INTERVISTA - DA IL CORRIERE DELLA SERA 14 GENNIO 2003


«Raitre è libera ma non tagliateci i fondi»

Il direttore Ruffini: vogliamo riavere il budget 2001, questa rete ha un'identità
e ascolti in crescita

ROMA - Raitre secondo alcuni sarebbe in crisi di ascolti. Cosa ne dice il
direttore della rete, Paolo Ruffini?

«Ogni tanto c'è qualcuno sbadato o in malafede che spera nel nostro insuccesso.
Invece Raitre nel 2002 ha eguagliato il prime time del 2001 (10,43% di share,
il miglior risultato degli ultimi cinque anni) e ha aumentato nell?intera
giornata arrivando al 9,71%. Risultati straordinari se si tiene conto di
vari fattori: riduzione del budget, cessione di un successo come "Novecento"
a Raiuno e di alcuni film di grande ascolto a Raidue. Noi siamo andati avanti
col vecchio Rocky e western d?epoca. Il pubblico continua a seguirci perché
offriamo una tv con un senso, una memoria, un?identità, un gruppo di lavoro
coeso».

Quando qualcuno «tocca» Raitre insorge solo e soltanto la sinistra. Perché
siete la riserva indiana dell?Ulivo, come dicono nel centrodestra?

«Vorrei rispondere che Raitre è la riserva indiana della libertà. Ma diciamo
meglio così. Questa rete ha una sua storia che va difesa e affonda le radici
in uno dei patrimoni culturali di questo Paese, quello della sinistra democratica.
Ma penso a Nanni Moretti e ripeto con lui: nessuno dovrebbe augurarsi una
rete di sinistra da contrapporre a un'altra di destra o leghista. Non si
difende così il pluralismo. Meglio sarebbe che tutti si ponessero l?obiettivo
di una tv libera e intelligente. Perlomeno questo è il nostro traguardo».

Raitre è più «fassiniana» o più «girotondina», secondo lei?


«Una rete tv non dev'essere misurata col metro della politica. Non dovrebbe
prendere partito. Può, anzi deve, prendere parte, non essere ignava, distratta
di fronte a ciò che accade e racconta. Può farlo partendo da un?identità
culturale riconosciuta ma senza delegare ad altri il proprio giudizio. Il
giornalismo, nei Paesi democratici, è un contropotere. Non un'appendice
del potere politico».


Un Blob dedicato a Berlusconi è stato cancellato. Andrea Salerno, responsabile
della satira di Raitre e autore del Caso Scafroglia , è stato messo sotto
accusa per le frasi dedicate a Tremonti nello spezzone di spettacolo teatrale
di Sabina Guzzanti (trasmesso in una puntata) e quindi sospeso per tre giorni.
Si sente sotto tiro da parte dell'azienda?


«No, perché sono parte di questa azienda. Così come lo è Salerno. La satira
è una fetta della libertà di pensiero, diritto garantito dalla Costituzione
che va difeso anche in tv. Io lavoro da uomo libero e difendo la mia libertà.
Santoro è stato richiamato dai vertici Rai anche per non aver contestato
a Maurizio Costanzo, nell'ultima puntata di Sciuscià , l'affermazione che
Mediaset è più libera della Rai. Direttore generale e presidente, che sono
certamente uomini di parola, hanno ripetuto più volte che la Rai è libera.
Perché dovrei sentirmi sotto tiro ? Lo stesso discorso vale per Blob , una
delle più belle e libere trasmissioni della Rai. Una lettera di Berlusconi
a Il Foglio ha chiarito l'equivoco. Caso Guzzanti-Tremonti: l'ho già detto
più volte, non credo che con la battuta contestata si sia travalicato in
alcun modo il diritto di satira».

Lei sapeva tutto prima della messa in onda?

«Sapevo che avremmo trasmesso lo spettacolo. Lo avevo deciso io. Certo,
non conoscevo tutte le battute né credo che un direttore debba chiedere
ai dirigenti di riferire parola per parola i testi di ogni show. Non basterebbero
24 ore al giorno».

Si sente comunque corresponsabile di quella scelta.

«Certo, come direttore di Raitre sono responsabile di ciò che va in onda.
E credo che lo spettacolo della Guzzanti sia stato un bel pezzo di televisione.
E credo che Andrea Salerno sia un ottimo dirigente Rai».

Ora arriva Albanese con un gruppo di autori tra i quali spicca Michele Serra.
Prevede altri incidenti, nuovi problemi?

«No. E francamente non vedo nemmeno perché dovrei».

Le dispiace l'abbandono di Enzo Biagi?

«Credevo nel progetto di trasportare Il Fatto su Raitre. Mi dispiace che
sia finita così ma Biagi ha deciso per ragioni personali. E sulle ragioni
personali non mi pronuncio».

Lei si è anche detto pronto ad ospitare Santoro. Conferma?

«Lo confermo. C'è anche l'ipotesi di un mensile, che a Michele non dispiace.
So della vertenza giudiziaria tra Santoro e la Rai. Il massimo che può fare
Raitre è offrire una possibile soluzione alle due parti perché la valutino
e decidano».

Lei si è lamentato per il taglio al budget di un milione di euro. L'azienda
ha risposto: abbiamo tagliato soldi a tutti...


«Ci sono livelli di redditi al di sotto dei quali non c'è tassazione: sarebbe
ingiusto. E così ci sono livelli di budget al di sotto dei quali sarebbe
meglio non tagliare. Raitre autoproduce più di tutte le altre reti e soprattutto
in prima serata: sei sere su sette in prime time ci sono prodotti "della
casa" ma disponiamo di un budget sensibilmente inferiore agli altri. Comprendo
le ragioni dei vertici, anche per me l'azienda è la mia patria e la mia
bandiera. Ma Raitre è una bottega artigianale che vende ciò che produce».

Cosa vorrebbe, Ruffini?

«Non chiedo di avere a disposizione lo stesso budget di Raidue che produce
ben meno di noi. Non dico di arrivare a tanto. Mi basterebbe riavere i mezzi
del 2001 anche per innovare, sperimentare nuovi format. Le idee ci sono
e neppure posso cancellare ciò che va bene per tentare la sorte. In due
parole: mi rendo conto della problematica economica della Rai ma pongo il
mio problema».

Domanda d'obbligo per un direttore di rete: i politici telefonano?

«Arrivano pochissime telefonate».

Di pressioni?

«Mai».

Allora sono lamentele, critiche...

«Quelle, quando ci sono, le leggo sui giornali».

