi fa la mosca cocchiera e la sinistra radicale che difende a spada tratta la maggioranza con leggerezza e faciloneria bertinottiana si accoda milantando occasioni storiche per un "ritrovato ruolo delle Nazioni Unite" e per "una politica italiane ed europea di convivenza nel Mediterraneo".

Immagino che Condy Rice - di fronte alla disponibilita' italiana a trainare e comandare la missione in Libano - stia ora pensando: abbiamo finalmente trovato i "fessi" che sono caduti nella nostra "trappola" e che ci aiuteranno a creare quel casus belli contro Siria ed Iran che da tempo stiamo pervicacemente cercando e programmando.

Anche il pacifismo parolaio e burocratico - quello che marcera' il 26 agosto -dopodomani- in Umbria - si illude di poter condizionare la missione militare in Libano e propone tutti i suoi "se e ma" come se, in sede pratica, potessero contare qualcosa.

Andare in Libano e non essere trascinati in una nuova guerra e', francamente, una missione impossibile. Il motivo e' semplicissimo: i due contendenti sono come i pugili sul ring che hanno sentito suonare il gong e stanno riprendendo fiato in attesa del secondo round. Il loro unico pensiero e' riprendere a suonarsele di santa ragione per - alfine - prevalere. Hanno in testa il KO da sferrare, non la ripresa di un negoziato serio.

Nota bene: la metafora dell'incontro di puglilato e' esplicitamente richiamata dal governo israeliano, che - stando alle dichiarazioni ufficiali - auspica e prepara per l'appunto il "secondo round" della guerra in Libano, coinvolgendo il mandante di Hezbollah: l'Iran.

E' inutile e fuorviante tentare di "porre condizioni" e "garanzie irrinunciabili" per una Forza di interposizione militare, magari impreziosita da una componente civile, come anche l'appello di Zanotelli (che io ho sottoscritto per "disciplina di movimento") si interstadisce a fare. Si manifestano dubbi e perplessita' per evitare le critiche al "governo amico"? Ai veri amici va detta la verita': se sono intelligenti, capiranno.

Tanto vale quindi concentrarsi sulla "battaglia" piu' semplice, immediata e comprensibile, dal punto di vista del buon senso popolare e popolano: restiamo a casa! Disertiamo dalla "guerra contro il terrorismo" che ci vogliono imporre! Denunciamo la sua realta' e boicottiamola a tutti i livelli, secondo quanto ci e' materialmente e fattivamente possibile!

La "comunita' internazionale" attivabile per fini di pace e' - attualmente - una chimera, si tratta di costruirla "ricominciando da tre" e questa ONU, cosi' come  e' fatta e disfunziona, non costituisce - a tal fine - uno strumento adoperabile. A me sembra evidente che le Nazioni Unite sono succubi degli USA che le strumentalizzano a proprio piacimento e per i propri interessi, sapendo che sono pronte ad avallare - a posteriori, ma spesso anche subito - ogni loro decisione unilaterale.

Ma - si dice - dobbiamo fare qualcosa per le povere vittime libanesi (ma anche israeliane, e palestinesi): non possiamo disinteressarci della sorte delle centinaia di migliaia di persone innocenti coinvolte nel conflitto.

La risoluzione 1701 va salutata con favore perche' - almeno - ha interrotto bombardamenti e sparatorie: dobbiamo impegnarci per difendere la tregua e farla sfociare in un autentico processo di pace.

L'interventismo umanitario - in mancanza di qualsiasi condizione pratica di attuazione - costituisce una ideologia piu' che inutile,  pericolosa in quanto funzionale all'interventismo bellico, l'unico che - al momento - effettivamente ha basi, strategia ed efficacia operativa.

Il pacifismo parolaio che urla "Fermatevi!" chiede che l'ONU non si dimentichi della Palestina, propone che la Forza internazionale sia composta da Paesi "equidistanti" , vuole su di essa la sovranita' di Beirut e che non si occupi del "disarmo di Hezbollah".

Nulla di quanto implora ai potenti puo', purtroppo e non a caso, essere preso in considerazione.

