La corruzione sistemica e la falsificazione della realtà.

di wanda piccinonno

Se non vogliamo nascondere la testa sotto la sabbia dobbiamo riconoscere che ,oggi , una critica della verità richiede griglie interpretative assai complesse . Difatti , la menzogna organica dello spettacolo , i poteri mascherati della mondializzazione , la società di controllo , il deterioramento della res pubblica , un surplus di alienazione , la manipolazione mediatica , il vacuo cicalare della politica ufficiale , rendono sempre più problematico un distinguo tra vero e falso , tra moralismo strumentale e corruzione strutturale .

Se è vero , però , che la corruzione sistemica è onnipervasiva , è parimenti vero che la fecondità dei paradossi italiani presenta caratteri peculiari , anche perché la corruzione strutturale del Belpaese viene da lontano .

Ma dal momento che i sepolcri imbiancati della sinistra istituzionale e gli intellettuali angelicati non condividono questo assunto , penso che sia necessario un esame retrospettivo per mettere in luce la sostanziale continuità dell’anomalia italiana . Ciò premesso , vorrei ricostruire , sia pure sommariamente , i momenti fondanti della nostra repubblica , per evidenziare che essi hanno contribuito a tracciare un iter pregno di ambiguità e di misteri irrisolti . Donde la necessità di fare esplicito riferimento al colpo di spugna sui crimini fascisti , ai compromessi storici che vanno da Togliatti a Berlinguer , al mancato processo di "de-fascistizzazione ". Il che rimanda al secondo dopoguerra , al primo governo Bonomi , all’amnistia di Togliatti . Quest’ultimo , tipico esempio di stalinismo italico ,nella sua funzione di Guardasigilli e di ministro della giustizia , non solo garantisce l’impunità ai delitti fascisti, ma applica anche procedimenti ereditati dall’apparato repressivo del fascismo . Ciò è suffragato dal Decreto del Luogotenente n –234 , che prevede non meno di 70 anni e l’ergastolo o la morte per reati contro le persone , la libertà e il patrimonio .

La gestazione della nuova repubblica , dunque , deve fare i conti con i "restauratori della legalità fascista " e con una serie di compromessi , che poi hanno ostacolato l’applicazione dei dettami costituzionali .

Di più : la graduale scomparsa del significato salvifico dell’antifascismo ha determinato la persistenza di una corruzione strutturale che investe tutta la società . A ragion veduta Pasolini non solo avvertì l’allontanarsi di ogni diversità antropologica dell’antifascista rispetto al fascista , ma denunciò anche il fascismo della vita pubblica italiana .

A questo punto , senza insistere sulle stragi di Stato , sulla ferocia repressiva delle leggi di emergenza e via dicendo , vorrei fermare l’attenzione sulle presunte rivoluzioni morali e politiche del nostro paese . E ciò soprattutto perché si stanno riproponendo le tematiche relative al garantismo , alla funzione della norma giuridica , alla libertà di stampa , al potere regolativo dei giudici . Per quanto concerne quest’ultimo aspetto è bene rilevare che il potere repressivo e suppletivo dei giudici è stato determinante in alcune fasi storiche . Mi riferisco agli anni 70 e 90 . Rivisitando gli anni 70 si evince che la debolezza della rappresentanza politica affida ai giudici il compito di eliminare tutte le istanze antagoniste. Ciò è da attribuire anche al compromesso storico e alle vergognose commistioni tra Pci e poteri costituiti . Basti pensare che nel 77 il Pci si dichiara favorevole ad un massimo restringimento delle libertà e delle garanzie costituzionali . E non è tutto . Questa barbarie repressiva viene giustificata con una bella formula lapidaria : le masse si fanno stato . Dunque consenso . Da qui una fuorviante costruzione di teoremi e di accuse farneticanti che stigmatizzano , senza se e senza ma , " cattivi maestri", "mostri sovversivi ", "gruppi pericolosi ": in breve , tutte le forze che rappresentano l’Anti-stato .

Ma l’esercizio suppletivo dei giudici non si ferma qui , infatti si ripropone con la presunta rivoluzione morale degli anni 90 . Conviene ricordare che con Tangentopoli si scopre un sistema di finanziamento illecito dei partiti , attraverso una rete di collusioni tra politica, finanza , imprenditoria . Dilagano così le imputazioni di corruzione e di richieste d’autorizzazione a procedere , che non risparmiano vittime , ingiustamente accusate ed esposte al pubblico ludibrio . Ovviamente , come da copione , anche in questo caso non mancano gli eroi nazionali , tant’è che i "procuratori d’assalto " di Milano vengono percepiti dall’immaginario collettivo come esemplari castigatori di corrotti e come "minoranza virtuosa". Di più , i pidiessini , dopo la sconfitta del socialismo reale , tengono a marcare la continuità antropologica con la "diversità comunista ". Vero è che le inchieste non risparmiano le "cooperative rosse ". Difatti , viene arrestato l’ex funzionario del Pci Primo Greganti , accusato di aver gestito i fondi neri del partito . Quest’ultimo , però , non si piega alla carcerazione preventiva e tace fino alla liberazione per decorrenza dei termini . Il che consente al Pds di incarnare il ruolo di "partito degli onesti ".

Preso atto che nel nostro paese operare un distinguo tra fiction e realtà risulta piuttosto problematico , va aggiunto che con Tangentopoli si dissolvono la Democrazia Cristiana e il partito socialista . Restano in campo , invece , il Pds , ossia l’ex Pci , Alleanza Nazionale , ex Movimento sociale , la Lega di Bossi , e successivamente Forza Italia .

A questo punto è lecito porre un interrogativo : Tangentopoli può essere percepita come una rivoluzione morale ? In effetti , al di là di una visione edulcorata della realtà , Tangentopoli va contestualizzata nelle dinamiche della corruzione strutturale del Belpaese .