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INTERVISTA - DA L'UNITA' 14 GENNAIO 2003


Fassino faccia un passo avanti, ora c'è bisogno di una gestione unitaria

«È vero, siamo a un passaggio delicato. Ma non dobbiamo fare punto e a capo.
Il problema è la prospettiva. Allora, è di un salto in avanti che abbiamo
bisogno. Anzi, di un doppio salto, sia nel rapporto aperto con i movimenti
sia nella gestione unitaria del partito. È complesso, niente affatto semplice,
ma abbiamo la possibilità e la forza per compierlo». Sarà che deve quotidianamente
conciliare la sua formazione politica di sinistra con la responsabilità
al governo della Regione Campania, fatto è che Antonio Bassolino fonda il
suo ottimismo su quanto è cambiato e su quel che ancora destinato a cambiare:
«È il momento di mettere in campo una grande sfida al centrodestra, sulle
questioni sociali e politiche di un paese moderno. Certo, anche istituzionali».

Bassolino, è ottimismo della volontà o della ragione? Dove vede tutte queste
potenzialità tra le tante polemiche, se non vere e proprie lacerazioni,
che stanno tormentando il centrosinistra?

«Non ignoro le difficoltà, non rimuovo i problemi. Ma li metto in relazione
alle tante cose che sono cambiate. Un anno fa il centrosinistra era ancora
tramortito da una sconfitta elettorale molto pesante. Ma, a partire dalla
grande battaglia sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, si è rimesso
in movimento un impegno collettivo vitale per la sinistra...».

Non crede che proprio di lì sia partito quello che in tanti temono diventi
un processo divaricante?

«Al contrario. Non era una battaglia a difesa di un residuo del passato,
ma per diritti concepiti come sostanza di una vera modernità. Tanto è vero
che non vi ha partecipato solo il mondo del lavoro dipendente, ma anche
tante parte di quelli che Paul Ginsborg chiama ceti riflessivi. Insieme,
c'è stata una maturazione di quel movimento chiamato no global che sta venendo
caratterizzandosi sempre più come new global. E sono cambiate tante cose
anche in Parlamento, con una opposizione di centrosinistra che ha saputo
rialzare la testa, condurre battaglie, collegarsi con il paese. A sua volta,
l'opposizione politicamente più forte ha sollecitato lo sviluppo delle azioni
sociali. C'è stato, insomma, tutto un intreccio tra battaglie sociali, civili
e politiche, e l'una spinta ha aiutato l'altra. Tant'è vero che un anno
fa si discuteva assurdamente su quanti decenni sarebbe durato il governo
di centrodestra. E ora stiamo a misurare le difficoltà del centrodestra,
e le aree di tensione e di delusione di diversi ambienti sociali che pure
erano stati fondamentali per il successo del centrodestra».

Come spiega, allora, questo continuo rincorrersi tra partiti e movimenti,
anziché valorizzare una convergenza così significativa?

«Proprio perché la situazione si è riaperta. Il che significa cominciare
a giocare la vera partita politica e sociale, dall'esito niente affatto
scontato».


E sia. Da cosa, o da chi ripartire: dalla leadership che Nanni Moretti ha
consegnato a Sergio Cofferati?

«A Cofferati va riconosciuto di essersi affermato sul campo come personalità
politica in sintonia con tanta parte dei movimenti sociali. Questo è quel
che conta. Noi abbiamo bisogno di tutte le energie migliori: di Cofferati,
come di Piero Fassino, Giuliano Amato, di Massimo D'Alema, di Francesco
Rutelli, per non parlare di altre che oggi sono impegnate in responsabilità
al di sopra dei confini nazionali. Abbiamo bisogno vitale di tutte queste
personalità. Si vedrà poi, qual è la leadership meglio capace di portare
a sintesi questo patrimonio di risorse, disponibilità e intelligenze. Non
è per domattina: una cosa alla volta. Quel che occorre oggi è un deciso
passo in avanti. E, come tanti hanno riconosciuto, a cominciare da Piero
Fassino, quel che Cofferati ha detto a Firenze consente di compierlo».

Fassino, che già aveva denunciato apertamente rischi di delegittimazione,
ha detto che occorre passare dalle parole ai fatti. Giusto?

«Mi sembra che Cofferati se ne sia fatto carico, che abbia dimostrato di
aver inteso. Il problema è di come tradurre tutto questo in un impegno,
oltre che in un rapporto nuovo, ricco di reciproco riconoscimento e rispetto,
tra le forze politiche e i movimenti. Perché non ce la faremmo solo con
i partiti senza una società in movimento, come non ce la faremo solo con
i movimenti e senza i partiti che ne interpretino le aspirazioni».

Appunto, come farcela?

«Sarebbe molto utile e importante impegnare Sergio Cofferati nello sforzo
di elaborazione programmatica dell'Ulivo. Nel modo giusto, con intelligenza,
e cioè individuando le forme che consentano di coinvolgere i movimenti che
erano a Firenze, altre forze ancora che a Firenze non erano. Se gli chiedessimo
di distaccarsi dal suo rapporto con i movimenti, Cofferati stesso non ci
starebbe, e forse non interesserebbe più nessuno. Come va coinvolta un'altra
personalità essenziale che già aveva posto la questione del programma: Giuliano
Amato, Perché dobbiamo anche poter parlare a forze di altri settori della
società italiana, soprattutto quelle deluse dal centrodestra che sono anch'esse
essenziali per battere il centrodestra, vincere e tornare a governare come
bisogna avere sempre in testa di fare».

Cosa deve essere: un programma di lotta e di governo?

«Battuta per battuta: deve essere una vera novità rispetto al 1996...».

Non si dovrebbe tornare allo spirito dell'Ulivo?

«Nessuno come me è sensibile a questo tema. Ma so anche che sono cambiate
tante cose: i partiti hanno ripreso, nel bene e nel male, un ruolo; e nella
società si è sviluppata una realtà molto più articolata e complessa. Riprendere
lo spirito nel '96 deve significare essere capaci di elaborare le ragioni
di una sconfitta, come allora fu fatto rispetto al '94, con un'operazione
innovativa che guardi al 2003, il 2004, il 2005, all'Italia di oggi, per
tanti aspetti diversa da quella del '96, e a quella di domani, in continua
trasformazione».

Parliamo allora del ruolo dei Ds nell'alleanza. E dei difficili rapporti
interni con il correntone, di cui anche lei fa parte, che sembrano mettere
addirittura in discussione l'unità invocata dalla base del partito. Come
scongiurare il pericolo?

«Francamente, penso che un altro necessario passo in avanti sia andare a
una gestione unitaria del partito. E ritengo che debba essere il segretario
del partito, che sta facendo bene, a dover assumere una iniziativa in tal
senso. Sarebbe giusta e meritoria».

E le differenze congressuali? Non si era detto che il passo in avanti era
di discutere democraticamente su diverse opzioni politiche e assumere, conseguentemente,
la responsabilità della gestione della linea vincente?

«Vedo anche nella situazione attuale un residuo della storia da cui veniamo.
Parliamoci chiaro: dove sta scritto che bisogna essere uniti sempre per
avere una gestione unitaria e si debba rimanere distinti nella gestione
se si discute e ci si divide politicamente?».

