Serbia :
Approvata la nuova Costituzione per la difesa dell’integrità e sovranità nazionali.

Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia e dei Nuovi Partigiani della Pace

Sotto la spinta delle forze patriottiche e socialiste, una importante e strategica tappa per la difesa dell’integrità e della sovranità nazionali è stata compiuta in Serbia.

Il 30 ottobre scorso sono stati ufficializzati i dati relativi al Referendum per l’approvazione della nuova Carta Costituzionale della Serbia, che sancisce l’intangibilità delle frontiere e del territorio della Serbia, definendo così il Kosovo Metohija come parte integrante e inalienabile…e questo varrà anche per i futuri scenari e focolai di tensione e secessione, rappresentati dal Sangiaccato e dalla Vojvodina, dove attraverso finanziamenti e sostegni vari dei circoli internazionali occidentali ( tra cui l’ICG, Fondazione Soros e vari altri), forze separatiste lavorano mediante pressioni, violenze e provocazioni al distacco di queste regioni dalla Serbia.

Il 52,3 % di coloro che sono andati a votare, quindi il 96 % del 54,1% dei votanti, si è schierata per l’approvazione del Referendum. La preoccupazione maggiore era quella di raggiungere il quorum minimo per la validità, in quanto i partiti filo occidentali e finanziati dall’occidente, hanno lavorato per il fallimento del Referendum, vista la situazione di disillusione e disperazione in cui vive la stragrande maggioranza della popolazione, non avendo avuto il coraggio di una campagna politica contraria ( tranne i soliti Quisling locali), che sarebbe risultata inaccettabile e che avrebbe cozzato contro la dispiegata coscienza popolare di massa, che ritiene il Kosovo parte irrinunciabile della Serbia, per motivi storici, identitari, culturali e politici come forma di non accettazione e sottomissione totale ai diktat imperialisti della Nato e della cosiddetta “ comunità internazionale”; che già hanno devastato e portato alla miseria ed alla disperazione il popolo serbo, da tutti i punti di vista.

 E’ chiara per tutti la valenza strategica ed il significato del Referendum: ricompattare una coscienza e volontà popolare di massa, fortemente identitarie, che sia in grado nei prossimi mesi di impedire od ostacolare l’ormai dispiegato e quasi raggiunto obiettivo dell’indipendenza e separazione del Kosovo dalla Serbia. Una clausola specifica della nuova Costituzione impegna e fa fare un giuramento costituzionale ad ogni Presidente dello stato serbo affinché: “…impegna tutte le sue forze per mantenere l’integrità e la sovranità del territorio della Serbia compreso il Kosovo Metohija come sua parte integrante…”.

Le stesse dichiarazioni del Primo Ministro serbo V. Kostunica non lasciano dubbi al proposito: “ …Nessuno potrà imporci soluzioni definitive sul futuro del Kosovo…” ( 10 ottobre, nell’incontro a Belgrado con il mediatore ONU M. Athisaari ); “… Nessun governo serbo, neanche in futuro accetterà mai la provincia a maggioranza albanese del Kosovo come Stato indipendente…” ( ANSA Belgrado, 1 novembre); “…Una cosa deve essere chiara: se il piano del dott. Athisaari non sarà conforme alla Carta delle Nazioni Unite, violando il principio dell’integrità territoriale, esso sarà votato al fallimento…” ( Tanjug, 1 novembre).

Tutto questo mentre nelle provincia kosovara è un crescendo quotidiano di violenze, omicidi, assalti alle comunità serbe e non albanesi rimaste ( vedere nell’articolo su www.resistenze.org , Nuove Resistenti del 20 giugno 2006, il mio reportage dal Kosovo: “Cronache di ordinaria violenza”).

Oggi nel Kosmet restano circa 110.000 serbi e poche migliaia di Rom insieme a loro, circa 60.000 sono concentrati nella parte nord della cittadina di Kosovska Mitrovica, divisa dalla parte sud abitata dagli albanesi, dal ponte sul fiume Ibar, presidiato dal contingente francese della KFOR.