Ma c’è di più , essa assolve una funzione politica in una fase di passaggio assai rilevante . In altre parole , dopo la sconfitta della rivoluzione sovietica , dopo la caduta del Muro di Berlino , il nuovo ordine mondiale esige nuovi referenti politici e una nuova regolazione . Ciò detto , penso che ogniqualvolta si scatenano terremoti giudiziari bisognerebbe riflettere attentamente sulle presunte rivoluzioni morali .

Ma , non volendo azzardare ipotesi sulla fase odierna , vorrei valicare i confini di "Italiopoli" per affrontare problemi di fondo che attraversano tutto l’assetto sistemico .

Innanzitutto , dal momento che "viviamo in una società strapiena di diritto " conviene , come vuole Stefano Rodotà , porre alcuni interrogativi :" Può il diritto , la regola giuridica , invadere mondi vitali , impadronirsi della nuda vita , pretendere anzi che il mondo debba "evadere dalla vita? Gli usi sociali del diritto si sono sempre più moltiplicati e sfaccettati . Ma questo vuol dire che nulla può essergli estraneo , e che la società deve rassegnarsi a essere chiusa nella gabbia d’acciaio di ogni onnipresente e pervasiva dimensione giuridica ? ". Il che rimanda al potere sovrano , all’assetto biopolitico globale , alla società del controllo , allo "shopping planetario dei diritti ".

"Quest’ultimo – sostiene Rodotà- non è nato ieri . E’ da lungo tempo largamente praticato da soggetti economici alla continua ricerca dei luoghi dove svolgere la propria attività con il massimo di profitto e il minimo di controllo …. La convenienza economica travolge così i diritti , e ci presenta un mondo in cui globalizzazione non significa uniformità di trattamento delle persone ma , al contrario utilizzazione delle differenze giuridiche per irrigidire i rapporti di forza preesistenti , con una singolare rivincita del diritto nazionale utilizzato , in questa dimensione , per associare l’attività d’impresa con la massima compressione dei diritti delle persone " .

Le illuminanti considerazioni dell’autore sopra citato confermano che il diritto non può essere concepito come valore assoluto e universale , anche perché lo spirito delle leggi varia col fluire della storia . Inoltre , per attaccare la sostanza delle cose , dobbiamo necessariamente rilevare che i determinismi economici odierni pescano senza vergogna nel lessico della libertà , del liberalismo , della deregolamentazione .

Ne consegue che , oggi , la retorica dell’universalismo giuridico assume una valenza strumentale per occultare le perverse dinamiche del dominio biopolitico .

Poste chiaramente queste premesse , per comprendere l’intricato rapporto tra biopoteri e corpi, dobbiamo considerare le dinamiche della spettacolarizzazione della vita quotidiana . Ciò è imprescindibile , perché consente di prendere coscienza che "viviamo in un’epoca che mette in scena la storia, che ne fa uno spettacolo e, in questo senso , derealizza la realtà "( M . Augè ) .

Ovviamente , in una situazione siffatta un distinguo tra virtuoso e virtuale , tra mostri dell’adattamento e mostri del superamento , diventa sempre più problematico .

Il che spinge a porre i seguenti interrogativi : può la regolazione giuridica risolvere le palesi contraddizioni dell’assetto sistemico ? E’ possibile parlare di libertà dei corpi in un contesto in cui ogni differenza tra democrazia e totalitarismo si indebolisce ? E’ possibile enfatizzare le alternative quando i meccanismi di sussunzione insidiano tutte le istanze liberatorie ? E non è forse vero che le informazioni delle banche dati e la diffusione dei test genetici rendono sempre più efficienti le finalità del controllo ? In effetti , se non vogliamo eludere problemi di fondo , dobbiamo ammettere che la prepotenza del mondo rappresentato non consente la distinzione tra comprendere e conoscere , tra senso e non-senso .

Ciò detto , penso che sia necessario un riferimento ai caratteri ambivalenti delle biotecnologie e della biomedicina . Stefano Rodotà , esplorando con dovizia di dettagli le problematiche relative alla bioetica , alla funzione di cura , alla clonazione ,all’attuale organizzazione del lavoro, richiama l’attenzione sul rischio d’un uso autoritario del diritto . " Non si vuol dire-sostiene Rodotà – che il diritto non possa incorporare valori forti , svolgere una funzione promozionale , essere parte dinamica del mutamento sociale . L’idea di un diritto " debole "è lontanissima da quella di un diritto consapevole dei suoi limiti ".

A partire da una simile riflessione si evince che né l’armamentario giuridico , né l’ingegneria istituzionale , possono generare un nuovo modello sociale . Ciò riapre le tematiche relative al conflitto tra potere costituente e potere costituito , tra trascendentalismo e materialismo . Insomma , per evitare la restaurazione di una sintesi dialettica , occorre sempre tener fermo che una rifondazione costituzionale non può prescindere dalla potenza delle singolarità e delle differenze . Il che rimanda all’illusione mistificatoria dell’universalismo giuridico , alla concezione tradizionale della sovranità , al feticismo economico- giuridico , alle involuzioni tecnocratiche della Costituzione europea , alle prospettive di una technocratic governance .

A questo proposito , riprendendo cose già dette in altra sede , vorrei ribadire che il progetto di un’Europa politica si sta rivelando solo una confortante utopia . Basti pensare alla posizione ambigua dell’Unione nel conflitto israelo –libanese .

Vero è che le anime belle della "sinistra " non condividono questo assunto , ma ciò non può stupire dal momento che si registra un inquietante allineamento alle direttive del "governo amico " . Ciò è anche suffragato dall’acritica esaltazione della missione Onu e dai toni soft di alcuni giornalisti "barricadieri ". Intendiamoci , non intendo caldeggiare la teoria del complotto fra Occidente e Usa , anche perché le coalizioni odierne sono legate a convenienze esplicitamente temporanee . Basti pensare che , dopo il processo-farsa contro Saddam Hussein , si sta profilando un’intesa tra Usa e Iran .

