Chiacchiere moralistiche ed etica della liberazione

di wanda piccinonno

Al di là del berlusconismo , al di là delle chiacchiere moralistiche del centrosinistra , la "questione immorale " si rivela di fatto la malattia endemica della politica italiana .

L’affare Unipol-Bnl , dunque , lungi dal costituire un episodio isolato , si inscrive in una sorta di corruzione strutturale del Belpaese . Ciò è da imputare ad una sostanziale continuità di fondo tra prefascismo e fascismo , tra l’ordinamento fascista e quello democratico-istituzionale , ad una marcata mentalità affaristica , al legame consolidato tra corruzione e politica , alle ricorrenti forme di carrierismo e clientelismo , ad una lunga e secolare tradizione di servilismo nei riguardi dei potenti , ad un illegalismo generalizzato . Insomma , un’analisi politologica critica e controfattuale mostra che la commistione politica-affari è parte integrante di un iter prevalentemente unilineare . Da qui gli sprezzanti giudizi di " eterni spaghettanti dello spirito" di Thomas Mann , di " molle basso ventre d’Europa " di Winston Churchill .

Si potrebbe confutare che alcune valutazioni discendono da pregiudizi etnocentrici . Questa obiezione cade , però , se si pensa a Leopardi , che già nel Discorso sopra lo stato presente degl’italiani aveva notato l’irresponsabile cinismo delle classi dirigenti italiane e un’assenza di spirito civico che non aveva eguali presso altri popoli .

Di più : oltre all’intrinseca debolezza etica del bordello-Italia , conviene registrare un persistente provincialismo , un universalismo posticcio , un esasperato interesse privato, una corruzione corrosiva delle istituzioni . Rigettando , quindi , l’ambiguo moralismo della "sinistra", occorrerebbe demistificare una miseria morale e politica senza fine . Donde la necessità di liberarsi da illusioni velleitarie , vuoi per smascherare il teatrino della politica di Palazzo , vuoi per rifiutare lo scenario globale da giungla , vuoi per disporre di realistiche e feconde basi di speranza . Per sprovincializzare i problemi , va detto , però , che tutti i sistemi politici occidentali sono attraversati dalle dinamiche della politica-spettaccolo , da un palese deterioramento morale e da forme di "novitismo " , fenomeni peraltro strettamente connessi allo stato d’eccezione .

Ne consegue che per far luce sulla sequela di misteri irrisolti e sulla ripugnante "faccenda nazional-popolare della repressione ", per negare il connubio osceno tra corruzione e politica, non si può che invocare un’etica globale della liberazione . In breve , è auspicabile che la potenza sovversiva di una disobbedienza attiva sia in grado di scardinare anche il sostanziale continuismo italiano. Si dovrebbe , dunque , disegnare una nuova cartografia , sia per superare lo stato di spoliticizzazione dilagante , sia per sciogliere tutti i nodi della repressione .

A questo punto , constatando anche le nefaste confusioni generate dalla decadenza del significante , vorrei fare alcune considerazioni , sia per mostrare , come vuole Jean-Bernard Pouy , che " l’attitudine politica a scegliere il male minore è una puttanata etica ", sia per criticare l’impianto del materialismo dialettico , sia per demistificare le istanze pseudo-rivoluzionarie dei " neo-Sinistroidi " .

Intanto , conviene fare un breve excursus storico sulle diverse concezioni della morale e dell’etica .

Fermando l’attenzione sul pensiero pre-moderno si evince che quest’ultimo si basa prevalentemente sull’eudemonismo (felicità) . Difatti numerose dottrine etiche muovono dal presupposto che la ricerca della felicità sia una tendenza connaturata dell’uomo . Per l’edonismo essa si identifica con il piacere immediato ; per Socrate con la virtù , intesa come dominio razionale degli impulsi ; per l’epicureismo con il piacere stabile , che equivale ad assenza di turbamento .

Senza entrare nei dettagli , si può sostenere che nel pensiero moderno , in particolare a partire da Hume , la nozione di felicità viene acquistando una dimensione sociale , nel senso che al posto dell’autosufficienza del saggio subentra l’esigenza altruistica dell’appagamento dei bisogni nel maggior numero di uomini .

Assodato che il conatus della liberazione non può discendere né dalla tautologia uomo-ragione , né dal cosiddetto ottimismo della ragione , né dall’idea di una sintesi generale , giova ricorrere a Nietzsche , che rigetta il fondamento stesso dell’etica , esprimendo al tempo stesso la necessità di una trasvalutazione di valori . In breve , contro la metafisica del "risentimento " , contro tutte le morali che reprimono l’originaria potenza vitale , Nietzsche proclama il suo "vangelo naturalistico ". Al di là delle diverse interpretazioni del pensiero nietzschiano , dunque , Nietzsche rimane un filosofo della liberazione , vuoi perché esalta la materialità e la corporeità dell’uomo , vuoi perché rifiuta ogni processo di massificazione , vuoi perché , negando le maschere della rinunzia , egli esalta sempre l’esplosione gioiosa dell’energia vitale .

Preso atto che la complessità del pensiero nietzschiano meriterebbe un approfondimento , ritengo che , per coniugare i conatus individuali e collettivi , sia imprescindibile un riferimento all’etica della liberazione spinoziana . E ciò soprattutto perché , come sostiene Antonio Negri , egli è agli antipodi della trinità Hobbes , Rousseau ,Hegel . A questo proposito G. Deleuze osserva che Negri " rinnova la comprensione dello spinozismo ", proponendo " un’evoluzione di Spinoza : da un’utopia progressista a un materialismo rivoluzionario ". In quest’ottica " l’antigiuridismo" e l’etica creano le basi per una costituzione politica , intesa non già come utopia della costituzione ideale , ma come " filosofia dell’avvenire " . Altrimenti detto , " l’alternativa spinoziana non riguarda la definizione di borghesia ma l’essenza della rivoluzione – il carattere radicale della liberazione del mondo " ( A. Negri ) .

Etica hegeliana ed etica spinoziana sono , dunque , inconciliabili . Basti pensare che per Hegel dal superamento delle opposte astrattezze del diritto e della morale emerge l’eticità , nella quale l’interiorità individuale vive in perfetta consonanza con le norme e gli ideali della comunità . I limiti biologici della famiglia e quelli economici della società civile , tenuta insieme dal connettivo della produzione e dello scambio , vengono superati nella concretezza del momento supremo dell’eticità , che è lo Stato . Quest’ultimo diviene così lo " spirito vivente " , il " Dio reale " entro il quale soltanto l’individuo realizza compiutamente se stesso" . Al contrario l’anomalia spinoziana apre all’avvenire , perché spinge a rimuovere sia la funzione trascendentale della dialettica kantiana , sia tutte le forme di idealismo e di trascendentalismo . Insomma , " Spinoza assume il progetto costitutivo come progetto strutturale, ontologicamente efficace " ( A. Negri ) .

