L’impresa culturale e lo spazio critico della filosofia

Wanda Piccinonno

Chi ai giorni nostri voglia combattere la menzogna e l’ignoranza e scrivere la verità , deve superare almeno cinque difficoltà . Deve avere il coraggio di scrivere la verità , benchè essa ovunque venga soffocata ; l’accortezza di riconoscerla , benchè ovunque venga travisata ; l’arte di renderla maneggevole come un’arma ; l’avvedutezza di saper scegliere coloro nelle cui mani essa diventa efficace ; l’astuzia di divulgarla fra questi ultimi ….

B. Brecht

Il fermento della speranza , le promesse di liberazione , l’eccedenza extra-economica del " General intellect " , pur aprendo linee di fuga , non possono generare un acritico ottimismo . Sicché , valutando " il lato cattivo della storia " e superando le onde travolgenti di una miope superficialità , occorre insistere sulle perverse dinamiche neoliberiste non trascurando il degrado culturale delle istituzioni educative .

Ciò è di vitale importanza perché per demolire la logica cannibalica del mercato , per rimuovere "il cogito della mercanzia " , per negare i linguaggi codificati della metropoli postfordista, bisogna anche esplorare l’aspetto culturale e pedagogico . Partendo , dunque , da questi presupposti la cartografia della resistenza dovrebbe anche includere nella sua agenda efficaci strategie di disobbedienza culturale .

D’altra parte , " l’altra storia " , ossia quella eretica e disobbediente , mostra che il tempo della liberazione è costellato di figure emblematiche , basti pensare a Socrate , a Bruno, a Leopardi , a Pasolini . Inoltre , per evidenziare che la cultura può essere sovversiva , è lecito ricordare il rogo dei libri decretato dai nazisti . Pertanto , nella consapevolezza che l’ignoranza è stata sempre serva fedele del potere e che la costruzione di un mondo altro non può prescindere da una formazione " onnilaterale " , conviene focalizzare l’attenzione sulla tecnica livellatrice dei sistemi educativi .

Le caratteristiche peculiari della cosiddetta modernizzazione sono : la logica pervasiva dell’impresa , la crescente importanza della formazione nel tessuto produttivo , la preponderanza del sapere tecnico , lo svuotamento del sapere storico e filosofico , la ricerca scientifica intesa come sorgente di profitto , la creazione dello scienziato –manager , la precarietà dei ricercatori flessibili , la finanziarizzazione del rapporto studente-conoscenze-università , un volgare e becero utilitarismo , un pragmatismo ingannevole e strumentale .

Per tentare di sciogliere i nodi problematici della situazione esistente giova mettere in luce che mentre precedentemente l’iter formativo corrispondeva ad una precisa collocazione lavorativa , oggi invece , per via della transitorietà e flessibilità del mercato del lavoro, " il livello di conoscenza viene valutato in riferimento alla sua malleabilità" . Ne consegue che le competenze richieste sono agili , rapide , flessibili , ma anche intrise da un inquietante pressappochismo culturale . Si registra così un palese ritorno al Bignami e , al tempo stesso , si rileva la presenza virulenta della ragione strumentale , che fa interagire specializzazione , dilettantismo , immagazzinamento automatico di dati . Ciò significa che il capitalismo cognitivo si avvale di processi innovativo-creativi , che però sono caratterizzati da attività stereotipate e ripetitive .

A questo punto , per esplicitare i percorsi tortuosi e perversi della modernizzazione è opportuno risalire alla genealogia delle riforme .

Nella seconda metà degli anni 80 , l’Ert , tavola rotonda degli industriali europei , produce un documento , " Istruzione e competenze in Europa ". Gli obiettivi che emergono sono significativi , tant’è che si afferma : " L’istruzione e la formazione sono considerati investimenti strategici vitali per il futuro successo dell’impresa " . Successivamente , e precisamente nel 1991 , la Commissione Europea per l’Istruzione , stilando un documento, dichiara : " L’università aperta altro non è che un’impresa industriale " . Nel 1996 il mostruoso progetto neoliberista avanza , infatti , la Commissione pubblica il " Libro Bianco", - "Insegnare e apprendere : verso la società conoscitiva " . L’obiettivo del "Libro" è quello di fornire le coordinate dei nuovi orientamenti e dei nuovi criteri didattici per le istituzioni educative . Si sostiene che " la mondializzazione dei mercati e il progresso scientifico producono milioni di disoccupati per scarsa formazione ". Da qui la necessità " di avvicinare la scuola all’impresa " .

E’ evidente che l’impianto paradigmatico si avvale di una logica aberrante , infatti , la formazione diviene uno strumento di politica attiva del mercato del lavoro e dei sistemi produttivi .

