CHI PAGA LE BASI AMERICANE ?

di alfonso navarra

Lo Stato italiano paga ogni anno il 37% dei costi delle basi e delle

truppe americane di stanza nel nostro Paese per importi che,

mediamente, dal 1999 ammontano a circa 500 milioni di dollari l’anno e

che oggi si vorrebbero portare a toccare il miliardo di dollari.
(Stiamo sottoponendo a verifica le cifre aggiornate perche' esse

risultano dai bilanci ufficiali del Dipartimento della Difesa USA, non

da documenti italiani: per avere informazioni serie su come funziona
la

nostra politica militare bisogna passare per l’America!).

Sono
soldi stornati dalle tasche dei contribuenti per finanziare un

apparato offensivo e nuclearizzato, quindi genocida ed ecocida,
gestito

da una potenza straniera, in contrasto con la nostra Carta

Costituzionale e con gli accordi internazionali di non proliferazione

nucleare.

Se non vuoi contribuire con il pagamento delle tasse al
finanziamento

dell’apparato atomico in Italia hai uno strumento per
esercitare in

modo diretto ed efficace la tua opposizione: l’
obiezione di coscienza

alle spese militari così come organizzata
dalla Campagna che punta alla

riduzione dei bilanci della Difesa e
all’approvazione di una legge di

opzione fiscale, per la Difesa
Popolare Nonviolenta, collegata

all’istituzione di un Ministero per
la Pace.

Dal Giornale di sardegna del 10-10-2005
www.gds.sm

Il caso. Il 37 per cento delle spese militari «di stazionamento» è a carico del governo italiano
Le nostre tasse per le basi degli Usa pagati ogni anno centinaia di milioni

Marco Mostallino
marco.mostallino@gds.sm


Lo Stato italiano paga ogni anno il trentasette per cento dei costi
delle basi (Aviano, La Maddalena, Sigonella e altre) e dellele truppe
americane di stanza nel nostro paese: risulta dai documenti ufficiali
di bilancio delle forze armate Usa, del Dipartimento della difesa e
del Congresso (il Parlamento) degli Stati Uniti. Nel 1999 il tributo
versato da Roma a Washington è stato pari a 530 milioni di dollari
(circa 480 milioni di euro), mentre nel 2002 i contribuenti italiani
hanno partecipato alle spese militari americane per un ammontare di
326 milioni di dollari. Tre milioni sono stati dati in denaro liquido,
il resto sotto forma di sgravi fiscali, sconti e forniture gratuite
che riguardano trasporti, tariffe e servizi ai soldati e alle
famiglie. La maggior parte dei pagamenti, si legge nelle carte
ufficiali del Governo di Washington, nascono da «accordi bilaterali»
(«bilateral agreements» nei testi originali) tra Italia e Stati Uniti,
il resto viene dalla divisione delle spese in ambito Nato.
Il metodo di prelievo si chiama «burden-sharing» («condivisione del
peso») ed è illustrato nel “Nato Burdensharing After Enlargment”
pubblicato nell'agosto 2001 dal Congressional Budget Office
(Ufficio per il bilancio) del Congresso. Vi si legge (capitolo III,
pagina 27) che i comandi militari Usa stimano che grazie a questi
accordi soltanto per le opere e i servizi nella base di Aviano «i
contribuenti - (taxpayers) - americani hanno risparmiato circa 190
milioni di dollari».
Quanto all'impegno complessivo del nostro fisco verso gli Usa, il
documento chiave è il Report on Allied Contributions to the Common
Defense (rapporto sui contributi degli alleati alla difesa comune),
consegnato nel marzo 2001 dal Segretario alla difesa (il ministro) al
Congresso degli Stati Uniti. Alla pagina 6 della sezione I si legge
quanto segue: «Italia e Germania pagano, rispettivamente, il 37
(l'Italia) e il 27 per cento dei costi di stazionamento di queste
forze (le forze armate Usa, ndr)».
Nel rapporto “Defense Infrastructure” consegnato nel luglio 2004 al
Congresso da parte dell'Ufficio governativo per la trasparenza, a
pagina 18 si legge che «diversi Paesi europei forniscono vari tipi di
sostegno da parte delle nazioni ospitanti. Per esempio, nel bilancio
2001, Germania e Italia hanno dato i maggiori contributi, valutati
rispettivamente in 862 e in 324 milioni di dollari». Si tratta, spiega
il rapporto, di contributi diretti e indiretti «aggiuntivi rispetto a
quelli della Nato».