I rapporti di forza internazionali non possono che sbilanciare la Forza ONU in modo subalterno all'asse creato da Israele e Stati Uniti, che prende quota anche a causa della recentissima richiesta Usa di una nuova risoluzione per la definizione delle regole di ingaggio.

Il Peace-keeping che serve a chi propone la priorita' della "lotta al terrorismo" (e a chi, alla fin dei conti, l'accetta, come il governo italiano) e' presto detto anche perche' lo stiamo gia' vedendo in azione.

Tsahal "si difende" in Libano con raid che puntano a disarmare gli Hezbollah e ad uccidere i capi dell'organizzazione.

La Forza ONU sta a guardare e non rileva la "violazione della tregua". Al massimo protesta debolmente qualche funzionario di serie B.

Israele intima all'esercito libanese di smantellare le postazioni guerrigliere sotto il Litani e di bloccare i confini siriani da cui passano le armi di provenienza iraniana.

L'esercito libanese non puo' e non vuole provvedere.

I soldati israeliani continuano a "farsi ingiustizia" da se'. Sconfinano in Siria con la scusa di disarticolare il sistema di rifornimento delle armi ai terroristi.

La Forza ONU e' li' che, come sempre, osserva a braccia conserte e, non intervenendo, appare complice di Israele agli occhi della popolazione.

Ad un certo punto qualche miliziano sciita si spazientisce e decide - o imbeccato o per conto proprio, non importa - che e' utile e doversoso prenderla a bersaglio per rappresaglie "popolari" contro le "provocazioni" dei militari israeliani.

I caschi blu diventano oggetto di facili attacchi. Qualche militare occidentale muore.

Le bare dei soldati italiani vittime degli attentati rientrano in Italia. Bertinotti le avvolge nella bandiera della pace pronunciando commoventi ed ispirati discorsi. La canea mediatica innegiante allo scontro di civilta' diventa incontenibile ed acquista chanches di presa sull'opinione pubblica.

Mi fermo qui. Gli sviluppi successivi li rimando alle vostre concatenazioni logiche.

Questa e' la fine che prevedo per i "fessi" che si propongono di "provarci" con la missione ONU. A quelli che credono che esista uno Stato libanese in grado di controllare ed integrare le milizie Hezbollah. A quelli che sperano di far ragionare Washington e Tel Aviv, Damasco e Teheran.

 

Mi si scusi la "drasticita'" ma - per quanti sforzi faccia - non riesco a convincermi della praticabilita' delle buone intenzioni basate sul nulla. Qui il problema non e' di "rendere evidente all'America e ad Israele che le soluzioni militari non funzionano". Qui dobbiamo imporre dal basso la pace a dei guerrafondai convinti ed impuniti. Abbiamo di fronte la prospettiva di una lunga marcia attraverso sofferenze, lacrime sangue. Se equivochiamo, per inseguire la comoda e consolante "legge del minimo sforzo", la natura dei nostri interlocutori partiamo col piede sbagliato e non arriviamo in nessun posto.

Tra i "fessi", pertanto, iscrivo a pieno diritto il pacifismo che:

1- separa e marca le distinzioni dei vari fronti della guerra "unica e globale" che in tal modo disconosce, occulta e nega. Afghanistan, Iraq, Libano, Iran sono presi come conflitti separati, non come aspetti particolari di una unica partita strategica, la cui posta e' il controllo delle risorse petrolifere;

2- si limita a considerare la dimensione sovrastrutturale del conflitto arabo-israeliano: ad es. gli ebrei contro i musulmani e i cristiani, eccetera. Non riesce a vedere che la chiave del problema in Medio Oriente sta non nella contrapposizione etnico-religiosa (la quale gioca un ruolo ma non determinante), bensi' nel conflitto strutturale sulla produzione e distribuzione della ricchezza petrolifera;

3- attribuisce ad organismi internazionali tipo l'ONU e la UE potenzialita' e funzioni che sono fuori dal loro assetto strutturale e dalla loro portata: prima di utilizzarli per finalita' di pace occorrono riforme profonde che li predispongano adeguatamente per scopi pacifici efficaci;

4- non comprende che l'Italia in quanto sistema-paese fa parte integrante ed organica del "club nordista" dei ricchi del Pianeta che hanno interesse a cogestire "multilateralmente" con gli USA l'ordine internazionale ed il modello di sviluppo "ecocida"  fondato sullo sfruttamento sistematico delle risorse e delle popolazioni del Sud del mondo;

5- sogna di affiancare, con una illusione di condizionamento "alternativo", l'interventismo umanitario all'interventismo bellico finendo in questo modo con il coprire e legittimare quest'ultimo.