Fatte queste doverose precisazioni vorrei porre un quesito : il diritto può produrre pace e giustizia sociale ? In effetti , le dure lezioni della storia insegnano che le prescrizioni esplicite del diritto sono sempre condizionate dai vincoli strutturali .

Inoltre , va aggiunto che , oggi, le perverse dinamiche delle guerre globali mostrano la crisi profonda del diritto internazionale . Difatti , la fine dell’antagonismo bipolare , le guerre globali , la militarizzazione del pianeta , il global terrorism , scardinano di fatto l’impianto paradigmatico delle istituzioni internazionali del Novecento . Di più , per evitare di enfatizzare la presunta rinascita del sistema Onu ,va detto che esso è decisamente inegualitario , gerarchico , storicamente asservito ai poteri forti , condizionato da Stati-nazione , realmente o virtualmente egemonici .

Non senza ragione Mario Capanna afferma : " L’Onu non funziona perché , al di là della sigla " Nazioni Unite " , sono proprio le nazioni ad essere divise e il Consiglio di Sicurezza è totalmente in mano a quei pochi , che per di più esercitano il potere di veto . Finora sono state le èlite a guidare il mondo . E’ giunto il momento che i popoli assumano la loro responsabilità planetaria , che irrompano nella storia , se vogliono che prosegua , e che prendano in mano , decidano , il proprio destino . Sta qui la necessità di eleggere un Parlamento Mondiale . Un parlamento dei popoli e non degli stati : questi sono troppo piccoli per le questioni grandi , e troppo grandi per le questioni piccole , che vanno sempre più decentrate , come sta in parte accadendo " .

Purtroppo , invece , pare proprio che ancora una volta la fortuna stia vanificando la virtù . E ciò anche perché l’organizzazione dell’apparenza non consente una critica radicale e pertinente sulla complessità del presente .

Stando così le cose , occorrerebbe rivisitare il pensiero situazionista per ribadire che "noi non vogliamo lavorare allo spettacolo della fine del mondo , ma alla fine del mondo dello spettacolo " .

Partendo , quindi , da questo assunto bisognerebbe demistificare il dominio del "pratico inerte", che è quello nel quale l’uomo subisce l’azione delle cose .

Inevitabilmente il discorso rinvia a Sartre e alla necessità di un impegno militante dell’intellettuale di sinistra .

In realtà , l’integrazione dello spettacolo , il culto del successo , non risparmiano "icone sacre della sinistra " . Basti pensare al desiderio ossessivo di ottenere riconoscimenti istituzionalizzati . Da qui la necessità di rievocare la coerenza di Sartre quando nel 1964 rifiutò il Nobel . Il primo annuncio di una eventuale vittoria al Nobel gli venne dato dall’amico Enzo Paci, e tale notizia già mise Sartre in uno stato di forte agitazione : la prima reazione fu quella di rifiutarlo e vi rimase coerente con una prova di esemplare coraggio . Il filosofo, infatti , mandò una lettera in cui pregava i membri dell’Accademia svedese di non assegnargli il premio che sarebbe stato costretto a rifiutare , ma gli organizzatori non tennero in alcun conto tale desiderio . Va ricordato che in una dichiarazione resa subito dopo il rifiuto , Sartre spiegò che non aveva alcuna voglia di essere sotterrato sotto un peso che lo avrebbe istituzionalizzato .

Per non essere sotterrati , dunque , dobbiamo prendere atto che la Weltanschauung della società dello spettacolo sta generando una inquietante caduta di senso .

Ma , per tentare di valicare l’integrazione dello spettacolo , penso che sia necessario decostruire le odierne forme di feticismo .

A questo proposito Tiziana Villani , incentrando l’attenzione sul governo dei corpi , scrive : " Questa tensione al governo totale rimanda al linguaggio della merce , al suo carattere enigmatico che nell’urbanesimo odierno finisce per comprendere nella sua pluralità ogni espressione del vivere . M . Tronti riferendosi all’analisi compiuta da Marx ne Il Capitale , analizza la vittoria del feticcio sulla merce , dunque della farsa sulla tragedia e aggiunge : " Soggetto moderno è la merce , da quando essa è divenuta denaro e da quando il denaro è diventato capitale . Trasformazioni della merce in qualcos’altro , ma anche trasformazione della merce in se stessa , al suo interno . C’è dunque un’interiorità della merce , come c’è una sua soggettività ? Sembra di sì ; così appare .Quell’apparenza che diventa realtà per chi produce , scambia e consuma merce , quando essa diventa cristallo di lavoro tradotto in valore non più d’uso . Ecco che allora essa diventa sehr vertrachtes Ding, cosa imbrogliatissima " .

Queste illuminanti considerazioni spingono a ribadire l’ambivalenza dell’intelletto generale , proprio perché il capitalismo odierno si avvale della conoscenza come forza produttiva . In tal senso il regime proprietario della conoscenza , grazie anche all’ausilio delle nuove tecnologie , mette sul mercato le risorse cognitive , e così facendo rende il lavoro sempre più conforme all’esigenza di valorizzazione del capitale . E non è tutto : la subalternità delle forme negoziali del sindacato contribuisce a obliterare la brutalità della nuova politica economica .

Pertanto , se è vero che nel postfordismo l’intelletto generale diventa un attributo del lavoro vivo , è parimenti vero che la sussunzione dell’intelligenza tecnico-scientifica da parte del capitale mette in questione tutte le tematiche relative all’identità umana , alla frammentazione del quotidiano , alla falsificazione della vita sociale , ai rapporti di subordinazione e di sfruttamento .

Ciò conferma che i processi di liberazione dei corpi devono fare i conti con i modelli pratico epistemici , con la prepotenza dei biopoteri , con la vocazione autoritaria della società del rischio , con le diverse forme di fondamentalismi , con lo stato di guerra permanente . Se non vogliamo, quindi , che si imponga la legge del peggio dobbiamo cercare di decostruire le caratteristiche peculiari dei conflitti odierni .