Le considerazioni fatte e i dati registrati evidenziano che la riforma –bipartisan Zecchino-Berlinguer-Moratti si inscrive in un quadro globale , anche se nel nostro paese il servilismo culturale è una malattia endemica . Continuando a decostruire criticamente la logica aziendalista e la fuorviante formula di una mostruosa formazione permanente , conviene incentrare l’attenzione sull’uso di alcuni termini . Difatti , l’ipermercato culturale , rispondendo ai dettami del Dio-profitto , si avvale di un idioma palesemente economicistico , basti pensare alle "offerte formative " , ai crediti e debiti didattici .

In realtà , il mondo della formazione , al di là della strumentale retorica della modernizzazione , rende le istituzioni educative luoghi di sfruttamento e di controllo e, al tempo stesso , genera un destabilizzante analfabetismo di ritorno . Ciò si manifesta in modo eclatante nell’università-mercato , che plasmata sub specie pecuniae , non solo estorce sistematicamente denaro agli studenti –clienti , ma impone anche un iter di studi asfittico , vuoto , effimero . Occorre poi sottolineare che la formazione neoliberista si prolunga nel tempo , infatti , l’attuale sistema ha introdotto il 3+2 , con aggiunta di ulteriori 2 anni nelle SISS .

Questo paradigma formativo , lungi dal costituire una sorta di educazione permanente , si rivela finalizzato alla produzione di merci immateriali e intrinsecamente incorporato alle politiche del lavoro . Ciò è anche suffragato dai contratti di formazione-lavoro , dagli stages , dai corsi di aggiornamento , dalla formazione orientata alla riqualificazione di disoccupati e di atipici .

Inoltre , focalizzando l’attenzione sulla peculiarità culturale , si evince che la riforma Zecchino- Berlinguer-Moratti offre le coordinate per affermare che le istituzioni educative, ossia le fucine dello sfruttamento , sono pervase da un inquietante degrado culturale , soprattutto per quel che concerne la cultura classica , ormai ridotta a un vano insieme di frammenti e a brandelli di informazione .

Per quanto riguarda lo studio della storia si sottovaluta il dettaglio non trascurabile che la scarsa conoscenza del passato inficia anche la comprensione adeguata del presente . Non senza ragione Goethe affermava : " Colui che non è in grado di darsi conto di tremila anni di storia rimane al buio e vive alla giornata " .

E’ evidente , dunque , che la ratio strumentale genera " l’espulsione della cultura dalle istituzioni educative " . A questo proposito Lucio Russo , prendendo atto che i processi odierni sono trasversali rispetto alle divisioni politiche e rispetto alle differenze nazionali , rileva che all’interno delle istituzioni educative si sacrifica la cultura di base .

L’espulsione della cultura , sostiene L. Russo , avviene per via dell’interazione di variegati strumenti . Difatti , i corsi specialistici , l’insegnamento modulare , la laurea breve , la lezione prefabbricata stile-format , l’opacità tecnologica , inficiano una comprensione esaustiva e annientano il pensiero critico .

Ma a questo punto è lecito porre il seguente quesito : quale ruolo assume la filosofia nelle fabbriche del sapere ? L’interrogativo impone una profonda riflessione che non può prescindere da un esplicito riferimento al saggio di Jacques Derrida , " L’università senza condizione " .

Derrida , nel suddetto saggio , constatando la riduzione economica della filosofia , denuncia il tradimento della tradizione filosofica ed invoca la resistenza contro tutte le forme di aziendalismo e di utilitarismo . Il grande filosofo scrive : " In quanto incondizionata , una tale resistenza potrebbe opporre l’università a un gran numero di poteri : ai poteri economici , mediatici , ideologici , religiosi e culturali ; in breve a tutti i poteri che limitano la democrazia a venire " .

Ciò significa che la filosofia può contribuire a decostruire criticamente i sintomi del mutamento e " su questo mutamento bisogna riflettere - lasciatemelo dire - filosoficamente" ( Stefano Catucci ) .

E’ utile precisare che la filosofia non va intesa nell’accezione cattedratica e scolastica, ma va concepita come vitale pensiero critico . Non senza ragione Platone sosteneva che"si educa a filosofare , non a una filosofia " .

Se insisto sull’argomento non è casuale , infatti , la mia profonda indignazione discende dal fatto che da ex docente di filosofia e da studiosa attenta delle problematiche filosofiche, ho sperimentato con estremo disappunto il pragmatismo mercenario e l’utilitarismo miasmatico della cosiddetta modernizzazione . Onde evitare fraintendimenti conviene sottolineare che non intendo enfatizzare il passato , anche perché lo spazio critico della filosofia è stato sempre esiguo e riduttivo . Nel contempo , però , non posso dimenticare alcuni docenti , come Pietro Chiodi e Bruno Widmar , che da " cattivi maestri" mi hanno insegnato a pensare a libertà con libertà .

