DA - LA REPUBBLICA. del 14 aprile 2003

Così sessant'anni fa i giapponesi
sperimentavano sui prigionieri in Manciuria armi letali
Orrori e misteri dell'Unità 731
la "fabbrica" dei batteri killer
di MARCO LUPIS

HONG KONG - Ad Harbin i bambini con gli occhi a mandorla e la faccia da piccoli russi attraversano il fiume Sungari in bicicletta, cercando di tenersi in equilibrio, scivolando con le gomme sulle acque ghiacciate. Da lontano questa cittadina della Manciuria, il Grande Nord della Cina, ha persino il sapore della terra di confine. La cupola verde a cipolla della cattedrale conferma quel soprannome di "piccola Russia" che i locali le danno da sempre. Oggi Harbin è una città animata, sporca, logora e inquinata. Quando nel 1949 i comunisti cinesi presero la Manciuria, ereditarono dai giapponesi sconfitti e in fuga una struttura industriale e una rete di comunicazioni che non avevano eguali in nesuna parte del Paese. Ma anche uno dei segreti più agghiaccianti della storia degli orrori del ventesimo secolo: l'Unità 731. Un luogo in cui si consumarono terrificanti atrocità nel nome di una folle progetto voluto dal Giappone Imperiale: trovare quell'"arma finale" che garantisse la supremazia definitiva del Giappone sul mondo.

Fantasmi terribili di un passato lontano ormai quasi sessant'annni, ma che improvvisamente sembrano rivivere per gettare le loro ombre sulla tragedia che, con il contagio della polmonite atipica, sta attaversando la Cina e il mondo intero. Ad Harbin il generale Ishii Shiro detto "il dott Menghele giapponese" a capo della Unità 731 condusse, durante e dopo la seconda guerra mondiale, un folle programma di ricerche batteriologiche. Con il benestare dei vertici militari dell'epoca e, probabilmente, dello stesso imperatore Hiroito, i prigionieri cinesi venivano utilizzati come cavie umane e sottoposti a ogni sorta di terrificanti esperimenti. Il piano rimase segreto anche dopo la fine del conflitto, grazie alla promessa di immunità fatta dall'esercito degli Stati Uniti ai dottori accusati di crimini di guerra, in cambio dei dati emersi dalle loro ricerche.

Il progetto in Giappone era stato avviato negli anni Trenta per iniziativa di alcuni funzionari, rimasti colpiti dalla messa al bando delle armi batteriologiche contenuta nel protocollo di Ginevra del 1925. Il Giappone nella loro idea doveva assolutamente disporre di queste armi. L'esercito giapponese, che all'epoca occupava una vasta area in Cina, fece evacuare gli abitanti di otto villaggi nella zona di Harbin, per fare posto al quartier generale della famigerata Unità 731". Dal punto di vista dei giapponesi la Cina costituiva un luogo ideale per le ricerche, poiché offriva materiale umano "di basso valore" su cui sperimentare i batteri: i marutas, ovvero pezzi di legno, come i giapponesi li chiamavano con disprezzo, erano per lo più sospetti comunisti e criminali comuni. Tutti cinesi. L'efficacia delle armi batteriologiche preparate in laboratorio veniva regolarmente sperimentata sul campo: il lancio di pulci infette sul territorio orientale di Ningbo e su quello centro-settentrionale di Changde provocò lo scoppio di due epidemie di peste. Mentre la contaminazione di pozzi e bacini con colture di tifo, colera, tubercolosi, antrace, e anche virus di una forma di polmonite letale, si rivelò efficace. Nel 1942 l'équipe di esperti riuscì a diffondere queste malattie nella provincia cinese di Zhejiang, ma il contagio si estese anche alle truppe giapponesi, provocando la morte di 1.700 soldati.

Il professor Sheldon H. Harris, docente di Storia presso la California State University a Northridge, nel suo libro "Factories of death (Fabbriche di morte)", pubblicato nel 1997 e considerato un testo di riferimento per la scrupolosa e documentata ricostruzione storica della vicenda, ritiene che le vittime degli esperimenti con armi batteriologiche fatti in Cina siano stati più di 200 mila. "Persino quando ormai il conflitto volgeva al termine e si profilava chiara l'imminente caduta del Giappone, nella zona di Harbin furono liberati animali appestati e infettati con virus e batteri letali, mutati in laboratorio in modo tale da renderli trasmissibili all'uomo. Nelle epidemie che seguirono in Cina, dal 1946 al 1948, morirono almeno 30 mila persone", scrive il professor Harris. Malgrado siano ormai passati quasi 60 anni, nessuno tra i ricercatori che si sono occupati della vicenda, né tantomeno gli organismi internazionali che si occupano di disarmo globale, come l'Onu, sono mai riusciti a sapere con esattezza dal governo cinese che fine abbiano fatto quei materiali batteriologici. Questo black-out delle informazioni è essenzialmente dovuto alla totale chiusura internazionale della Cina di Mao. Ma anche in seguito, le autorità cinesi non sono state prodighe di informazioni. I documenti dell'esercito nipponico dell'epoca, pubblicati nel libro dello storico americano, rivelano che, "a pieno regime" l'Unita 731 produceva, tra l'altro, 1000 chili di batteri della peste al giorno.

Ma che fine ha fatto questa enorme quantità di pericolossimi materiali batteriologici e chimici prodotti ad Harbin? Un rapporto riservato della Conferenza di Ginevra sul Disarmo (protocollo CD/1127/CD/CW/WP.384), datato 18 febbraio 1992, fornisce una parziale risposta. Soltanto 11 anni fa sul territorio cinese esistevano ancora: "tre milioni di armi chimiche abbandonate da potenze straniere (leggi Giappone) scoperte ma non distrutte"; 100 tonnellate di agenti batteriologici abbandonate da potenze straniere, scoperte ma non distrutti". Nello Hubei le vittime sono state almeno 2000. Nel 1986 e 1987 poi (malgrado Usa e Cina fossero nemici) l'American department of Defense e la Hubei Provincial Medical University condussero una serie di test su circa 200 volontari locali, affetti da febbre emorragica con sindrome renale. Il risultato fu la creazione di un antivirale da utilizzarsi inizialmente solo per uso militare, per disporre di una cura per le contaminazioni batteriologiche da virus. Il Ribavirin, questo il nome del farmaco, è lo stesso utilizzato estensivamente in questi giorni dai medici cinesi per cercare di curare i malati di Sars.

