RASSEGNA STAMPA REDAZIONE NAMIR

WWW.NAMIR.IT

di b.katia

MAGGIO 20012 CLICCA QUI      
       

 

8 luglio 2012

MORIRE SUBITO O LENTAMENTE ?

per poter rialzare il pil - prodotto interno lordo - si calcola ci vorranno 15 anni... mentre tornando alla lira molti tanti troppi morirebbero di fame subito ed entro tre anni forse il pil potrebbe risalire. queste sono le previsioni quello che invece non si vede, ammesso che si va a votare ad ottobre... sono le nostre e dico nostre scelte.

Da qualche tempo si moltiplicano le voci di chi auspica un ritorno alla vecchia lira, semmai con nome nuovo, ad esempio: nuova lira. I sostenitori di questa proposta, ritengono che sia una strategia efficace per rialzare la nostra economia, con la conseguente svalutazione che darebbe nuova competitività ai nostri prodotti Made in Italy. Questa proposta nasce in un momento in cui la crisi economica, dopo quattro anni dall’inizio della crisi finanziaria internazionale la fine è ancora lontana dal concludersi. Il quadro congiunturale delle economie avanzate e di quelle dell’area euro in particolare, è ancora pesantemente segnato da un rallentament o della crescita, dalla recessione, dalla contrazione dell’attività produttiva, La riduzione della domanda aggregata, conseguenza dei rigorosi processi di ridimensionamento del debito pubblico attuate attraverso misure di contenimento della spesa e di aumento della pressione fiscale, influisce negativamente su consumi e investimenti contribuendo, così, a deprimere ulteriormente le prospettive di ripresa. Le previsioni sull’economia mondiale elaborate dai principali organismi internazionali concordano nel delineare un quadro complessivo d’ incertezza e, in prospettiva, un lento recupero della crescita, degli investimenti e dell’occupazione.

In relazione a ciò l’idea di attuare da soli misure efficaci per una ripresa economica dell’Italia, avulsa dal contesto internazionale, è completamente distaccata dalla realtà effettuale. In parole povere la domanda è: CHI COMPRA ?

Analizzando la questione del ritorno alla lira, la prima domanda da farsi è se sia opportuno attuarla in questo momento con l’Italia finanziariamente così fragile, al punto che Mario Monti nel novembre 2011 dichiarava che si era corso serio rischio di non poter più pagare le pensioni e gli stipendi agli statali.

Nei trattati formanti di fatto la Costituzione Europea, non sono previste norme per chi vuole abbandonare l’euro, si parla della possibilità per uno Stato di abbandonare l’UE. Quindi chi vuole ritornare alla lira dovrà di conseguenza uscire dall’UE. Semmai con un periodo di marcia parallela tra nuova moneta ed euro. Ma ciò implicherebbe un cambio forzoso, destinato a far soccombere la nuova moneta in breve tempo.

Veniamo agli aspetti pratici :

1) Lo Stato. Tutti i titoli di debito pubblico (i famosi BOT, BTP etc.) sono oggi denominati in Euro. Un abbandono della moneta unica porrebbe lo Stato di fronte a due scelte. Prima opzione: rinominare d’imperio tutti i titoli di debito nella nuova moneta. Questo equivale, né più né meno, che a un “default” ( in pratica “bancarotta”, cioè impossibilità di far fronte ai propri debiti), con relativa fuga degli investitori e impossibilità di trovare, per anni e anni, ulteriori finanziamenti sui mercati. Rinominare i debiti contratti in una valuta forte (l’euro) in una più debole ( la nuova lira) significa non pagarne una parte e infrangere i patti e i contratti con gli investitori. Ricordiamoci che poco meno del 50% del debito pubblico italiano è in mano a investitori esteri. Perché questo disastro? Almeno secondo le stime degli analisti, la nuova moneta, nel caso dell’Italia, si svaluterebbe subito dal 30% al 50% rispetto all’ euro. In definitiva una moneta è lo specchio del sistema economico e politico, il “saldo”  fra i suoi punti di forza e di debolezza. Se il saldo ha segno “più” la moneta è forte e ricercata dagli investitori, se il saldo ha segno “meno” accade il contrario. Una crisi che provocasse una uscita del nostro paese dall’ euro sarebbe devastante, da qui le stime di una svalutazione/deprezzamento del 30-50% della nuova lira rispetto all’euro. Di fronte a questa prospettiva lo Stato “secessionista” potrebbe decidere allora di lasciare i Titoli di debito denominati in euro. Il destino sare bbe lo stesso: il default, ma per cause diverse. Infatti la pesante svalutazione immediata della nuova lira renderebbe impossibile allo Stato di pagare il debito denominato in Euro. Una situazione frequente, in passato, nei paesi in via di sviluppo che s’ indebitano in valute straniere e poi finiscono in default, quando la propria moneta si svaluta rispetto a quella in cui sono denominati i debiti.

2) Le imprese. Si ripropone, in forma addirittura più grave, il problema dei debiti contratti in Euro, specialmente con le Banche straniere. La conversione e successiva svalutazione della nuova lira renderebbe insostenibile ripagare i debiti in valuta “forte” ( cioè l’euro) con conseguenze facilmente immaginabili. Quindi non solo il ritorno alla lira non favorirebbe ( almeno nel breve termine) la competitività delle imprese, ma ne provocherebbe fallimenti di massa.

3) Le famiglie. Non appena si avesse il sospetto di una conversione forzata dei depositi da euro in nuove lire, ci sarebbe una corsa agli sportelli delle banche per ritirare i propri risparmi in euro, metterli dentro una valigia e precipitarsi verso il più vicino paese ancora dell’area euro per versarli su un conto corrente. Ovviamente questa scelta “razionale” del risparmiatore sarà impedita dalle autorità con controlli molto stretti e severi alle frontiere. Risultato: il potere di acquisto dell’italiano medio subirà un tracollo dal 30% al 50%. Uno studio dell’UBS (Unione Banche Svizzere) calcola in 9500-11500 euro la perdita media del reddito per ogni cittadino dello Stato secessionista, nel primo anno della nuova moneta. Se si considera che il reddito medio procapite degli italiani sia circa 23.000 euro/anno ci renda conto della dimensione della “tosata”. Vale poi la pena di osservare che la “corsa agli sportelli” in massa, è la tecnica migliore per far fallire le banche.