Tengo a precisare che se insisto su alcune problematiche è perché sono fermamente convinta che la barbarie postmoderna richiede l’assunzione di una responsabilità etica radicale e sovversiva .

In altre parole , per resistere al mondo , per rigettare i complessi meccanismi di dominio, come vuole Jean –Bernard Pouy ," Spinoza deve inculare Hegel " . L’autore citato , infatti , nel romanzo " Spinoza incula Hegel " , descrive in modo surreale la lotta tra Spinoziani ed Hegeliani . Ciò che emerge è l’impossibilità di ogni tipo di comunicazione tra le due fazioni in lotta , tant’è che gli Hegeliani vengono definiti "banda putrescente ".

Vibrante e suggestiva è la conclusione del romanzo , quando Julius- Spinoza afferma : " Il tempo è bello- Sto bene – Spinoza si agita nelle mie vene – L’etica si riprende i suoi diritti".

Se la potenza etica spinoziana indica una prassi politica radicale e sovversiva , è altresì vero che , oggi , per via della complessità del contesto , le forme variegate della liberazione incontrano non pochi impedimenti . E ciò è da attribuire anche ai mentitori pseudo-rivoluzionari , che ripropongono , sia pure in versione aggiornata , le coordinate di un volgare populismo demagogico .

Di più : si registra anche il persistere di un marxismo rigido e deterministico . Ciò esige una rivisitazione del pensiero marxiano , per mettere in luce che esso presenta rotture , cesure e biforcazioni . Il che , ovviamente , dovrebbe promuovere una decostruzione critica sull’impianto del marxismo ortodosso, elaborato alla fine del XIX secolo e istituzionalizzato dai partiti-Stato comunisti dopo il 1931 e il 1945 .

A questo proposito Etienne Balibar osserva che il problema è duplice ." Da una parte , l’opera di Marx è incompiuta . Questa incompiutezza è anche da attribuire ad " un’attitudine intellettuale di costante rimessa in discussione , che portava l’autore a " rilavorare " i suoi concetti piuttosto che terminare i suoi libri " . Inoltre , aggiunge Balibar , che l’edizione delle opere complete di Marx ed Engels è stata brutalmente interrotta : una prima volta negli anni Trenta , quando il regime staliniano ha liquidato l’impresa ; una seconda volta con il crollo del socialismo reale in Urss e Rdt . La scelta di tale o tal’altra edizione non è dunque affatto neutra : accade sovente che sotto lo stesso titolo non si abbia a che fare in realtà con lo stesso testo .

Ma vi è di più : sarebbe bene rimuovere sia l’economicismo della II e III Internazionale , sia il messianismo . Inoltre , per riflettere ancora sul marxismo ortodosso , giova ricorrere a Walter Benjamin , che nel suo ultimo testo , le Tesi di filosofia della storia del 1940 , parla di uno "storicismo" marxista che sarebbe il tentativo di far riassumere agli oppressi la visione continua e cumulativa , caratteristica dei dominanti o dei " vincitori " , rassicurati di " navigare nel senso della corrente " .

Questa critica si rivela efficace ed illuminante per ridimensionare il progressismo marxista e le varianti riformiste e " rivoluzionarie " .

Insomma , soprattutto nella fase odierna , non si può subordinare il processo storico ad una teleologia preesistente . D’altra parte , come Marx ci ha insegnato , non può esservi altra politica marxista di quella che sorge dal movimento storico stesso .

In breve , rigettando la vena positivistica del marxismo , occorre conferire a Marx " il posto di insuperabile "traghettatore ….Non un ritorno al Marx autentico o codificato in una presunta filosofia marxista , dunque , ma un viaggio con occhi nuovi nell’universo teorico marxiano , con le sue scoperte decisive , le sue contraddizioni , i suoi vuoti e i suoi pieni " ( E . Balibar ) .

Ciò significa che , per leggere il presente e per attivare processi autenticamente rivoluzionari, occorrerebbe assumere un pensiero eterodosso , atto a promuovere una vitale ricognizione materialistica . In altre parole , senza rinunciare al patrimonio ereditato , si dovrebbe ripensarlo in un’ottica altra , tenendo , però , sempre ferma l’etica rivoluzionaria della liberazione .

Da qui la necessità di respingere le strumentalizzazioni dei leader pseudorivoluzionari , che avvalendosi della ideologia dello spettacolo , esaltano una presunta filosofia della differenza .

In effetti , al di là delle ricorrenti banalizzazioni , i " sinistri " imprenditori di voti , si adeguano , sia pure in modo sotterraneo , al marketing delle differenze , che poi è parte integrante delle politiche neoliberiste .

Ma che cos’è il marketing delle differenze ? Rosi Braidotti afferma : " Le società tardo-industriali si sono dimostrate molto più flessibili e adattabili alla proliferazione delle "differenze differenti " di quanto si aspettava la sinistra classica . Queste differenze si sono trasformate e sono state costruite come " altri " spendibili sul mercato , oggetti di consumo commerciabili . Le nuove relazioni di potere disseminate e policentriche del post-industrialismo hanno prodotto un marketing delle differenze pluralistiche e la mercificazione dell’esistenza , della cultura , dei discorsi degli " Altri " in forma di consumismo . La cultura popolare è un attendibile indicatore di questa tendenza : si vende World music , vale a dire una sapiente mistura di esotico e locale , spesso attraverso una appropriazione romantica e neo-coloniale della differenza " .

Al di là , dunque , delle astratte teorizzazioni , nel mondo globalizzato anche le differenze vengono mercificate da processi di socializzazione coatta .

In effetti , i perversi meccanismi dell’assetto odierno , le variegate figure della produzione, la messa al lavoro dell’intellettualità di massa , le incorporee e impersonali forze del mercato , i mille piani della precarietà , la proprietà intellettuale , il controllo sociale dei corpi, dovrebbero spingere ad operare un netto distinguo tra apparenze di libertà ed effettive possibilità alternative .

Non senza ragione ,Z . Bauman , parafrasando Marx , sostiene che soltanto le falene considerano la lampadina di casa un sostituto soddisfacente del sole universale . Ne consegue che più le serrande sono abbassate , meno si vede il levare del sole .

Insomma , pur riconoscendo i dispositivi di liberazione del General intellect , per non coltivare ideali utopici , bisogna prendere coscienza che le forze prepotenti e subdole dell’ideologia globalista rendono sempre più problematica una prassi-progetto rivoluzionaria, anche perché dilaga una retorica movimentista , che è poi funzionale all’elettoralismo demagogico di sinistra .