Non è che, in quel passato, si doveva essere unitari per compensare le differenze
che non si potevano dichiarare?

«È, appunto, il riflesso di cui credo dobbiamo liberarci. Ci sono forze
che al congresso di Pesaro hanno assunto posizioni diverse da Fassino che
possono essere impegnate nella gestione del partito. Pur partendo da posizioni
diverse su diverse questioni, una comunanza quotidiana sarebbe un bene per
tutti, mentre con un congresso che continua, si resta come separati in casa.
Lo dico con convinzione e con disinteresse...».

Già, si è parlato di lei come pontiere e forse qualcosa di più...

«Io sono presidente di una Regione, ed è un impegno che pesa quotidianamente.
Dico questo perché è quello che penso. Per il resto, ci sono tante facce
nuove...».

Nel resto, però, non ci sono anche vecchie e nuove differenze?

«E chi lo nega? Ma perché dobbiamo stare in questa situazione assurda, per
cui ci sono differenze politiche e dunque non c'è gestione unitaria o se
c'è gestione unitaria scompaiono le differenze politiche: perché' Abbiamo
fatto un congresso in cui ci si è divisi democraticamente. L'essenza di
una gestione unitaria è che anche le differenze politiche emerse in un congresso
possono evolvere, cambiare, diventare altre, anziché essere cristallizzate
dal fatto che ci si vede e ci sente ogni tanto, senza il reciproco sforzo
di fare ogni giorno i conti nella direzione politica, di farsi carico ognuno
e tutti insieme dei problemi che ogni giorno vanno affrontati».

Scelte non facili. Quali priorità?

«Sociali, anzitutto, ed è una strada aperta dalla battaglia sull'articolo
18. E politiche, tenendo conto che per vincere noi dobbiamo andare ad alleanze
ben più larghe di quelle delle ultime elezioni politiche, e quindi a un
confronto con Rifondazione e altre forze ancora a sinistra, ma anche tra
quelle che il plebiscitarismo prevalente nel centrodestra lascia allo sbaraglio».

A proposito di plebiscitarismo: e le riforme istituzionali? Va lasciato
campo libero alla destra?

«Non dimentico, me lo ricorda la mia esperienza di governo della Regione,
che abbiamo davanti a noi un cammino incompiuto. Penso che abbiamo perso
una grande occasione, nella prima metà degli anni Novanta quando è esplosa
la grande crisi di sistema, a non affrontare in modo unitario, in una logica
- appunto -di sistema, il rinnovamento delle istituzioni della Repubblica
con una assemblea costituente eletta con la partecipazione di parlamentari,
presidenti di Regioni e Province, sindaci di grandi città, importanti competenze.
Già con la Bicamerale si era in una situazione diversa, tant'è che il centrodestra
non ha avuto remore a farla saltare...».

Figuriamoci dieci anni dopo...

«Oggi, purtroppo, non ci sono le condizioni per una sede unitaria. Assemblee
costituenti e bicamerali sono del tutte irrealistiche Però rimane il problema
di una logica unitaria di riforma delle istituzioni. Non è possibile concepirle
né affrontarle a pezzi. Nei prossimi giorni comincerà al Senato, prima in
commissione e poi in aula la discussione sulla forma di governo, mentre
alla Camera approda, dopo che è stata approvata al Senato, la cosiddetta
devolution che investe negativamente un nodo delicatissimo della forma di
Stato. C'è bisogno di recuperare, da parte del centrosinistra, una capacità
di sfida e di confronto con il centrodestra su temi che comunque sono lì,
in Parlamento».


Facile a dirsi, difficile a farsi. Ha visto quali e quante polemiche ha
suscitato il primo documento, necessariamente segnato dalla mediazione interna,
dell'Ulivo?


«Sì, e ho apprezzato lo sforzo unitario. Personalmente penso che ci si possa
spingere anche più in là del punto cui si è giunti in materia di rafforzamento
dei poteri del premier. Ma, al tempo stesso, penso si debba porre al centrodestra
il tema grandissimo dei poteri di garanzia nel sistema maggioritario, come
con grande forza ha fatto nel messaggio di fine anno il presidente della
Repubblica. Per stare e restare nel sistema maggioritario non si può prescindere
dalle garanzie del maggioritario: i quorum del Parlamento, lo Statuto dell'opposizione.
Non sono altra cosa. Così come non è altra cosa la questione della concentrazione
dei mezzi finanziari e mediatici: attiene ai poteri democratici che negli
anni tremila contano non meno, eufemisticamente, delle istituzioni democratiche
e rappresentative».

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DA - IL MANIFESTO - L'INTERVISTA 15 GENNAIO 2003

DS

«Perché dico no a Bassolino»

Gloria Buffo: «La gestione unitaria è sbagliata. Ci vuole una competizione
leale e rispettosa»
A. CO.
ROMA
Ancora una volta la Quercia è scossa dalla tempesta. E si moltiplicano gli
appelli a una gestione unitaria del partito. Ma per Gloria Buffo, del correntone,
quella strada, suggerita anche da Antonio Bassolino, è impraticabile.

Cosa pensi dell'appello lanciato da Bassolino?

Condivido solo la necessità di superare anche il programma del '96. Su tutto
il resto non sono d'accordo. Se oggi c'è un riflesso del passato è proprio
l'affermare che, nonostante ci siano linee politiche diverse, si deve arrivare
a una gestione unitaria. Non abbiamo bisogno di una accordo al vertice ma
di una dialettica leale, di una competizione su quale sia la linea giusta
da seguire.

Mi pare che il segretario vi accusi appunto di non essere leali...

Io non ci sto a dire che «tira la carretta» solo chi sta nella o con la
segreteria e tutti gli altri remano contro. Se oggi milioni di taliani si
sono rimessi in movimento è perché qualcuno ha tirato la carretta da solo,
come la Cgil con la sua battaglia sui diritti. E non ho dimenticato cosa
dicevano i dirigenti della Quercia dello sciopero generale proclamato dalla
Cgil.

La maggioranza vi accusa di cercare rapporti con realtà esterne al partito
in totale autonomia...

Quando ci si connette con ciò che si muove al di fuori del partito si fa
una cosa utile per la sinistra in generale e per i Ds in particolare. Bisogna
uscire da questa ossessione della delegittimazione del gruppo dirigente.
Non si possono concentrare tutte le energie di un partito nella discussione
sulla delegittimazione dei leader.

Il problema però resta quello di superare una crisi dalla quale, per ora,
non si intravede via d'uscita...

Dietro i marosi che agitano i Ds c'è un fatto politico di enorme importanza:
la spinta propulsiva della politica dei Ds si è esaurita. Ormai è chiaro
che la linea politica per cui andare al governo avrebbe risolto come per
magia ogni problema è stata sconfitta. Andare al governo è importante, ma
non basta. In gioco ci sono due visioni diverse della società e ella democrazia.