4) Ma un 30-50% di svalutazione della nuova lira non renderà almeno più competitivo il nostro sistema industriale permettendoci di rimetterci rapidamente in piedi? Non è detto. Innanzitutto abbandonando l’euro e l’Unione Europea si abbandonano anche tutti i trattati sul Mercato Unico, che cioè garantiscono la libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. E non si capisce perché i paesi ancora nell’euro dovrebbero accettare, di buon grado, una simile concorrenza da parte di uno Stato secessionista. Non è un’ ipotesi molto lontana dalla realtà immaginare l’imposizione di tariffe doga nali, cioè pesanti dazi, alle merci in arrivo del paese “secessionista”, per compensare i prezzi più bassi dovuti alla svalutazione. Consideriamo la presunta competitività che il ritorno alla lira comporterebbe. Verso quali Stati saremmo competitivi ? Serbia, Estonia, Lituania, Romania, ecc ecc. Molte industrie dell’UE hanno delocalizzato fabbriche in questi paesi, per via della mano d’opera a basso o bassissimo costo, cioè tra i 50 e 300 euro mensili. In generale i paesi europei dell’ex blocco sovietico non sono riusciti a produrre una ricchezza economica simile a quelli occidentali, e ciò per varie ragioni. In questo senso il Nazismo ha vinto la sua battaglia. c'e' poi da aggiungere che non abbiamo un piano industriale interno.

5) Naturalmente questi scenari da incubo sul ritorno della Lira, non si limiterebbero solo alla sfera economica, svalutazioni di quella portata innescherebbero un’ iperinflazione (le importazioni, a cominciare dall’energia e l’Italia è dipendente dall’estero per oltre l’80%, costerebbero molto di più e avvierebbero una spirale perversa sui prezzi ) con conseguenze sociali difficilmente immaginabili. Le istituzioni democratiche potrebbero resistere a un simile tsunami ?

6) In seguito alla svalutazione della nuova lira il costo della Benzina e Gas (risorse energetiche che si pagano in dollari), aumenteranno di 3 volte. Un computer che oggi paghiamo 400 euro, ne costerà 1200.

7) Per i mutui occorre distinguere tra quelli a tasso fisso e quelli a tasso variabile. Per i primi la situazione rimarrebbe formalmente invariata, diventando comunque pesanti a causa dell’ inevitabile inflazione. Per i secondi invece la situazione diverrebbe pesantissima, dovendo abbandonare l’Euribor, sostituendolo con un tasso corrispondente in valuta locale, quindi le rate potrebbero anche raddoppiare, oltre al fatto che il debitore si troverebbe anche lui di fronte all’inflazione che erode in maniera drammatica i percettori di stipendio fisso.

Ventata di ottimismo, ovverosia il bicchiere mezzo pieno

In mezzo a tanto buio una voce molto autorevole, l’economista Jacob Funk Kirkegaard del prestigioso Peterson Institute for International Economics ( Washington D.C. , USA) legge la crisi europea in un modo completamente diverso. Non solo il bicchiere non è rotto, ma nemmeno mezzo vuoto. Anzi è mezzo pieno. Per cinque buoni motivi:

1)La Banca Centrale Europea si sta comportando sempre più come una vera Banca Centrale, sia fornendo liquidità alle Banche sia comprando ( sul mercato secondario e quindi non direttamente) i Titoli di Stato dei paesi in difficoltà come Spagna e Italia. Un Istituto ormai capace di imporre austerità fiscali e riforme ai paesi più recalcitranti. Insomma una visione più ampia della stabilità finanziaria che va oltre il mandato di tenere sotto controllo l’inflazione. Anche se ovviamente c’è ancora molta strada da fare prima di arrivare ad interventi tipo FED ( la Federal Reserve, la Banca centrale degli USA).

2)Un cammino ormai delineato verso quell’ integrazione fiscale (regole comuni sul Bilancio degli Stati e controlli centralizzati a livello europeo ) necessaria a rendere più omogenee le economie dell’area euro e quindi più compatibili con la moneta unica. Un cammino non facile e che sarà lungo, ma alcuni passi come l&r squo;istituzione di un fondo per venire incontro agli Stati e/o Banche in difficoltà ( EFSF , European Financial Stability Forum) sono stati compiuti.

3)Una serie di riforme in corso d’opera per aumentare la concorrenza, la competitività, l’apertura di mercati prima chiusi, ridurre il ruolo dello Stato, nei paesi Mediterranei. Un fatto inconcepibile prima di questa crisi e che aiuterà l’Europa, nel suo insieme, ad affrontare le crisi del futuro ( in particolare quella demografica, cioè l’invecchiame nto della popolazione).

4)Un riallineamento dei Partiti del centro sinistra dei paesi mediterranei verso posizioni meno ideologiche e più socialdemocratiche, alla Tony Blair anni ’90 (o socialdemocrazie nordiche anni ’70 e ’80). Quindi un cambiamento culturale che pone al centro la sostenibilità finanziaria delle politiche fiscali, economiche e del welfare.

5)Un largo consenso popolare sulle politiche di tagli alla spesa pubblica e ai sistemi di welfare ( pensioni ad esempio) che in altre epoche avrebbero scatenato la furia ideologica.

E come conclude il suo articolo Jacob Kirkegaard “ L’Europa ha molta strada da fare, ma sta usando bene la crisi” sempre e solo sulle nostre spalle... aggiungerei. ma non abbiamo scelta o questo o crollare.

 

22 giugno 2012

La lettera di Giorgio Ambrosoli alla moglie

La posta in gioco era enorme – SINDONA è protetto dal potente uomo di governo GIULIO ANDREOTTI che lo ha definito – salvatore della lira. Se Ambrosoli avesse ceduto a quelle pressioni, Sindona avrebbe evitato ogni conseguenza penale e sarebbe stata la BANCA D'ITALIA a dover coprire i debiti.pur sapendo di rischiare molto Ambrosoli non cede ne' alle blandizie ne' alle minacce e scrive, sapendo di essere ucciso, la sua ultima lettera alla moglie.