Per costruire nuove cartografie, dunque , occorre praticare un pensiero critico ed eretico che sia all’altezza delle sfide del presente . Vero è che lo stato d’eccezione permanente si rivela assai complesso , vuoi perché persistono categorie legate alla società-fabbrica del fordismo , vuoi perché i pifferai della politica ufficiale non hanno gli strumenti adeguati per affrontare i cambiamenti epocali . Basti pensare al voto tedesco, che lucidamente Ulrich Bech definisce " il puzzle politico mai registrato nella storia " . Inoltre, il sociologo tedesco , in un’intervista su "l’espresso", sottolinea che le tensioni non attraversano solo la Germania , ma affiorano anche negli altri paesi europei ." La fluttuazione degli elettori , l’erosione dei partiti e della credibilità dei politici sono tipici fenomeni delle società moderne " . In breve , Bech evidenzia che i politici non sono all’altezza del compito , tant’è che manifestano un "eclatante ritardo mentale " . Il linguaggio dei politici e dei sindacalisti - aggiunge il sociologo - utilizza categorie da Zombie . Parlano di una realtà , quella degli Stati nazionali di un tempo , sepolta dalla realtà transnazionale dell’economia . Una nuova realtà che ha già trasformato eccome la vita quotidiana dei tedeschi , ma non ancora i tic mentali e linguistici dei politici .

Le osservazioni del sociologo citato confermano che le categorie dell’Ottocento e del Novecento risultano obsolete e fuorvianti . Il che dovrebbe spingere ad assumere nuove chiavi interpretative , che , ovviamente , richiedono un salto di paradigma culturale e politico .

Purtroppo , invece , si registra la presenza massiccia di Zombie-ciarlatani , e ciò si manifesta in modo eclatante nel nostro paese .

Senza entrare nei dettagli delle ricorrenti banalizzazioni , vorrei fermare l’attenzione sul funzionale ripristino della legge proporzionale . Intanto, va detto che né il mattarellum elettorale italiano , né il guazzabuglio berlusconiano possono essere percepiti come alternative di sistema . Sicché , al di là del bla bla dell’Unione , per demistificare l’incoscienza delle credenze , conviene ricordare che il seduttivo parolaio del Prc chiede da sempre un ritorno al proporzionale . Ciò dovrebbe promuovere una seria riflessione sulle motivazioni che , paradossalmente , avvicinano le posizioni di Berlusconi con quelle del Bertinotti- pensiero .

Tengo a precisare che se insisto sovente sulle robinsonate di questo personaggio è perché sono fermanente convinta che la sua retorica movimentista e il suo funzionale funambolismo possono distorcere la percezione dei fatti . Vero è che basterebbe analizzare con spirito critico le palesi contraddizioni dei postulati bertinottiani per prendere coscienza che essi si rivelano non solo obsoleti , ma anche che sono decisamente demagogici e opportunistici . Per torcere il collo all’ottimismo , dunque , è bene riconoscere una scabra verità , ossia che il personaggio suddetto oscilla tra statualismo e movimentismo , tra logica della concertazione e posizioni pseudo-rivoluzionarie, tra aperture compromissorie e presunti rigurgiti marxisti , tra reality show e un malinteso terzomondismo . Inoltre , sarebbe opportuno ricordare che proprio Bertinotti ha concesso al governo Prodi di introdurre il lavoro interinale in affitto e precario .

Stando così le cose , giova rilevare che tutte le formule elettorali risultano riduttive rispetto alla complessità del reale , perché solo una prospettiva politica significativa e radicalmente alternativa può rigettare la manipolazione mediatica della società . Altrimenti detto , la dicotomizzazione tra schemi maggioritari e presunti schemi consensuali risulta nell’attuale fase storica impropria e artificiale .

Ma cos’è accaduto perché si giungesse a questo punto ? E’ successo che il capitalismo ha cambiato statuto , sicché , mentre precedentemente esistevano alcuni paletti che ne sublimavano gli effetti , oggi , con il capitalismo globalizzato ,la frenesia del proprio esplicarsi non conosce più limiti .

Si pone , quindi , ancora una volta lo storico quesito : che fare? Innanzitutto , a mio avviso, per superare l’inquietante stato d’eccezione, occorrerebbe rivisitare i Commentari della società dello spettacolo di Guy Debord . " Il progetto di Marx – scrive Debord – è quello di una storia cosciente . Il quantitativo che sopraggiunge cieco delle forze produttive semplicemente economiche deve trasformarsi in appropriazione storica qualitativa " .

Da qui la necessità di ricordare il messaggio dantesco che così recita : " Qui si convien lasciare ogni sospetto / Ogni viltà convien che qui sia morta " .

Partendo da queste premesse conviene constatare che , al di là delle periodiche esplosioni di protesta , lo scenario globale evidenzia la debolezza di un’etica autenticamente rivoluzionaria .

D’altra parte ," anche gli accalorati discorsi movimentisti sugli altri mondi mostrano la corda negli intervalli fra una scadenza e l’altra . Pervertendo un solenne ammonimento di Heidegger : il progettare non è un guardare a bocca aperta il possibile . Il futuro anteriore , in certi slogan , rischia di scadere a canzone da organetto . " ( A . Illuminati ) .

Si dovrebbe , quindi , respingere la visione ottimistica che la storia sia la levatrice del meglio , anche perché le promesse di nuovi inizi non riescono a diventare prassi politica alternativa .

Basti pensare all’osceno gioco delle primarie , alla devastante personalizzazione della politica, alla deriva leaderistica , alle forme aberranti del plebiscitarismo , alla distorsione del cosiddetto voto popolare . Il fatto paradossale è che, pur emergendo questi elementi , si continuano a percepire le primarie come un vitale strumento democratico . In effetti , al di là delle suggestioni indotte da un fast food culturale davvero riprovevole , esse rappresentano l’opacità regressiva del concetto di democrazia diretta . Tutto ciò spinge a riflettere sul candidato senza volto con il passamontagna arcobaleno , anche se alcune scelte vanno sempre contestualizzate nel permanente stato d’eccezione .

A questo proposito Marco Ferrando , leader della minoranza trotzkista del Prc , ha osservato : " Le primarie sono funzionali al recupero della concertazione , dunque di fatto alla messa fuori gioco delle lotte e dei movimenti di questi ultimi anni . E’ significativo , ed è anche grave , che alcune leadership dei movimenti accettino il ruolo di comprimari in questo gioco " . Concordo in parte con le considerazioni di Ferrando , perchè credo che la presentazione del candidato senza volto sia solo un tentativo per smuovere il pantano putrescente della politica ufficiale .

Intanto, è evidente che il dissenso emerge anche all’interno del Prc , e ciò si evince anche dalle dichiarazioni di Salvatore Cannavò , leader di Erre , altra area di minoranza .

In effetti , una parte del discorso di Cannavò destabilizza . Mi riferisco alla seguente affermazione : " Io credo che alla fine quasi tutti voteranno per Bertinotti , che comunque è il segretario".

Questa conclusione merita , a mio avviso , un’attenta riflessione sulla forma-partito e sui diversi significati della militanza . Innanzitutto , va detto che " annullarsi volontariamente nel servizio del Partito sfiora l’esperienza mistica ".( A . Illuminati ). Inoltre , per evitare un ritorno al passato , va rilevato che " l’identificazione con il dirigente di vertice rappresenta la tragedia dei movimenti di massa del XX secolo ".