Il che, ovviamente , esige un ripensamento critico sulla complessa questione mediorientale .

Non senza ragione Ida Dominijanni invita a guardare il Medioriente con lenti modificate , ponendo i seguenti interrogativi :"Davvero , fermo restando il giudizio della deriva integralista di Israele , non c’è anche il problema del fondamentalismo di Hamas e di Hezbollah ? Davvero su Hamas ed Hezbollah possiamo farci scudo della religione democratica e della fede nella legittimazione elettorale di Hamas e Hezbollah , o non è piuttosto la fede democratica a essere scossa dalla legittimazione elettorale di Hamas e Hezbollah ? ….La tragedia mediorientale non sta in un ribaltamento dei torti e delle ragioni : sta in una loro , spesso indecidibile , complicazione . Lo scacco della ragione sta qui , e brucia le migliori carte e le migliori credenziali " .

Ma per evitare lo scacco della ragione , non sarebbe anche opportuno demistificare le perverse dinamiche della democrazia parlamentare ? Non sarebbe bene rifiutare lo stato di palese dis-funzionamento delle cosiddette democrazie occidentali ? Ciò sarebbe auspicabile sia perché il nauseante gioco delle parti sta diventando sempre più intollerabile , sia perché si registra la scomparsa della dialettica tra potere costituente e potere costituito , sia perché i meccanismi perversi della sovranità stanno consentendo la diffusione della gendarmeria globale .

Ma c’è di più : un dilagante chiacchiericcio acefalo sta obnubilando la complessità della situazione esistente , incrementando così la forza del negativo planetario .

Sicché , sempre per scongiurare il peggio a venire , bisognerebbe elaborare un progetto alternativo e creativo , in un’ottica decisamente antisistemica .

Ciò rimanda all’attuale conflitto mediorientale e alla necessità di un’Europa altra .

Purtroppo , invece , la dura realtà fattuale mostra che l’Ue , al di là di una proliferazione di norme e di divieti , si rivela un Super Stato –debole , incapace di confrontarsi con irrisolti nodi interni , con la complessità del globalismo , con la commistione aberrante tra militarismo e umanitarismo, con le competizioni nazionalistiche , con i fenomeni dell’immigrazione e con la problematicità della cittadinanza . Il che rinvia all’ambigua risoluzione Onu per mettere fine al conflitto israelo-libanese . Ma , constatando che Kofi Annan viene percepito come una sorta di eroe globale , conviene fare qualche osservazione .

Giova , infatti , ricordare che il segretario generale delle Nazioni Unite condivise l’intervento militare della Nato in Kosovo , senza un mandato del Consiglio di sicurezza , e così facendo giustificò la coalizione di stati guidata dagli Stati Uniti .

Inoltre , e ciò non è da sottovalutare , Kofi Annan dichiarò che grazie all’esperienza del Kosovo le Nazioni Unite erano risorte a nuova vita , investite di una inedita funzione : la tutela internazionale dei diritti dell’uomo , destinata ad affiancarsi alla funzione tradizionale della pace .

In realtà , nonostante la presenza della Kfor , dopo la guerra , persistono ostilità e conflitti , che vengono solo tamponati .

Di più : la guerra statunitense in Afghanistan è stata ampiamente accettata all’interno delle Nazioni Unite e dalla maggior parte dei governi . Oltre a ciò , va aggiunto che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha manifestato il proprio consenso al governo provvisorio di Baghdad , cioè al protettorato Usa .

Per evitare , dunque , che la pace diventi una sorta di categoria dello spirito , occorrerebbe prendere coscienza che le missioni "umanitarie "sono funzionali ai meccanismi di normalizzazione politico-culturale .

Pertanto , se i processi di pace non includono idee chiare e distinte , allora , inevitabilmente , sono destinati allo scacco . Il caso del conflitto israelo-palestinese è qui esemplare . Mi riferisco al cosiddetto "processo di pace " fondato sugli Accordi di Oslo. Quest’ultimo , lungi dal risolvere i problemi , ha riacutizzato le ostilità , proprio in ragione della sua premeditata imprecisione su alcuni punti fondamentali .

Ma , per provare a liberare le coscienze dalle manipolazioni politiche , è lecito operare un distinguo tra tregua e pace . A tal proposito una rivisitazione kantiana si rivela decisamente proficua . Kant sosteneva :" Nessun trattato di pace deve essere considerato come tale se stipulato con tacita riserva di argomenti per una guerra futura . Infatti , sarebbe allora una semplice tregua , una sospensione delle ostilità , non una pace , che significa fine di ogni inimicizia , ed a cui non si può aggiungere l’epiteto di eterna perché ne sarebbe un pleonasmo sospetto ".

Se è vero, quindi , che Kant aveva una concezione ottimistica e giusnaturalistica della storia, è anche vero che il suo messaggio di pace può costituire ancora oggi una base di discussione.

Insistendo sulle spinose problematiche del presente vorrei volgere la riflessione sulle complesse dinamiche che attraversano l’assetto bellico odierno . Da qui la necessità di rilevare che , dopo il crollo dell’impero sovietico , la guerra ha assunto caratteristiche peculiari e inedite , vuoi perché non è più guerra fra Stati , vuoi perché lo stato di guerra permanente investe tutta la vita quotidiana , vuoi perché la guerra è intrinsecamente connessa alla prepotenza del biopotere globale , vuoi perchè l’accezione distorta del diritto internazionale contribuisce a diffondere la militarizzazione del mondo .

A questo punto , anche per rimuovere la sindrome devastante del governo-amico , ritengo imprescindibili i seguenti interrogativi : quale pacifismo ? E’ lecito considerare legittimi gli odierni processi di militarizzazione ? Si può invocare una "strada politica " per la soluzione dei conflitti quando dilaga il trionfo dell’antipolitica ? Ci si può appellare ai diritti umani per far vacillare la barbarie onnipervasiva del mondo globalizzato ? A questo proposito Slavoy Zizek scrive : " I diritti umani coprono e legittimano l’imperialismo occidentale , gli interventi militari , la sacralizzazione del mercato , l’ossessione del politically correct . Ma a volte sono sfuggiti al controllo del potere , producendo effetti reali , cambiando il corso della storia " .