Ciò detto , constatando che sul discorso filosofico imperversano fuorvianti pregiudizi , e non dimenticando il significativo episodio della servetta che deride Talete , occorre superare i parametri di un bieco utilitarismo , per prendere coscienza che la filosofia non può assolvere una funzione ancillare , perché per la sua intrinseca valenza può contribuire ad alimentare una disobbedienza critica e radicalmente eretica .

"C’è – dunque - bisogno di resistere a un’invadenza , a un’invasione , un’occupazione del territorio " ( J . Derrida) .

L’accorato appello di Derrida deriva dalla convinzione che " professare la filosofia non significa praticare o insegnare in maniera pertinente " , ma significa invece " impegnarsi , mediante una promessa pubblica , a votarsi pubblicamente , a dedicarsi alla filosofia , a testimoniare , e persino a battersi per essa " . Ne consegue che oggi " la professione del filosofo è come una professione di fede " .

E’ evidente , pertanto , che " la filosofia non si riduce a sapere perché non si esaurisce nell’ atto constativo del sapere . La professione di fede si apre perciò nello spazio critico del domandare , delle domande proprie e altrui . Diciamolo pure : senza questo spazio critico la lezione di filosofia non sarebbe una lezione di filosofia " ( Donatella Di Cesare).

In quest’ottica la filosofia , lungi dal costituire un astratto modello teorico , assume una valenza dirompente , vuoi perché può incrementare la resistenza critica , vuoi perché può contribuire a costruire il laboratorio del contropotere . Inoltre , è utile rilevare che se il capitalismo cognitivo sussume tutti i segni all’insegna dell’ utilitarismo , è altresì vero che la riduzione economica della filosofia risulta problematica . Difatti la ragion d’essere di quest’ultima risiede nell’uso pubblico della ragione critica e nella funzione di demistificare " la violenza al senso " .

Ne consegue che il General intellect non-proprietario , incorporando nella prassi linguistica l’ethos critico della filosofia , potrebbe negare con maggior forza le derive e i paradigmi dei saperi codificati . D’altro canto , lo spazio critico della filosofia , per via della sua intrinseca essenza , demistifica tutte le ipostatizzazioni , tutti i pregiudizi , tutti gli "ismi".

Inoltre , soprattutto negli ultimi decenni , la riflessione filosofica ha accresciuto l’interesse per i grandi temi dell’esistenza ; alcuni di essi sono riconducibili all’ambito della " filosofia pratica " , che mira a stabilire le regole etiche cui subordinare le enormi potenzialità del progresso tecnologico . Ma la filosofia pratica assolve un’altra importante funzione , ossia quella di produrre cultura e coscienza . Va aggiunto poi che per quanto concerne l’aspetto sociologico e politico , la filosofia ha incentrato l’attenzione sul problema della responsabilità collettiva . Di più , considerando che la comunità scientifica è pervasa dai meccanismi del brevetto e da interessi aziendali , sarebbe auspicabile che lo scienziato-manager assumesse un impegno filosofico . Non senza ragione Brecht , affrontando il problema della libertà della ricerca , e paventando " una progenie di gnomi inventivi , pronti a farsi assoldare per qualsiasi scopo ", fa esplicito riferimento al dramma di Galileo . In sintesi il punto centrale del dramma è questo : Galileo abiura dal copernicanesimo per poter continuare a lavorare scientificamente . E allora si deve concludere che l’abiura è per lo scienziato la condizione necessaria per poter lavorare? Questa soluzione è inaccettabile , sicché , pur non trascurando altri problemi di fondo , si può affermare che lo scienziato-manager dovrebbe avvalersi anche dell’Ethos pubblico della filosofia per superare i parametri perversi del toyotismo .

La filosofia , però , non è una potenza . " Non essendo una potenza , la filosofia non può ingaggiare battaglia con le potenze , contro di loro conduce semmai una guerra senza battaglie , una guerriglia . Non può dialogare con loro, non ha nulla da dire , nulla da comunicare , può solo avviare dei pourparler . Poiché le potenze non si accontentano di rimanere esteriori , ma penetrano in ciascuno di noi , grazie alla filosofia ciascuno di noi si trova incessantemente in pourparler e in guerriglia con se stesso " ( Gilles Deleuze). E’ proprio questa guerriglia che si rivela feconda , vuoi perché spinge ad assumere un atteggiamento spregiudicato e critico , vuoi perché demistifica tutte le relazioni di potere .