Il professor Masuda Tsuneshi, direttore del Centro Studi sulla Guerra del Pacifico dell'Università di Taipei, ha raccolto e sviluppato l'insegnamento di Harris. "Da quando sono cominciate ad arrivare le prime notizie dell'epidemia in Cina - racconta a "Repubblica"- ho fatto riflessioni angoscianti. Gli esperimenti di Harbin condotti sui virus della polmonite, la diffusione di animali infettati, la coincidenza sull'uso del Ribavirin...". Coincidenze sufficienti ad ipotizzare un legame tra gli antichi orrori dell'Unita' 731 e l'attuale emergenza? Oppure addirittura l'ipotesi che il virus-killer fosse stato già sperimentato o prodotto nei laboratori di Harbin, e poi "richiamato in vita" da qualche contenitore abbandonato in qualche parte della Cina? "Credo che questo sia poco probabile - riflette il professore - anche se non impossibile. Difficile immaginare che un agente patogeno come un virus sia potuto rimanere in vita molti decenni. Dai documenti dell'epoca, però, sappiamo che il generale Shiro e i suoi colleghi lavoravano proprio per mettere a punto 'veicoli' che potessero diffondere virus e batteri nell'ambiente mantenendo la loro sinistra efficacia più a lungo possibile, come le spore, ad esempio. Un po' meno azzardato forse pensare che il regime maoista prima, e i militari cinesi dopo, si siano impossessati delle armi letali di Harbin e le abbiano conservate scrupolosamente per decenni in qualche magazzino o laboratorio segreto, per poter disporre di armi di distruzione di massa. Finora non è emersa alcuna prova certa a favore di questa teoria - obbietta il professor Masuda - ma neppure nessuna prova contro. D'altronde - conclude - Mao diceva: 'la bomba atomica non mi spaventa. Di cinesi ne ho talmente tanti'. Perché avrebbe dovuto avere paura della guerra batteriologica?"

Unità 731, chi vuole nasconderla?
di Massimiliano Crippa

17 marzo 2003. Il primo uso documentato di guerra biologica può essere fatto risalire ai romani o addirittura agli antichi greci, che usavano carcasse di animali per inquinare le riserve d'acqua nemiche. La stessa pratica fu applicata dal Barbarossa nel XII secolo.
Nel 1347, le truppe tartare impegnate nell'assedio del presidio genovese di Kaffa, sul Mar Nero, catapultarono all'interno della fortezza cadaveri di appestati. Alcuni storici ritengono che, in seguito a questo episodio, la peste sbarcò in Europa, trasportata dalle navi dei genovesi in fuga, dove sterminò da 20 a 30 milioni di persone in appena tre anni (un terzo della popolazione di allora).
Un uso più recente della guerra biologica coinvolse gli inglesi durante la guerra dei Sette Anni. Gli Indiani d'America erano molto più numerosi degli inglesi e erano sospettati di fiancheggiare i francesi. Come "atto di amicizia", nel 1763 sir Jeffrey Amherst, governatore della Nuova Scozia, diffonde tra i pellerossa del Canada coperte provenienti da un ospedale e infettate di vaiolo, che decimò le comunità indiane.
Più o meno nello stesso periodo, gli inglesi mandarono tra i Maori (il popolo indigeno della Nuova Zelanda) gruppi di prostitute infettate dalla sifilide: in poco tempo le popolazioni locali vennero sterminate e le praterie diventarono "terra vergine" per i coloni europei.
Poca cosa ancora sono i piani germanici di guerra biologica durante la Prima Guerra Mondiale, che prevedevano soprattutto interventi sul bestiame con l'impiego di antrace e Pseudomonas mallei e scarsi tentatvi di introdurre la peste a S. Pietroburgo ed il colera sul fronte italiano.
La vera storia delle armi biologiche comincia agli albori della Seconda Guerra Mondiale, ma vediamo intanto di che stiamo parlando.

Le armi biologiche

Le armi biologiche possono essere classificate in virus, batteri, rickttesia, tossine ed organismi geneticamente alterati. I virus più noti sono Hanta, Ebola, Marburg, Encefalite Equina Venezuelana (VEE) e Lassa. Le armi batteriologiche includono il Vibrio colera (colera), Yersinia pestis (peste), Variola major (vaiolo), Bacillus anthracis (antrace o carbonchio) ed altre specie meno pericolose ma patogene come Salmonella typhi e Staphylococcus aureus. Gli organismi rickettsiali sono parassiti intracellulari umani. Alcuni possono essere usati nella guerra biologica come Coxiella burnetti che causa la febbre Q e un'endocardia cronica, o come Rickettsia prowasecki, l'agente del tifo. Le due principali tossine associate alla guerra biologica sono Clostridium botulinum (botulismo) e Clostridium perfringens. L'ultimo gruppo di organismi che sono, o possono essere usati per scopi di guerra biologica sono gli organismi geneticamente alterati. Di solito, si tratta di un mutante degli organismi sopracitati che può essere più virulento o meno suscettibile alle cure. Ogni tossina o sostanza creata con la tecnica del DNA ricombinante appartiene a questo gruppo.
Il più grande vantaggio della guerra biologica è la grande efficienza letale. Una forma purificata di tossina botulinica è quasi 3 milioni di volte più efficace del Sarin, un agente chimico nervino.
Un altro vantaggio sono i costi. Colpire 1 km2 costerebbe 2.000 dollari usando armi convenzionali, 800 dollari usando armi nucleari, 600 dollari usando agenti chimici, e 1 dollaro usando agenti biologici. Per questo fatto gli agenti biologici sono chiamati "la bomba atomica dei poveri".
Forse una definizione più accurata è "l'atomica dei pigri" a causa della facilità di produzione. Ogni nazione con un'industria farmaceutica e medica ragionevolmente avanzata ha la capacità di produrre in massa armi biologiche.
L'ultimo vantaggio della guerra biologica è la natura di questi virus: ogni cosa, dal pezzo di frutta al missile balistico può essere usata per sganciare un'arma biologica sul bersaglio. Oltre a questo con alcuni organismi sono necessarie solo poche particelle per causare un'epidemia. Le armi convenzionali esplodono e sono esaurite, ma con poche particelle di Hanta molte migliaia di persone possono diventare vettori di infezione!
Al di là delle considerazioni morali, che valgono per ogni tipo di arma di distruzione di massa, lo svantaggio più grande della guerra biologica è sicuramente l'imprevedibilità legata al suo uso, spesso in balia delle condizione atmosferiche(1), che ci sembra anche il migliore deterrente.
Il Trattato di Ginevra del 1925 impegnava i paesi aderenti a non usare armi biologiche in guerra, ma non vietava lo sviluppo, la produzione e lo stoccaggio. Un nuovo trattato (Biological Weapons Convention), sottoscritto nel 1972 da 70 paesi, proibisce anche lo sviluppo, la produzione e l'accumulo di agenti batterici e tossine. Da allora il numero dei paesi firmatari è enormemente cresciuto (160 paesi hanno firmato e 140 anche ratificato), anche se è preoccupante rilevare che una grande potenza come gli Stati Uniti ha aderito solo in tempi recentissimi(2).
Non è facile, purtroppo, determinare quali nazioni abbiano programmi in corso. Nessun governo ammetterà mai niente e molti programmi "legali" di ricerca offrono un'ottima copertura. I più recenti "interessamenti" alla guerra biologica vengono dai paesi cosiddetti "a media/bassa potenza". Le nazioni sospettate di aver programmi di guerra biologica sono: Cina, Corea del Nord, Cuba, Egitto, Giappone, Iran, Iraq, Israele, Siria, stati ex-sovietici, Stati Uniti, Taiwan. I più grandi depositi, invece, sono detenuti da Iran, stati ex-sovietici e Stati Uniti, ma ancora una volta i dati sono molto incerti, perché molti governi non vogliono fornire queste informazioni. Inoltre, questi depositi sono molto più facili da nascondere di quelli di armi convenzionali e persino delle armi chimiche.