Anna carissima,

è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I. (Banca Privata Italiana ndr) atto che ovviamente non soddisfarà molti e che è costato una bella fatica.

Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente di ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese.

Ricordi i giorni dell’Umi (Unione Monarchica Italiana ndr) , le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito.  Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo.

I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie.  Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo.  Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [...] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa.

Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro [...]

Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi.

Hai degli amici, Franco Marcellino, Giorgio Balzaretti, Ferdinando Tesi, Francesco Rosica, che ti potranno aiutare: sul piano economico non sarà facile. ma – a parte l’assicurazione vita –  [...]

Giorgio

21 GIUGNO 2012

La Rosa Tricolore: Renzi premier Berlusconi Presidente della Repubblica


La Rosa TricoloreRenzi premier Berlusconi Presidente della Repubblica

'L'Espresso' è entrato in possesso del documento riservato commissionato dal Cavaliere a un gruppo ristretto di consiglieri capeggiati da Dell'Utri e Verdini (oltre che dal suo nuovo guru Volpe Pasini). Risultato: via il Pdl e quasi tutti i suoi dirigenti, nasce una Lista Civica nazionale che dovrà allearsi con il sindaco di Firenze, destinato a Palazzo Chigi. Obiettivo: salvare Silvio dai giudici e (se possibile) farlo eleggere Presidente della Repubblica


Il documento circolava ieri riservatamente nell'aula di Palazzo Madama mentre i senatori si apprestavano a votare per l'arresto di Luigi Lusi. Appena arrivato da Milano, top secret, affidato soltanto a un ristrettissimo gruppo di notabili berlusconiani. Nessun file, solo carta, come ai bei vecchi tempi.Otto pagine dattiloscritte più la copertina, titolo "La Rosa Tricolore", sottotitolo "Un Progetto per Vincere le elezioni politiche 2013". E il simbolo, una rosa stilizzata con i petali rossi, bianchi e verdi su tutte le pagine.

Dopo giorni di indiscrezioni sempre smentite, ecco per la prima volta messo nero su bianco il piano di Silvio Berlusconi per superare indenne il disastro del Pdl, dato in picchiata nei sondaggi, e provare a vincere alle prossime elezioni, tra un anno o nel 2012 «nel caso di voto anticipato», si legge nel documento, nell'eventualità più che mai attuale che il governo Monti venga fatto cadere.

Un piano in tre mosse. Primo, azzerare l'attuale Pdl, considerato in blocco «non riformabile» insieme a tutti i suoi dirigenti (con un singolare eccezione: Denis Verdini).

Secondo, costruire un network di liste di genere (donne, giovani, imprenditori) tutte precedute dal logo "Forza".

E, infine, l'idea più clamorosa: candidare un premier a sorpresa, pescato come nel calcio mercato dalla squadra avversaria: non Luca Cordero di Montezemolo né Corrado Passera né tantomeno il povero Angelino Alfano. Ma il giovane sindaco di Firenze Matteo Renzi, oggi candidato in pectore alle primarie del Pd.

Pdl tutti a casa. E senza tv.
Il presupposto dell'operazione Rosa Tricolore è la catastrofe dell'attuale centrodestra e del partito azzurro. «Il Pdl», si legge, «appare non riformabile e i suoi dirigenti hanno un tale attaccamento alla proprio posto di privilegio da considerare come fondamentale la sopravvivenza solo di se stessi. Miracolati irriconoscenti appiccicati sulle spalle di Berlusconi». Il rischio è che la sconfitta del Pdl trascini con sé anche «la fine politica» del Cavaliere. E non solo: «La sconfitta toglierebbe a Berlusconi la sola protezione contro chi lo vuole morto finanziariamente, giudizialmente e fisicamente».

Insomma, i capi del Pdl, pur di non soccombere, condannerebbero al patibolo il loro creatore Silvio. Con alcune eccezioni. Più di tutti, Denis Verdini, «che ha dimostrato capacità di lavoro e di risultato organizzativo ed operativo», ma anche il coordinatore lombardo Mario Mantovani. Soluzione radicale: «la sola svolta possibile sarebbe le loro dimissioni dai ruoli di partito, la loro scomparsa dai giornali e dal video e la loro non ricandidatura», eccezion fatta per chi ha un solo mandato. Insomma, si salva Maria Rosaria Rossi.

E a casa, e pure senza telecamere, i «professionisti della politica»: La Russa, Gasparri, Frattini, Quagliariello, Cicchitto, Matteoli, Brunetta, Sacconi... E naturalmente il segretario Alfano, «che aveva la possibilità di dimostrare la sua leadership e invece non ha fatto nulla dimostrando di far parte a pieno titolo della vecchia classe dirigente che i cittadini chiedono che venga sostituita con facce nuove giovani e non».

Dalla Brambilla a Marco Rizzo
Un progetto di rottamazione? Molto di più: il Piano di Rinascita Berlusconiana si richiama esplicitamente a Beppe Grillo. Un movimento leggero, solo nazionale, senza apparati regionali, costi bassissimi, senza finanziamento pubblico e, svolta epocale per Sua Emittenza, con la Rete al posto della tv. Un network che mette insieme lo spirito vincente di Forza Italia '94 e la lezione di 5 Stelle. Organizzazioni di genere: «Forza Donne. Forza Imprenditori. Forza Giovani». E poi studenti, pensionati, pubblici dipendenti. Tutti raggruppati in un movimento nazionale, le cui ipotesi di nome sono Forza Silvio oppure Forza Italiani.

Una lista del genere, si calcola, potrebbe valere con quel che resta del Pdl il 28-30 per cento dei voti. Cui andrebbero aggiunti i consensi raccolti dal bouquet di liste fiancheggiatrici già pronto. Si va dalla Destra di Storace alla lista Sgarbi ("Rivoluzione") ai pensionati alle new entries. 
-
La lista Santanchè, gli animalisti della Brambilla, una fantomatica nuova Alleanza democratica con gli ex dc, una Lista Sud e una Lista Nord («se salta l'accordo con la Lega») e la nuova di zecca Siamo Italia affidata all'ex supercommissario Guido Bertolaso. Tutte insieme le liste pro-Silvio potrebbero toccare tra il 37 e il 42 per cento. Competitive con Grillo, che scenderebbe al 12 per cento. E soprattutto con il Pd e con il centrosinistra oggi dato per vincente.