Anche all'interno del partito?

Sì. Io credo che oggi il ragionamento di Cofferati sulla sobrietà parli
agli elettori assai più dell'appello ad arricchirsi che lanciò D'Alema ai
tempi del governo. E intendo tutti gli elettori: dai benestanti del nord
che non vorrebbero più essere soffocati dallo smog ai ragazzi che pensano
che un altr mondo sia possibile, alla gente che nel sud sbatte la testa
contro la privatizzazione dell'acqua.

La minoranza della Quercia ripete di non volere una scissione. Ma, se le
differenze sono tanto radicali quanto quelle di cui parli tu, come è possibile
restare insieme?

Sgombrando il campo dall'idea che in un partito abbia legittimità solo una
linea politica. Il problema vero da cui dipende la crisi dei ds è un altro:
la linea politica che è stata confermata al congresso di Pesaro, è maggioritaria
tra gli elettori? Io penso che non sia così, e che proprio questo sia il
vero elemento critico.

Mi sembra che, anche a livello di rapporti personali, il clima si sia deteriorato
parecchio tra le due anime della Quercia...

Personalmente non sono mai stata appassionata allo scambio di battute. Per
restare insieme penso che sia necessario un rispetto profondo. Si può convivere
anche avendo linee diverse: si vedrà nel concreto chi ha più filo da tessere.
Ma accusare chi la pensa divrsamente di essere come Pol Pot, o come Gengis
Khan, questo no.

La posizione di Sergio Cofferrti ha creato parecchio nervosismo anche nel
Prc. Come te lo spieghi?

Rifondazione rischia oggi di porsi come una sorta di partito-vestale. Mira
ad apparire come l'unico interlocutore credibile del movimento no global.
Così, però, fa male sia alla sinistra che ai movimenti. Direi che Rossana
Rossanda ha mostrato acutamente i limiti della posizione del Prc, che a
volte sembra speculare a quella della maggioranza dei Ds.

In definitiva, come intende procedere la minoranza di «Aprile»?

Io continuerò a lavorare perché il mio partito cambi linea.

Ma questo non significa fare una specie di congresso permanente?

Se la linea di Pesaro si mostra inadeguata sia a misurarsi con ciò che si
muove nella società sia ad affrontare i problemi del paese, io non posso
che insistere perché quella linea cambi.

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DA - L'UNITA' - 15 GENNAIO 2003


L'unità si può fare, se si vuole la svolta politica

Pietro Folena, esponente del «correntone» Ds, accoglie la proposta di Bassolino,
ma sembra non fidarsi troppo delle aperture da parte di Fassino e D'Alema.
«Non si tratta di assetti interni al partito, è un problema di contenuti,
da affrontare nella conferenza programmatica di marzo».

Bassolino chiede unità nella gestione del partito, pur con delle diversità.
È possibile?

«Non ridurrei al tema della conduzione del partito la grande domanda di
partecipazione, l'entusiasmo e la spinta unitaria che sono venute dal Palasport
di Firenze. Subito dopo, questa domanda è stata rappresentata come una volontà
plebiscitaria, siamo stati descritti come Khmer Rossi, con metodi alla Pol
Pot, Cofferati come Gengis Khan, è stata fatta la lista dei perdenti...
Eppure i promotori, Aprile, non hanno usato una parola polemica. Ora, quasi
fosse solo un tema di potere interno, di poltrone o di gestione del partito,
cambiano i toni in modo un po? schizofrenico...».

Fassino e D'Alema si dicono d'accordo con il presidente della Regione Campania.
Chi adesso si appella all'unità si contraddice?

«Mi compiaccio di questa grande 'offensiva' unitaria da parte del segretario
Ds e del presidente, ma spero non si voglia pensare a una gestione del partito
con i Khmer Rossi, come siamo stati definiti».

Anche Bassolino, che fa parte della minoranza, è un po' schizofrenico?

«No, il suo appello è un contributo positivo, lui apprezza quello che dice
Cofferati, ha dialogato con i movimenti. Ma nel Correntone non vige il centralismo
democratico, siamo persone con le proprie idee. E non vado appresso alle
chiacchiere su doppi fini da parte sua...».

Il Correntone non si fida?

«Apprezzo i nuovi toni, ma non vorrei più leggere pagine come quelle uscite
su 'Repubblica', perché so che i nostri militanti in quel caso devono prendere
il Maalox... So che rischiamo una lotta fratricida, il paginone di Staino
ha una sua verità. Spesso sono cambiati i toni e poi ci sono state nuove
campagne. Insomma, non si può passare dalle polemiche terribili dei giorni
passati a questo improvviso vogliamoci bene. Da Firenze si chiede una politica
più aperta e partecipativa. Fassino è stato l'unico, sin dallo schiaffo
di Moretti, ad aver dimostrato di volere e saper dialogare con questa domanda,
contribuendo al successo elettorale dei Ds a maggio. Questo dialogo è stato
interrotto brutalmente con la vicenda degli alpini, fino all'ultimo direttivo.
Siamo stati accusati di essere massimalisti, i signor No, schiacciati su
Bertinotti. Finché ora il leader di Rifondazione ha usato toni sprezzanti
verso Firenze, simili a quelli dei vertici ds».

La minoranza Ds cosa vuole?

«A marzo ci sarà la conferenza programmatica. Non vogliamo l'abiura del
congresso di Pesaro, o che si dica ha ragione il Correntone. Vogliamo che
sia l'occasione per una vera svolta politica sui contenuti. Sulla guerra;
sulle questioni economico sociali riaffiorano tendenze per modificare l'articolo
18; sullo sviluppo sostenibile; sulle riforme. Su questo dissento da Bassolino,
penso che il centrosinistra dovrà avere la sua proposta, ma sapendo che
l'interlocutore non è affidabile».

Come trovare unità di vedute?

«Ha ragione Bassolino, non si può essere d'accordo su tutto, ma se non si
trova una base politica comune allora appare sì come un'operazione di potere
e di poltrone. Noi, che siamo stati marchiati scissionismo, abbiamo lavorato
per portare voti di aree critiche ai Ds, abbiamo messo in rete delle realtà.
Se non si vuole perdere questo tesoro, è bene che continuiamo a fare questo
lavoro di frontiera senza essere bollati come populisti o massimalisti.
Confrontiamoci laicamente, rispettandoci di più, in nome dell'unità».

La minoranza deve entrare nella segreteria Ds?

«La minoranza può gestire con tutto il partito senza doversi cancellare,
del resto in tutta la sinistra europea le minoranze sono negli organi dirigenti.
Ma l'importante è che si arrivi a una svolta politica, che si interloquisca
con l'esterno».