L'infamia giapponese e la copertura americana

Il Giappone non aveva aderito, nel 1925, alla Convenzione di Ginevra per la messa al bando delle armi biologiche. Le ricerche biologiche in campo militare dei giapponesi erano cominciate con un viaggio in Europa, nel 1928, del Generale Ishii Shirou, che vi restò due anni. Al suo ritorno affermò che una moderna guerra poteva essere vinta solo con la scienza e la tecnologia e che la produzione di armi biologiche era la più indicata per un paese povero di risorse come il Giappone.
L'Unità 731 dell'Esercito Imperiale Giapponese, diretta da Ishii e attiva dal 1936 al 1945 in Manciuria, sviluppò e sperimentò sui civili varie armi biologiche. Secondo gli storici, da 3.000 a 12.000 persone, tra civili cinesi e prigionieri di guerra di varie nazionalità, vennero usati come cavie per gli esperimenti. Non vi furono superstiti.
Le cavie furono sottoposte a congelamento, bruciate vive, depressurizzate, appese a testa in giù, infettate con peste, colera e antrace, nonché vivisezionati vivi.
Verso la fine della guerra, nel 1945, era nato anche il piano di utilizzare queste armi biologiche contro gli Stati Uniti, utilizzando palloni aerostatici o aerei kamikaze per diffonderli sulle coste californiane.
Il governo cinese aveva informato di queste pratiche, immorali prima che illegali, i governi americano ed inglese, tramite i suoi ambasciatori, fin dal 1941. Le autorità cinesi chiesero ripetutamente aiuto alla comunità internazionale.
Non che gli Stati Uniti fossero ignari delle fruttuose ricerche di lotta biologica portate avanti dal Giappone, ma non le presero seriamente in considerazione perché, secondo Harris, il Giappone era lontano e non poteva lanciare attacchi massicci verso gli Stati Uniti anche perché, essendo i giapponesi asiatici, non potevano essere in grado di sviluppare armi biologiche sofisticate senza l'aiuto dell'uomo bianco.
Con l'aumento del numero di prigionieri di guerra giapponesi catturati nel Sud del Pacifico, gli Stati Uniti scoprirono che i giapponesi avevano un programma di guerra biologica molto più grande di quanto avessero sospettato; scoprirono inoltre che Ishii era il profeta della lotta biologica giapponese con il suo centro di Harbin, in Manciuria. Dopo che il Giappone ebbe sparso con gli aerei i germi delle peste bubbonica sopra Changte (novembre 1941), il Presidente Roosevelt protestò vivamente a livello internazionale.
Ma proprio gli Stati Uniti, qualche anno più tardi, giocarono un ruolo fondamentale nel nascondere al mondo i crimini giapponesi. La Gran Bretagna, infatti, stava sviluppando un suo progetto di guerra biologica, iniziato per la paura che Germania e Giappone avessero un vantaggio in questo settore(3). Gli Stati Uniti, avendo cominciato un programma di ricerche su armi biologiche solo nel settembre 1943, si ritrovarono a dover rincorrere la Gran Bretagna e fu così che gli scienziati americani pensarono di impadronirsi dei frutti delle ricerche dell'Unità 731.
Fu uno dei momenti più bui nella storia americana. Gli Stati Uniti si impegnarono per sottrarre l'Unità 731 al Tribunale di Tokyo per i crimini di guerra (1946-48). Così, diversamente da centinaia di medici nazisti che furono giudicati e condannati per crimini contro l'umanità al processo di Norimberga (1945-46), Ishii e altri membri dell'Unità 731 non furono portati innanzi alla giustizia(4). Ishii morirà da libero cittadino negli Stati Uniti nel 1959. Williams e Wallace attribuiscono l'insabbiamento solo al Gen. MacArthur. Il libro di Harris dimostra che gli scienziati americani furono ugualmente responsabili.
Nel gennaio 1946 il "Pacific Stars and Stripes", un organo ufficiale dell'U.S. Army, aveva riportato che tra le vittime degli esperimeni di Ishii c'erano degli americani. Una settimana più tardi, un simile rapporto apparve su The New York Times, e notizie su prigionieri di guerra alleati usati come cavie negli esperimenti furono sporadicamente divulgate anche in seguito. Non importa quanto i sopravvissuti americani cercassero di raccontare come furono usati dall'Unità 731 per esperimenti umani; il Congresso americano fece orecchie da mercante, per non pagare spese mediche e compensazioni.
Nel 1949 l'Unione Sovietica tenne un processo di una settimana a Khabarovsk contro i criminali di guerra giapponesi per l'uso di armi chimiche. Tra gli imputati, 12 persone erano associati all'Unità 731.
Durante la Guerra di Corea (1950-53), una notte gli abitanti del villaggio di Min-Chung sentirono un aereo volare sopra le loro case: la mattina dopo trovarono un gran numero di topi morti, molti dei quali con le zampe rotte. Presi dal panico li bruciarono quasi tutti. Alcuni, fatti poi analizzare, si rivelarono infettati da peste. Una commissione internazionale di indagine pubblicò un rapporto che era un chiaro atto di accusa:

