GIAPPONE, RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SULLE ‘DONNE DI CONFORTO’ DELLA II GUERRA MONDIALE: IL GOVERNO RIMANE SORDO ALLE RICHIESTE DI GIUSTIZIA

‘Mi portarono in Cina quando ero sedicenne. Le ragazze avevano dai 14 ai
17 anni. Ci costringevano a soddisfare 40 o 50 soldati al giorno. Era una
cosa impossibile, cosi’ mi rifiutai e mi picchiarono. Se una di noi si
rifiutava, le tagliavano la pelle col coltello. Alcune vennero pugnalate,
altre morirono di malattie… E’ stata un’esperienza dolorosissima: c’era
poco cibo, non riuscivamo a dormire e neanche eravamo in grado di
suicidarci. Volevo scappare a tutti i costi…’
(Lee Ok-sun, una donna sud-coreana di 79 anni. Fu sfruttata come schiava
del sesso per i militari giapponesi in una ‘stazione di conforto’ della
citta’ di Yanbian, nella Cina nordorientale. E’ rimasta in Cina per 58
anni prima di poter tornare in Corea del Sud)

‘Vogliamo che quello che abbiamo sofferto sia scritto nei libri di storia
affinche’ abbiamo giustizia e le prossime generazioni e la gente negli
altri paesi sappiano cosa ci e’ successo. Il governo giapponese deve
ammettere quello che i suoi soldati ci hanno fatto. Vogliamo le sue scuse
e un risarcimento.’
(Lola Pinar, Filippine)

‘Voglio giustizia, non denaro. Voglio che il governo giapponese si scusi
pubblicamente!’
(Lola Amonita, Filippine)

Amnesty International ha chiesto oggi al governo giapponese di ammettere
la piena responsabilita’ per i crimini commessi contro le donne condannate
alla schiavitu’ sessuale durante e dopo la II guerra mondiale.

In un lungo rapporto intitolato ‘Ancora in attesa dopo 60 anni: giustizia
per le sopravvissute al sistema militare giapponese di schiavitu’
sessuale’, l’organizzazione descrive le brutalita’ cui erano sottoposte le
‘donne di conforto’ e denuncia i pretesti forniti dal Giappone nel corso
degli anni per negare ogni responsabilita’ per la loro sofferenza.

Durante e dopo il conflitto, almeno 200.00 donne vennero ridotte in
schiavitu’ sessuale dai militari giapponesi. Molte di esse avevano meno di
20 anni, alcune erano persino dodicenni. Il rapporto di Amnesty
International contiene una serie di raccomandazioni al governo di Tokio e
alla comunita’ internazionale per assicurare giustizia a coloro che sono
ancora in vita.

‘Il Giappone deve porre fine a 60 anni di errori, fornendo piena
riparazione alle sopravvissute a quell’orribile sistema di schiavitu’
sessuale’ – ha dichiarato Purna Sen, direttore del programma Asia e
Pacifico di Amnesty International.

Le sopravvissute al sistema delle ‘donne di conforto’ sono ormai anziane
mentre un imprecisato numero di vittime sono decedute senza ottenere
giustizia, scuse adeguate o un risarcimento diretto. Per anni, il governo
giapponese ha negato ogni responsabilita’ nei confronti del sistema di
schiavitu’ sessuale e solo ultimamente, quando nuove prove hanno
evidenziato il diretto ruolo del governo, le autorita’ hanno ammesso le
proprie responsabilita’.

‘Le scuse offerte sono state inadeguate, vaghe e inaccettabili per le
sopravvissute. Inoltre, il Fondo per le donne asiatiche non soddisfa i
criteri internazionali sul risarcimento ed e’ percepito dalle
sopravvissute come un modo per comprare il loro silenzio’ – ha denunciato
Sen. ‘Questo e’ un tema di diritti umani attuale, che non dovrebbe essere
relegato al passato. Si tratta di vite distrutte e del continuo rifiuto di
giustizia e riparazione. Qui non siamo di fronte a un semplice dovere
morale. Ogni Stato che commetta crimini di guerra e crimini contro
l’umanita’ come lo stupro e la schiavitu’ sessuale ha l’obbligo legale di
fornire piena riparazione e di promettere alle sopravvissute che non
ripetera’ la propria azione’.

Il governo giapponese ha sostenuto che lo stupro e’ entrato a far parte
dei crimini di guerra solo nel 1949, quando e’ stato incorporato nella
Quarta Convenzione di Ginevra. Amnesty International replica che lo stupro
nel contesto di un conflitto armato era ampiamente considerato un crimine
di diritto consuetudinario durante l’intero periodo in cui il governo
giapponese attuo’ il sistema di schiavitu’ sessuale.

FINE DEL COMUNICATO 
Roma, 28 ottobre 2005

Ulteriori informazioni

‘Donne di conforto’ e’ un eufemismo per indicare giovani donne provenienti
da Filippine, Thailandia, Vietnam, Malaysia, Corea del Sud, Paesi Bassi,
Giappone, Indonesia, Corea del Nord e da altri paesi e regioni sotto
occupazione giapponese, ridotte in schiavitu’ sessuale dai soldati
giapponesi durante e dopo la II guerra mondiale.

Gli abusi avevano luogo nelle ‘stazioni di conforto’ istituite dalle
autorita’ giapponesi nei territori che venivano occupati. Le donne
venivano portate in questi luoghi spesso con l’inganno o a seguito di
sequestro oppure venivano vendute da famiglie indigenti.

Nonostante si trattasse in tutta evidenza di un sistema di stupri
istituzionalizzato, il tema delle ‘donne di conforto’ fu ignorato dalla
Corte marziale internazionale per l’Estremo oriente, istituita al termine
della II guerra mondiale per processare i criminali di guerra giapponesi.
L’unico organo giudiziario che se ne occupo’ fu la Corte marziale olandese
in Indonesia, e solo per la riduzione in schiavitu’ sessuale di donne
olandesi; gli analoghi crimini commessi contro le donne indonesiane
rimasero impuniti.

Tra umiliazione e vergogna, le ‘donne di conforto’ sopravvissute sono
rimaste in silenzio per decenni, fino a quando all’inizio dello scorso
decennio l’ostinato ‘negazionismo’ del governo giapponese le ha spinte a
parlare. Le sopravvissute portano dentro di se’ traumi profondi: molte di
esse non si sono sposate o non hanno potuto avere figli a causa delle
ferite provocate dagli stupri di massa o delle malattie a trasmissione
sessuale contratte nel corso della schiavitu’.

Le autorita’ giapponesi hanno negato ogni responsabilita’ per il sistema
delle ‘donne di conforto’ fino a quando, nel 1992, il professor Yoshimi
Yoshiaki ha svelato il ruolo diretto del governo. Da allora, Tokio ha
offerto diverse scuse ufficiali, mai accettate dalle sopravvissute. A
seguito delle campagne portate avanti da queste donne coraggiose e dai
loro sostenitori e delle critiche internazionali, nel 1995 il governo ha
introdotto il Fondo per le donne asiatiche. Questo istituto e’ tuttavia
percepito dalle sopravvissute come un tentativo del governo di esonerarsi
da ogni responsabilita’ legale nei loro confronti.

Il rapporto ‘Ancora in attesa dopo 60 anni: giustizia per le sopravvissute
al sistema militare giapponese di schiavitu’ sessuale’ e’ disponibile in
lingua inglese all’indirizzo:
http://www.amnesty.org e presso l’Ufficio
stampa di Amnesty International Italia.

 

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