La filosofia , dunque , contribuisce in modo essenziale a renderci consapevoli di quello che stiamo facendo , perché la sua funzione è soprattutto quella di renderci avvertiti criticamente della compresenza di diversi fattori .

Ma a questo punto , constatando che sussistono pregiudizi ideologici e che il dogmatismo marxista non è stato debellato , conviene rievocare Marx , che affermò : " La filosofia è la critica che spinge alla realizzazione della filosofia " . Un serio atteggiamento critico , però, non va confuso con l’ambiguità del " revisionismo ", perché la critica militante promuove la crescita della conoscenza e , al tempo stesso , demistifica il carattere tirannico del significante .

La filosofia , dunque , non è ideologia , non può essere ridotta a schemi e a formule, perché lascia nascere mille sentieri , sicché è soprattutto creazione e invenzione . A questo proposito G. Deleuze scrive : " Tutti sanno che la filosofia si occupa di concetti … Da una parte , però , i concetti non sono dati bell’e pronti , non preesistono : occorre inventarli , crearli , e c’è qui altrettanta creazione che in arte o in scienza . …. D’altra parte , però, i concetti non sono delle genericità che si trovano nell’aria dell’epoca . Al contrario , sono singolarità che reagiscono ai flussi di pensiero correnti : possiamo pensare benissimo senza concetti , ma non appena c’è un concetto c’è veramente filosofia . Nulla a che fare con un’ideologia . Un concetto è pieno di forza critica e politica , di libertà " .

Le illuminanti osservazioni di Deleuze evidenziano che l’impegno militante della filosofia può costituire una vera e propria frontiera , perché consente di penetrare nelle striature del globalismo e perché può tracciare linee di fuga attive , eventi , divenire . L’appello derridiano per una università senza condizione si traduce , dunque , in una proposta politica . Difatti " fare filosofia , essere dissidenti rispetto a un modo di esistere imperante , non è un atto politicamente neutro : dentro l’università si può fare qualcosa che si cercherà di esportare fuori dall’università " ( Lorenzo Fabbri ) . Pertanto , constatando la dilagante spoliazione etica e considerando che tutti gli spazi sono preconfezionati , si impone l’imperativo categorico di rendere sempre più pubblico l’ethos filosofico per sviluppare un rapporto fecondo tra coscienza e mondo . In tal senso una rivisitazione di Maurice Merleau Ponty si potrebbe rivelare particolarmente proficua per eliminare la logica di dominio e per attivare " il dispotismo della libertà " .

Questo autore risulta attuale e illuminante , vuoi per evitare un ritorno al passato , vuoi per rendere sempre più operante una politica dei linguaggi- corpo . Difatti , Merleau Ponty ha compreso in modo esemplare il nesso tra il corpo , il potere , il linguaggio . Partendo da questi presupposti le indagini del filosofo si sono rivolte soprattutto sul rapporto tra l’uomo e il mondo . E’ utile precisare che questo rapporto è complesso , e ciò emerge dalle scrupolose analisi sulla coscienza . Quest’ ultima , infatti , non è un colpo d’occhio gettato sul mondo da uno spettatore disinteressato , ma è sempre la coscienza di un io " votato al mondo ".

" La vera riflessione , afferma Merleau Ponty , mi dà a me stesso , non come soggettività oziosa e inacessibile , ma come identico con la mia presenza al mondo e agli altri , quale io la realizzo ora : io sono tutto ciò che vedo , io sono un campo intersoggettivo , non a dispetto del mio corpo e della mia situazione storica , ma al contrario in quanto sono questo corpo e questa situazione e tutto il resto attraverso di essi " . In questa prospettiva il problema della percezione diviene il problema stesso del rapporto tra coscienza e mondo ; perciò Merleau Ponty , partendo da questo assunto , esamina tutte le problematiche della filosofia : la sensazione , la conoscenza delle cose, il corpo , la comunicazione con gli altri , il linguaggio , lo spazio , il tempo , la libertà .

Ma ciò che si impone è il concetto di corpo , che costituisce poi l’inserzione della coscienza nel mondo . La potenza corporea diviene così espressione del desiderio di vita e luogo di ricomposizione ontologica dell’innovazione ,vuoi perchè rappresenta il nostro legame carnale col mondo , il vincolo primordiale con " l’essere antipredicativo verso il quale la nostra esistenza è polarizzata " , vuoi perché è la base di comportamenti e di significati . Si tratta , dunque , dell’avvento di un nuovo cogito - temporale , corporale - verso cui ci indirizza l’esercizio della percezione vissuta ; e dietro l’inventario minuzioso dei poteri e del " sapere latente " del corpo si delinea il progetto di una filosofia dell’esperienza integrale . Inoltre , si manifesta il fondo biologico della specie , quando nella " Fenomenologia della percezione " il filosofo afferma : " Io non ho coscienza di essere il vero soggetto della mia sensazione più di quanto abbia coscienza di essere il vero soggetto della mia nascita e della mia morte " . Ne consegue che la sensazione è preindividuale , perché " non è un individuo individuato a percepire , ma la specie come tale ".