Evidentemente le dure lezioni della storia non insegnano alcunchè , dal momento che , pur essendo palese la corruzione della partitocrazia , persistono vecchi schemi di militanza .

Fatte queste doverose precisazioni , ritengo che sia opportuno porre i seguenti interrogativi : come rendere efficaci i paradigmi fordisti della militanza ? Come sconfiggere lo stato bellico globale ? Come rifiutare il modello dell’avanguardismo ? Come superare l’angusto impianto paradigmatico della rappresentanza e dello statualismo ? Come liberare il conatus del comune ? Per rispondere ai quesiti posti , penso che sia utile decostruire criticamente il passato e analizzare in modo adeguato il presente . Per quanto concerne la militanza , A. Illuminati osserva : " Negli anni Trenta fordisti , gli schemi di militanza popolo , organizzazione , culto del capo si assomigliano molto a destra e a sinistra . I deviazionisti condannati morivano gridando Viva Stalin o Viva Hitler …..la logica dell’avanguardia la poneva alla testa delle masse e al rimorchio del corso storico " . Alcuni schemi vanno , quindi , rimossi , sia perché inattuali , sia perché essi hanno contribuito ad ostacolare la militanza del comune . A ciò va aggiunto che i principi della rappresentanza e dello statualismo non possono appartenere ad un’etica rivoluzionaria . A questo punto , per mostrare l’obsolescenza di alcune categorie , vorrei fermare l’attenzione sullo stato permanente d’eccezione . Ciò è di basilare importanza per comprendere che l’epoca della " socialità liquida" non consente né il compromesso tra capitale e lavoro , né la rivisitazione del tradizionale paradigma statuale della sovranità . Difatti , la realtà fattuale mostra che i nuovi meccanismi monetari e finanziari , la nuova sovranità globale ,la sovrapposizione tra lavoro e vita , la deterritorializzazione della produzione , l’atomizzazione delle condizioni lavorative , l’inclusività imperiale , impongono nuove griglie interpretative .

Intendiamoci , il capitalismo , per via della sua intrinseca struttura , tende sempre a sconvolgere il contesto sociale , ma bisogna riconoscere che l’assetto odierno manifesta di fatto tratti decisamente inediti .

Per verificare la pertinenza di queste chiavi di lettura è bene focalizzare gli elementi di rottura del postfordismo .

Una sommaria ricostruzione storica mostra che tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 , lo spazio planetario della globalizzazione prende corpo , liberando così gli spiriti animali del capitalismo da ogni vincolo . In altre parole , mentre l’organizzazione fordista consentiva il compromesso tra capitalismo e democrazia parlamentare , con il postfordismo , invece , l’equilibrio , peraltro precario , si è rotto . Lo spazio extraterritoriale della lex mercatoria , infatti , ha vanificato ogni tentativo di conservare il Welfare State e di legittimare diritti consolidati . Ma c’è di più , il nuovo assetto ha prodotto la putrefazione della politica, l’insufficienza delle politiche keynesiane-fordiste , la metamorfosi mediatica della rappresentanza ,uno spazio pubblico sconvolto e manipolato dagli apparati tele- mediatici, la crisi del parlamentarismo e della sovranità statale . Per quanto concerne quest’ultima , penso che sia opportuno evitare di cadere nelle trappole passatiste , anche perché essa rappresenta di fatto la trascendentalizzazione del potere. Non va poi sottovalutato il dettaglio che " il giovane Stato moderno è in tutto e per tutto confessionale e usa a piene mani la regola cuius regio eius religio a scopi di generale disciplinamento sociale" (Luciano Ferrari Bravo ) .

Bisogna ricordare , inoltre , che " la formazione dell’edificio giuridico si è fatto intorno al personaggio del re , su domanda e a profitto del potere reale " ( M . Foucault ) .

Ne consegue che " nella società moderna i due piani della disciplina e della sovranità vengono ad incontrarsi ". Difatti , aggiunge Foucault , " sovranità , disciplina , legislazione , diritto della sovranità e meccanismi disciplinari sono due parti costitutive dei meccanismi generali di potere nella nostra società …. Il nuovo diritto , pur essendo antidisciplinare dovrebbe essere affrancato dal pricipio di sovranità " .

Il problema della sovranità rimane dunque aperto , soprattutto perché nel contesto odierno le commistioni tra società di controllo e sovranità globale generano uno stato di guerra permanente .

Vero è che , pur constatando la crisi della sovranità , e pur rilevando che la testa del re-sovrano vacilla , bisogna riconoscere che la decapitazione risulta problematica , sia per la pervasività della governance imperiale , sia perché manca una soggettività politica che sia in grado di intervenire chirurgicamente sulla situazione esistente .

Da qui la necessità di porre alcuni interrogativi : come ritrovare il filo di una pratica rivoluzionaria? Come superare una visione dogmatica e settaria ? Come rendere incisive le capacità di invenzione , di comunicazione di immaginazione ? Quale modello di resistenza può sortire effetti davvero efficaci ? Per tentare di rispondere a questi quesiti , conviene valutare lo stato d’eccezione . Il che esige sia un rovesciamento di prospettiva , sia un progetto radicale di sovversione . Ciò significa che invocare , sic et simpliciter , il superamento del capitalismo risulta riduttivo . Non senza ragione E . Balibar sostiene che " rivoluzionaria è l’alternativa non l’anticapitalismo ". Bisogna , dunque , respingere un modello di resistenza che si fonda esclusivamente sulla forza-lavoro , vuoi perché esso rivisita la logica dell’economicismo , vuoi perché esso tende a percepire la lotta di classe secondo le categorie dell’Ottocento e del Novecento . Per quanto concerne la "teoria " della non-violenza, tanto cara a Bertinotti , va detto che " l’alternativa stessa tra pacifismo e azione violenta diventa ridicola quando la sola violenza accettabile è quella che difende il progetto di pace contro tutti gli aggressori " ( Sergio Ghirardi ) .

In effetti , al di là delle opposizioni fittizie , al di là dell’impostura demagogica dei neo-sinistroidi , si dovrebbe mettere in forma la politica della vita e dei desideri .

Assodato che tutte le istanze liberatorie non possono che essere extramercantili ed extrastatali , è bene rimarcare che sarebbe auspicabile una dirompente militanza del comune.

Vero è che a partire da Seattle i movimenti hanno materializzato una nuova e creativa militanza . Purtroppo , però , il tessuto connettivo della rivolta non riesce a delineare una prospettiva autenticamente rivoluzionaria , né riesce a mettere in forma la militanza del comune .

D’altra parte , ciò non può stupire , perché " il concetto di moltitudine contiene la gioiosa singolarità terrena quanto la sua correlativa e costitutiva incompletezza " ( A . Illuminati ). L’irriducibile singolarità dei molti incorpora , dunque , la privazione , e ciò spiega gli atteggiamenti ambivalenti , oscillanti , variabili .