Non vi sono dubbi che sul territorio di Kan-Nan nella notte tra il 14 e 15 aprile 1952, furono immessi topi appestati per mezzo di un velivolo che gli abitanti udirono distintamente. Tale mezzo aereo è stato identificato come un caccia bimotore americano F-82 per azioni notturne.


Negli archivi cinesi vi è traccia anche del lavoro di altri gruppi di medici i quali giunsero alla conclusione che, in precedenti casi di peste, antrace, colera ed encefalite, si era in presenza di una guerra batteriologica.
Gli Stati Uniti, portati davanti alle Nazioni Unite dalla Cina, respinsero con forza ogni sospetto. In realtà, il 27 ottobre 1950, due settimane dopo l'entrata delle truppe cinesi nella Guerra di Corea, quando si teme una generalizzazione del conflitto, George Marshall, Segretario alla Difesa, dà il via ad un importante programma batteriologico a Fort Detrick (Maryland). I documenti declassificati confermano che lo stato maggiore aveva posto la guerra batteriologica in cima alle sue priorità strategiche, insieme al nucleare. Il governo ha massicciamente finanziato questa ricerca, mobilitando ingenti risorse militari e civili. Tra il 1950 e il 1952, gli Stati uniti furono sul punto di diventare la prima nazione al mondo a introdurre le armi batteriologiche in un sistema di armamento moderno.
All'inizio venne privilegiato lo sviluppo di un sistema d'arma integrato, che doveva essere operativo entro il 1° luglio 1954. Il progetto entrò in fase sperimentale già nel marzo 1952. Tuttavia, visti i deludenti risultati, a metà 1953 il programma sarà annullato e sostituito da un programma più a lungo termine.
E' strano che Harris dedichi solo due pagine all'uso americano della lotta biologica nella Guerra di Corea, sembra che non ne voglia parlare; per contro, Williams e Wallace hanno scritto 51 pagine, circa un sesto del loro libro.
L'atteggiamento spregiudicato degli americani non deve sorprendere poi molto. Basti pensare alla conferenza stampa del 30 novembre 1950, ad una domanda sul possibile uso della bomba atomica, il Presidente Truman aveva risposto:

E' sempre stato tenuto in considerazione il suo uso. Non voglio vederla usata, è un'arma terribile.


Poco prima di essere destituito, il Gen. MacArthur voleva lanciare le atomiche su Pechino e Shanghai.
Molti test americani sulle armi biologiche consistettero nel contaminare aree popolate all'interno degli stessi Stati Uniti.
Uno dei più grandi esperimenti avvenne nel settembre 1950, quando la Marina segretamente vaporizzò nella baia di San Francisco una nube di batteri di Serratia marcescens. Più tardi, la Marina ha dichiarato che i batteri usati nell'attacco simulato erano innocui, ma molti residenti presentarono sintomi tipici della polmonite (i casi erano 5-10 volte maggiori rispetto al solito) e qualcuno morì. Sebbene l'esercito abbia dichiarato di non aver dato seguito a studi su questo esperimento, uno studio esiste e dimostra che quasi l'intera popolazione, circa 800.000 persone, fu infettata dal microrganismo. L'esperimento dimostrava che una grande città americana non aveva mezzi per difendersi da una contaminazione di massa provocata da germi trasportati dal vento.
Nel 1955, nell'area di Tampa Bay (Florida) si verificò un clamoroso aumento di casi di pertosse, incluse dodici morti, che i più informati associano ad un test di guerra biologica. I dettagli del test sono ancora classificati.
Tra il 1956 e il 1958 sulle comunità afro-americane di Savannah (Georgia) e Avon Park (Florida), si liberarono sciami di zanzare, sia a livello del suolo che da aeroplani ed elicotteri, tipica tecnica dell'Unità 731. Molti abitanti si ammalarono, alcuni morirono. Successivamente, personale dell'Esercito, facendosi passare per ufficiali pubblici della Sanità, sottoponevano ad indagine le vittime e quindi sparivano. E' stato teorizzato che le zanzare fossero infette di febbre gialla. Comunque, i risultati dei test sono ancora top secret.
Con l'identico scopo di verificare la vulnerabilità delle città ad una aggressione batteriologica, dal 7 al 10 giugno 1966 l'Esercito diffuse il Bacillus subtilis nel sistema della metropolitana di New York. I risultati mostrarono che l'intero sistema di tunnel sotterranei poteva essere infettato mediante il rilascio in una sola stazione, a causa del vento creato dai treni. Sebbene non siano noti effetti nocivi per questa diffusione, fu calcolato che quell'attacco infettò oltre un milione di persone.
Altri esperimenti riguardarono Minneapolis. Furono camuffati come "test dello schermo di fumo", perché ai residenti fu detto che si stava testando un fumo innocuo che nascondesse le città ai missili a guida radar.
Nel 1969 il Presidente Nixon intimò che ogni attività di ricerca e produzione di armi biologiche fosse interrotta. Nel 1977, per la prima volta, l'Esercito ha ammesso di aver condotto, dalla Seconda Guerra Mondiale, centinaia di esperimenti di guerra biologica, compresi test che avevano come obiettivo popolazioni civili.
In base ai documenti declassificati, cioè su cui è stato tolto il segreto, sappiamo ora che il Pentagono sperimentò, negli anni compresi fra il 1962 e il 1971, aggressivi chimici e biologici su almeno 5.500 soldati americani. La notizia, riferita da The New York Times all'inizio di ottobre del 2002, suscitò molto clamore, vista la coincidenza con le accuse all'Iraq di possedere queste stesse armi e di voler combattere una guerra contro chi pensa di utilizzarle. Ora i veterani potrebbero esigere un risarcimento per eventuali conseguenze negative sulla salute. I test si svolsero a terra in Alaska, nelle Hawaii, nel Maryland e in Florida. Vennero testati gas nervini, come il Sarin e il VX, e tossine biologiche. Il Pentagono ha anche ammesso che, come prevedibile, si verificarono alcune fughe nell'ambiente delle sostante usate e possibili contaminazioni della popolazione civile, ma solo per quanto riguarda le sostanze biologiche, che erano di bassa pericolosità. I documenti affermano anche che esperimenti analoghi sono stati portati avanti in Canada e Gran Bretagna.
Inoltre, già nel maggio del 2002, era venuta alla luce un'altra storia di esperimenti condotti tra il 1964 e il 1968 sulle navi della Marina. Anche qui erano stati sperimentati Sarin, Soman, Tabun e VX(5).
Gli americani, inspiegabilmente, sembra che vengano a sapere dell'Unità 731 solo il 17 marzo 1995 tramite un articolo di Nicholas D. Kristof su The New York Times(6). In realtà, la prima persona che alzò il velo della segretezza americana fu John W. Powell Jr., proprietario del quotidiano di Shanghay "The China Weekly" fino al 1953, quando tornò negli Stati Uniti, dove venne perseguitato per le sue rivelazioni. Il primo dettagliato rapporto sull'Unità 731 e sulla copertura statunitense venne reso disponibile soltanto nel 1989, grazie a Peter Williams e David Wallace, due giornalisti inglesi. Subito dopo, anche Sheldon Harris completò la sua monumentale opera.