Un pacifismo non fumoso e retorico ma concreto e conseguente non chiederebbe agli "altri" di "smettere di fare la guerra"; capirebbe e toccherebbe con mano che noi siamo gia' in guerra e si muoverebbe per fare cessare, qui ed ora, il nostro fattivo contributo ad essa.

Sto parlando della nostra guerra, quella che dipende da noi, quella che facciamo noi, quella che alimentiamo noi con una complicita' in varie forme e a vari livelli.

Il nonviolento, proiettato alla "ricerca della verita'", la vede, questa guerra in atto, il pacifista parolaio no: la differenza sta qui e non e' da poco.

Noi partecipiamo alla guerra ogni volta che andiamo in giro per il mondo con i nostri militari ad esportare "pace, democrazia, civilta'". La nostra pace, la nostra democrazia, la nostra civilta'. Il nostro stile di vita occidentale.

Se vogliamo la pace abbiamo una cosa da fare subito, senza indugi: cominciamo con il cessare di gettare qui ed ora, la  benzina sul fuoco, per conto terzi (delle "alleanze euroatlantiche") e per conto nostro. Il solo fatto di usare la benzina alla maniera con cui ci impongono di farlo e' guerra: si alimenta di guerra e produce guerra.

Restiamo a casa e rendiamo piu' pacifica e giusta la nostra societa' ad esempio consumando meno benzina. (Pare poco, ma sarebbe un passo gigantesco gia' ottenere il fifty-fifty "europeo" trasporto su gomma- trasporto su rotaia).

Combattiamo la guerra e prepariamo la pace non a chiacchere, con marce rituali e ripetitive, ma evitando e riducendo lo spreco energetico: capire e fare questo e' piu' importante, oggi, di proporre, di fatto solo per aprire bocca, interposizioni nonviolente all'estero.

Ma proviamo solo ad immaginare cosa succederebbe se politici e militari ci prendessero sul serio!

Si', pacifisti, avete ragione: partite subito per il Libano con un corpo di pace disarmato di 5.000 uomini e donne. Organizzate tutto voi. Vi diamo pure i soldi, senza risparmio: fate, fate... garantite voi la tregua!

Affiancate i nostri 10.000 caschi blu armati. Anzi li mettiamo ai vostri ordini. (Tanto l'ONU li sta mettendo li' solo perche' prima o poi incassino qualche colpo e facciano da pretesto per una campagna propagandistica anti-Iran).

Io prevedo un disastro ed una figuraccia, voi?

Siamo seri, le cose, anche e soprattutto quelle nonviolente, vanno preparate e non improvvisate!

Esiste oggi un possibile ruolo per i Corpi Civili di Pace, ma va coltivato, graduato e sviluppato tenendo conto che siamo in una fase iniziale, anzi embrionale. Non voglio essere frainteso: reputo importantissimo lavorare su questo versante degli interventi nonviolenti all'estero. Ma bisogna saperlo fare con realismo e serieta', avendo il senso della misura e delle proporzioni.

Essere testimoni diretti dei fatti internazionali e fare controinformazione che i media stravolgono e' - ad esempio - un modo importantissimo per costruire ponti tra i popoli. Possiamo tentare - che so - di costruire delle "ambasciate di pace" sponsorizzate dal Parlamento Europeo, che potrebbe cosi' giocare un suo ruolo.

In questo momento quello che possiamo e dobbiamo fare e' sviluppare il dialogo di base tra i popoli dell'area mediterranea coinvolgendo i soggetti politici ed istituzionali permeabili alle istanze provenienti dal basso.