Ciò risponde al vero , ma bisogna anche riconoscere che sfuggire all’intricata rete dei poteri globali risulta un’impresa piuttosto ardua . D’altra parte , le istanze liberatorie implicano la presenza di attori collettivi che siano in grado di esercitare mutuamente e reciprocamente i diritti-doveri di libertà , di eguaglianza e di fratellanza . Il che rimanda alla necessità di una disobbedienza attiva , consapevole e capace di elaborare un progetto ugualitario e cosmopolitico fuori dalla dogmatica statalista .

Ne consegue che bisognerebbe promuovere una decostruzione propositiva , sia per ridimensionare le coordinate di un riduttivo volontariato pacifista , sia per negare il bizantinismo di un pacifismo sovranista , sia per rimuovere la mistica populista .

In altre parole , non è sufficiente essere assidui militanti di movimenti e associazioni , se non si rigetta l’idea di sovranità e se non si oppone un rifiuto categorico ai perversi meccanismi del "cretinismo parlamentare " . Insomma , proclamare che un altro mondo è possibile non basta , bisogna dire anche contro chi , contro quali forze questo mondo potrebbe essere costruito .

Purtroppo , pare che le pratiche creative e costituenti stiano naufragando nel mare magnum della confusione .

Ciò detto , evitando di indulgere al pessimismo, vorrei rimarcare che tutti i percorsi di liberazione devono assumere la resistenza come passaggio imprescindibile . Le forme di lotta odierne, però , devono fare i conti con l’orgia macabra di un fascismo inedito . A questo proposito risultano illuminanti le osservazioni di Pasolini . Difatti , l’intellettuale testè citato affermò :" Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole : ma occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità , come codificazione allegra , mondana , socialmente eletta , dal fondo brutalmente egoista di una società ".

Ma c’è di più : la resistenza non può escludere il "divenire minoritario" . Quest’ultimo- sostiene Tiziana Villani – non tende verso una cristallizzazione delle esistenze e tantomeno verso l’edificazione di una grammatica maggiore , di linguaggi di dominio ….. Il divenire minoritario riguarda strettamente il territorio per quanto concerne non solo le forme di insediamento , di costruzione dell’identità , di produzione che in esso si svolgono , ma soprattutto perché la creazione di territorio necessita di libertà di vita per emanciparsi da ogni reticolo gerarchizzante . Il territorio delle minoranze è un fatto inventivo , un piano di sperimentazione insediativa e relazionale , ed è senza dubbio una dimensione conflittuale ". E’ , pertanto , evidente , che un autentico divenire minoritario deve prendere una distanza di sicurezza dalle manipolazioni dei poteri costituiti , dal balletto delle coalizioni , dai trionfalismi nazionalistici di Prodi e dagli orgasmi narcisistici di D’Alema , dalle dinamiche perverse del militarismo umanitario. Inevitabilmente , queste argomentazioni rinviano all’odierna missione Onu , che di fatto è più ambigua delle precedenti , vuoi perché tralascia l’imprescindibile questione palestinese , vuoi perché non affronta le tematiche relative al disarmo , vuoi perché non esige il ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati in Libano, Siria e Palestina , vuoi perché non opera un distinguo tra usi consentiti e non consentiti della forza , vuoi perché non chiede lo scambio dei prigionieri , vuoi perché si astiene dal condannare l’aggressione di Israele , focalizzando così l’attenzione solo sull’attacco di Hezbollah .

Al di là , dunque , delle semplificazioni grossolane e delle alternative semplicistiche , bisognerebbe decostruire criticamente la propaganda mediatico-politica per prendere coscienza che tutte le missioni armate-umanitarie si rivelano ossimori strumentali per legittimare l’ipocrisia dei poteri costituiti . Sia chiaro , non intendo penalizzare tout court il principio di intervento , al contrario, penso che l’Europa e i movimenti pacifisti potrebbero diventare mediatori responsabili non solo per la risoluzione dei conflitti armati , ma anche per promuovere la capacità di autogoverno dei popoli .

Inoltre, sempre per cercare di rendere intelligibile il nuovo ordine , vorrei aggiungere che , oggi , è difficile distinguere le motivazioni reali da quelle addotte . Difatti , si registrano intricate commistioni tra guerra e terrorismo , tra petrolio e religione , tra istanze umanitarie e pratiche repressive , tra fanatismo religioso e lex mercatoria , tra megacapitalismo finanziario e guerra santa . Ma c’è di più , per evitare di percepire la crisi dell’unilateralismo statunitense come l’alba di un nuovo inizio , occorre rilevare che le coalizioni odierne sono solo coabitazioni temporanee e fluttuanti . Insomma , parafrasando Anthony Giddens , si può parlare di "alleanza confluente " , ossia un’alleanza che viene stipulata nell’attesa di ricavarne un vantaggio , e che viene infranta allorchè non soddisfa più . Insistendo sull’argomento , e senza pretendere di trasmettere verità assolute , vorrei fare alcune osservazioni sulla suddetta missione . Quest’ultima , lungi dal costituire una svolta , assolve una funzione ordinativa . Difatti , la guerra israelo-libanese ,i desiderata di Washington , la recrudescenza planetaria dell’integralismo islamico , il virus pervasivo del terrorismo , l’atomica in mano a Teheran , il fallimento delle missioni in Afghanistan e in Iraq , la crisi energetica , la proliferazione delle armi nucleari , l’arrivo della Cina e dell’India sul mercato del petrolio ,obbligano a tamponare i conflitti per governare una situazione di fatto ingovernabile . E non è tutto : la partecipazione dell’Italia va anche attribuita alla insufficienza energetica e ai rapporti commerciali con l’Iran . E’ bene ricordare a questo proposito che il nostro paese importa petrolio dalla Libia, Arabia Saudita , Iran .