La redenzione

Dall'altra parte del Pacifico, intanto, diversi membri dell'Unità 731 avevano occupato posizioni di rilievo nelle imprese farmaceutiche, negli ospedali, nelle università. Può sembrare scandaloso, ma è proprio grazie alla testimonianza di alcuni di questi ex-soldati che tali atroci crimini di guerra vengono alla luce per la prima volta.
Shinozuka Yoshio, 79 anni, è stato forse tra i primi a raccontare in giro per il paese il suo triste passato. Shinozuka entrò a far parte dell'Unità 731 nella primavera del 1939, all'età di 15 anni, senza sapere bene quale fosse il suo compito. In seguito, egli produsse colture di germi e vivisezionò le vittime degli esperimenti. Shinozuka tornò in Giappone nel 1956, dopo aver trascorso sei anni in un campo di prigionia in Cina, e lavorò come impiegato pubblico nella prefettura di Chiba. Fin da allora, egli tentò di parlare della sua esperienza, ma il clima non era ancora adatto.
Nel 1981 lo scrittore Morimura Seiichi raccontò la terribile vicenda in un libro che fu fatto passare sotto silenzio(7). Nell'aprile del 1995, lo storico giapponese Ooe Shinobu ha affermato che Auschwitz, Hiroshima, Nagasaki e le attività dell'Unità 731 sono i peggiori atti criminali della Seconda Guerra Mondiale. Nel giugno 1998 Shinozuka venne chiamato negli Stati Uniti dai gruppi per i diritti umani come testimone, ma all'aeroporto di Chicago gli venne impedito di entrare, in quanto considerato criminale di guerra. Alla fine del 2001 è stato il regista Matsui Minoru a realizzare un documentario sui crimini di guerra giapponesi, vincitore di premi in Portogallo e in Germania.
Negli ultimi anni, però, a risollevare il velo davanti ai tribunali giapponesi, sono stati soprattutto i familiari delle vittime cinesi. Anche Shinozuka, come altri 10.000 giapponesi ogni anno, si è recato in Cina a visitare il sito dove sorgeva l'unità speciale(8), ma nel suo caso soprattutto per aiutare alcuni dei parenti. Recentemente, con la sua testimonianza, ha aiutato 180 cinesi che, nel 1997, hanno fatto causa al governo giapponese presso la Corte Distrettuale di Tokyo.
Questo processo si è concluso il 27 agosto 2002 e, per la prima volta, un tribunale giapponese ha ammesso che le truppe imperiali erano coivolte in tali delitti. Alcuni anni fa il governo aveva ammesso l'esistenza dell'Unità 731, ma ha sempre rifiutato di confermarne le attività. Il giudice Iwata Koji ha invece dichiarato:

Lo sviluppo di armi biologiche era una parte strategica dei piani di guerra giapponesi e fu portato avanti in base a ordini provenienti dai vertici militari. [...] L'obiettivo principale [dell'Unità 731] era la ricerca, lo sviluppo e la produzione di armi biologiche.(9)


La causa civile però è stata respinta. I 180 cinesi chiedevano un risarcimento danni di 10 milioni di yen a testa e le scuse del governo giapponese. Il giudice ha però ricordato che in base alle leggi internazionali, compresa la Convenzione di Hague, un singolo cittadino non può chiedere indennizzi ad uno stato estero. Queste compensazioni andavano concordate al momento del trattato di pace (San Francisco, 1951).
Quest'ultima decisione forse lascia un po' l'amaro in bocca, ma non deve far dimenticare i passi avanti fatti negli ultimi anni nella gestione collettiva di questo fatto tragico. A trent'anni anni dalla normalizzazione dei rapporti diplomatici (settembre 1972), la relazione tra Cina e Giappone rimane complessa. Le proteste cinesi si fanno ancora sentire in occasione della visita di un membro del governo giapponese allo Yasukuni Jinja o all'uscita di un libro di storia che puzza di revisionismo, ma secondo Kojima Tomoyuki, professore alla Keiou Daigaku, si tratta di eventi isolati, mentre le questioni economiche acquistano sempre maggiore importanza.