Le altre comunità vivono in enclavi completamente circondati e assediati, sotto la protezione delle truppe KFOR, solitamente non particolarmente solerti nel prevenire o impedire le violenze contro la comunità serba o i Rom¸i quali poco a poco stanno abbandonando la loro terra e le proprie case in un lento e silenzioso esodo verso il nord e i campi profughi in Serbia.

La Risoluzione 1244 dell’ONU è stata ormai disattesa ed il punto dove prevedeva il ritorno di limitati contingenti dell’esercito e della polizia serbi a protezione delle comunità serbe e multietniche, è ormai ritenuto impraticabile dallo stesso ONU.

Ma il cammino verso l’indipendenza è stato anche un processo silenzioso e strisciante, per esempio attraverso lo sgretolamento della sovranità di Belgrado sulla provincia, mediante l’impiantarsi di fatto di una amministrazione, che doveva essere provvisoria, dell’ONU, ma che in realtà ha consegnato all’espressione politica del vecchio UCK terrorista, il potere amministrativo, giuridico e strutturale. Un solo esempio lo dimostra: la Serbia ha già un confine con il Kosovo, essendo divisa da una frontiera con due posti frontiera, con tanto di tasse doganali, controlli e richieste per l’ingresso…come è regola tra due stati diversi!

Nei prossimi mesi sta per comparire sulla scena europea in modo ufficiale, il primo narcostato in Europa ( come da dichiarazioni e denunce della stessa DEA l’Agenzia Antidroga Americana); un corridoio e centro di smistamento della droga proveniente dall’Afghanistan, attraverso l’Asia Centrale e la Turchia, raggiunge i laboratori di raffinazione dislocati nel Kosovo,per poi approdare ai “mercati occidentali”; in un connubio più volte denunciato da molti investigatori internazionali.

Così come per il traffico di donne e di organi, oltre al traffico di armi; nella sola Pristina si calcola l’esistenza di 120 bordelli e altri 290 nella provincia. Tutto questo in una perfetta simbiosi e intesa delle varie mafie, da quella italiana a quella kosovara, da quella turca a quella cecena e così via.

Con un tasso di disoccupazione che raggiunge il 45% , la stessa economia locale è considerata un economia drogata, cioè alimentata e sostenuta da attività e imprese criminali.

Un altro aspetto del processo sotterraneo di indipendenza è stato in questi anni l’espropriazione e privatizzazione illegali e brutali di proprietà, aziende, terre, centrali e impianti statali oltrechè dei cittadini serbi e non albanesi.

Questa la situazione reale e concreta, ma secondo l’ONU invece, i famosi “ Standards democratici per il Kosovo”, stabiliti dall’UNMIK nel dicembre 2003, come basi minime per poter definire lo Status definivo della regione ed un ritorno alla normalità, sarebbero stati praticamente raggiunti. Cioè: l’attuale Kosovo sarebbe una società multietnica, con basi democratiche di tolleranza, libertà generali e di giustizia, uguali per tutti, indipendentemente dall’appartenenza etnica, religiosa o politica.

A ciascuno in coscienza valutare se oggi, in Kosovo esiste anche una sola di queste condizioni.

In ogni caso il Gruppo di Contatto formato da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania e Russia ( unica sensibile alle ragioni e interessi serbi), a settembre 2006 ha dato mandato al mediatore ONU Athisaari, di dare avvio alla soluzione finale per lo Status del Kosovo, possibilmente entro il 2006 come richiesto dagli USA; mentre la sola Russia chiede che i negoziati continuino anche nel 2007.

Ecco perché la nuova Costituzione serba assume un ruolo ed un importanza fondamentali, in quanto vincolerà anche il futuro governo ( in Serbia dovrebbero esserci le elezioni politiche entro dicembre 2006), a tenere una posizione ferma e risoluta anche in relazione alle probabili conseguenze di una dichiarazione d’indipendenza, sia in Serbia che nei Balcani, ma anche nelle aree ex sovietiche.