Ma si tratta solo di un ramo collaterale dell'impegno di pace da portare avanti.

La mia idea, infatti, e' che - al momento - dobbiamo dare decisa priorita' alla trasformazione nonviolenta della societa' che e' alla diretta portata della nostra azione: prepariamo la pace contrastando il militarismo interno, disarmando e adottando, con percorsi di mobilitazione  e partecipazione di base, modelli economici equi e sostenibili innanzitutto per i nostri territori.

In questa lotta di costruzione dell'unita' popolare per i diritti, il diritto, una solidarieta' diffusa ed ecocompatibile, c'e' anche lo spazio per sperimentare un modello di difesa alternativo.

Stiamocene a casa e lavoriamo per rendere le nostre relazioni sociali piu' giuste: non andiamo a rompere i coglioni in giro pretendendo ideologicamente di condizionare in senso pacifico le guerre neocoloniali che servono interessi imperiali e sub-imperiali (in pratica, la spartizione del bottino petrolifero. A proposito: abbiamo ritirato l'ENI dall'Iraq?).

Lasciamo a Prodi e a D'Alema (e a Berlusconi) le ambizioni di grandezza, i "progetti mediterranei di ampio respiro", i morti da giocare sui tavoli diplomatici delle trattative.

Non spacciamo per missioni di pace le avventure belliche: le bugie hanno le gambe corte e neanche il forbitissimo eloquio bertinottiano puo' aver ragione della dura lezione dei fatti.

Vuoi vedere che, dicendo pane al pane e vino al vino, la gente ci capisce, ci segue, si attiva per se' e non contro di se',  e che, comportandoci seriamente, modestamente, coerentemente, riusciamo a concludere qualcosa di buono e di significativo per il popolo italiano dalla spontanea, riconosciuta ed irriducibile "vocazione pacifica"?

Questo e' un messaggio per la gente di base, non per i governi. E' dall'unita' popolare che nasce la vera speranza di pace, la forza che puo' provare a fermare la spirale guerra-terrorismo, la solidarieta' non pelosa con i "proletari" che, in tutti i paesi del mondo, hanno lo stesso volto dei nostri poveri e dei nostri immigrati.

Post scripum

Riporto, in conclusione, un articolo che - a questo punto - e' molto piu' di Baracca che non mio. Lo ringrazio perche', bonta' sua, mi continua ad associare come coautore. Condivido questo articolo che mi pare si sintonizzi sulla giusta lunghezza d'onda: consapevolezza della drammaticita' e della entita' della partita in atto nel M.O., considerazione delle esigenze  geopolitiche degli USA, presa d'atto che e' in corso la guerra "unica  globale preventiva permanente", contestualizzazione in tale ambito del ruolo di Israele e della crisi libanese.
In questo quadro ripeto che  non ritengo che noi, Italia, e quindi tanto piu' noi, pacifisti  italiani, si sia realisticamente in grado di condizionare il vero
significato della missione ONU che si sta apprestando, dietro  sostanziale regia americana, per "salvaguardare la tregua libanese": creare il "casus belli" che deve servire a giustificare l'escalation  del conflitto da parte di Israele per conto degli USA.

DALL’ATTACCO AL LIBANO ALLA GUERRA ATOMICA?

Angelo Baracca e Alfonso Navarra

Prima, il feroce attacco israeliano al Libano ha seminato lo sconcerto nel movimento pacifista; e ha fatto passare in secondo piano nell’opinione pubblica non solo la Palestina (nessuno batte ciglio su decine di parlamentari e ministri sequestrati e torturati!), ma anche la questione iraniana. Ora, la risoluzione dell’Onu ha disorientato ulteriormente i pacifisti: un passo verso la pace? Un intervento militare da rifiutare? Un disorientamento che traspare, a mio avviso, dagli interventi di Rossanda, come di Lotti e di altri.