Il che non consente di alimentare un eccessivo ottimismo , sia perché il demone della politica di Palazzo serpeggia velenoso all’interno dei movimenti , sia perché sembra che si stia operando una perniciosa confusione tra etica della liberazione e un’ambigua trasgressione , sia perché coesistono protocolli codificati della politica e sperimentazioni alternative .

Questa inedita dinamica implica non solo lotte frammentate e intermittenti , ma anche l’utilizzazione degli strumenti della politica ufficiale .

A questo punto , nella convinzione che la via dell’inferno è sovente lastricata di buone intenzioni , penso che sia opportuno fare alcune osservazioni . Altrimenti detto , si dovrebbe riflettere sulle presunte utilizzazioni della politica ufficiale , anche perché questo modus operandi non ha sortito effetti positivi , la corruzione e il sostanziale fallimento del governo Lula docent .

Assodato , dunque , che i mentitori sono i peggiori nemici dell’etica rivoluzionaria della liberazione , occorrerebbe inventare un agire politico altro , nella consapevolezza che solo un progetto di sovversione può impedire che i desideri si trasformino nel loro contrario .

Il che rimanda al problema dell’ esodo e della diserzione .

Marco Bascetta afferma che il disertore si rivela una figura potentemente morale ." Essa – aggiunge Bascetta - è una espressione del conflitto irriducibile , latente o dichiarato , tra governanti e governati , tra immanenza e trascendenza , tra moltitudine e popolo ….Tanto che nessuna rivoluzione , nessun movimento di resistenza , nessuna lotta di liberazione risulterebbe in fondo pensabile senza mettere in gioco la figura del disertore , lo scarto che essa rappresenta ".

La diserzione ,dunque , pur non delineando un progetto politico , rompe con tutti gli schemi codificati , con tutte le mediazioni e i compromessi della sovranità , con tutte le ortodossie.

Ciò significa che la diserzione è intrinsecamente connessa alla militanza del comune .

Quest’ultima , va precisato , per via della sua potenza dirompente , non può essere confusa con l’etica del suicidio-omicida , né con la militanza comunista , né con la militanza della forma-partito . In breve , la militanza del comune ripropone perennemente un progetto di liberazione .

Ma per evitare di ridurre il concetto di rivoluzione a strumento spendibile sul mercato politico , conviene insistere sull’argomento . Da qui l’esigenza di operare un distinguo tra "Rivoluzione " e " Rivolta " .

La rivoluzione implica il mutamento radicale della società , delle istituzioni pubbliche e dei rapporti economici . Il termine "rivolta ", invece , rimanda sovente ad azioni eversive prive di basi ideologiche . Tali furono le ribellioni nell’epoca antica e medievale , quando gli schiavi , i plebei si ribellarono , pur non avendo una consapevolezza ideologica . Illuminante a questo proposito è l’affermazione di Aristotele : gli inferiori si ribellano per poter essere uguali e gli uguali per poter essere superiori ".

Dal XVII secolo , invece , la borghesia fu protagonista di vere e proprie rivoluzioni , basti pensare alle rivoluzioni del 1789 , 1830 e 1848 .

A questo punto penso che non si possa prescindere da un riferimento al barbuto di Treviri . Si può sostenere che Marx manifestò due concezioni di rivoluzione : nel "Manifesto " espresse una sorta di volontarismo rivoluzionario ; successivamente attribuì maggiore importanza alle condizioni " strutturali " che preparano la rivoluzione popolare .

Inoltre , giova ricordare che Lenin rimarcò il ruolo degli ideologi rivoluzionari affermando : " Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere un movimento rivoluzionario ; solo un partito guidato da una teoria d’avanguardia può adempiere la funzione di combattente d’avanguardia ".

In effetti , l’esaltazione della logica dell’avanguardia va ripensata , vuoi perché appartiene alle categorie del XX secolo , vuoi perché il leninismo ha contribuito a produrre uno Stato burocratico e gerarchico .

Pertanto , senza eliminare il bambino e l’acqua sporca , ritengo che un’autentica etica della liberazione debba rimuovere ogni forma di ortodossia e di materialismo volgare .

Da qui la necessità di evidenziare il rapporto antinomico tra bio-potere (il potere sulla vita) e bio- politica (il potere per la vita ) .

Per quanto concerne il problema della sovranità uno dei promotori della liberazione , ossia Nietzsche, afferma : " Onorare anche ciò che è cattivo e dichiararsi in suo favore quando piace e non avere idea del come ci si possa vergognare del proprio piacere , è la caratteristica della sovranità nelle cose grandi e piccole ".

Ovviamente le demistificazioni non si fermano qui , infatti , il filosofo affronta le problematiche relative allo Stato , alla massa , al partito .

Nietzsche sostiene : quando un partito si accorge che uno dei suoi appartenenti , da seguace incondizionato che era , è diventato un seguace condizionato , ne è talmente contrariato , che cerca ogni sorta di provocazione e mortificazioni di spingerlo a una decisa defezione e di farsene un nemico : giacchè ha il sospetto che l’intenzione di vedere nella sua fede qualcosa di relativamente valido, che ammetta un pro e un contro , un pesare e un distinguere , sia più pericoloso di una opposizione radicale " . Di più : ogni partito cerca di presentare come non importante ciò che di importante è cresciuto fuori di sé ; ma se non gli riesce , lo avversa con tanta più asprezza , quanto più è eccellente-( "Umano troppo Umano ") .

Queste illuminanti considerazioni sembrano calzare con la storia dei partiti comunisti e con le dinamiche del socialismo reale . Ciò significa che la soppressione della critica , le campagne diffamatorie nei confronti di nemici veri o presunti , le espulsioni e via dicendo , concorrono a mostrare che sovente la militanza del comune è stata fagocitata dalle politiche di regime e dagli eterni meccanismi di dominazione .

Considerato l’argomento penso che per attivare le possibilità interrotte non si possa prescindere da un breve riferimento alla rivoluzione cubana . In tal senso risultano estremamente significative le considerazioni del Che antisovietico Il grande rivoluzionario, infatti , denunciando la corruzione del sistema , già nel 62 , afferma : " I comitati di difesa della rivoluzione sono stati ridotti a un covo di opportunismo e a volte si è fatto ricorso alla tortura " .

Pertanto , per scongiurare il pericolo di seguire l’iter delle rivoluzioni tradite , penso che sia lecito fermare l’attenzione sul concetto di " massa " .

A questo proposito Nietzsche scrive : " La massa o è massa di manovra nelle mani di grandi uomini o è massa di resistenza contro le loro azioni " .

In effetti , al di là delle violente semplificazioni , il concetto di " massa " si rivela estremamente ambiguo e ambivalente , sia perché esso tende a oggettivare le singolarità , sia perché le suggestioni indotte possono incrementare la pulsione gregaria , sia perché le masse sono sovente condizionate dal narcisismo del " capo " .