E’ utile evidenziare che il pensiero di Merleau - Ponty , incentrando l’attenzione sul soggetto incarnato , fa scomparire il corpo , inteso come tavola anatomica , e fa emergere , invece , la massa sensibile , che interagendo con i corpi viventi , porta alla carne .

Il corpo come carne , diventa così lo strumento , per così dire lo scalpello , che consente di forzare la porta dell’Essere . Ma l’eroico furore del filosofo non si ferma qui , infatti , per eliminare " il pregiudizio del mondo " , Merleau-Ponty non manca di esplorare il linguaggio . Quest’ultimo non è solo " un sistema particolare di vocabolario e di sintassi , ma è anche una rivoluzione dell’essere o meglio del nostro legame con l’essere ". In questa prospettiva , dunque , il linguaggio articola la parola dell’Essere ", sicché nel linguaggio si manifesta la meravigliosa coincidenza del suono e del senso , della parola e del significato .

E’ evidente che la filosofia militante di Merleau-Ponty rimuove ogni visione solipsistica , ogni principio astratto , e , al tempo stesso , nega la tecnica del potere , proprio perché considera la libertà indissolubilmente connessa a " un essere con gli altri ".

"Chi è torturato , sostiene Merleau- Ponty , facendo riferimento alla terribile esperienza di alcuni militanti della Resistenza , continua a sentirsi con i suoi compagni impegnato nella lotta comune . Pur essendo solo , la " presenza " degli altri gli dà forza e , in qualche modo , l’impegno che ha preso insieme a loro lo guida nella sua azione ".

Le osservazioni fatte mettono in luce che il pensiero di Merleau-Ponty risulta particolarmente incisivo nella fase odierna . Difatti , constatando che la moltitudine sta sperimentando una politica dei corpi e considerando che i linguaggi stanno cercando nuovi significati , sarebbe opportuno seguire le coordinate tracciate dal filosofo , sia per rendere fecondo il materialismo corporeo , sia per trarre dal non-senso il senso . D’altra parte, la compresenza simultanea dell’uomo , dell’essere e della coesistenza nel mondo è la corporeità , cioè il porsi degli uomini e dell’essere in una molteplicità connessa e tuttavia esteriorizzata , quale è propria dei corpi . La corporeità è irriducibile . Essa non può essere ridotta ad apparenza , né può essere svalutata , perché esprime la connessione dell’uomo col suo essere costitutivo . In altri termini , la sensibilità da un lato radica l’uomo nel mondo facendone un corpo , dall’altro rivela all’uomo il mondo nella sua corporeità . Il radicarsi nel mondo significa , dunque , che l’uomo , in virtù di un atto unico e semplice, sente di essere un corpo e avverte , al tempo stesso , gli altri elementi compresenti come corpi . Da qui , la concezione materialistica dell’uomo , che , come vuole Spinoza , diviene potenza costitutiva e appropriativa del mondo .

Ciò significa che i prolegomeni dell’antropologia futura dovrebbero inglobare un "cartello" filosofico , grazie al quale si potrebbe concretare una nuova logica della relazione e , al tempo stesso , " disegnare un’altra geometria della materialità corporea ".

Ma un ‘antropologia veramente critica e problematica può avere diritto di cittadinanza nel nostro paese ? In realtà la perenne anomalia italiana , l’endemico provincialismo , l’eterna vocazione compromissoria , la cupidigia di servilità , hanno generato una sorta di "filosofia della domenica " . Ciò è suffragato dal fatto che anche dopo la fine del fascismo , nella rissa tra cattolici e idealisti , non si registrano sostanziali mutamenti . Difatti , il vecchio ambiente culturale soffocante , dogmatico , incolto e poverissimo di pensieri , continua a sopravvivere . Sicché , mentre in altri paesi fiorivano correnti di pensiero ben più colte , ben più metodologicamente raffinate , ben più ricche di contatti con lo sviluppo della cultura , nel nostro paese le impostazioni fresche e ricche di senso occupavano solo uno spazio esiguo .

Questo nefasto retaggio culturale purtroppo non è stato debellato , tant’è che anche nella fase attuale l’Italietta manifesta la storica anomalia , basti pensare alla scuola per "veline" a Napoli .

