L'estratto di "Stanca di guerra"

di Lella Costa

E io che faccia faccio? Che faccia si può fare o forse che faccia si deve fare quando si prova ad affrontare un argomento così grande e terribile come la guerra? Che poi non si sa neanche bene dove, come, quando, perché sia cominciata. No, non è vero, in realtà questo un po’ si sa. Anzi, forse all’inizio è stata anche una faccenda relativamente semplice, una roba tipo: "Tu hai la caverna più calda, la donna più pelosa, la ruota più rotonda. Io ho la clava più grossa". E felicemente ignara della simbologia: "Te la spacco sulla testa, così mi prendo quello che mi piace". Rozzo, ma mica poi tanto. Forse il significato vero, l’essenza della guerra sta proprio tutto qui, visto che alcuni millenni dopo un teorico della guerra, un signore che si chiamava von Clausewitz – nella sua vita si è occupato solo e soltanto di guerra, ha scritto un unico libro intitolato Della guerra, un maniaco –, ha definito la guerra "un atto di violenza attraverso il quale costringiamo il nemico a fare la nostra volontà"; quindi colpi di armi sempre più precise, letali, raffinate. Poi gli uomini hanno cominciato ad aggregarsi, a mettersi insieme per poter fare meglio la guerra e sono intervenuti gli dèi che mandavano gli uomini a fare la guerra per loro conto e in loro nome, e a un certo punto gli uomini hanno cominciato addirittura a spostarsi per fare la guerra, non più soltanto vicino a casa o nei territori confinanti. No, partivano, andavano lontano apposta per farla, lasciavano a casa moglie e figli e dicevano: "Scusa cara, devo andare in guerra". Probabilmente prima di uscire a comprare le sigarette avevano quella scusa lì; si facevano incidere sullo scudo "nuoce gravemente alla salute" – dagli torto – e andavano. E che cosa fa un uomo che arriva in un territorio, in un paese che gli è totalmente estraneo? Probabilmente cerca di renderselo amichevole, quindi cerca di renderlo il più possibile simile al luogo da cui lui proviene. Forse da queste prime esperienze di guerre itineranti sono nati anche i primi concetti di patria, di appartenenza, di identità nazionale, di colonie, di confini e poi... e poi i monumenti ai caduti. Che basterebbe vedere quanto son brutti loro, per capire quanto è brutta la guerra. I monumenti ai caduti son brutti per definizione, vengon fuori male comunque, e a volte fanno anche involontariamente ridere. Per esempio, in provincia di Pisa c’è un paese che si chiama Calci. Sul monumento c’è scritto: "Calci ai suoi caduti". Vergogna.
A volte si può perfino ridere, sorridere della guerra; sì, perché a volte la guerra è paradossale, grottesca, assurda, contraddittoria. Per esempio, in diverse fasi della storia dell’umanità si sono affermate delle religioni fondamentali, importantissime, che ponevano come principio irrinunciabile l’opposizione a qualunque forma di guerra e di violenza. Bene, nel nome di quelle stesse religioni si sono fatte e si continuano a fare delle guerre spaventose. Sembra sempre che ci sia qualcosa per cui è indispensabile farla, la guerra, che sia la libertà, la giustizia, l’onore, le proprie idee. E poi, qua e là nel mondo, qualcuno ha cominciato a rendersi conto che non si poteva andare avanti così, perché gli orrori della guerra diventavano sempre più orrori, ma non se ne veniva a capo e quindi bisognava smettere; e allora è cominciata la denuncia contro la guerra fatta più che altro di dati, di cifre, di elenchi: gli elenchi delle vittime, dei deportati, degli internati, dei torturati, delle nefandezze della guerra, elenchi che andavano continuamente aggiornati con notizie di prima mano per cui: alé, cronisti di guerra mandati al fronte – moglie e figli sempre a casa ad aspettare – e poi interviste sui campi di battaglia, diari dei soldati in trincea, fotografie della guerra, telecamere sulla guerra, cineprese sulla guerra, la fiction sulla guerra... Però niente di tutto questo è servito a farla finire la guerra, anzi, sembra quasi che più tu la descrivi e più lei prolifera – verbo che non a caso si usa solo per certi virus tremendi e per la guerra. E allora che cosa c’è dentro la guerra, che la rende così terribile ma anche invincibile e insieme affascinante. E noi con che faccia possiamo pensare di guardare, capire, raccontare la guerra, la guerra che poi c’è. Io che faccia devo fare davanti ai reportage di guerra dei telegiornali, con che faccia posso guardare le foto di guerra pubblicate dai quotidiani. Che faccia devo fare? Che faccia fare? Che faccia fare?

 

 

 

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