Contando anche su qualche quinta colonna nel campo avversario: per esempio il comunista Marco Rizzo. Per togliere voti alla coalizione di Bersani «potrebbe essere di interesse sostenere la presenza del gruppo di Marco Rizzo affinché si presenti alle elezioni politiche». Quando si dice la doppiezza: Berlusconi anti-comunista nelle piazze, sponsor di Rizzo nelle stanze dei patti elettorali.

Matteo nuovo Silvio
Ma la sorpresa più grande il Piano B. la riserva quando si arriva a parlare di chi potrebbe essere il prossimo candidato premier. «Fermo restando che nessuno potrebbe svolgere questo compito meglio di Berlusconi, questo vale solo se lui sente il grande fuoco dentro di sempre». Se invece il fuoco del Cavaliere fosse intiepidito, sarebbe meglio pensare a un nome nuovo. Alfano? «Non crea trascinamento e emozioni». Montezemolo? «Troppo elitario e tentennante». Passera? «Privo di carisma e di capacità decisionali forti. La permanenza nel governo Monti non lo aiuta». 

E allora la sola cosa da fare, «folle, geniale», è schierare il campione del campo avverso: «Il solo giovane uomo che ci fa vincere: Matteo Renzi». Il sindaco di Firenze? Ma non è del Pd? Certo. Ma chi ha scritto il documento ricorda con lucidità che il rottamatore è inviso ai dirigenti del partito e alla Cgil, mentre è apprezzato dagli elettori del centrodestra. «Se Berlusconi glielo chiedesse pubblicamente non accetterebbe. Sarebbe un errore fare una richiesta pubblica da parte del leader», che pure conosce e stima Renzi, annota il testo, ricordando gli incontri di Arcore tra il sindaco e il Cavaliere. «Bisogna che Renzi si candidi da solo con la sua lista Renzi e che apra a tutti coloro che condivideranno il suo programma (ovviamente preventivamente concordato). A quel punto la nuova coalizione di centrodestra si confronterà con lui e deciderà di sostenerlo per unità di vedute e di programmi». Lista Renzi e Forza Silvio insieme. E le primarie annunciate del Pd, dove Renzi dovrebbe sfidare Bersani? Non si faranno mai, scommettono gli autori del documento, che si ritengono ben informati.

Nuovi inni e vecchi condoni
Il programma. I punti forti sono da berlusconismo d'antan. Via le tasse dalla prima casa, via le intercettazioni e carcere preventivo, via i limiti troppo stretti per l'uso dei contanti. E poi abolizione di Equitalia, un «grande condono» e presidenzialismo. Ma la rivoluzione sarà nella forma: un programma già composto di disegni di legge da approvare senza emendamenti entro cento giorni per le leggi ordinarie e dodici mesi per le leggi costituzionali. E poi, sembra una notazione frettolosa, c'è da eleggere il Presidente della Repubblica. Il candidato non è specificato, ma si può immaginare chi sia. Un piano così minuzioso non poteva dimenticare la colonna sonora, i gadget e le parole d'ordine. L'inno «sarà quello di Forza Italia adeguato al nuovo nome». E c'è già l'indirizzo web: rosatricolore.it che si aggiunge ai già esistenti forzasilvio.it e forzaitalia.it

Il circolo Dell'Utri
Fantapolitica? Se lo chiedono alla fine anche gli estensori del Piano. E ci sarebbe da pensarlo se non fosse per altri indizi che portano direttamente nel cuore di Arcore e di Palazzo Grazioli. A registrare il domino web di Rosa Tricolore il 23 aprile scorso è stato Diego Volpe Pasini, da ormai quasi due anni fra i più intimi consiglieri dell'ex premier. Imprenditore dalle alterne fortune, cinquantuno anni, romano di nascita ma friulano di adozione, tra i fondatori di Forza Italia nel 1994, animatore della lista Sgarbi, dopo anni burrascosi è rientrato nell'inner circle di Berlusconi forte degli antichi rapporti con il senatore Marcello Dell'Utri, mai interrotti nel corso degli anni, e di una più recente amicizia con il coordinatore Verdini. E' lui il probabile estensore del Piano, partorito all'interno della fondazione che è stata incaricata da Berlusconi di rinnovare il Pdl. Da mesi lavorava in silenzio, questo è il primo risultato. Che dimostra come per tornare a vincere bisogna ripartire dagli amici di sempre, quelli che fondarono Forza Italia. Dell'Utri e il suo sodale della P3 Verdini, per esempio. Il futuro ha un cuore antico: anche per Berlusconi.

20 GIUGNO 2012

IL PIANO B DEL GOVERNO IN CASO DI CRISI CONTINUA.

esiste un piano B che potrebbe entrare in funzione nel caso in cui le dismissioni non diano i frutti promessi. Il dossier, preparato dalla ragioneria, prevede il taglio degli stipendi dei dipendenti pubblici di tutti i comparti (stato, enti locali, scuola) dal 2,5 al 5%, il blocco delle tredicesime per tre anni, l’aumento del contributo di solidarietà oggi già applicato ai dirigenti (il 5% per chi guadagna più di 90mila euro annui, 10% per chi è sopra i 120mila euro). La stretta inciderebbe per oltre il 10% sui 167 miliardi di euro che ogni anno si spendono per gli stipendi dei dipendenti pubblici. In altre parole, a regime si tratterebbe di un risparmio di spesa tra i 16 e i 20 miliardi di euro.

La carta è ancora nascosta nei cassetti dei ministri competenti, e ne uscirà soltanto in caso di emergenza estrema. Per ora il piano dipendenti pubblici cerca soluzioni soft, che non tocchino i redditi dei lavoratori. Il progetto si limita a un’ipotesi di riduzione della pianta organica del 5% dei ministeri e a una sforbiciata delle retribuzioni dei dirigenti. il primo dado è stato già lanciato con l’annuncio della razionalizzazione delle agenzie del tesoro e la riduzione del 20% dell’organico di Via Venti Settembre , accompagnata dalla riduzione del 10% della presidenza del Consiglio. Tutte operazioni che operano su numeri teorici, senza esuberi reali. Spesso le piante organiche sono incomplete: con questa decisione si abbassa il numero di posti da coprire.