Vero è che sarebbe riduttivo generalizzare , infatti , si registrano significative istanze culturali - politiche di contropotere , che non si possono sottovalutare . Occorre , però, vigilare attentamente , perché molti intellettuali e giornalisti , navigando in acque torbide e pseudorivoluzionarie , non disdegnano commistioni , compromessi e operazioni decisamente squallide . Ciò conferma che il cogito della mercanzia spesso si camuffa e celebra i suoi fasti nella società dello spettacolo , sicché gli esercizi di senso e di esodo assumono anche una valenza demistificante , perché consentono di decostruire criticamente tutta la realtà fattuale. Ovviamente , per rendere più efficaci le mie osservazioni , potrei fare esplicito riferimento ad episodi inquietanti , ma optando per la problematizzazione e rifiutando la polemica , ritengo opportuno e utile percorrere un iter radicalmente eretico .

Per non ingabbiare i propri pensieri nelle etichette , per smascherare tutte le forme di miseria morale e intellettuale , per superare gli osceni rituali della società dello spettacolo e per demistificare l’ambizione demiurgica neoliberista , si impone ,dunque , la necessità di rendere sempre più intelligibile lo spazio critico della filosofia .

Pertanto , considerando le linee portanti del capitalismo cognitivo , e nella consapevolezza che per resistere bisogna creare coscienza , giova prendere in esame la relazione tra politica e linguaggio .

A questo proposito risultano particolarmente feconde le indagini di Paolo Virno . Questo grande e lucido intellettuale , sempre impegnato in esercizi di esodo , mutuando Aristotele , rileva che " l’uomo è l’animale dotato di linguaggio , ma è anche animale politico" .

"Di solito , scrive Virno , tra questi due aspetti si scorge una parentela , un’aria di famiglia : ma niente di più . Si stenta cioè a riconoscere la perfetta identità , sinonimia , coestensività delle due definizioni ….. Dire , dunque , "animale che ha linguaggio " è la stessa cosa che dire " animale politico ". L’esperienza del parlante , aggiunge Virno , si può paragonare a quella dell’artista esecutore . " Per " artista esecutore " intendo colui che non produce una nuova opera , ma attualizza un testo teatrale , uno spartito musicale ecc . Parlo insomma del ballerino , dell’attore , del pianista e simili " .

Ne consegue che l’artista esecutore , come il parlante e il politico , svolge un’attività che non dà luogo a un’opera indipendente , infatti , l’esecuzione è in se stessa , lo scopo dell’attività . Ma , oltre l’assenza di qualsivoglia scopo esterno , un altro aspetto emerge , ossia la necessità di un " pubblico " , la necessità della presenza altrui . " Ebbene , queste due caratteristiche intimamente correlate ( assenza di un prodotto finale e necessità della presenza altrui ) definiscono la praxis umana ….. Dovremmo concludere , dunque , che il linguaggio - attenzione , è questo l’aspetto cruciale - è essenzialmente prassi . Non episteme , né poiesis , ma prassi " . Il linguaggio , dunque , pur svolgendo importanti funzioni cognitive e poietiche , si esplicita soprattutto come prassi . " Parlare è ,dunque , un’azione il cui fine coincide con la sua stessa esecuzione " . In quest’ottica ogni atto linguistico si manifesta come un esempio di " virtuosismo verbale " , di attività senza opera .

Ciò significa che la facoltà di linguaggio , costituendo la base dell’esecuzione virtuosistica del parlante , è una disposizione biologica innata , sicché sarebbe bene parlare di "virtuosismo naturalistico " .

Queste illuminanti osservazioni manifestano significati profondi e vigorosi , perché il linguaggio , inteso come dotazione biologica , diviene l’organo biologico della prassi pubblica .

E’ evidente che questo impianto concettuale , mettendo in risalto "la realtà sensibile prodotta dall’eloquio umano ", esclude tutte le forme di ipostatizzazione , rimuove i paradigmi codificati della rappresentanza e rende , invece , vivido ed operante il conatus della vita .