Ne consegue che in una situazione siffatta ogni previsione può risultare azzardata , anche perché gli intrighi sotterranei dei poteri globali vengono costantemente occultati dalla propaganda mediatico-politica . Da qui una destabilizzante confusione , che poi consente un’ulteriore falsificazione della realtà . D’altra parte , più un concetto è confuso , più è docile ad appropriazioni opportunistiche .

Intanto in Italia i paradossi si stanno moltiplicando a dismisura , tant’è che predicatori della non-violenza , pacifisti della domenica , dissidenti intermittenti , sedicenti rivoluzionari , "comunisti libertari", condividono l’ambigua risoluzione 1701 dell’Onu . Il che spinge a riproporre il seguente interrogativo : quale pacifismo ? Innanzitutto , va precisato che il pacifismo di principio risulta superato , sia perché esso è legato all’ordine internazionale del passato , sia perché il pacifismo tradizionale non è mai stato politico . Ma non basta . Lo stato d’eccezione esige una pertinente comprensione dello status quo .Insomma , se vogliamo trasformare il mondo dobbiamo interpretarlo . In altre parole , la commistione odierna tra biopotere e stato di guerra permanente richiede un approccio altro . Ne consegue che " se oggi la guerra ha assunto la forma del biopotere , abbiamo bisogno di un movimento contro la guerra che sia biopolitico" ( M . Hardt ) . Da qui la necessità di una progettualità politica creativa e costituente .

Purtroppo , invece , al di là delle facili idealizzazioni ,dobbiamo riconoscere che il cosmopolitismo differenziato dei movimenti è attraversato da fratture , da contraddizioni eclatanti , da particolarismi e da chiavi di lettura assai opinabili . Basti pensare al consenso manifestato alla risoluzione Onu dalla Tavola della pace e dall’Arci .

Ciò conferma che la commistione acritica movimenti –partiti – governi amici sta sortendo effetti davvero devastanti . In effetti , dopo Genova , le istanze della diserzione e della disobbedienza sono diventate sempre più evanescenti . Eppure , il diritto alla diserzione è intrinsecamente connesso ai processi liberatori di una democrazia reale .

A questo punto , constatando che le mistificazioni della storia si ripetono , vorrei ricordare un episodio significativo del 1960 . Mi riferisco alla dichiarazione sul diritto all’insubordinazione nella guerra d’Algeria , sottoscritta da 121 intellettuali . Il documento , come da copione , fu incriminato e scomunicato dal Pcf e da tutta la sinistra francese . E’ quasi superfluo aggiungere che i suddetti intellettuali furono arrestati e allontanati dall’insegnamento .

E’ , pertanto , evidente che la diserzione è stata sempre stigmatizzata da tutti i poteri costituiti . Vale a dire che il diritto alla diserzione implica un atteggiamento mentale di rifiuto contro tutte le forme di democrazia delegata . Preso atto che il diritto alla diserzione è connaturato al fondamento di una democrazia radicale , occorre allora domandarsi in quale orizzonte più largo si pensa il divenire politico di una globalizzazione dal basso .

Questo quesito è indispensabile per comprendere l’autentica valenza di una pratica creativa e costituente . In realtà , pur rilevando le potenzialità innovative dei movimenti , dobbiamo ammettere che le moltitudini postmoderne non riescono a proporre soluzioni istituzionali alternative , tant’è che alcuni "disobbedienti " accettano le perverse dinamiche della democrazia parlamentare , Caruso docet .

E’ lecito , quindi , porre i seguenti interrogativi : quale diritto alla diserzione ? Quale disobbedienza ? Innanzitutto , per cercare di fare un po’ di chiarezza , va detto che la disobbedienza non può essere confusa con un anacronistico e strumentale populismo di sinistra . Ciò premesso , penso che giovi rivisitare Hannah Arendt . Per quest’ultima la disobbedienza mette allo scoperto il carattere intrinsecamente dispotico delle istituzioni della democrazia rappresentativa , il dominio di un "intricato " sistema di uffici , di cui nessuno , né uno , né i migliori , né i pochi , né i molti può essere ritenuto responsabile ".

La questione è ,insomma , che occorre operare un distinguo tra "Nemocrazia " e democrazia reale , e ciò per rimarcare che la disobbedienza , negando il principio di sovranità e costruendo esperienze esemplari di democrazia non delegata , fa rivivere lo spirito delle leggi in un’ottica altra .

Al di là , dunque , delle suggestioni narcotizzanti prodotte dai "governi amici " , bisogna ribadire che "nessuna rivoluzione , nessun movimento di resistenza , nessuna lotta di liberazione risulterebbe in fondo pensabile senza mettere in gioco la figura del disertore" (Marco Bascetta ).

Ciò significa che una vuota apologia estetizzante della diserzione non può sortire effetti positivi , al contrario, può solo consolidare l’osceno gioco delle parti .

In altri termini , se la diserzione non esprime linee di fuga liberatrici , se non traccia coordinate spaziali e temporali altre, se non si avvale di una prassi sovvertitrice , allora le pratiche "alternative " si fermeranno su posizioni reattive .