Ma se l’idea fosse estesa a tutto il settore, sia statale (come ha fatto presagire Vittorio Grilli, dichiarando il suo auspicio che tutti i ministeri seguano questo esempio) che delle amministrazioni locali, il risultato potrebbe essere un vero terremoto: i posti a rischio si avvicinerebbero alle 300mila unità. Per ora, comunque, queste non sono che proiezioni: anche se molti membri del governo, e in primo luogo il premier, amano ripetere che andrà ridefinito il perimetro della pubblica amministrazione.


La partita statali rientra in quella sulla spending review. il governo inizierà oggi a lavorare al decreto, che dovrà essere emanato a ridosso del 28 giugno, in tempo per il vertice europeo dei capi di governo. Oggi pomeriggio è previsto un incontro tra Filippo Patroni Griffi, Vittorio Grilli e il capo di gabinetto Vincenzo Fortunato. Un summit con l’obiettivo di studiare una riorganizzazione ad ampio spettro di tutta la macchina pubblica. A iniziare da quanto prevede già il salva-Italia sulla riduzione delle province, che potrebbero essere ridotte del 20%. Inoltre si studierà l’accorpamento dei piccoli comuni, che è già previsto per l’inizio dell’anno prossimo. Le unioni di comuni già previste sono 5.700. ambedue queste partite riguarderebbero circa 300mila dipendenti pubblici. Naturalmente non si tratta di tagli, ma di spostamenti, ricollocazioni, e probabili pensionamenti.

La chiusura delle province, infatti, non significa che le funzioni affidate a quelle amministrazioni vengano attribuite alle regioni o ai comuni. Al tesoro si vaglierà anche l’ipotesi di disboscamento degli enti pubblici. Il tempo stringe, e ne servirà davvero molto se l’esecutivo vorrà – come promesso – consultare le organizzazioni sindacali. Finora nessuna convocazione è partita da Palazzo ffidoni, né si conosce il destino dell’intesa firmata a inizio maggio tra Filippo Patroni Griffi e le rappresentanze dei lavoratori.


«Avevano detto che si sarebbe tradotta in una delega o in un decreto – dichiara Michele Gentile, della Cgil – ma non si vede ancora nulla». i sindacati rigettano anche l’idea che il settore pubblico sia oggetto di ridefinizioni nell’ambito della spending review. «Si può pensare certamente a una riorganizzazione – dichiara Giovanni Faverin della Cisl funzione pubblica – ma si tratterebbe di un’operazione che richiede tempi lunghi, e che certamente non farebbe subito cassa». Per ottenere risorse subito, si starebbero studiando espedienti meno strutturali, come il taglio degli straordinari e quello di un euro per i buoni pasto dei dirigenti. Possibile anche una diversa organizzazione dei distacchi. Alcuni ministeri, come la giustizia e l’interno, già da tempo stanno ridisegnando la geografia delle sedi periferiche. Sacrifici in cambio di efficienza con la promessa di far «rinascere» il Paese: questo ha chiesto agli statali Patroni Griffi.

18 giugno 2012

LO STRANO CASO DELL'OMICIDIO DELLE GUARDIE SVIZZERE

cosa e' accaduto realmente all'interno del vaticano ? non ci sono solo i misteri dello IOR da risolvere e neanche la sola questione di EMANUELA ORLANDI - o quello del capo della banda della magliana o sindona calvi eccetera.

il libro BUGIE DI SANGUE scritto da un gruppo di ecclesiastici e laici romaniche si firmano DISCEPOLI DI VERITA' - racconta di un micidiale scontro di potere tutto interno alle sacre mura. il colonnello delle guardie svizzere, sua moglie e il vicecaporale, sarebbero rimasti vittime di una battaglia campale, scoppiata fra OPUS DEI e clan massonici in seno alla curia. lo ha scritto anche e senza smentita il settimanale EPOCA. in questa ricostruzione ALOIS ESTERMAN legato da anni all'OPUS DEI - lo ha scritto come dicevo e senza alcuna smentita il settimanale EPOCA nel maggio 1996 - sarebbe stato l'uomo forte che la potente organizzazione fondata da ESCRIVA' DE BALAGUER avrebbe posto a capo dell'esercito pontificio per meglio controllare i palazzi apostolici e i movimenti del SANTO PADRE. non solo - il piano opusiano - mirava a trasformare la guardia svizzera in un reparto militare iperefficente in grado di neutralizzare l'immenso potere del corpo di vigilanza da sempre strumento della cordata massonica. l'omicidio ESTERMAN sarebbe dunque servito a bloccare sul nascere le mire egemoniche dell'OPUS DEI. Tornay sarebbe stato solo la vittima sacrificale, la copertura necessaria a far chiudere in fretta il caso. questa ricostruzione del triplice delitto, secondo la tesi dei DISCEPOLI DELLA VERITA' - il vicecaporale TORNAY sarebbe stato aggredito alla fine del servizio ... suicidato in un locale sotterraneo con una pistola silenziata calibro 7 e la sua arma d'ordinanza utilizzata per uccidere i coniugi ESTERMANN nel loro appartamento... successivamente il corpo di TORNAY sarebbe stato trasportato nell'abitazione di ESTERMANN per allestire la messinscena dell'omicidio suicidio.

IL 6 LUGLIO 2000 attraverso due avvocati parigini JAQUES VERGES e LUC BROSSOLLET si formalizza la domanda di riapertura dell'inchiesta. i due legali provano ripetutamente a chiedere l'accredito presso l'autorita' giudiziaria vaticana. la risposta è sempre la stessa... non è possibile. l'11 aprile del 2002 spediscono allora una istanza a SUA SANTITA GIOVANNI PAOLO II per la riapertura dell'inchiesta nella quale denunciano alcuni punti che ritengono oscuri.

la grecia vota a favore dell'euro.

sara' fame per lo meno non tutta insieme. ora si attende una reazione dell'europa.

