Viaggio a Kandahar - di Mohsen Makhmalbaf

Il "viaggio a Kandahar" del titolo e' il viaggio di Nafas, una
giornalista canadese di origine afghana che vuole tornare al suo paese
di origine per salvare la sorella, che intende suicidarsi all'arrivo
dell'eclisse. Nafas si introduce illegalmente in Afghanistan e
comincia il lungo viaggio verso questa lontana citta'.

Visti alcuni articoli in cui si parlava di film eccessivamente
documentaristico, e vista la tendenza del cinema iraniano degli ultimi
anni ad essere insopportabilmente autoreferenziale, sono andato a
vedere "Viaggio a Kandahar" temendo l'ulteriore affossamento di una
filmografia ormai agli sgoccioli.

"Viaggio a Kandahar" invece dimostra che Makhmalbaf, insieme forse al
solo Kiarostami, e' uno dei registi iraniani che ha ancora qualcosa da
dire.

La macchina da presa e' sempre al posto giusto e alcune scene, prima
tra tutte la "corsa degli storpi", sono di una potenza visiva unica.
Altre sono quasi comiche nella loro dimensione documentaristica:
quando vediamo decine di uomini in burka, come possiamo non pensare
alla speculare scena di "Brian di Nazareth" in cui le donne si
dotavano di barba finta?

La storia e' interessante, e dimostra se mai ce ne fosse bisogno come
Makhmalbaf sia attento a quello che succede: confezionare un film
sulla situazione dell'Afghanistan qualche mese prima di questa crisi
non e' certo un colpo di fortuna, ma un sintomo di come le cose sono
davanti agli occhi di chi le sa vedere.

Ci sarebbe qualcosa da ridire sul finale, bello ma eccessivamente
iraniano (e' mai possibile che i film iraniani finiscano tutti allo
stesso modo? A questo punto il finale di "Viaggio a Kandahar" non e'
certo meno banale dell'happy end di un film americano), ma sembrerebbe
quasi di cercare il pelo nell'uovo. Perche' "Viaggio a Kandahar" per
immagini, volti, tematiche, e' un grande film, e questo nessuno puo'
negarlo.

Voto: 8+

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Graziano Montanini - Reggio Emilia - 29 Anni

La promessa - di Sean Penn


Il detective Jerry Black (Jack Nicholson) incappa nel caso di una
ragazzina orribilmente mutilata proprio il giorno prima di andare in
pensione. Viene immediatamento catturato un presunto colpevole, ma
Jerry non e' convinto della sua colpevolezza e continua a cercare
quello che ritiene essere un serial killer che ha gia' colpito altre
volte.

Qualche anno fa, nella recensione dell'ottimo "Affliction" di Paul
Schrader, scrivevo: "Un poliziotto onesto, [...] ma la sua storia [...
e] il suo divorzio [...] lo porteranno a sprofondare lentamente in un
baratro dal quale non potrą pił risollevarsi. [...] Il film mantiene
quello che promette, immergendo lo spettatore in un "affliction"
(afflizione, dolore) sempre pił profonda mano a mano che il film va
avanti. Un atmosfera ovattata dalla neve [...]".

Le stesse cose si potrebbero dire per "La promessa", tanto che
potrebbe essere quasi considerato come un remake di "Affliction". C'e'
la stessa sensazione di deja-vu verso il cinema americano degli anni
'70, la stessa ambientazione nevosa, gli stessi personaggi dall'aria
disperata (bravissimo Jack Nicholson in un personaggio totalmente
diverso dai suoi soliti, senza nessuna gigioneria e nessuna
esagerazione), la stessa ricerca di un colpevole a tutti i costi e, in
un certo senso, anche i due finali, pur se non uguali, forniscono una
simile visione delle cose.

Non per questo pero' il film di Sean Penn perde la sua forza e la sua
coerenza. Il tutto e' realizzato ottimamente, gli attori sono
incredibili (oltre a Jack Nicholson non si possono non nominare le due
comparsate di Benicio del Toro e Mickey Rourke) e la sceneggiatura non
perde un colpo. Anche qui un senso di pesantezza e di "affliction"
cala sul film mano a mano, un angoscia che non ci abbandona nemmeno
all'uscita dalla sala.

Voto: 8,5

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Graziano Montanini - Reggio Emilia - 29 Anni