Fassino e Rutelli hanno chiesto a Cofferati di costruire insieme il programma
dell'Ulivo. In pratica di «tirare la carretta», come ha detto D'Alema. Lui
ha detto che nell'Ulivo devono essere rappresentati anche i movimenti. Che
ne pensa?

«Be', trovo ingeneroso accusare Cofferati di non aver tirato la carretta,
perché se sono entrati voti ai Ds è stato anche grazie al suo lavoro. Cofferati
non ha posto delle condizioni, ha detto che nel nuovo Ulivo i movimenti
devono essere riconosciuti nelle loro identità. Tutto quello che esiste
nel territorio non è contenibile solo nei partiti».

Cosa farete nell'Ulivo per aprire ai movimenti?

«Andrà avanti questo lavoro a rete. Piuttosto che fare gli Stati generali
dell'Ulivo, ci servono meno generali e più gente semplice con i suoi problemi.
Senza la partecipazione dal basso non si vince».

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L'INTERVISTA - L'UNITA' - 16 gennaio 2003

"Vuole statistiche da Repubblica delle banane"

ROMA Silvio Berlusconi lancia un messaggio di ottimismo: l'anno si chiuderà
meglio del previsto. Cioè, invece di una crescita «invisibile» dello 0,4%
(per alcuni già ottimistica), una «quasi invisibile» allo 0,6%. Come fa
a dirlo' Semplice: i criteri di calcolo sono sbagliati, stiamo pensando
di modificarli. «Roba da repubblica delle banane - commenta l'ex ministro
del Tesoro
Vincenzo Visco - Se le statistiche si trattano così, va a finire
che tutto il mondo ci ride dietro e la credibilità del Paese crolla. Il
messaggio è chiaro: qui c'è qualcosa che non mi piace, aggiustate i dati».
Il fatto è che quei numeretti devono essere rilevati da organismi indipendenti,
per definizione non soggetti a pressioni politiche. E proprio a poche settimane
dalla pubblicazione delle cifre esatte sull'intero 2002 (l'Istat le pubblicherà
il 28 febbraio), ecco che dal capo di Palazzo Chigi arriva un'esternazione
pesante: cambiate il metodo. «Spero che sia solo un'uscita estemporanea
- continua Visco - In caso contrario si tratta di un fatto gravissimo».

Onorevole Visco, perché è così grave' ?

«La cosa è molto inquietante, perché sembra che Berlusconi segua una logica
per cui quando la realtà sembra dargli torto, lui cambia la realtà. È un
po' la stessa logica dei processi. Nel momento in cui c'è un processo si
cambia la legge e il processo scompare. Qui, nel momento in cui le statistiche
dicono che le cose vanno male, si cambiano le statistiche».

È allarmante per la democrazia' ?


«La neutralità di chi fa le statistiche è una delle garanzie degli stati
democratici. Sulle questioni statistiche in senso stretto esistono procedure
e modalità, sia per la raccolta dei dati, sia per la loro rilevazione, sia
per la loro revisione. Tutto quello che avviene al di fuori di queste procedure
- le quali non devono essere suggerite dal presidente del consiglio, ma
devono essere decise autonomamente da chi fa le statistiche per motivi scientifici
e non politici - c'è solo l'abuso».

Quindi anche la sola dichiarazione di per sé è un elemento grave ?

«Certo,perché se vi fossero revisioni da fare (che l'Istat, come tutti gli
altri istituti, fa periodicamente), emergerebbero successivamente. Mentre
qui sembra che si voglia intervenire per aggiustare i conti dell'anno appena
passato. Dal punto di vista tecnico, poi, c'è un dibattito, neanche particolarmente
animato, che riguarda i dati della produzione industriale».

È proprio quello il punto sollevato da Berlusconi.

«La questione riguarda il campione di rilevamento, che è abbastanza vecchio,
fatto all'inizio degli anni '90. Siccome la struttura produttiva del Paese
è cambiata può darsi che quel campione non sia più rappresentativo. Infatti
l'Istat lo sta cambiando. Però quali che siano gli aggiustamenti, questi
avrebbero impatti trascurabili sui tassi di crescita dato che la produzione
industriale vale un quarto del Pil, non di più. Quindi queste cose che dice
Berlusconi, che riprendono un articolo che ha scritto l'economista Francesco
Forte per Il Foglio sono quantomeno discutibili sul piano tecnico. Naturalmente,
dato che se cambiano i dati tutto migliora, la tentazione per una persona
di nessuna competenza specifica e di scarso senso istituzionale qual è Berlusconi
è automatica. Per questo penso che questo sia un fatto gravissimo, soprattutto
se la si accoppia al fatto che da troppo tempo oramai si sente parlare di
una normalizzazione dell'Istat».

Perché è così importante che le statistiche siano fatte dall'Istat ?

«È chi lo deve calcolare' Se lo fa il governo se lo costruisce come gli
sembra più conveniente. Non solo lo fa l'Istat, ma c'è una rete di istituti
di statistica internazionale tutti indipendenti dall'esecutivo, in quanto
sono organi tecnici, la cui credibilità si basa sul fatto che applicano
tecniche scientifiche standard. Il pericolo è che la statistica sia manipolata
se va a finire nelle mani di persone poco corrette. Manomettendo i numeri
può sparire l'inflazione, può sparire il disavanzo, può aumentare la crescita,
si può ridurre la disoccupazione, tutto in modo virtuale e non reale. La
questione è molto seria. I dati sono credibili per definizione solo se fatti
in modo scientificamente corretto e neutrale. Per questo anche i recenti
attacchi all'Istat sono discutibili».

Per la verità Marzano ha cercato di difenderlo l'Istat.

«Anche i sindacati e gli stessi consumatori non hanno attaccato l'Istat.
Hanno solo detto che devono essere migliorate e integrate certe rilevazioni,
che per esempio vanno fatte per fasce di reddito per quanto riguarda i prezzi.
Ma il punto non è questo. Questi sono miglioramenti delle informazioni statistiche
disponibili, mentre se si segue l'approccio alla Berlusconi il rischio vero
è che le statistiche non siano più attendibili. Mi auguro che sia una uscita
estemporanea, che abbia ripetuto qualcosa che gli hanno detto. Ma se questo
è un programma, un progetto, allora siamo al di là della repubblica delle
banane».

Berlusconi cita i dati sull'energia elettrica nell'industria e quello sull'occupazione
che cresce.

«Ripete esattamente quello che ha scritto Forte. Resta il fatto che la produzione
industriale pesa 'meno' di quanto scrive Forte. Quanto all'occupazione,
in realtà ha smesso di aumentare da quest'anno. Anche quando l'Ulivo era
al governo si pose questo problema. C'erano dati molto positivi su occupazione
e gettito fiscale rispetto agli andamenti del Pil. Ma questo è compatibile
perché nelle stime del Pil c'è già una buona dose di economia sommersa o
semi-sommersa. Quindi se qualcosa emerge, questo risulta nel dato sull'occupazione
ma non in quello del Pil che già contiene quella maggiore ricchezza».

