«Macché scissione, io credo nei partiti ma il Pci di una volta parlava alla società»

Cofferati: «Per un voto che si guadagna al centro se ne perdono due a sinistra» «No al premierato, sono contrario a ridurre a poche persone la gestione del potere»

Di Vico Dario

ROMA - Prima la chiamavano Signor No, adesso è il capo dei «peggioristi», che effetto le fa? Il presidente della Fondazione Di Vittorio, Sergio Cofferati, sorride e poi cede alla tentazione della battuta velenosa: «Un po' di anni fa mi davano del "migliorista". Adesso hanno rovesciato l' accusa. Se non sbaglio sono gli stessi. Quando non hanno argomenti ricorrono alla caricatura o agitano lo spettro della scissione. Nel peggior stile antico. Ma ai partiti io ci credo, basta che non siano autoref erenziali come quelli di oggi». L' Ulivo oggi presenta le sue proposte in materia di riforme istituzionali e Cofferati si appresta a girare l' Italia. Nel giro di soli quindici giorni parlerà a Bergamo, Novara, Firenze, Varese, Massa Marittima, Torin o, Sesto S. Giovanni e un paio di volte a Milano. Lo chiama «il mio piccolo contributo a un' idea diversa di fare politica».

Cosa dirà nelle assemblee? Che con Berlusconi non si tratta?

 «Dirò che per discutere di riforme dobbiamo partire dallo stato di salute della nostra democrazia. Parlerò dei partiti, dei movimenti e del peso abnorme che hanno assunto i media. E in questo condivido quanto ha detto Giuliano Amato al vostro giornale: il centrosinistra non può limitarsi all' ingegneria costituzi onale. La partecipazione è insita nel nostro sistema di valori».

E qual è lo stato di salute della nostra democrazia?

«C' è una tendenza che mi preoccupa: i sistemi bipolari, il nostro come gli altri, sono afflitti da alti tassi di astensionismo al v oto. Non credo si tratti di una tendenza inarrestabile e comunque mi batto perché non lo sia. Ma se si scoraggia la partecipazione si lascia il campo libero ai partiti della televisione. La sinistra non può».

 L' Ulivo presenterà una proposta di riforma per dimostrarsi affidabile anche agli occhi dell' elettorato di centro.

 «In un sistema bipolare ci sono due esigenze: contendere il consenso degli elettori di centro ma anche assicurarsi il gradimento dell' altro estremo. Se non lo si fa, per un v oto che si guadagna al centro se ne perdono due a sinistra. I potenziali astensionisti vanno dunque rappresentati e coinvolti. Dicono "ma l' astensionismo colpisce sia l' uno sia l' altro Polo", ma io mi preoccupo dei miei. Con la partecipazione il b ipolarismo si rafforza».

Che legame c' è tra il tasso di astensionismo e la sua critica ai partiti autoreferenziali?

 «Un tempo la vita interna ai partiti era già di per sé un' occasione democratica vera, oltre che di selezione della classe dirigente. Oggi i partiti sono oggettivamente leggeri e quel valore aggiunto di democrazia che hanno perso va recuperato in altro modo».

Perciò lei sta costruendo una Rete?

 «Forse non è il termine più efficace, sono solo interessato a dare consistenza a rappor ti paritari tra soggetti diversi. I partiti continueranno ad avere un ruolo importante se saranno in grado di costruire rapporti e relazioni con ciò che sta all' esterno di loro. I movimenti hanno una rappresentanza specifica e limitata, il partito h a ancora una funzione di rappresentanza generale. Ma attenti, la parzialità dei movimenti è una ricchezza, non un limite».

Ma pensa davvero che sia possibile tenere insieme un fronte che va dall' Udeur ai no global?

 «Secondo me sì. Ci sono tematiche trasversali che interessano e tengono insieme mondi diversi. Gliene cito due: la pace e i diritti, non solo quelli del lavoro».

Nelle sue parole si può cogliere una sorta di rimpianto per i partiti di massa.