Inoltre , l’ordine dei concetti proposto da Virno si rivela estremamente proficuo e significativo nella fase odierna , perché il postfordismo , avendo messo al lavoro il linguaggio , genera linee di fuga , che potrebbero assumere una connotazione autenticamente rivoluzionaria . Non senza ragione a questo proposito l’intellettuale citato , rilevando la natura politica della mente linguistica e constatando che il materialismo storico e il materialismo naturalistico generano insoddisfazione , propone un materialismo linguistico , dove il linguaggio si rivela come naturale " potentia loquendi " . Partendo da quest’ottica e mutuando G. Simondon , Virno mostra come l’idea marxiana di un "individuo sociale " , portatore dell’"intelletto generale", comporta l’esaltazione del singolo all’interno del collettivo . E’ evidente che la radicalità di questa impostazione , rimuovendo " l’ethos del trascendimento ", scavalca le nozioni di "popolo " e di "democrazia rappresentativa ", "poiché il collettivo è teatro di un’accentuata singolarizzazione dell’esperienza , ovvero costituisce il luogo in cui può finalmente esplicarsi ciò che in ogni vita umana è incommensurabile e irripetibile , nulla di esso si presta ad essere estrapolato , o , peggio che mai , delegato ". Le proposte di Virno mostrano che bisogna riscattare l’idea di sfera pubblica dalle caricature cui è spesso soggetta . D’altra parte , non si può ridurre la democrazia all’inganno dei giochi elettoral-politici a suon di miliardi , di millantatori , di elefanti e majorettes , nonché delle facce imbecilli dei candidati sui manifesti .

La resistenza , i dispositivi di liberazione , la militanza del comune , necessitano , però , di poderosi esercizi di senso . Si pone quindi un quesito : quali sono le condizioni in base alle quali il pensiero è dotato di senso ? Ludwig Wittgenstein identifica il pensiero con il linguaggio , ossia con l’insieme delle proposizioni dotate di senso . Come Merleau Ponty anche Wittgenstein focalizza l’attenzione sul senso . Il che è estremamente importante , perché la fenomenologia del senso può tracciare le coordinate per la costruzione di un mondo altro . Ciò detto , considerando che l’intento è quello di evidenziare l’alta valenza dello spazio critico della filosofia , conviene esplicitare le chiavi di lettura di Wittgenstein . Quest’ultimo mette in luce i compiti e i limiti della filosofia e a questo proposito sostiene che gli enunciati della filosofia sono delle pseudoproposizioni , perché trascendono la funzione descrittiva dei fatti che è propria del linguaggio . Ai problemi che la filosofia si pone non si può dare risposta . Ciò non vuol dire che essi siano da sottovalutare : si tratta, infatti , di " problemi vitali ". Essi , però , non sono trattabili con i metodi propri del sapere scientifico , e quindi sfuggono a ogni possibilità di analisi rigorose .

Ma qual è allora per Wittgenstein il compito della filosofia ? A quest’ultima è riservato un grande compito , ossia quello della chiarificazione linguistico-concettuale . Ne consegue che essa assolve l’alta funzione di tracciare i limiti del pensiero , individuando così la linea di demarcazione tra ciò che è pensabile e ciò che non lo è . La filosofia , dunque , è un’attività , non un sistema teorico . In quest’ottica il discorso diviene sempre più efficace ed energico , tant’è che Wittgenstein afferma che la filosofia , intesa come attività di chiarificazione del linguaggio , percorre un iter pregno di senso .

" La filosofia , scrive Wittgenstein , deve rifuggire dall’analisi dei valori , perché questi sono " un dover essere " e non un "fatto " . " Nel mondo tutto è come è , e avviene come avviene "……perciò " il senso del mondo deve trovarsi fuori di esso " .

In questa prospettiva il filosofo " deve per così dire , gettar via la scala dopo che v’è salito " perché " di ciò di cui non si può parlare si deve tacere ".

Dal " Tractatus " alle "Ricerche filosofiche " si registrano alcuni mutamenti , infatti, in quest’ultima opera Wittgenstein incentra l’attenzione sul linguaggio comune , quotidiano . In entrambe le fasi, però, emerge la stessa polemica contro la filosofia tradizionale : polemica che peraltro non investe tutta la filosofia . Ciò è suffragato dalle seguenti osservazioni : " La filosofia è una battaglia contro l’incantamento del nostro intelletto per mezzo del nostro linguaggio ".

Per eliminare questo incantamento bisogna distruggere non ciò che è importante , ma solo gli " edifici di cartapesta " , perché così facendo si può sgombrare il terreno del linguaggio sul quale essi sorgono . Da qui un’indagine illuminante sulle pratiche linguistiche che si legano alla vita e alle attività dell’uomo . " Dietro ogni uso linguistico , scrive Wittgenstein, vi è una particolare forma di vita " , sicché il linguaggio è sempre l’espressione di un contesto , di un insieme di abitudini , simboli , credenze . Non esiste , dunque , un unico linguaggio , ma " giochi linguistici " retti da regole proprie . Ma " la struttura di un gioco linguistico non è data una volta per tutte ", infatti , " può essere modificata dal comportamento effettivo dei giocatori ". E’ evidente quindi che questa concezione apre all’alternativa e si rivela decisamente rivoluzionaria . Difatti , la svolta linguistica wittgensteiniana assegna alla filosofia il compito di chiarire i meccanismi dei giochi linguistici e , nel contempo , fa emergere gli elementi corporei del linguaggio . Questa scoperta assume una valenza dirompente , perché la fenomenologia delle passioni intrinsecamente connessa al linguaggio , può produrre realtà e può creare le premesse di una prassi politica alternativa.