" In una certa tradizione comunista- scrive Marco Bascetta – ad esempio nel maoismo , massa ha assunto , invece , il significato di un soggetto storico più simile a quello di popolo . Anche se in questa tradizione ideologica , il trasferimento di sovranità si proponeva di chiudere il cerchio ritornando alle masse : dalle masse alle masse , recitava il catechismo delle guardie rosse . Sappiamo che il cerchio non si è mai chiuso " .

In realtà , se vogliamo passare a contropelo il passato dobbiamo necessariamente decostruire criticamente la storia delle rivoluzioni tradite .

Per schivare ulteriori inganni , dunque , occorrerebbe rimuovere ogni doppiezza ideologica e ogni opinabile manicheismo , per scavare a fondo nella fenomenologia dei conflitti odierni e per prendere coscienza che , oggi , l’azione collettiva va ripensata .

D’altra parte , la dissoluzione del concetto di popolo , la crisi della rappresentanza , la governance imperiale , le dinamiche complesse del lavoro postfordista , evidenziano che un ritorno al passato è inattuabile e inattuale .

Rigettando , quindi , le interpretazioni dietrologiche e , al tempo stesso , ridimensionando ogni visione escatologica , conviene rimarcare che la valorizzazione dell’intelletto pubblico postfordista offre condizioni di possibilità alternative, soprattutto perché alimenta la potenza collettiva del comune .

Attenzione , ciò non significa che la moltitudine postmoderna sia la la panacea di tutti i mali . Difatti , i molti , essendo nel contempo scissi e potenziati , non convergono né in una volontà generale , né generano automaticamente una soluzione politica . Inoltre , per mitigare facili entusiasmi va detto che , oggi , " la costruzione dell’antagonismo è sempre insidiata dalla diluizione consumistica , neolavoristica e mediatica e ancor più da un mix di populismo e aggressione frontale " ( A . Illuminati ) .

Ciò rimanda al concetto di militanza e ai tratti peculiari dei movimenti . Intanto , per evitare di enfatizzare alcune categorie , conviene precisare che il militante non deve rinunciare alla sua singolarità convergendo nella massa , perché così facendo si consolida una personalità gregaria e settaria . Vero è che nel contesto odierno questa forma di aggregazione risulta superata , vuoi perché il postfordismo incrementa il marketing delle differenze , vuoi perché il nuovo paradigma produttivo valorizza l’uso dei saperi , degli affetti e delle relazioni , vuoi perché la filosofia della differenza rifiuta radicalmente la massa , intesa come agglomerato di individui , vuoi perché i movimenti tentano di risolvere i problemi di discriminazioni di genere .

D’altra parte , già a partire dal 68 i movimenti hanno rotto con la tradizione comunista , con la logica amico-nemico , con le regole della politica ufficiale . Va aggiunto che oggi le pratiche di sottrazione e di rifiuto assumono un carattere ancor più radicale . Altrimenti detto, le nuove soggettività individuali e collettive rigettano le gerarchie del potere e cercano, sia pure in modo problematico , un’apertura al divenire .

Questa nuova cartografia , dunque , richiama le dinamiche del collettivo .Quest’ultimo , per via delle sue peculiarità, non può essere confuso né con la massa , né con una forma di organizzazione verticale e gerarchica .

Ma per esplicitare in modo esaustivo il concetto di collettivo conviene riportare le considerazioni di Gilbert Simondon . L’autore testè citato scrive : " Il vivente è attore e teatro di individuazione ; il suo divenire è una individuazione permanente , o piuttosto una sequenza di accessi di individuazione che procedono di metastabilità in metastabilità . L’individuo non è , quindi , né sostanza né mera parte del collettivo : perché il collettivo è risoluzione della problematica individuale , bisogna ritenere che la base della realtà collettiva sia già parzialmente contenuta nell’individuo , con le sembianze della realtà preindividuale sempre associata alla realtà individuata " . L’entrata nel collettivo va , dunque , concepita come una individuazione supplementare , che contiene una carica di natura preindividuale.

A questo punto , è lecito porre alcuni interrogativi : le insorgenze esuberanti dei movimenti , pur inglobando una realtà preindividuale , riescono a generare un nuovo lessico della politica? Le componenti variegate delle moltitudini postmoderne incorporano la materia comune ? I militanti postfordisti incarnano la militanza del comune ? In effetti , la complessità della società del rischio e del controllo non consente di formulare giudizi assoluti . In altre parole, le istanze del comune si manifestano ma in modo piuttosto contraddittorio .

Il comune postfordista , infatti , oscilla tra defezione e opportunismo , tra trasgressione e trattativa . Ciò significa che i tentativi di entrare negli intestizi dell’assetto sistemico , le infiltrazioni molecolari e via dicendo , sono di fatto parte integrante del General intellect postfordista .

Insomma , la negoziazione rappresenta solo un modo per sottrarsi al potere repressivo della società del controllo . Se ciò è comprensibile è altresi vero che questa pratica implica la trattativa con i ciarlatani di Palazzo . Il che rende piuttosto opaca l’etica rivoluzionaria della liberazione , vuoi perché i meccanismi si sussunzione sono sempre in agguato , vuoi perché sovente le istanze alternative vengono manipolate dalla demagogia elettorale .

In realtà , la militanza postfordista si rivela assai complessa , sicché affermare sic et simpliciter che essa incorpora l’idea assoluta e positiva della moltitudine spinoziana risulta piuttosto azzardato . Pur riconoscendo, quindi , la dimensione collettiva dell’intelletto pubblico, occorre ribadire che esso contiene anche ambiguità e ambivalenza .

D’altronde , non si può sottovalutare il fatto che " il modo di produzione oggi dominante mette al lavoro esattamente questa dimensione collettiva , questa interazione tra i molti , questa potenza della cooperazione con tutte le generiche facoltà che vi sono coinvolte nelle loro molteplici incarnazioni individuali " ( M . Bascetta ) .

In una situazione siffatta , dunque , la coscienza eccedente offre condizioni di possibilità , ma non garantisce il riscatto del presente .

Inoltre , per ridimensionare l’entusiasmo utopico, giova evidenziare che il linguaggio alter-global , peraltro piuttosto omologato , viene sovente strumentalizzato e mistificato sia dalla demagogia commerciale , sia dalla retorica dei politicanti .

In breve , la commistione di diversi elementi , lo stato d’eccezione , l’insignificanza della politica ,l’incertezza costruita su misura , non consentono di percepire il General intellect come " la pietra filosofale della capacità costituente della moltitudine " .