La Cina cerca ancora di usare la guerra come una carta diplomatica, ma sa che usarla troppo produrrebbe risultati negativi. Sebbene i problemi della guerra siano ancora in campo tra Giappone e Cina, ciò non significa che la loro relazione trentennale vada rinnegata.(10)


Nel 2001 Koizumi si è recato in Cina per esprimere le sue "sincere scuse e condoglianze" al ponte Marco Polo, dove cominciò l'invasione della Cina nel 1937. Nel 1999 e nel 2000 il Giappone ha protestato per lo sconfinamento di alcune navi cinesi nelle proprie acque territoriali, ma quando nel dicembre 2001 il Giappone ha inseguito e affondato vicino alle acque territoriali cinesi un vascello che si sospetta essere una nave spia della Corea del Nord, la Cina ha protestato molto poco ed ora ha permesso anche il suo recupero(11). Purtroppo lo scandalo diplomatico di quest'anno(12) ha raffreddato un po' i rapporti, ma ancora una volta è l'economia a ridare il sorriso a tutti.
Le importazioni giapponesi dalla Cina ammontano al 17,8% del totale e stanno per superare il 18,2% degli Stati Uniti. Anche gli investimenti giapponesi in Cina stanno crescendo. Nel 1999 il Giappone ha dato alla Cina 414 milioni di dollari in aiuti allo sviluppo, più di qualsiasi altro paese.
Inoltre, sembra ormai ovvio che il problema del riconoscimento dei crimini di guerra sia tale solo per il governo e per i gruppi nazionalisti che lo sostengono (anche se, dopo questa sentenza, sarà quasi impossibile negare ancora). Il popolo giapponese sa o vuole sapere e non nasconde la verità. I libri che raccontano questi fatti in modo non fazioso sono ormai decine e mentre alcuni anni fa stentavano a vendere, ora alcuni sono diventati dei best-seller.
Al loro fianco ci sono libri revisionisti che negano ogni addebito, ma questo è il bello della democrazia.
Un sondaggio che viene fatto ogni anno tra gli studenti di storia della Meiji Daigaku di Tokyo mette sempre in luce come oltre i due terzi crede che il Giappone abbia fatto troppo poco per farsi perdonare i crimini del passato.

Conclusioni

Diventare un terrorista biologico non è difficile come si pensa. Nascondere armi nucleari è piuttosto complicato (quanti usi ci sono dell'Uranio-235?), ma nascondere un laboratorio di ricerca sulla biologia molecolare è facile. In appena 30-60 minuti un laboratorio può essere sgombrato di tutti i materiali sospetti e sembrare un laboretorio di ricerca medica o farmaceutica. Le attrezzature necessarie ai laboratori legali e illegali sono le stesse. Non c'è bisogno di attrezzature speciali, a parte condizioni di lavoro molto stringenti. Un'altro vantaggio è che non richiede molto spazio. Perfino la produzione di massa di organismi può essere fatta su scala artigianale. Una coltura di batteri dell'antrace può crescre in grande quantità in 96 ore. Il livello di tecnologia richiesto è molto inferiore a quello richiesto dalle armi nucleari. Molte tecniche usate possono essere trovate nei mezzi di comunicazione. Le informazioni non sono considerate "scottanti" come quelle nucleari.
Infine, i progressi fatti nelle biotecnologie ha dato il via a dibattiti sui problemi e sull'avvenire della guerra biologica. Chiunque può modificare un virus, così da renderlo ancora più pericoloso.
Anche se crediamo di non aver perso di vista l'obiettivo di fare chiarezza sulle responsabilità giapponesi e americane per quanto riguarda la gestione della questione "Unità 731", ci sembra che, in consideazione anche dei fatti dell'11 settembre 2001, si delineino per il futuro scenari ancora più apocalittici.