L'INTERVISTA - DA IL CORRIERE DELLA SERA. 16 GENN. 2003

LA PARLAMENTARE - La Moroni: sarà un lavoro utilissimo c'è un uso politico
della giustizia

ROMA -
Chiara Moroni, figlia di Sergio, deputato socialista suicida negli
anni di Mani pulite, ha sempre pensato che Tangentopoli sia stata un'operazione
poco chiara, condotta con metodi da Inquisizione. Oggi milita nelle fila
di Forza Italia, è il più giovane deputato della Camera e non ha cambiato
idea: «La commissione è utilissima. L'accertamento su quegli anni non può
avere esclusivamente un taglio storico. La storia la devono fare gli storici,
il Parlamento è il luogo dell'oggi e del domani».
Lei condivide il testo base di Nitto Palma. E' d'accordo anche con la possibilità
di intervenire sulle inchieste in corso'

«Il testo base va benissimo per accertare se la magistratura ha agito in
modo parziale, in sponda con alcune parti politiche. Molti processi ancora
aperti sono gli stessi di dieci anni fa, potrebbero essere indispensabili
per un accertamento completo. In ogni caso questo lavoro è una garanzia
per il futuro dei cittadini, uno dei tasselli della riforma della giustizia
e va a garanzia dell'indipendenza della magistratura».

E' certa che sia lo strumento più idoneo' ?

«Credo sia l'unico. E dico alla sinistra e ai ds che inseguono la strada
del riformismo che il vero riformismo passa anche per il garantismo. Se
vogliono chiudere con il giustizialismo devono capire che la commissione
è per loro un'opportunità, proprio per uscire dagli anni del giustizialismo».


Cosa garantisce l'imparzialità della commissione?

«L'opposizione stessa. Quindi le modalità del lavoro: totalmente pubblico.
E non credo sia illusorio nutrire fiducia nei parlamentari. Ma se l'opposizione
si trincera nella difesa della magistratura allora non faremo mai passi
avanti. Non si capisce per quale motivo in questo Paese le azioni dei magistrati
non possono mai essere messe in dubbio, quasi fossero una casta di intoccabili».


Quale conclusione vorrebbe dalla Commissione?

«L'accertamento dell'uso politico della giustizia. Uno squarcio nel velo
di ipocrisia che ha coperto il sistema di finanziamento illecito, dal quale
non è emerso fino in fondo il ruolo del Pci, che come gli altri era coinvolto.
Poi, per quanto mi riguarda, nessuna commissione potrà mai guarire alcune
ferite».

DA - IL CORRIERE DELLA SERA - L'INTERVISTA - 16 GENN. 2003

L'EX PROCURATORE - D'Ambrosio: non vogliono colpire noi E' una intimidazione
per il futuro

MILANO - «Non siamo noi di Mani pulite che intendono colpire, ormai ce ne
siamo andati quasi tutti: prima Di Pietro ( dimessosi, ndr), poi Davigo
( in appello, ndr), quindi Borrelli e io ( in pensione, ndr), tra poco Ielo
e Ichino ( cambio d'ufficio, ndr), Colombo ha già fatto domande di trasferimento...
No, questa è una forma di intimidazione alla magistratura per il futuro,
diretta a scoraggiare qualsiasi iniziativa che possa coinvolgere il potere
politico. E' la prosecuzione della tendenza a una normalizzazione della
magistratura. Di cui, peraltro, forse si vedono già i primi segni».
Gerardo
D'Ambrosio
in novembre ha lasciato per raggiunti limiti d'età (subito dopo
alzati per legge da 72 a 75 anni) la guida della Procura di Milano, dove
prima aveva coordinato il pool Mani pulite.

Preoccupato?

«Figurarsi. Il testo-base formula quesiti talmente rozzi e sconcertanti
da lasciarmi indifferente. E' più l'amarezza nel vedere bistrattata la Costituzione».


La maggioranza vi accusa di aver fatto «uso politico» della giustizia..

«C'è già stata una miriade di inchieste penali e disciplinari (persino per
"attentato alla Costituzione"), e da tutte la magistratura è uscita a testa
non alta ma altissima. Sarà così anche stavolta. Hanno tentato con le denunce
e non ci sono riusciti, e adesso, dopo essersi fatti le leggi su misura,
riprovano con le inchieste parlamentari».

Nulla da rimproverarsi, ripete. Ma c'è qualcosa che correggerebbe?

«Forse, all'inizio, avremmo potuto fare più processi in tempi rapidi».

Centinaia di imputati patteggiarono.

«Poi, però, con il cambio della legge, le loro confessioni non sono più
state utilizzabili nei processi ai coimputati, e questo ha contribuito molto
a creare la falsa convinzione che da parte nostra vi fossero stati degli
abusi. Non l'abbiamo previsto, è vero: ma era tale la massa di lavoro, e
così alta era la paura che l'indagine fosse fermata dal potere... E poi,
soprattutto, come potevamo immaginare che ci avrebbero cambiato le regole
nel corso della partita'»

La sorprende che la commissione parlamentare d'inchiesta possa chiedere
atti in deroga al segreto istruttorio?

«Ma no, si vede che loro sanno bene che la corruzione continua...».


DA - IL MANIFESTO - L'INTERVISTA - 16 gennaio 2003

«Pace, la sola possibile»


Parla
Rosi Bindi: «Bisogna smettere di pensare che ai movimenti spetti predicare
la pace e alla politica amministrare la guerra. La pace è l'unico realismo
possibile anche per chi non è mosso da motivazione etiche»
COSIMO ROSSI


«Oggi credo che spetti al centrosinistra dimostrare che l'unico realismo
possibile è la pace». Perché per Rosi Bindi, «la pace conviene, così come
la solidarietà conviene». Al centrosinistra conviene perciò interrogarsi
sul significato e l'attualità dell'articolo 11 della Costituzione, sul quale
alcuni deputati hanno chiamato a discutere Pietro Ingrao e Oscar Luigi Scalfaro.
«L'incontro - spiega Bindi - è stato organizzato da alcuni di noi ricorrendo
al preziosissimo aiuto di due padri della patria appartenenti alle due culture
storiche che hanno scritto la Costituzione, che hanno contribuito da sponde
diverse a fare del nostro paese una grande democrazia». Ai due costituenti,
prosegue, «abbiamo chiesto di leggerci l'articolo 11 nell'attuale contesto,
che cosa vuol dire oggi, in contesto internazionale molto diverso da quando
fu scritta la Costituzione, che l'Italia ripudia la guerra come strumento
di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversi internazionali».

Sempre più spesso si sente mettere l'accento sulla seconda parte dell'articolo 11 (quella che acconsente alle «limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni...»). E non solo da destra, anche dal centrosinistra...