Va da sé che per emanciparsi da un mondo popolato di maschere , bisogna prendere una distanza di sicurezza dalla sinistra ufficiale , che peraltro sta superando tutti i limiti della decenza . Sia chiaro , queste considerazioni non derivano da un atteggiamento disfattistico , ma da una valutazione oggettiva . Ciò è suffragato dai giochi di prestigio della legge finanziaria, dai riti spartitori per la gestione della Rai ,dall’obbedienza incondizionata all’ortodossia maastrichtiana e ai dettami della Banca centrale europea , dal caso Telecom , dalle posizioni ambigue sulle "missioni di pace", dal mancato riconoscimento dei lavoratori precari , dai tagli alle spese sociali, dalla pletora di ministri e sottosegretari , dal grottesco coacervo di contraddizioni della sinistra radicale . E non è tutto : la Finanziaria 2007 , che paradossalmente viene percepita come la nuova edizione della lotta di classe, si rivela di fatto un imbroglio ingannevole , anche perché pretende di conciliare due concetti antinomici , ossia l’ideologia dello sviluppo e l’equità sociale . Il dettaglio non trascurabile è che l’odierna ideologia dello sviluppo è intrinsecamente legata alla mondializzazione capitalistica, all’ordine economico neoliberale , alla mano invisibile del mercato precarizzato : insomma al nuovo impero planetario che " vampirizza " qualsiasi cosa . E’ quasi superfluo aggiungere che in un contesto siffatto "non esistono soluzioni locali a problemi globali " . A questo proposito Z . Bauman , nel suo libro "L’Europa è un’avventura ", scrive : " Governare si riduce ad applicare la tattica della Standortkonkurrenz , la concorrenza di posizione che punta ad attrarre il capitale globale liberamente fluttuante e a blandirlo affinché resista alla tentazione di andarsene - …..La globalizzazione del capitale e dell’impresa, l’eliminazione dei vincoli e degli obblighi locali del capitale e la conseguente extraterritorialità delle grandi forze economiche hanno reso lo Stato sociale in un solo paese una mera contraddizione in termini " .

Se è vero , però , che la doppiezza machiavellica del governo amico suscita una profonda indignazione , è anche vero che nel mondo globalizzato dilaga un’inquietante perdita di senso. Proprio partendo da queste premesse vorrei fare esplicito riferimento alle vignette antisemite esposte a Teheran dal presidente iraniano Ahmalinejad . Quest’ultimo addirittura nega l’Olocausto e paragona Israele ai nazisti . Assodato che questa analogia è fantasmatica e priva di ogni fondamento , va aggiunto che essa non è meno ripugnante di quella di Bush che parla di islamo-fascismo .

Ma , al di là delle fuorvianti mistificazioni , penso che giovi una rivisitazione storica sulla genesi della repubblica iraniana . " Fin dai primi passi , la repubblica iraniana si caratterizza in modo fortemente antioccidentale (antiamericano in particolare ) , con una accesa - e apertamente teorizzata - impostazione ideologica religioso-fondamentalista , motivata proprio come reazione alla spoliazione del Paese e alla colonizzazione culturale praticata per decenni dall’Occidente . Da lì - da allora - il fondamentalismo islamico cresce e si propaga veloce , con gli esiti che sappiamo , fino ai nostri giorni . Esso è , precisamente , simmetrico rispetto a quello occidentale …..Praticando per secoli il fondamentalismo – compreso il fondamentalismo del mercato oggi tanto in auge – l’Occidente lo ha insegnato , e trasmesso per contagio ad altri " ( M . Capanna ) .

Di più : pur non condividendo il terrore liberticida e mortifero di Al Qaeda , penso che occorrerebbe fermare l’attenzione sul fondamentalismo del mercato , che si rivela di fatto una forma di terrorismo ufficiale . Le politiche neoliberiste fondamentaliste , infatti , consentono un sistematico genocidio contro l’umanità , la deprivazione estrema dei "dannati della terra ", politiche di esclusione e di emarginazione, massacri quotidiani . Ciò , ovviamente, spinge a rimuovere le posizioni oltranziste che pretendono una scelta tra terrorismo ufficiale e terrorismo islamico . Ne consegue che se vogliamo debellare tutte le forme di terrorismo e di fobie identitarie ,dobbiamo necessariamente delegittimare tutto l’assetto sistemico , nella consapevolezza che l’annullamento della barbarie odierna passa attraverso il parto , la nascita di nuove forme di vita .

Insomma , non si tratta di operare una scelta tra D’Alema e Hezbollah , tra Bush e Bin Laden , tra terrorismo ufficiale e terrorismo fuorilegge , si tratta , invece , di costruire una strategia antisistemica che sia all’altezza delle sfide del presente .

Ma constatando che il tema della sicurezza viene sistematicamente strumentalizzato, è lecito porre un interrogativo : quale modello di sicurezza per una democrazia a venire ? Per cercare di dare qualche risposta penso che si dovrebbe riflettere sulla complessità e sulla gravità delle cause oggettive che alimentano la violenza e l’adesione alle predicazioni terroriste .

Assodato che le istanze di una sicurezza collettiva esigono una presa di posizione politica , e non il ricorso alla forza militare , vorrei insistere sull’argomento per evidenziare che lo stato di emergenza permanente è strutturale .

Difatti , l’assetto sistemico si avvale della violenza preventiva per limitare ogni libertà di movimento e per alimentare le perverse commistioni tra prassi di guerra e pratiche di vigilanza , tra ideologia sicuritaria e controllo poliziesco .

Vero è che questa situazione indeterminata e incerta provoca anche un boomerang planetario che non è facile gestire .

Ciò detto , dal momento che nella società dell’incertezza le regole del gioco mutano costantemente, penso che sia opportuno un riferimento al quinto anniversario dell’11 settembre . Omelie umanistiche , toccanti rimembranze , guerra delle immagini , buonismo strumentale, affabulazioni spettacolari ,demagogie aberranti , hanno caratterizzato la commemorazione dell’evento . E allora ? Allora , per non sprofondare nei miraggi mortali della parvenza, bisogna innanzitutto sbarazzarsi delle imposture istituite . In tal senso ritengo che siano significative le dichiarazioni del presidente della Repubblica e del presidente del Senato Franco Marini . Quest’ultimo ha affermato : " Quella tra Italia e Usa è un’amicizia robusta come l’acciaio ….E di fronte a fatti così gravi ci sentiamo tutti americani . La tragedia di cinque anni fa ci appartiene , ha colpito anche noi : se non nei nostri corpi , certo i nostri cuori , le nostre menti , il nostro spirito . Tutto il mondo civile , a ogni latitudine e senza incrinature , al di là di interessi e logiche particolari , deve portare avanti senza dubbi una lotta senza quartiere al terrorismo ".