Per la parte serba, come reazione, si ventila una eventuale divisione della parte nord del Kosovo, dal fiume Ibar (Kosovska Mitrovica) fino alla Serbia, in quanto la comunità serba ancora presente ha già dichiarato pubblicamente che non accetterà, sul campo, una secessione albanese del Kosovo Metohija. Questo per gli osservatori internazionali e i generali della KFOR significherà nuove violenze e conflittualità; da segnalare che già ora in Serbia, da alcune parti e forze politiche, si ventila la necessità della costituzione di forze paramilitari che vadano a difendere le comunità serbe assediate; e lo stesso leader del Partito Radicale ( che dai sondaggi ufficiali viene dato oggi, da solo al 43% dei voti) T. Nikolic, ha chiesto al Parlamento la messa in stato di all’erta di tutto l’esercito serbo e la richiesta che venga già dislocato ai confini con il Kosovo; ritenendo la situazione in prospettiva di vitale importanza per l’interesse nazionale e la sovranità nazionale della Serbia.

Ma ripercussioni si avranno anche nel Sangiaccato, dove c’è una forte presenza della minoranza albanese e musulmana, ed in Vojvodina dove sono presenti forze secessioniste che chiedono l’annessione all’Ungheria; sarà scontato aspettarsi “giri di vite” sui diritti dal governo centrale di Belgrado. Ma anche nella repubblica Serba di Bosnia, in caso di indipendenza del Kosovo, si richiederebbe con forza il distacco della regione dalla Federazione Croata Musulmana e l’annessione alla Serbia. Lo stesso governo in esilio della ex Repubblica Serba di Krajina, regione croata al confine con la Bosnia, dove vivevano, prima dell’esodo del ’95, in conseguenza della pulizia etnica delle forze croate di Tudjman, oltre 600.000 serbi, chiede il diritto al ritorno ed il ricongiungimento con la Bosnia Serba. Per non parlare delle probabili conseguenze e ricadute in Macedonia, dove da anni l’esercito secessionista albanese (l’ANA) tenta di ottenere l’annessione al Kosovo albanese; e nel Montenegro dove il 40% della popolazione è serba e dove ci sono stati decine di arresti negli ultimi mesi di membri di un gruppo affiliato all’UCK denominato “ Movimento per l’attuazione dei diritti degli albanesi in Montenegro”, che si propone mediante campagne terroristiche l’unificazione della parte sud del Montenegro al Kosovo; così come problemi si avranno nella stessa parte nord della Grecia, dove da alcuni anni la minoranza albanese spinge per un annessione all’Albania. Ma ripercussioni si avranno nell’area caucasica, in quanto la Russia ha già dichiarato che un eventuale indipendenza del Kosovo, sarebbe la legittimazione delle secessioni in Ossezia del sud, in Abkhazia o in Transnistria e così via.

L’indipendenza del Kosovo sarebbe come un tassello di un domino che darebbe il via in Europa a nuove tensioni, violenze, odi etnici e focolai di guerra. Anche per questo, come chiede Belgrado, sul problema Kosovo si devono trovare soluzioni negoziate e paritarie; qualsiasi atto di forzature unilaterali, riaprirebbe spirali di conflittualità e lacerazioni a macchia d’olio; che è il probabile obiettivo della politica USA sullo scenario continentale, per impedire una convergenza di interessi comuni tra l’Europa occidentale e la Russia e gli altri paesi dell’area orientale.

Il ruolo che le forze di sinistra e antimperialiste dovrebbero avere nel nostro paese, dovrebbe essere quello di seguire con attenzione gli sviluppi e la situazione nei Balcani, per non ripetere da un lato gli errori del ’99, e assumersi la responsabilità di ricostruire una posizione forte e chiara, di lavoro e proposte di lotta contro la guerra e per politiche di pace, espressioni concrete degli interessi dei lavoratori e ceti popolari da un lato, e di interessi nazionali di indipendenza e non sottomissione alle strategie imperialistiche non solo statunitensi, ma anche della stessa Unione Europea. Questo significherebbe rilanciare e ricostruire un forte e radicato movimento di lotta per la pace, oggi appiattito spesso su posizioni genericamente etiche o condizionato alle fasi politiche di “governi nemici” o “governi amici”; per cui con Berlusconi si è contro la guerra “senza se e senza ma”, con il centro sinistra ci possono essere “guerre buone” e altre “meno buone” ( esempio l’Afghanistan, o la stessa aggressione alla Jugoslavia che fu definita anche a sinistra, escluso il PRC, come “necessaria”).