7 GIUGNO 2012

PRESO L'ATTENTATORE DI BRINDISI.

lo ha fatto perche' gli andava cosi'. non ha un movente il killer di brindisi. dice solo che gli girava di farlo. ma intanto viveva su una bella barca e smentisce quello che gli inquirenti e i giornalisti ci hanno detto per mesi e mesi... non erano bombole di gas ma erano bombolo piene di polvere da sparo. strano perche' sapevamo e ci eravamo arrivati tutti che tre bombole del gas che esplodono non fanno quei pochi danni che hanno fatto queste... ma il fumo nero ricorda la bomba di piazza fontana non la polvere da sparo dei botti di capodanno. non torna nulla quindi di quanto ci hanno presentato oggi... soprattutto perche' viene confermata la tesi delle tv di silvio berlusconi che la sera stessa l'attentato di brindisi raccontavano che era l'opera di un pazzo... e il giorno dopo in parlamento modificavano immediatamente la legge sulla corruzione che di fatto era troppo aspra.

-----------------------------

2 GIUGNO 2012

PARATA MILITARE

mi fermerei a ricordare qualcosa di cui nessuno parla.

LIVORNO 10 APRILE 1991. e' una normale sera di primavera a LIVORNO, ma in quel tratto di ma tirreno c'e' un traffico inusuale. Navi fantasma, alcune navi militari italiane e sette navi militari americane per esempio. Qualcuno dira' che sono li per permettere il rientro di armamenti dalla prima guerra del golfo appena terminata. Ma non è cosi' : l'armamento viene portato fuori dalla base. Centinaia di tonnellate di armi di cui non si conosce la destinazione. Tra di esse c'e' una nave che si chiama OKTOBAR II, della flotta SHIFCO. Alle 22,27 succede l'incredibile. Il traghetto MOBY PRINCE, con a bordo 141 persone, si scontra con la petroliera AGIP ABRUZZO della SNAM, societa' del gruppo ENI. Un solo sopravvissuto, un mozzo napoletano. Seguiranno omissioni, depistaggi, inquinamenti delle prove. Piu' tardi una perizia scoprira' che poco prima della collisione c'e' stata un'esplosione ; sulla MOBY PRINCE verrano trovate tracce di miccia detonante alla pentrice e tracce dell'esplosivo militare T4-RDX. E' lo stesso tipo di quello trafficato dal faccendiere siriano MONZER AL KASSAR. Stessi identici componenti delle bombe che colpiranno l'Italia nel 1992 1993.

Livorno 10 aprile 1991. E' la notte della strage dei 140. I passeggeri e l'equipaggio del traghetto Navarma Moby Prince avvolto dalle fiamme dopo una tuttora inspiegabile collisione con una petroliera della Snam, l'Agip Abruzzo. Tutto si compie nelle prime ore della sera. 18 anni di silenzi e di menzogne in cui è affogata ogni possibile verità sul più grave disastro della marina mercantile italiana del dopoguerra.
Livorno, un grande porto, il polmone che dà ossigeno all'economia di un'intera città. Navi che vanno e vengono. Porta containers, petroliere, traghetti, Ro-ro, ma anche rifornimenti, da e per, la base Usa di
Camp Darby.


10 Aprile '91, 140 morti, autorità portuali che da subito e per anni hanno raccontato di una fittissima nebbia che non c'era: il preludio ad una teoria infinita di depistaggi e ostacoli alle indagini.
Da due anni l'inchiesta è stata riaperta da un pool di magistrati livornesi. Indagini complesse, avvolte nel massimo della riservatezza, quasi in segreto, perché in un caso come questo l'ombra del depistaggio, dell'inquinamento, sembra essere sempre in agguato.
Già, perché mentre si compie la tragedia del
Moby il mare di Livorno pullula di navi da carico americane stipate di armi e munizioni (vedi l'intervista all'avvocato Carlo Palermo), le radio non funzionano e i radar vengono oscurati. Sullo stato delle indagini non trapela nulla. E allora per raccontare questa storia dobbiamo fare da soli scavando nelle rotte delle navi dei misteri e in vecchie risultanze istruttorie con cui si può comporre un puzzle, un'ipotesi che disegna uno scenario che un senso, agghiacciante, sembra averlo.

Affari e faccendieri


Ma andiamo con ordine, cominciando con un nome. Marcello Giannoni.
Giannoni era, è deceduto qualche anno fa, un faccendiere livornese impegnato in traffici con la Somalia, dove, nei primissimi mesi del 1991, si reca per "
acquistare" una innocente licenza di pesca nelle acque di un paese distrutto da una sanguinosa guerra civile. Così Giannoni entra in contatto con il neo presidente somalo (autonominato) Alì Mahdi. In questa trasferta lo accompagnano due interessanti personaggi.
Li chiama in causa Giannoni in un interrogatorio dell' 8 aprile 1999: «l
o sono stato in Somalia nel 1991 assieme ai sig. Enzo Magri, Gianpiero Del Gamba e Awes Nur Osman (rappresentante commerciale della Somalia Livorno nda ) abbiamo acquistato una concessione di pesca per 40mila dollari… La concessione di pesca era globale su tutta la costa, tanto che una volta vennero le barche a remi del Sultano di Bosaso per farci allontanare. Il pescato l'abbiamo portato in Italia e scaricato a Gaeta».

Ma in alcune indagini del pm romano Franco Ionta, è emerso che Giampiero Del Gamba sarebbe stato in relazione con tale Guido Garelli, l'animatore di una organizzazione dedita al traffico internazionale di armi e scorie nucleari: il Progetto Urano. Secondo quanto riferito nel 2004 dal governo al Parlamento "Urano" è «finalizzato all'illecito smaltimento, in alcune aree del Sahara, di rifiuti industriali tossico-nocivi e radioattivi provenienti dai Paesi europei. Numerosi elementi indicavano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di Governi europei ed extraeuropei, nonché di esponenti della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio, faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia..». Insomma va detto: secondo una denuncia pubblica di Greenpeace International i traffici di Giorgio Comerio vanno riferiti alla società Odm la cui sede a Londra era nello studio dell'avvocato David Mills, da poco condannato per essersi fatto corrompere da Silvio Berlusconi (anche lui ex piduista) testimoniando il falso davanti ai giudici milanesi che indagavano sui passaggi di denaro da Berlusconi a Bettino Craxi.