Ecco, noi invece vorremmo una lettura integrale dell'articolo 11. E abbiamo
organizzato questo incontro prevalentemente per noi parlamentari, che saremo
chiamati a prendere delle decisioni. Ma l'incontro sarà aperto anche a tutti
coloro che sono interessati, a quanti hanno lavorato in questo periodo per
la pace.

Voi parlerete di pace e Costituzione in Italia proprio nel momento in cui l'Europa sta scrivendo la propria carta. Non c'è qualcosa di allarmante e contraddittorio in questo sforzo di attualizzare il pacifismo di alcune costituzioni nazionali mentre l'Europa non riesce ad assumere una posizione univoca ?

La forza dell'Europa è nella sua stessa esistenza e nella sua tenacia: il
suo allargamento, l'approfondimento delle sue istituzioni. La sua debolezza
resta ancora tutta politica. Quindi è chiaro che la mancanza di una politica
estera comune rende l'Europa debole. Ma è altrettanto chiaro che si fa di
tutto in questo momento, soprattutto da parte delle destre, per frenare
il consolidarsi di una politica estera comune. Perché un'Europa più forte
e unita sarebbe - come in parte lo è già dal punto di vista economico -
un bel contrappeso rispetto agli Stati uniti: un contrappeso alleato, con
una sua forza che in qualche modo potrebbe anche preludere, rappresentare
davvero la base di un nuovo ordine internazionale. Ma proprio per queste
ragioni, non è il momento in cui verrà accelerata una posizione comune in
politica estera. Anche se una posizione è stata assunta dall'Europa, che
in complesso ha respinto l'idea della guerra preventiva. Salvo poi non riuscire
vincolare tutti a queste decisioni, in particolare gli inglesi.

Dal Palasport di Firenze si è chiesto tra le altre cose di inserire nella futura Costituzione europea un principio analogo a quello dell'articolo 11. Siamo ancora in tempo ?

Mi pare che sia una battaglia sacrosanta, e credo che gi spazi in politica
ci siano sempre. Per certi punti di vista, non ci dovrebbe neanche essere
il bisogno di farla, questa battaglia. E' un po' come la dignità della persona:
un'Europa che scrive la sua carta costituzionale e non recepisce quello
che è sicuramente un contenuto della maggioranza della carte di tutti i
paesi fondatori (basta pensare a Germania e Italia) sarebbe ben poca cosa.

In piccolo non vale forse anche per il centrosinistra italiano ?

Quando abbiamo fatto al prima assemblea dell'Ulivo ci siamo appunto interrogati
su quelle che erano le priorità. E io ne ho indicate due: la pace e le politiche
economiche e sociali. Un programma futuro dell'Ulivo non può ignorare questi
due aspetti. Ora si aggiungono le riforme. Ma credo che tutto ciò rappresenti
una grande opportunità anche per il rapporto tra politica e movimenti.

A questo proposito il pacifismo cattolico sembra sempre consentito, tollerato in nome della sua giustificazione etica. A sinistra, invece, sembra esserci sempre il bisogno ci contrapporre la «ragion politica». Non c'è un fondamento razionale, oltre che etico, al pacifismo ?

Ma insomma! Non è che ai movimenti spetti predicare la pace e ai politici
spetti di amministrare la guerra; per cui la pace è un tema prepolitico,
etico, morale. Oggi io credo che spetti al centrosinistra dimostrare che
l'unico realismo possibile è proprio la pace. Come del resto l'unico realismo
possibile è la solidarietà. Perché anche se uno non è mosso da una preoccupazione
etica, io credo che convenga la pace. C'è un senso utilitaristico di alcuni
valori sui quali vale la pena convincere il mondo. Vale anche per la divisione
nord-sud. Io credo valga la pena affrontare alla radice lo squilibrio e
la disuguaglianza tra nord e sud: ormai il 20 per cento del mondo ricco
avverte chiaramente che ne va della propria sicurezza. Il fenomeno del terrorismo
che cos'è se non questo'

Eppure gran parte delle sinistre di governo, non solo italiane, in questi anni hanno avuto difficoltà a sottrarsi alla legittimazione della guerra...

Credo che il nodo culturale fondamentale stia nel riuscire a capire tutti
insieme che o la politica fa un salto di qualità nei confronti delle tematiche
internazionali, oppure destina se stessa a non contare. Voglio dire: siamo
tutti per la pace, questa idea che i movimenti predicano la pace e la politica
costruisce la guerra non sta da nessuna parte. Diciamo che la differenza
culturale sta nel valutare se la pace sia ancora perseguibile attraverso
una sorta di continuismo con gli strumenti di politica internazionale che
sono stati adottati fino a oggi, o se invece abbiamo la capacità di collocarci
in un contesto che è profondamente cambiato e con pratiche nuove.

E non è la stessa differenza cultura e la stessa sfida che in questo momento crea tante tensioni nel centrosinistra ?

Devo dire, però, che questa sfida la vedo un po' più facile della prima.

Davvero ?

Sì. Alla fine ce la faremo. Ma sarà sempre nelle cose, nei contenuti che
troveremo una risposta.

DA - IL CORRIERE DELLA SERA - 17 GENN.2003

INTERVISTA A FASSINO.
Allora, segretario Fassino, è Firenze la capitale ...

ROMA - Allora, segretario Fassino, è Firenze la capitale della sinistra.
La sua Torino delle fabbriche ha abdicato' Il segretario dei Ds sorride
e sta al gioco. «Firenze fu capitale d'Italia dopo Torino, quindi non mi
sorprende. Ma il Paese è fatto di cento città. C'è bisogno di tutte». Concessa
la battuta, Piero Fassino comincia subito a macinare politica. Tira fuori
la proposta dell'assemblea nazionale del Grande Ulivo, apre alla minoranza
del partito e non nasconde la sua preoccupazione. «Questo referendum va
evitato. E' una iattura. Se passasse, anche un'azienda con un solo dipendente
dovrebbe applicare le stesse normative della Pirelli. E' una assurdità».

Quindi la Quercia voterà no '

«Prima di arrivar al voto c'è tempo. La cosa migliore è approvare un provvedimento
che estenda in maniera intelligente le tutele ai lavoratori delle aziende
minori. L'Ulivo ha presentato da tempo la proposta Amato-Treu-Damiano, la
Carta dei diritti dei lavoratori. Partiamo da lì».

Che pensa dello sciopero dell'industria indetto dalla sola Cgil '

«Condivido le preoccupazioni che stanno dietro la sua proclamazione, c'è
un Paese che rischia di diventare più piccolo. Al tempo stesso non si deve
dare per persa l'unità. E sono preoccupato che proprio in queste ore si
presentino per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici tre piattaforme.
Come si può chiudere un contratto in queste condizioni' Così per la Fiat,
con i sindacati divisi cosa si potrà ottenere'».