Note

1. La storia dell'isola di Gruinard ci pone di fronte a tutti i principali problemi che anche soltanto la sperimentazione di armi biologiche da parte dei governi sui propri territori comporta, di come l'imprevedibilità può prendere il sopravvento e danneggiare se stessi prima che gli altri.
2. Soltanto dal 1996, dopo l'ultimo di una serie di episodi che hanno del ridicolo, negli Stati Uniti l'acquisto e lo spostamento di agenti patogeni è stato sottoposto a un rigido controllo.
Nel 1995, infatti, Larry Wayne Harris, membro di un'organizzazione razzista nota come Aryan Nation (Nazione ariana), si era lamentato col laboratorio al quale aveva richiesto il 5 maggio un campione di Yersinia pestis (del costo di 240 dollari) che la sua spedizione tardava ad arrivare. E' solo per questo e per il fatto che aveva dato l'indirizzo di casa e non quello riportato sul suo permesso (in quanto microbiologo presso un'azienda alimentare) che l'FBI bussò alla sua porta.
Nel cruscotto della sua macchina, parcheggiata nel vialetto d'ingresso, conservava le tre fiale di peste, impacchettate fra due lastre di vetro, gommapiuma assorbente e in scatole di metallo sigillate contrassegnate come contenenti sostanze infettive, come richiesto dai regolamenti federali.
Comunque, egli non aveva infranto la legge per il possesso dell'agente né per averlo conservato nel proprio cruscotto. Si riuscì ad accusarlo solamente di frode postale avendo usato in modo ingannevole, nell'ordinazione dell'agente patogeno, il documento rilasciatogli sul posto di lavoro.
Harris è anche l'autore di un libro autoprodotto intitolato "Bacteriological Warfare: A Major Threat to North America", che spiega nei dettagli la produzione di agenti patogeni e il loro utilizzo come armi biologiche.
Harris sarà arrestato anche il 18 febbraio 1998 a Las Vegas per aver tentato di diffondere l'antrace, anche se il materiale rinvenuto si rivelò poi essere un vaccino.
Dall'entrata in vigore della nuova legislazione, le investigazioni si sono moltiplicate a dismisura. Cfr. ad esempio Edwards, Tamala M. Catching A 48-Hour Bug, in "Time", vol. 151, n. 8, 2 marzo 1998; leggere anche Stein, Jeff. The terror at home, in "Salon", 20 febbraio 1998.
3. Il programma era focalizzato sulle spore di antrace e sul loro raggio di diffusione quando lanciate con una bomba convenzionale. Gruinard, un'isola al largo delle coste della Scozia, fu scelta nel 1942 come luogo degli esperimenti. L'isola fu evacuata versando agli abitanti un indennizzo di 500 sterline. Si pensava che l'isola fosse abbastanza distante per prevenire qualsiasi contaminazione della terraferma, un'ipotesi sbagliata. Nel 1943, dopo un'epidemia di antrace tra il bestiame sulle coste della Scozia davanti a Gruinard, gli inglesi decisero di terminare gli esperimenti. Fino agli anni '80 furono ancora rinvenute spore vitali sul territorio dell'isola. Per eliminare del tutto le spore, fu necessario ricorrere ad una drastica operazione di bonifica, ottenuta spargendo una soluzione di formaldeide in acqua di mare su tutta l'isola. Nel 1988, dopo ulteriori controlli, il governo ha dichiarato che l'isola è sicura.
4. Trenta membri dell'Unità 731 furono portati davanti al Tribunale di Tokyo per i crimini di guerra l'11 marzo 1948. Ventitre di loro furono ritenuti colpevoli, cinque furono condannati a morte, ma nessuna sentenza venne eseguita. Entro il 1958, tutti i condannati erano liberi.
5. Al confronto, il programma di guerra biologica sovietico era relativamente "quieto", per quanto riguarda la sperimentazione. Nel 1979 almeno 66 abitanti di Sverdlovsk, cittadina posta sottovento rispetto ad un laboratorio di microbiologia statale, morirono per una epidemia di antrace. Per molti anni, la spiegazione ufficiale del governo fu che le vittime avevano mangiato incosapevolmente bestiame infetto. Solo nel 1992 il Presidente Yeltsin ammise che si era trattato di un incidente.
Tra il 1973 e il 1974, venne creata una enorme struttura, il Biopreparat, diretta da Yuri Kalinin che nell'arco di 25 anni occupò oltre 50.000 persone. La conferma sulle attività di Biopreparat è venuta da Ken Alibek, alto funzionario di quella struttura ed autore di un libro sull'argomento edito nel 1999, ove si afferma anche l'uso di Pseudomonas mallei (responsabile della morva, una malattia dei cavalli che può colpire anche l'uomo) durante la guerra condotta dai russi in Afghanistan.
Sebbene i nuovi governi si dicono intenzionati ad eliminare le armi biologiche, ciò non risulta così semplice o viene fatto nel modo sbagliato. Centinaia di tonnellate di batteri di antrace, seppellite nel 1988 su di un'isola nel Mare di Aral dalle autorità sovietiche, rischiano ora di riaffiorare. Grazie ad alcuni test esplorativi, si è scoperto che, nonostante la dissoluzione dell'antrace in candeggina, alcune spore risultano ancora attive.
6. Cfr. Kristof, Nicolas D. Unlocking a Deadly Secret. The New York Times, 17 marzo 1995.
7. I gruppi nazionalisti condussero una battaglia spietata contro il libro. Scoprirono che una delle tante foto di cui era corredato era stata manomessa e tanto fecero che ottennero il ritiro del libro.
8. Nell'edificio principale, l'unico lasciato in piedi dai giapponesi, è stato realizzato un piccolo museo.
9. Cfr. Forney Harbin, Matthew e Kattoulas, Velisarios. Black Death, in "Time Asia", vol. 160, n. 9, 9 settembre 2002.
10. Cfr. Fuyuno, Ichiko e Kruger, David. Memories of Horror, in "Far Eastern Economic Review", 5 settembre 2002.
11. Il 22 dicembre 2001, al largo delle coste sud-occidentali giapponesi, alcune navi della guardia costiera nipponica (Kaijou Hoanchou) hanno bloccato e affondato un peschereccio non identificato entrato nella sua Zona Economica Esclusiva (EEZ) che, come stabilito dalle leggi internazionali (United Nations Convention on the Law of the Sea), si estende fino a 200 miglia nautiche (370 km) dalle acque territoriali (ryoukai), che a loro volta sono 12 miglia nautiche (22 km) dalla costa. Le rispettive zone di Cina e Giappone si sovrappongono e sottostanno ad un particolare accordo.
La dinamica dell'incidente non è chiara, come pure l'identità della nave colata a picco. I guardacoste, dopo un lungo inseguimento dalla EEZ giapponese fino a quella cinese, avrebbero circondato l'imbarcazione, intimandole di farsi riconoscere e chiedendo di salire a bordo. Dalla barca sarebbero allora partiti dei colpi di arma da fuoco che hanno ferito due guardacoste.
A quel punto, si è scatenata la risposta nipponica che ha affondato la misteriosa imbarcazione, lasciando in mare i 15 uomini che componevano il suo equipaggio, in contravvenzione alle leggi internazionali. Vista l'attrezzatura di cui disponevano, parabole satellitari e altre apparecchiature, poteva trattarsi di una nave spia, probabilmente nordcoreana. Sono stati ritrovati due corpi con scritte in coreano sugli abiti.
La legge di polizia giapponese (Keishokumuhou) permette di sparare per colpire solo all'interno delle acque territoriali, mentre nella EEZ si può sparare solo colpi di avvertimento. Il comportamento tenuto dal Giappone sembra aver violato più volte quanto stabilito dall'UNCLOS, anche se non nell'articolo 111, come afferma qualcuno, dove si definisce il diritto di inseguimento (hot pursuit, in giapponese tsuisekiken). Cfr. ad esempio Takada, Kazunori. A case of excessive self-defense? Japan Today, 28 dicembre 2001.
12. L'8 maggio 2002, alcuni poliziotti cinesi entrano illegalmente nel Consolato giapponese di Shenyang, dove cinque fuggitivi nordcoreani si erano rifugiati. I poliziotti non si sono limitati a catturare una donna sul cancello, ma sono entrati nel consolato per una quarantina di metri, facendo irruzione indisturbati all'interno della sala visti, prendendo in consegna gli altri fuggiaschi e riportandoli sul suolo cinese del tutto indisturbati. I funzionari giapponesi non si sono opposti.
L'immagine di debolezza e insipienza della diplomazia giapponese ha ormai fatto il giro del mondo. Il tutto in violazione della Convenzione di Vienna (1961), che stabilisce l'inviolabilità delle sedi diplomatiche e che alle forze di sicurezza dei paesi ospitanti di entrarvi senza autorizzazione formale del capo-missione. Insoddisfacenti anche le spiegazioni cinesi. L'ambasciatore a Tokyo Wu Dawei ha affermato che le guardie avrebbero dato vita a un'operazione di sicurezza per impedire a "sospetti terroristi" di entrare all'interno della sede diplomatica nipponica al fine di proteggerla.
Sembra che la Cina possa essere accusata di violazione della sovranità giapponese e del rifiuto di gestire in modo umano il problema dei rifugiati. Ma il personale diplomatico cosa ha fatto per impedire questo?
Gregory Clark ci ricorda che, all'inizio degli anni '80, la polizia giapponese si comportò più o meno allo stesso modo nell'Ambasciata americana a Tokyo, nel tentativo di portare fuori un nordcoreano; la cosa si è ripetuta nel 1998 con l'Ambasciata cinese. Cfr. Clark, Gregory. Japan at its inconsistent worst. The Japan Times, 17 maggio 2002.
La vicenda umanitaria, fortunatamente, dopo un paio di settimane si è conclusa bene: i cinque coreani, col permesso del governo cinese, sono volati a Manila e da lì hanno raggiunto la Corea del Sud.