Garelli, scrive la Digos, «nella metà degli anni Ottanta entrò in contatto con qualche elemento già iscritto alla Loggia P2 di Licio Gelli e precisamente Giampiero Del Gamba e Elio Sacchetto (uno dei protagonisti del progetto Urano, nda )». Chi è Del Gamba? Scrivono gli investigatori: «già segretario provinciale della Dc (livornese) fu costretto a dimettersi a causa del ritrovamento del suo nome negli elenchi della loggia massonica P2. Nel 1982 venne arrestato a Bologna in quanto sospettato di traffico d'armi e scarcerato dopo 40 giorni. Nel luglio del 1983 venne nuovamente tratto in arresto dalla Guardia di Finanza di Livorno per contrabbando di valuta. Il 3 agosto 1990 si è recato a Villa Wanda, residenza di Licio Gelli».
Si tratta evidentemente di fatti contemporanei, precedenti o di poco successivi al disastro del 10 aprile 91 che rappresentano, pur non risultando seguiti penali, una premessa necessaria a dare il giusto valore alla confessione resa da Giannoni agli inquirenti.

La confessione di Giannoni


Giannoni parte dal nome di un personaggio di primissimo piano: Moussa Bogor, il sultano di Bosaso, l'ultima persona intervistata da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, inviati del Tg3, prima del loro assassinio a Mogadiscio il 20 marzo 1994, (mentre indagavano sulla flotta da pesca Italo-somala Shifco).
«…
il Sultano di Bosaso ha detto alcune verità in merito allo smaltimento di rifiuti industriali e radioattivi che sono stati seppelliti in Somalia [...]che tali rifiuti provenivano da Milano. - ha dettato a verbale Giannoni - Molti rifiuti sono terre di fonderia e polveri tossiche di abbattimento fumi, che sono state esportate in Somalia con la funzione di essere utilizzate anche per mascherare lo smaltimento anche di rifiuti radioattivi, detto "check" che è un misto derivante dalla lavorazione dell'uranio detto "dolce giallo" (uranio U-308 in gergo "yellow cake" nda ). Tale materiale è stato miscelato in Italia con terre di fonderia provenienti da varie ferriere in Italia… ».
«
Nel mio progetto in Somalia», aveva aggiunto Giannoni, «doveva essere partecipe un uomo politico ex Psi di Milano, di cui ora non ricordo il nome e che mi riservo di dire. Tale persona aveva il compito di portare nelle casse i proventi in denaro derivanti dallo smaltimento dei rifiuti tossici provenienti dalle fonderie».
Il fatto è che un altro dei protagonisti del progetto
Urano, il braccio destro di Guido Garelli, ha in pratica descritto la medesima attività, alla autorità giudiziaria di Asti, facendo qualche rivelazione che getta un po' di luce sulla tragedia del Moby Prince: «Ricordo che io accompagnai Guido Garelli presso la base Nato di Livorno e lo stesso venne ricevuto senza nessun tipo di controllo e nessun lasciapassare, e dal suo comportamento mi sembrava persona conosciuta e avvezza a trattare in certi ambienti militari, sia americani che italiani».

Gli affari con la Snam


«
Nel 1990-'91 con il progetto Urano, già in essere come Ats (sigla dell'organizzazione di Garelli nda ), mi sono occupato (…) con la compartecipazione della Snam, ministero dell'Ambiente e con il ministero dei Trasporti, si era trovata la formula legale per smaltire i rifiuti quali terre di fonderia, ceneri leggere e altri rifiuti del genere, classificati all'epoca speciali, impiantando uno stabilimento per lo smaltimento a Ceuta (enclave spagnola in Marocco nda ). Tale progetto poi non ebbe seguito (…). L'accordo di massima era in questi termini: (…) la Snam avrebbe dato alla nuova società l'automazione e la tecnologia per rendere inerti i rifiuti speciali inviati a Ceuta per la trasformazione in mattonelle per la pavimentazione stradale». Insomma, sembra la filiera descritta da Giannoni ma con la partnership tra Guido Garelli e la Snam: la compagnia armatoriale della petroliera contro cui va a cozzare il Moby. Clamoroso. Anche perché non sembrerebbe così scontato che il progetto sia rimasto sulla carta.
Giannoni e il braccio destro di Garelli parlano nel 1999. E lo fa anche, il 15 dicembre 1998, Ezio Scaglione, console di Somalia in Italia, massone, già membro della segreteria dell'onorevole Boniver del Psi (oggi nel Pdl) e associato a Garelli nel progetto
Urano in Somalia, davanti alla Polizia giudiziaria di Asti: «In merito al progetto Urano [...] aggiungo [...] che si trattava di rifiuti tossico-nocivi e, a mia domanda al Garelli, lo stesso mi disse che si trattava anche di rifiuti radioattivi».

Gli affari di via Fauro


Gli affari somali di Giannoni, in base ad una clamorosa denuncia dell'Agenzia per l'ambiente delle Nazioni Unite, vanno riferiti a una società romana posta di fronte al punto dell'attentato del 14 maggio 1993, in Via Fauro. Una società finanziaria la cui sede legale si trovava nella stessa via, qualche portone più avanti, allo stesso indirizzo di un'altra finanziaria la cui sede secondaria era, all'epoca, a Napoli, allo stesso indirizzo dell'armatore del
Moby Prince. Snam e Moby Prince. Saranno ben coincidenze ma non sfugge a nessuno che si tratta degli stessi protagonisti della tragica collisione livornese legati da un filo sottile che da Livorno sembra passare dalla Somalia.
Non è tutto. Il Sultano di Bosaso ha testimoniato di aver riferito nell'intervista rilasciata a Ilaria Alpi di uno sbarco di armi a Chisimaio effettuato da una nave, della compagnia italo-somala di pesca
Shifco, a «marzo-aprile del 1991». Insomma poco prima o poco dopo la tragica collisione di Livorno.
Il riferimento è interessante perché l'unica nave "
spola" tra l'Italia e la Somalia, di proprietà di questa compagnia, è la "XXI Ottobre II", una nave presente a Livorno la sera del 10 aprile 1991. In occasione dello sbarco a Chisimaio, ha dichiarato il Bogor, «noi domandammo nuovamente se la nave da cui era stato sbarcato il materiale militare e da cui si stava scaricando il combustibile fosse una nave della Shifco, e ci fu confermato che si trattava appunto di una nave di tale società». Ed è accertato che tra le tante qualità della XXI Ottobre II c'è anche quella di essere una nave in grado di trasportare combustibile, originariamente destinato al rifornimento in mare delle navi da pesca oceaniche. Un dettaglio che getta nuova luce su una misteriosa "manichetta" trovata dai pompieri, dopo il disasto, allacciata a una delle cisterne della petroliera Snam come se il disastro avesse interrotto bruscamente una operazione di travaso.