Occorre dotarsi di una lettura ed una posizione strategiche sulle politiche imperialiste, ed una lettura ed una posizione sulle tattiche che tengano conto delle caratteristiche nuove della nostra epoca e delle resistenze antimperialiste oggi nel mondo.

Per fare questo è necessario scrollarsi di dosso una subalternità ideologica che condiziona continuamente con letture “compatibili” e “accettabili”; questo non permette spesso di assumere posizioni coraggiose, avanzate verso le “nuove” resistenze che nel mondo si affacciano potentemente ( spesso anche al di là delle posizioni di alcuni partiti comunisti, occorre dircelo…), che raccolgono il sostegno e l’adesione di milioni di oppressi e di masse di diseredati. Una realtà che non si può eludere con posizioni ideologicamente pure ma staccate dalle dinamiche concrete dei popoli, ma va analizzata, compresa e vanno poi assunte tattiche di interrelazione e unità sui contenuti e obiettivi di breve e medio termine.

Assumere una posizione chiara e di fondo contro la strategia guidata dagli USA che è quella di alimentare, fomentare in ogni area ostile o di ostacolo alle loro mire egemoniche, conflitti e scontri inter-etnici, in modo da avere una giustificazione accettabile per “intervenire militarmente o umanitariamente”. Facendo così accettare di fatto all’opinione pubblica internazionale ( soprattutto in occidente…), un ruolo da nessuno assegnatogli di “gendarme del mondo”; ma soprattutto smembrando e mettendo in ginocchio paesi e popoli “renitenti”al nuovo ordine mondiale.

Questa posizione può anche essere funzionale ad un ruolo di orientamento strategico e di lotta concreta contro sciovinismi e oppressioni nazionali, quindi profondamente antimperialista. Solo questo può favorire la parola d’ordine strategica e fondamentale delle soluzioni pacifiche e negoziali dei conflitti, dell’uguaglianza e paritarietà dei rapporti tra i popoli e gli stati; del rispetto delle sovranità e integrità nazionali e della non ingerenza negli affari interni di paesi sovrani.

Che sono poi alcuni dei punti fondanti la Dichiarazione della Conferenza di Helsinki del luglio 1973…quindi nulla di ideologicamente estremista o particolarmente radicale!

A partire da queste basi minime occorre sostenere quei pochi rappresentanti istituzionali che non si sono fatti confondere o assimilare dal “cretinismo parlamentare” di storica memoria; unendoli e saldandoli a quelle realtà organizzate del movimento di lotta per la pace e contro la guerra, che si riconoscono in questa lettura di fondo; alle realtà del mondo del lavoro non appiattite su logiche “concertative”; a quelle personalità del pacifismo “militante” laico e non politicizzato ( che spesso danno lezioni di coraggio morale e politico a molti esponenti della cosiddetta sinistra istituzionale).

Solo così si potrà ricominciare a tessere una coerente e forte posizione per la pace e la solidarietà tra i popoli, che getti le basi per una ripresa di un vasto e incisivo movimento per la pace, capace di influenzare e determinare elementi di orientamento delle politiche estere dei nostri governi...“amici” o no.

Dal Kosovo all’Afghanistan, dall’Iraq alla Palestina, dal Libano alla Colombia, dai kurdi ai popoli africani, purtroppo di scenari drammatici e tragici per i popoli, ce ne sono in abbondanza, occorre non perdere tempo e serrare le fila su contenuti e obiettivi, tralasciando personalismi, logiche settarie o purezze ideologiche teoriche.

Come scrisse un filosofo francese nel 1999 per esprimere la sua avversità all’aggressione alla Jugoslavia:

 “….Vincerete ma non convincerete. Anche se vi rimane il potere di chiamare bianco ciò che è nero e nero ciò che è bianco. Il potere di trasformare…un ricercatore della verità in un impostore; un viandante in un imboscato…e chi dubita di verità troppo semplici in un credulone. Bella impresa non c’è che dire. Effimera ma voi andrete fino in fondo, ormai avete preso gusto alla velocità. Ma ricordatevi bene: …anche se li assassinerete sul piano fisico e morale, l’anima degli uomini che rifiutano di sottomettersi è immortale….”.

8 novembre 2006