Di più , il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano , manifestando un forte sostegno ai militari impegnati nelle missioni di pace , ha affermato : " Essi si riconoscono nel ruolo delle Nazioni Unite e nell’impegno di rinnovata e schietta collaborazione tra Europa e Stati Uniti" .

Tralasciando le dichiarazioni di Parisi , Fassino , Veltroni e via dicendo , penso che sia imprescindibile un riferimento alla giornata della commemorazione del "pacifista " Bush . Il presidente Usa, ha parlato di "guerra per la civiltà" ed ha aggiunto : " Abbiamo di fronte un nemico determinato a portare morte e sofferenza nelle nostre case . Non abbiamo voluto noi questa guerra e ogni americano , come me , vorrebbe che fosse finita . Ma non è così e non lo sarà finchè non ci sarà un vincitore , o noi , o gli estremisti ".

Che dire ? Come commentare il rinnovato patto contro il terrorismo ? Come evitare che la tragedia dell’11 settembre continui ad essere strumentalizzata dalle menzogne imperiali ? Innanzitutto ritengo che siano necessarie alcune precisazioni sull’evento del World Trade Center . Mi riferisco all’impossibilità di ricostruire le dinamiche del crollo delle Torri gemelle , e non senza ragione a questo proposito il movimento dei "complottisti "statunitensi denuncia le incongruenze palesi della versione ufficiale .

Vero è che la verità probabilmente rimarrà sepolta , anche perché con l’acciaio delle Torri gemelle è stata costruita una nave da guerra .

Sia chiaro , i legittimi dubbi non intendono alimentare né interpretazioni dietrologiche né caldeggiare l’antiamericanismo di maniera , al contrario , penso che la democrazia statunitense abbia efficaci anticorpi per operare una svolta .

Ma , dal momento che tutti i rappresentanti della politica ufficiale ribadiscono l’unione sacra contro il terrorismo , ritengo che sia opportuno insistere sull’argomento .

In effetti , la parola "terrorismo " risulta piuttosto sfuggente , tant’è che "i terroristi possono essere combattenti per la libertà in un determinato contesto storico e semplici criminali in un diverso momento storico " . Ma non è tutto : l’idea di guerra al terrorismo si rivela "un’allegoria remota e fuorviante ". Difatti , l’attuale terrorismo globale non s’identifica né con la guerra interstatale , né con la guerra partigiana .

Se vogliamo , dunque , andare al di là del Bene e del Male , dobbiamo riconoscere che il termine "terrorismo ", proprio perché vago , consente macchinazioni e manipolazioni opportunistiche , politiche di repressione antidemocratica , la stigmatizzazione delle "classi pericolose ", controlli polizieschi sempre più insistenti . Insomma , la sindrome d’insicurezza collettiva serve da strumento per normalizzare i meccanismi di violenza istituzionale , per "serrare le maglie delle leggi sull’immigrazione " , per creare un collegamento tra immigrazione e criminalità : in breve , per legittimare fenomeni riprovevoli di " microfascismo ".

Il punto cruciale è che , oggi , il concetto confuso , astratto e sfuggente di "terrorismo internazionale" sta consentendo la militarizzazione della vita ordinaria . E non basta : in questo scenario fosco e destabilizzante , il discorso di papa Ratzinger sulla natura irragionevole e violenta dell ‘Islam fomenta tensioni e conflitti che , ovviamente, ostacolano il dialogo interreligioso , la pratica relazionale , la coesistenza pacifica dei sessi e delle religioni , la "traduzione delle lingue ". Per evitare , dunque , di "abbassare Dio fino a renderlo partigiano di una guerra " dobbiamo riconoscere l’altro , senza pretendere di essere gli eletti da Dio e senza sottintendere di essere depositari di una presunta superiorità culturale . Vale a dire , per inciso, che il mutuo riconoscimento può discendere solo da una profonda rivoluzione culturale , e non da iniziative istituzionali . E’ quasi superfluo aggiungere che " la Giornata istituzionale di conoscenza e dialogo ", organizzata dal ministro Giovanna Melandri , non può costituire il punto archimedico su cui far leva per risolvere nodi tematici assai complessi e variegati .

Ma come negare tutti i dogmatismi violenti? Come demistificare le dinamiche perverse del biopotere ?Come rigettare tutte le forme di monoteismi universalistici ? Come affermare le ragioni di un materialismo ateo ? Come esigere il disarmo planetario ? Come respingere l’aggressività politica degli integralismi ? E soprattutto , come promuovere una rivoluzione cosciente ? Quest’ultima - è bene dirlo una volta per tutte - incontra non poche difficoltà . E ciò non solo perché la vulgata neoliberista promulga un "atto di morte " delle rivoluzioni , ma anche perché persistono ideologismi che continuano a giustificare l’imbastardimento di tutti i partiti comunisti del Novecento e di tutte le derive totalitarie del socialismo reale . Giova precisare , però , che sono altrettanto deprecabili gli opportunistici e tardivi pentimenti dei mentitori della sinistra ufficiale .

Ciononostante i desideri di liberazione non mancano , sicché una politica della vita è sempre possibile . Ma , per liberare l’energia rivoluzionaria delle macchine desideranti , occorre rifiutare ogni mentalità conciliatoria , ogni complicità rassegnata e ogni compromesso. "Quest’ultimo , infatti deforma entrambe le parti , ossia la natura sia del repressore reazionario sia del desiderio rivoluzionario . Nel compromesso , le due parti passano sullo stesso fronte , in opposizione al desiderio che resta dall’altra parte , al di fuori di ogni compromesso " - ( G. Deleuze – F . Guattari ) .