Queste considerazioni , pur rigettando il pessimismo radicale , intendono sottolineare che il militante postfordista incorpora una sorta di " negativo intrinseco ". Nonostante ciò , penso che l’assunzione di una forte responsabilità etica potrebbe sortire effetti positivi , a condizione , però, che si prendano le dovute distanze da tutti i meccanismi di assoggettamento . Solo partendo da queste premesse i movimenti potranno delineare un orizzonte propositivo . Insomma , occorrerebbe valutare attentamente l’opportunismo , perché di fatto le trattative con i Rutelli , i Prodi e i Bertinotti , possono solo inficiare l’etica rivoluzionaria della liberazione .

Di più : per quanto concerne un certo donchisciottismo di sinistra va aggiunto che esso caldeggia la logica di partito , e così facendo percepisce il momento elettorale come decisivo .

Eppure , un’analisi controfattuale mostra che , una volta sconfitto il berlusconismo , non si prospetta sicuramente l’Eden .

Per "spazzolare la storia contropelo " bisogna ricordare che il patto sociale Treu è stato approvato anche da Bertinotti . E poi non è forse vero che , sia pure in senso peggiorativo, la legge Bossi-Fini è di fatto la continuazione della legge Turco-Napolitano ? E non è forse vero che la scuola-azienda della riforma Moratti è la prosecuzione della riforma Berlinguer ? Ma c’è di più , oggi la sinistra si scaglia contro i Cpt , dimenticando che essi sono stati istituiti da un governo di centro-sinistra . Inoltre , sempre per evitare fuorvianti rimozioni , va precisato che la mattanza di Genova è stata preceduta da quella di Napoli .

Ciò detto , constatando che le primarie si rivelano non solo una eclatante rappresentazione dell’aria fritta , ma anche una forma perversa di democrazia diretta , ritengo che sia opportuno fermare l’attenzione sulle robinsonate di alcuni leader .

Prodi , ossia una figura emblematica della regressione politica , avvalendosi di un concetto assai opinabile di democrazia , ha affermato : " Chi vince farà il programma ".

Ma il chiacchiericcio grottesco e patetico è andato oltre ogni limite , infatti , tutti i mercanti della politica-spettacolo hanno gareggiato in astuzia per vendere la loro merce avariata .

Bertinotti , tipico esempio di acrobatismo politico , ha riproposto " il superamento della società capitalistica " , lanciando al tempo stesso il seguente appello : " Proviamo a fare di queste primarie un’occasione di un nuovo protagonismo e impegno politico".

Piero Fassino ha risposto ai postulati bertinottiani dicendo : "Non credo che il problema dell’Unione sia quello di spostarsi a sinistra , ma quello di avere un programma credibile per la maggioranza degli italiani . Per vincere – ha aggiunto Fassino – dobbiamo allargare i consensi elettorali , sia richiamando al voto gli astenuti , sia chi ha votato a destra e chi è stato deluso ".

Apparentemente le dichiarazioni dei due leader sembrano proporre visioni politiche contrapposte . Ma è così ? In realtà , al di là delle rappresentazioni della politica-spettaccolo , emerge sempre una logica elettoralistica , anche se essa sovente viene camuffata da una retorica fumosa e da un suggestivo populismo .

Per farla breve , invocare il superamento della società capitalistica , prescindendo dalla complessità della società globalizzata , significa solo formulare concetti vaghi e insoddisfacenti , che, ovviamente , sul piano della prassi risultano privi di senso .

In effetti , l’assoluta mancanza di un progetto politico , l’ambiguità delle presunte alternative programmatiche , l’assenza di un principio di realtà politica , il persistere di un obsoleto provincialismo , i riti di istituzione per designare un candidato già scelto , hanno mostrato il volto inquietante di un marketing elettorale basato esclusivamente sul puro impatto mediatico .

Ma per promuovere una serrata critica dell’esistente penso che sia necessario insistere sul reality show della sosiddetta sinistra radicale . Mi riferisco alla retorica seduttiva di Bertinotti e di Pecoraro Scanio .

Entrambi hanno dichiarato che " hanno in animo non di rappresentare , ma quantomeno di fare da portatori sani di temi come la pace e il rifiuto dei Cpt " .

Come tutte le imposture , anche questa non regge .Difatti , i presunti portatori sani hanno rimosso alcuni dettagli , ossia che essi non solo sono immersi nella palude miasmatica della politica ufficiale , ma anche che entrambi operano con una disinvoltura davvero sconcertante. .

In breve , questi imbonitori da salotto , questi zombie mediatici , truccati e coperti di luccicanti lustrini , suggellano solo un far credere , che , però , conferma il degrado culturale e politico .

A questo punto , penso che sia doveroso un riferimento al candidato senza volto , anche perché questa scelta non può essere considerata una alternativa costituente . A ragion veduta , "Carta " sostiene che" tutto questo avviene spesso subendo linguaggi , riti ed opportunità della politica dei partiti , che hanno soprattutto preoccupazioni elettorali , tattiche e concorrenza reciproca " . Personalmente non solo concordo con queste considerazioni , ma condivido anche la proposta " di creare un nuovo spazio pubblico , aperto ai movimenti e alle reti sociali , e chiuso a quei linguaggi e a quei riti " . Vorrei precisare , però , che , per evitare forme di leaderismo precostituito, sarebbe opportuno partire dalle possibilità offerte dai movimenti . Inoltre, vorrei aggiungere che per liberare i linguaggi sequestrati dai poteri , occorrerebbe creare nuovi cantieri della democrazia , intesi sia come laboratori di invenzione istituzionale , sia come costituzione multilaterale del governo globale, sia come spazi fecondi di una critica sociale collettiva . Insomma , per superare lo spettacolo farsesco dei ciarlatani di Palazzo , bisogna rimarcare che una politica altra non può discendere né dalle formule elettorali , né dalle verità rovesciate dello spettacolo politico-mediatico, né dal localismo dei cosiddetti governatori , che peraltro moltiplicano le consulenze, gli apparati e le autoblù . Intanto , mentre dilagano banalizzazioni , manovre, illusioni populistiche e autoinganni , alcuni leader invocano la ricostruzione di un grande partito comunista . Ma quale ? Rivisitando l’impianto stalinista ? Ripetendo l’iter del bolscevismo degradato ? Prendendo come modello il regime castrista ? Oppure riproponendo le pratiche compromissorie che vanno da Togliatti a Berlinguer ? In effetti , tenendo sempre presente il lato cattivo della storia , sarebbe bene promuovere una "ricostruzione e una ri-gestione qualitativa del mondo", in modo da rifondare una sfera pubblica in cui abbia pieno diritto di cittadinanza il comune.

Il che rimanda al problema della militanza , all’etica rivoluzionaria della liberazione , alla necessità di individuare punti di rottura efficaci e dirompenti . Se queste premesse vengono rimosse , allora si consolida una mentalità settaria che , ovviamente , obnubila il momento creativo e controfattuale .