I LIBRI CHE VI CONSIGLIAMO DI LEGGERE :

Bibliografia

AA.VV. La guerra chimica, speciale di "Storia Illustrata", n. 151, giugno 1970.
Daws, Gavan. 1994. Prisoners of the Japanese: Pows of World War II in the Pacific. William Morrow & Company.
Endicott, Stephen e Hagerman, Edward. Le armi biologiche della guerra di Corea, in "Le Monde diplomatique", luglio 1999.
Endicott, Stephen e Hagerman, Edward. 1998. The United States and Biological Warfare. Secrets from the Early Cold War and Korea. Indiana University Press, Bloomingtoon-Indianapolis.
Forney Harbin, Matthew e Kattoulas, Velisarios. Black Death, in "Time Asia", vol. 160, n. 9, 9 settembre 2002.
Fuyuno, Ichiko e Kruger, David. Memories of Horror, in "Far Eastern Economic Review", 5 settembre 2002.
Gold, Hal. 1996. Unit 731: Testimony. Charles E. Tuttle, Tokyo.
Harris, Sheldon H. 1994. Factories of Death: Japanese Biological Warfare, 1932-45 and the American Cover-Up. Routledge, New York.
Ippolito, Giuseppe. Rischi e possibili effetti di un eventuale attentato terroristico con agenti biologici, in "Per Aspera ad Veritatem", n. 22, gennaio-aprile 2002.
Karube, Takuya. Ex-Unit 731 member spreads truth as his apology. Japan Today, 12 agosto 2002.
Kristof, Nicolas D. Unlocking a Deadly Secret. The New York Times, 17 marzo 1995.
Pilling, David e Hijino, Ken. Japan admits virus tests on war prisoners. Financial Times, 28 agosto 2002.
Sanders, Richard. 2001. La storia del bioterrorismo negli U.S.A. COAT.
Santoianni, Francesco. 1991. L'ultima epidemia: le armi batteriologiche. Dalla peste all'AIDS. Edizioni Cultura della Pace.
Santoianni, Francesco. Una guerra a colpi di virus, in "Newton", febbraio 1999.
Williams, Peter e Wallace, David. 1989. Unit 731: Japan's Secret Biological Warfare in World War II. The Free Press, New York.

 

LA NOTIZIA DI OGGI 7 MARZO 2003

Ecco il vertice Rai
Mieli sarà il presidente
L'ex direttore del Corriere: "Accetto l'incarico con riserva"
I presidenti: "Nomi di altissimo profilo, sganciati dai partiti"

Paolo Mieli
LA GOCCIA CINESE
Diario di un anno tra storia e presente

Le riflessioni quotidiane di un grande saggista su un anno di guerra, la politica, l'identità italiana.

L'11 settembre 2001 - in quella che sarebbe diventata una data simbolo, il vero inizio del terzo millennio - Paolo Mieli ha inaugurato il suo colloquio con i lettori sulla pagina delle lettere del "Corriere della Sera". "Una goccia cinese che pian piano è capace di scavare la più dura delle pietre: ecco cosa sarà quella pagina." Così aveva detto Indro Montanelli accettando di tornare nel 1995 al "Corriere", a patto che potesse avere la sua "Stanza", la rubrica della posta. E quando Mieli, due mesi dopo la morte di Montanelli, fu chiamato a succedergli, quelle parole gli rimasero in mente: anche lui avrebbe provato a lasciare un segno sulla pietra. Giorno per giorno, sollecitato dai lettori e sotto l'incalzare di eventi straordinariamente drammatici, ha commentato i fatti della cronaca mondiale e italiana. Oggi quelle risposte diventano il diario di un anno decisivo, che ha fissato i parametri sui quali per molto tempo saranno misurati gli eventi futuri. Goccia a goccia, Mieli distilla riflessioni che riguardano tre grandi temi: la guerra e la pace, dall'attacco terroristico all'America alla missione in Afghanistan, dai difficili rapporti tra l'Occidente e l'Islam al conflitto sempre più violento fra israeliani e palestinesi: le lacerazioni della politica italiana, dove destra e sinistra rifiutano di legittimarsi a vicenda e di condividere una comune memoria nazionale; il rapporto fertile e profondo fra il passato e il presente, grazie al quale vicende e personaggi di ieri forniscono chiavi di lettura per interpretare l'oggi. E, pagina dopo pagina, la cronaca si trasforma in storia diretta.

NOTE BIOGRAFICHE - Paolo Mieli ha compiuto gli studi a Roma dove si è laureato con una tesi sul fascismo sotto la guida di Renzo De Felice, al cui fianco, negli anni Settanta, ha svolto un'intensa attività didattica. In quello stesso periodo, da giornalista, ha lavorato prima all' "Espresso", poi a "Repubblica" e infine alla "Stampa", di cui è diventato direttore nel 1990. Dal 1992 al 1997 ha diretto il "Corriere della Sera". Ha pubblicato libri sulla storia della sinistra italiana e ha collaborato alle riviste "Storia contemporanea", "Tempi moderni", "Mondoperaio", "Queste istituzioni" e "Pagina". E' attualmente direttore editoriale della Rcs. Ha pubblicato presso Rizzoli Le storie, la storia (199; ora disponibile in Bur) e Storia e politica (2001).