La nave dei misteri


Armi e combustibile quindi. Materiali presenti entrambi in grande abbondanza nel porto di Livorno la notte del 10 Aprile 1991, dove è ormeggiata, già da alcuni giorni, al molo Magnale, proprio la nave
Shifco XXI Ottobre II. Un molo di fronte al quale vivono i coniugi Pietro La Fata e Susanna Bonomi. Lui è un ufficiale della Capitaneria di porto. Susanna Bonomi ne è sicura: la notte del 10 aprile su quel molo è accaduto qualcosa. Aveva visto l'area sgombra prima di tirare giù le serrande. La mattina dopo, invece, in quel punto del molo Magnale c'è una barca, circa 70-80 metri di lunghezza: «Io tiravo giù la serranda e non c'era niente perché vedevo, stavo di fronte alla banchina e non c'erano navi», ha riferito. «La mattina feci l'operazione inversa. La mattina c'era una nave». Ed esiste una sola nave con queste caratteristiche ormeggiata in quella zona del porto: appunto la XXI Ottobre II.

Containers di T4


Il marinaio somalo Mohamed Samatar, ex timoniere della
XXI Ottobre II, ha messo a verbale, durante un interrogatorio reso ai carabinieri di Latina, di essere stato sino al 23 marzo 1991 il timoniere della nave Shifco e di aver assistito all'imbarco di diversi containers con la scritta "Esplosivo".
Nella sua deposizione Samatar ha sostenuto che i containers di esplosivo sarebbero stati caricati a Tripoli sulla
XXI Ottobre II e sbarcati a Beirut nel gennaio del 1991 con la supervisione di un tal "Mancinelli": «Ora questo viaggio noi l'abbiamo un po' studiato con degli Ufficiali di marina di Gaeta», ha deposto il Capitano Sottili, della Compagnia Carabinieri di Gaeta, «perché non risulta da nessuna parte che questa nave abbia toccato questi porti (Tripoli e Beirut, nda ), però non risulterebbe comunque, perché la nave non sarebbe entrata nei porti, sarebbe rimasta fuori (utilizzando delle chiatte per scaricare, nda)».
I Carabinieri hanno anche scoperto che Florindo Mancinelli, uno degli amministratori italiani della flotta
Shifco (che potrebbe essere la persona indicata da Samatar), all'epoca era stabilmente ospite dell'albergo Ariston di Formia e aveva lasciato quel centro il 9 gennaio 1991, facendovi ritorno solo il 4 marzo. La XXI Ottobre II avrebbe lasciato Formia proprio il 9 gennaio (il giorno in cui Mancinelli avrebbe lasciato il suo hotel a Formia) per arrivare a Suez il 16 gennaio e tornare infine a Gaeta proprio il 4 marzo (il giorno in cui ricompare a Formia Mancinelli). Dopodichè la XXI Ottobre II riparte per arrivare, il 15 marzo successivo, a Livorno da dove non risulterebbe si sia più mossa fino alla sera del 10 aprile.

La bomba sul traghetto


Rivelazioni potenzialmente esplosive e insondate se si pensa alla possibilità che armi, o esplosivi, siano stati trasportati dalla Somalia verso altre destinazioni, tra cui l'Italia, nei primi mesi del 1991. Una prospettiva agghiacciante perché la notte del disastro sul
Moby Prince è esplosa una bomba. Una bomba, secondo il perito del pm, costituita da T4 e pentrite ma, che, per dimensioni, non avrebbe potuto provocare la collisione. Una bomba comunque potente (ha distrutto un camion) e costruita con gli stessi componenti delle bombe utilizzate due anni più tardi per le stragi di mafia del 1993 a Milano, Firenze e Roma: una stagione di attentati inaugurata con l'esplosione di via Fauro. Troppe coincidenze inspiegate e inspiegabili. Fantascienza? Forse no.
Un giudice della Procura di Ginevra, Laurent-Kaspar Anserment, ed un parlamentare argentino, Franco Caviglia, hanno in due diverse vicende sostenuto che proprio tra la fine del 1990 e i primi mesi del 1991 sarebbe stato messo in circolazione un enorme carico di T4 che dalla Spagna, attraverso una serie di triangolazioni, sarebbe arrivato in Medio Oriente per essere poi diviso in diversi lotti. Esplosivo trattato da trafficanti internazionali, ben noti anche in Italia, legati a personaggi dei servizi segreti polacchi (Wsi), già coinvolti nello scandalo Cia-Iran-Contras e collegati finanziariamente al clan mafioso dei Santapaola. Insomma la sensazione è che di gente potente interessata a che non si faccia luce su questa tragedia, in giro, ce n'è ancora tanta.

BELAD SOMALIA 1993.

Vincenzo Li Causi e' qui dall'agosto del 1993 per l'operazione IBIS, l'intervento militare italiano nell'ambito della missione dell'ONU RESTORE HOPE. la sera del 12 novembre è su un mezzo militare del nostro esercito insieme a tre soldati e un agente segreto. in prossimita' di una curva un gruppo di miliziani somali spara sul blindato. nessuno viene colpito tranne VINCENZO LI CAUSI che muore. secondo alcune testimonianze di uomini GLADIO era l'informatore di una giornalista italiana del TG3 - ILARIA ALPI, riguardo al traffico di armi e di scorie tossiche in SOMALIA.