A proposito di Fiat, meglio Colaninno o Gnutti che si muove insieme al Monte
dei Paschi '

«I Ds non tifano per questo o quel piano. Le proposte si giudicano sulla
base della loro credibilità e della capacità di assicurare il futuro dell'azienda».


Parliamo dei movimenti. Come pensa di ricucire la spaccatura con i partiti '


«A Firenze si è detto "non vogliamo dividere". Bene, facciamo tutti un passo
avanti, uniamo le varie anime dell'opposizione. Serve un atto di fondazione
del Grande Ulivo, un'assemblea nazionale alla quale partecipino gli uni
accanto agli altri gli eletti, i rappresentanti dei partiti e quelli dei
movimenti. Utilizziamo questa sede per decidere assieme come darci un programma,
definire le modalità delle primarie e le linee guida del confronto con Rifondazione.
Si può fare entro la primavera, prima della campagna per le amministrative».


Spera di convogliare i girotondi nelle urne '

«Il governo è in affanno e il presidente del Consiglio usa ogni occasione
per produrre ottimismo artificiale. Ma che il bilancio di 18 mesi di governo
del centrodestra sia negativo lo dicono in tanti. Il governatore Fazio ha
parlato di "declino". Il presidente Ciampi ha lamentato "il calo di competitività
delle nostre imprese" e De Rita ha detto che il Paese "ha le pile scariche"».


Ma è possibile che superiate le divergenze in un colpo solo '

«In varie città si sono realizzate esperienze di coordinamento tra partiti
e movimenti. A Bologna, La Spezia, Venezia, Arezzo. Si può. A condizione
però che, partiti e movimenti si riconoscano reciprocamente e che una parte
dell'Ulivo non pensi di usare i movimenti contro l'altra».

L'immagine dei Ds che si ha è quella di un partito anch'esso con le pile scariche. E spaccato.

«Prima di Pesaro il partito era quotato al 13% dei consensi, oggi siamo
al 20%. Siamo tornati a credere in noi. Il tesseramento è ai livelli del
2000, di poco sotto la cifra raggiunta nel 2001. Ma si trattava di un anno
congressuale e in molti si sono iscritti per partecipare e votare. E comunque
con 550 mila iscritti siamo il primo partito d'Italia e il secondo in Europa,
dopo la Spd. Per inciso le ricordo che sono stato eletto con 150 mila voti,
una legittimazione che nessun altro segretario di partito in Italia può
vantare. Comunque sono il primo ad essere preoccupato del clima interno.
Ha ragione Bassolino, maggioranza e minoranza non possono vivere come separati
in casa».

E' vero che ha chiesto un aiuto a Walter Veltroni '

«Il compito di un segretario è lavorare per l'unità. Ho chiesto a Walter
di sostenere il mio sforzo così come ha fatto Bassolino. Un contributo all'unità
che venisse da lui sarebbe importante per il credito di cui gode nella società
come nella minoranza del partito».

Sta offrendo alla minoranza di entrare in segreteria'

«Di realizzare una gestione unitaria. In federazioni come Milano, Roma,
Emilia, Toscana e Lazio già è così. La maggioranza non si è sciolta, la
minoranza neanche, ma senza mettere in discussione la linea riformista del
congresso di Pesaro si lavora assieme. Le forme discutiamole. Sono disponibile.
Non intendo la gestione unitaria come un patto di potere né è il grimaldello
per sciogliere Aprile, voglio creare una vera novità».

E Cofferati'

«L'ho sempre detto. E' una risorsa dell'Italia. Il contributo che ha dato
e può dare è rilevantissimo. Ha saputo interpretare una domanda di partecipazione
che i partiti non avevano raccolto. Questa risorsa va giocata per un obiettivo
comune. A Sergio non chiedo di fare un passo indietro, ma uno in avanti.
Sia partecipe con le altre personalità dell'Ulivo della creazione di un'alternativa
a Berlusconi. Nelle forme in cui ritiene giusto. L'unica cosa che mi attendo
è che non si faccia usare da chi vuole dividere il centrosinistra».

Chi sono' E come è andata la storia dell'ingresso di Cofferati nell'ufficio di programma'

«Settori minoritari teorizzano la contrapposizione tra movimenti e partiti.
Cofferati ha detto di non voler dividere, ma si sono sentite anche altre
voci. Quanto all'ufficio di programma non l'ho mai concepito come una nomenklatura
politica, i segretari di partito più tre-quattro fiori all'occhiello. No,
penso a un organismo in cui fa incontrare saperi e competenze per scrivere
assieme alla politica il programma del Grande Ulivo».

Al mattino quando legge l' Unità e il manifesto tiene il Maalox a portata di mano'

«L' Unità non è più l'organo ufficiale dei Ds, è un quotidiano che ha nella
Quercia il suo azionista politico di riferimento. Un giornale deve riflettere
la ricchezza del dibattito politico. L' Unità lo fa e non lo vivo come un
problema. Il manifesto ha nei miei confronti un'ostilità acrimoniosa. E'
una variante moderna di una vecchia malattia della sinistra, quello stalinismo
per il quale si cerca sempre un "traditore" nel proprio campo. Ma non fa
bene al manifesto, alla sua storia e alla sua credibilità».

Dalle recenti affermazioni di Rutelli sul conflitto di interesse si ha l'impressione che avreste dovuto spingere per calendarizzare i lavori parlamentari all'inverso. Prima la legge Frattini e poi le riforme istituzionali.

«E' un falso problema. Conflitto di interesse e legge per il pluralismo
dell'informazione sono provvedimenti ordinari mentre le riforme costituzionali
hanno bisogno della doppia lettura. E quindi in ogni caso la loro approvazione
sarebbe successiva. Detto questo, per me c'è una contestualità politica
tra i due capitoli. Che riforme si possono concordare se non vengono garantiti
trasparenza e pluralismo'».

Il ministro Frattini ha detto che la sua legge è blindata.

«Per definizione non c'è provvedimento blindato, il Parlamento è sovrano.
Presenteremo emendamenti per migliorare il testo, ma se troveremo un muro
sarà arduo costruire intese su altre materie. Chiediamo una legge sull'informazione
coerente con il messaggio alle Camere dal presidente Ciampi».

Lei sa, comunque, che il suo elettorato è più propenso a deplorare la politica-spettacolo
che a discettare di premierato'

«In realtà certa sinistra continua a subire il fascino della personalizzazione
della politica. Sostenere, ad esempio, che a Firenze c'è stata l'investitura
di un leader con "un bagno di folla" rende più difficile contrastare il
presidenzialismo alla Berlusconi. Invece io penso che dobbiamo rigettare
i modelli plebiscitari, non abbiamo bisogno di "un uomo solo al comando",
ma di una squadra competente, larga e unita».