«Il Pci di una volta ma anche la Dc o il PSI si interloquivano con i diversi soggetti della società. Bisogna ricostruire nelle nuove condizioni sedi, modalità, regole che diano ai partiti di oggi lo stesso respiro. Va da sé che si tratta di un processo sperimentale, che va seguito con pazienza e operando le correzioni che via via si renderanno necessarie. Ma questa è la novità che l' opposizione deve far sua. Non inseguire i modelli altrui».

Che però si sono dimostrati modelli vincenti.

«E' vero che nel centrodestra ha preso corpo un' idea nuova di partito, con sue dimensioni di massa costruite grazie a ingenti risorse e all' accesso illimitato ai media. Ma questo modello porta al plebiscitarismo. Perciò il centrosinistra deve evitare accuratamente di copiare i partiti televisivi e ri scoprire il rapporto diretto con i cittadini e la massima articolazione del sistema di relazioni con gli elettori».

Per Amato gli unici che sono stati in grado di rubare la scena a Berlusconi siete stati voi della Cgil.

 «I grandi eventi sono funziona li ma non sono alternativi a una politica capillare. E nessun grande evento è possibile senza grandi ragioni».

Per il futuro pensa a partiti-rete?

«No, gli interlocutori esterni non si possono incasellare a priori, non sono mai tuoi. Sceglieranno lib eramente e non esiste un movimento che abbia una sola univoca identità politica, negli ultimi decenni non è mai stato così. E' stato così anche per il ' 68».

 I cattolici dopo la fine della loro rappresentanza politica, la Dc, hanno saputo più della s inistra continuare a lavorare dentro le pieghe della società. Nessuno li ha cancellati dalle fondazioni bancarie, dalle Onlus, e così via.

«Trovo elementi sicuramente positivi nella continuità della loro presenza e nella capacità che hanno mostrato di distinguere tra appartenenza politica e identità religiosa. Rappresentano una risposta alla democrazia mediatica e a possibili approdi plebiscitari».

Ma la presenza di partiti legati alla società e di corpi intermedi vitali perché, secondo lei, è in contrasto con il rafforzamento dei poteri del premier?

«Personalmente sono contrario a tutti i modelli che semplificano, riducendo a poche sedi i luoghi della decisione e a poche persone la gestione del potere. Che sia opportuno un sistema istituzi onale stabile è fuor di dubbio, ma chi oggi dice riforme istituzionali pensa in realtà a modifiche del sistema elettorale e a cambiamenti nei pesi tra Quirinale e palazzo Chigi. E' tutto ciò avviene mentre c' è un attacco immotivato proprio ai corpi intermedi. Penso alla magistratura, al sindacato e anche al sistema dell' informazione».

Il presidente Ciampi però è molto preoccupato della litigiosità della politica e spinge per forme di raccordo tra gli schieramenti.

«La sua è una preoccupazione giusta e condivisibile. Ma è evidente di chi sia la responsabilità di questo stato di cose. Siamo nel 2003, non nell' anno zero. Abbiamo avuto la Bicamerale, la Cirami e la devolution di Bossi. Questo mi fa dire che non esistono le condizioni per un utile rapporto con Berlusconi. Nella scorsa legislatura loro erano arrivati a minacciare l' Aventino e oggi fanno lezione di galateo istituzionale!»

E' singolare ma sia lei sia il presidente della Confindustria D' Amato avete detto che il tema delle riforme istituzionali non è una priorità. Prima va posta mano all' economia.

«E' un segno dei tempi - ride di gusto -. Credo di avere opinioni profondamente diverse da lui ma con la sua presa di posizione riconosce implicitamente il fallimento del governo, che pure aveva appoggiato in maniera inusitata. La priorità indicata dalla Confindustria è condivisibile ma ha delle responsabilità. Invece di spingere il governo a regolare i conti con il sindacato avrebbe dovuto incalzarlo su innovazi one e ricerca. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti».

 E Colaninno può essere il cavaliere che salva la Fiat?

 «Le risorse di cui si parla sono del tutto insufficienti per garantire un futuro all' azienda e non c' è ancora traccia di un piano industriale di rilancio. Per questo trovo singolare gran parte della discussione di questi giorni».