Sono cambiati i termini del problema? E come? Il sempre lucido Chossudovsky scriveva il 13 agosto (“La triplice alleanza”, comedonchisciotte.org): “Non abbiamo a che fare con un conflitto limitato tra le Forze Armate Israeliane e Hezbollah … Il teatro di guerra libanese fa parte di un più largo piano militare americano, che comprende la regione che si estende dal Mediterraneo orientale al cuore dell’Asia centrale. La guerra in Libano deve essere vista come ‘una fase’ di questa, più larga, road map militare … è parte di un tentativo militare coordinato da parte dei principali partner e alleati di Israele, compresi Usa, Inghilterra, Turchia e gli Stati membri dell’Alleanza Atlantica”. Su questa martoriata regione si gioca da tempo per Washington la partita decisiva per i futuri assetti mondiali e per il controllo delle risorse fondamentali. La guerra globale, preventiva e permanente dichiarata già nel 2001 dal presidente Bush contro il “terrorismo”, di cui parlava Giulietto Chiesa (il manifesto, 27 luglio), sta diventando la terza guerra mondiale (anche se molto diversa dalle precedenti).

Il disegno strategico neocon ha incontrato delle difficoltà impreviste (forse per miopia, o solo per l’arroganza del potere), ieri in Iraq, oggi in Libano: ma non facciamoci illusioni, la strategia di fondo rimane la stessa. Il rovesciamento dei regimi siriano ed iraniano rimane più che mai per l’amministrazione statunitense una tappa irrinunciabile. Se risulta impossibile dominare questa regione strategica – il “Grande Medio Oriente” di cui parla la Rice – occupandola militarmente, o controllandola attraverso governi fantoccio, meglio renderla totalmente ingovernabile, alimentare il caos, fare terra bruciata, piuttosto che consentirne l’ingresso alla Cina, all’India o alla Russia. In un successivo articolo del 21 agosto Chossudovsky si chiede ancora se “c'è una relazione tra il bombardamento del Libano e l'inaugurazione del più grande oleodotto strategico del mondo [Ceyhan-Tblisi-Baku, la cui inaugurazione] ha avuto luogo il 13 luglio, all'inizio dei bombardamenti israeliani in Libano”.

La risoluzione dell’Onu può essere al tempo stesso un’occasione e una trappola per l’Europa, che comunque difficilmente potrebbe tirarsi indietro. Un’occasione, se volesse (o potesse) finalmente giocare un ruolo autonomo: cosa peraltro assai dubbia. D’altra parte, l’interposizione (il controllo di una fascia di sicurezza in territorio libanese) costituisce il tentativo di coinvolgere ulteriormente l’Europa nel cuore del conflitto (dopo l’Afghanistan, e a fianco di Israele): dal quale può diventare sempre più difficile uscire (che cosa faranno i militari del contingente di fronte a nuove provocazioni, ad attacchi militari, a scontri sul confine siriano?). Se poi riuscisse il giochetto di passare il comando alla Nato, la forza di interposizione prenderebbe direttamente le parti di Israele, in forza della “Associazione Nato-Israele”.

Da tempo il Pentagono scalpita per passare all’uso delle armi nucleari, cancellando finalmente la fastidiosa distinzione rispetto alla guerra convenzionale. Non solo l’attacco al Libano era stato preparato da lungo tempo, ma anche quello statunitense/israeliano, possibilmente nucleare, all’Iran. Il programma nucleare iraniano fornisce così a Washington un doppio (o triplo) pretesto/occasione: drammatizzare la situazione, arrivando all’ultimatum e alle sanzioni; preparare così l’attacco militare che, congiunto alla guerra al Libano, metta a ferro e fuoco l’intera regione; e, last but not least, sperimentare finalmente le testate nucleari, nuove fiammanti, che non possono più essere lasciate ad arrugginire negli arsenali come quelle della Guerra Fredda. Per “disarmare” l’Iran, che impiegherebbe molti anni per avere la bomba (chi si preoccupa che il Brasile, il Giappone ed altri abbiano già l’esplosivo nucleare e la bomba pret a porter?), finalmente si potranno sdoganare le bombe nucleari, togliendole definitivamente dalla soffitta. E con l’occasione perché non sperimentare sulle popolazioni anche tutto un arsenale di nuove armi proibite?

Il problema è questo: il resto è aria fritta.