Queste osservazioni non derivano da una sorta di sterile donchisciottismo , ma dalla convinzione che il movimento dovrebbe privilegiare le istanze autenticamente liberatorie , evitando così di assumere atteggiamenti ambigui e controproducenti . Da qui l’esigenza di smascherare la retorica populista di alcuni imbonitori della " sinistra radicale ", nella consapevolezza che " ogniqualvolta un potere si è presentato come dirigente di una volontà rivoluzionaria , esso ha compromesso a priori il potere della rivoluzione " ( Raoul Vaneigem). Inoltre , per evitare facili semplificazioni , penso che sia opinabile parlare di globalizzazione dal basso , se poi , per risolvere i problemi del mondo , si invoca l’Onu .

Questa organizzazione , infatti , non può essere enfatizzata , sia perché risulta inadeguata rispetto alle sfide del presente , sia perché le burocrazie onusiane sono di fatto subalterne all’egemonismo unilaterale statunitense , sia perché il sistema Onu è gerarchico e inegualitario , sia perché si registra l’erosione del diritto internazionale .

Di più : le Nazioni unite non solo si rivelano impotenti nel complesso assetto odierno , ma va detto anche che esse non sono mai riuscite ad incarnare l’idea di una comunità universale . A tal proposito giova ricordare che alla fine della seconda guerra mondiale nacque l’Organizzazione delle Nazioni unite , con l’ambizioso obiettivo di garantire pace e giustizia . In effetti , questo progetto non riuscì a decollare , tant’è che non fu mai superata la separazione tra Primo e Terzo mondo . Inoltre , rimasero esclusi paesi come la Germania , l’India , il Giappone .

Successivamente , durante il periodo della guerra fredda , l’Onu manifestò la sua palese incapacità di gestire la situazione , e ciò soprattutto per via di un rapporto di subordinazione nei confronti della potenza egemone .

Quando , dopo la " rivoluzione del 1989 " , il contesto muta radicalmente e il rapporto di forza viene modificato , tutte le problematiche relative alle istituzioni si complicano , sicché , date le complesse condizioni contemporanee, anche il trasformismo giuridico risulta inadeguato .

Ciò significa che una possibile risoluzione dei conflitti non può discendere né dal formalismo giuridico , né dalle decisioni degli organismi centrali .

Insomma , l’impotenza storica dell’Onu rende estremamente discutibili le istanze onusiane di una parte del movimento . Basti pensare al sostanziale fallimento del recente summit delle Nazioni unite . Da qui la necessità di rimandare al momento " fondativo" la possibilità di una istituzione altra .

Non senza ragione E . Balibar sostiene che l’autorità delle Nazioni unite non può essere invocata come un principio già dato . " La sua costruzione- aggiunge Balibar – fa tutt’uno con un allargamento e un rinnovamento del campo della politica " .

Sicché , sempre partendo dall’assunto che le promesse sono imprescindibili dalle premesse , occorrerebbe prendere atto che le dimensioni ideologiche e giuridiche sono di fatto insufficienti per delineare un nuovo ordine globale . Inoltre , ritengo che si debba ripensare il "modello creato a Porto Alegre " , vuoi perché esso non ha sortito effetti positivi , il governo Lula docet , vuoi perché manca un coordinamento efficace che sia in grado di elaborare un progetto etico- politico alternativo . Sia chiaro , non si tratta di riproporre una improbabile presa del potere , né di caldeggiare la lotta armata , si tratta , invece , di tener ferma la potenza creativa del comune .

Altrimenti detto , pur apprezzando il potenziale liberatorio del movimento , bisogna riconoscere che dal 2001 a oggi si registrano inquietanti derive . Pertanto , per scongiurare il pericolo che l’etica della liberazione si traduca in una sorta di pseudo-etica della confusione, bisogna inventare " nuovi Lumi ", per privilegiare il momento creativo e costituente rispetto a quello reattivo . In quest’ottica si dovrebbe anche contestualizzare il pacifismo nell’odierno stato d’eccezione . Lucidamente a questo proposito Heather Gautney e Michael Hardt , osservano che tradizionalmente i movimenti contro la guerra non sono mai stati politici – o , per meglio dire , sono stati capaci di formare ampie coalizioni contro la realtà immediata della guerra senza sviluppare , tuttavia , progetti politici propri . Sicché , una volta che la guerra era finita , la militanza politica - e le differenziazioni politiche –potevano riprendere . Oggi , " ci troviamo di fronte a un nuovo tipo di guerra , uno stato bellico globale che non ha limiti precisi nel tempo e nello spazio… …. La guerra di oggi è potenzialmente permanente e si estende sul pianeta , in tutti gli aspetti della società . Questa guerra costituisce una forma di biopotere che governa tutta la vita sociale ….. Oggi non possiamo chiedere che la guerra finisca per poi tornare alla politica ; al contrario solo un progetto politico proposto dai movimenti può condurre alla pace " ( Heather Gautney – Michael Hardt ) .

Purtroppo , invece , le palesi derive del movimento non spingono all’ottimismo , basti pensare alla sedicesima edizione della marcia Perugia-Assisi . Notoriamente le parole d’ordine della manifestazione sono state : "Per l’Onu e contro la povertà ".

Considerando , dunque , queste istanze riduttive e fuorvianti , ritengo che sia opportuno insistere sull’argomento .

In effetti , l’opposizione di principio alla guerra , le posizioni che invocano l’intervento degli organismi di giurisdizione internazionale , rivisitano di fatto forme d’espressione del pacifismo tradizionale . Va precisato che quest’ultimo coincide , sia con una certa concezione dell’ordine internazionale , sia con il cosmopolitismo teorizzato da Kant , sia con una formale istanza universalistica . Ciò significa che le proposte emerse dalla marcia Perugia-Assisi si rivelano non solo inattuali , ma mostrano anche che una parte del movimento intende la democrazia diretta in senso assai opinabile .

Da qui la necessità di operare un distinguo tra l’inventiva di una globalizzazione altra e il tradizionalismo dell’idea pacifista . In breve , contro il biopotere occorrerebbe elaborare un’agenda biopolitica che sia in grado di fermare lo stato d’eccezione .

Lo spirito delle leggi va , dunque , ripensato , nella consapevolezza che né le burocrazie governative , né le istanze onusiane di un governo mondiale , né le simulazioni addomesticate della democrazia diretta , possono definire una democrazia globale autenticamente alternativa .

Ciò significa che " i no –war " dovrebbero rimuovere sia l’impianto paradigmatico dei sovranisti , sia i discorsi altisonanti sui diritti dell’uomo , per tener ferma la valenza dirompente della disobbedienza attiva .

La dura realtà fattuale mostra , invece , non solo la frammentazione delle posizioni , ma anche una netta linea di demarcazione tra gruppi radicali e gruppi moderati .

Assodato che sarebbe necessaria una svolta , penso che occorrerebbe inventare prassi politiche creatrici di nuove soluzioni istituzionali e di nuove strutture sociali .

I desideri di liberazione , però , dovrebbero sempre tener presente che " il rifiuto di Paolo di conciliarsi con il secolo resta la parola d’ordine della militanza " ( A . Illuminati ) .

 

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