A questo punto ritengo opportuno sottolineare che le citazioni doviziose non sono da attribuire ad una sorta di ostentazione culturale , ma discendono , invece , dalla necessità di smascherare le valutazioni sommarie di coloro che sputano sentenze trascurando l’onestà e l’umiltà della ricerca .

Superando il facilismo pressappochistico e demagogico di alcune chiavi di lettura , e cercando di decostruire con spirito socratico la società dello spettacolo e i paradigmi del capitalismo cognitivo , si evince che i messaggi della filosofia militante possono sortire effetti decisamente positivi . I riferimenti a Merleau – Ponty , a Wittgenstein , a Paolo Virno, offrono , infatti , le coordinate per comprendere che lo spazio critico della filosofia e la filosofia del linguaggio , interagendo , possono dar vita ad un’autentica etica della liberazione e ad una vitale prassi rivoluzionaria .

I linguaggi preconfezionati e schiacciati della metropoli postfordista possono , dunque , essere demistificati e condannati all’impotenza , a condizione che i corpi della resistenza procedano all’insegna del senso .

D’altra parte , la filosofia non è solo la storia degli autori , ma è soprattutto un processo critico che attraversa la storia , facendo emergere contraddizioni e falsità . Ciò significa che la filosofia così concepita, critica il presente e apre al futuro .

Ma per rendere sempre più efficace la militanza filosofica della disobbedienza , a mio avviso , non si può prescindere da un altro grande messaggio , cioè quello del materialismo leopardiano . In Leopardi , infatti , la volontà di demistificazione contro il destino dell’espropriazione si manifesta in modo prepotente .

Il poeta , constatando che la società moderna ha generato "l’universale egoismo " , ritiene che "l’Ultrafilosofia " , intesa come interazione tra filosofia e poesia , possa rendere la vita una cosa viva e non morta .

"Il potere della pura ragione è quello del dispotismo " , scrive Leopardi , mentre "l’Ultrafilosofia " conosce l ‘intiero e l’intimo delle cose " , è il colpo d’occhio del genio , in cui filosofia e poesia si uniscono . Contro le illusioni della superbia metafisica tradizionale , contro la ragione moderna , l’Ultrafilosofia porta al di là di ciò che la filosofia moderna sa di se stessa e , al tempo stesso , " rigenera le cose pubbliche ", perché nega l’egoismo e " tutti abbraccia con vero amore " .

Il materialismo leopardiano , dunque , attraverso un esercizio di consapevolezza " propone l’epochè positiva e la rottura in avanti dell’immaginazione e dell’intelletto " . Non senza ragione Leopardi afferma " la mia filosofia non solo non è conducente alla misantropia … …..- no, " io vivo dunque spero " .

E’ evidente che " il materialismo leopardiano , lungi dall’essere freddo e meccanicista , è una sfida che la ragione e la poesia portano contro la storia e la natura . Esso è sorretto da una vigorosissima volontà di demistificazione ". " Il pessimismo leopardiano per quanto profondo possa essere , pure interpreta l’inesausta tensione del materialismo a farsi filosofia della speranza , a recuperare continuamente la progettualità della potenza "(Antonio Negri ) .

Le osservazioni illuminanti e feconde di Antonio Negri non solo scoprono e rendono vivido il materialismo leopardiano , ma rivelano anche che la filosofia della speranza costituisce il nerbo della resistenza del comune .

Dalle considerazioni fatte si evince , dunque , che le pregiudiziali antifilosofiche largamente dominanti e il dilagante culturalismo antifilosofico risultano privi di senso , perché la filosofia militante , critica , e intesa come pensiero concreto , può delineare una significativa e drastica rottura con le perverse macchinazioni del potere .

Ciò non è utopico , dal momento che la filosofia è una disposizione naturale dell’uomo, e quest’ultimo è un soggetto cognitivo e politico .

Inoltre , è opportuno constatare che il pensiero globale implica una sfida filosofica , infatti , si ripropongono problemi cruciali che mettono in gioco il rapporto essenziale con la vita . Pertanto , nella consapevolezza che bisogna restituire alla vita la sua potenza , occorre rimuovere la teodicea dialettica , tutte le forme di determinismo e tutte le posizioni settarie, demagogiche e faziose , per attivare la prassi filosofica della liberazione e per rendere vivo ed operante un materialismo schietto , verace , vigoroso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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