fa benissimo
saddam a chiedere di eliminare l'embargo, si e'
sottoposto a tutte le misure di sicurezza dell'onu e
questa guerra comunque vada, sembra partire con tutti i
drammi che ne conseguiranno . credo sia la provocazione
del giorno piu' che la notizia. DA - LA REPUBBLICA.
Saddam Hussein
all'Onu
"Revocate l'embargo"
Prosegue
intanto la distruzione dei missili "al Samoud
II"
BAGDAD - Mentre
le lancette dell'ultimatum di Usa, Spagna e Gran Bretagna
iniziano a correre, con poche speranze di essere fermate,
Saddam Hussein chiama in causa le Nazioni Unite e chiede
al Consiglio di sicurezza di revocare l'embargo che grava
sul suo paese dai tempi della invasione del Kuwait.
Perché l'Iraq - spiega il rais
- sta ottemperando a tutti gli obblighi imposti dalla
comunità internazionale.
In una nota diramata dal Consiglio del Comando della
Rivoluzione (il massimo organo direttivo in Iraq),
presieduto quest'oggi da Saddam in persona, si dice che
il contenuto del rapporto presentato ieri dai capi degli
ispettori Hans Blix e da Mohammed El Baradei sarebbe tale
da giustificare la pretesa di una fine delle misure
restrittive imposte a Bagdad. "L'embargo deve essere
annullato totalmente e complessivamente - si legge nel
comunicato - dopo che sono state rivelate al mondo le
reali motivazioni dell'America".
Per il capo del
governo iracheno, insomma, Usa e Gran Bretagna sono
soltanto "mentitori", e le Nazioni Unite devono
dirlo a chiare lettere. Non solo. La lista di richieste
che Saddam rivolge alle Nazioni Unite si arricchisce di
un duro attacco ad Israele, che secondo il rais
deve essere "privata delle armi di sterminio ed
essere costretta a ritirarsi dalla Palestina e dalla
terra araba occupata".
Hans Blix, nel rapporto fatto ieri al Consiglio di
sicurezza, aveva detto che gli iracheni non hanno
adempiuto i propri impegni come invece avrebbero dovuto,
ma aveva al tempo stesso elogiato l'eliminazione di una
parte dei missili vietati al-Samoud II "quale
segnale di un pur tardivo ravvedimento".
Segnale che continua a manifestarsi malgrado i venti di
guerra si facciano sempre più minacciosi. L'Iraq
prosegue infatti con il programma di distruzione dei
missili: lo smantellamento di altri sei vettori è
iniziato questa mattina, portando il totale dei missili
distrutti a 34 su 120.
Intanto la partita diplomatica sembra ferma alle
posizioni espresse ieri dai paesi del Consiglio di
sicurezza. Nonostante l'ottimismo del ministro degli
Esteri britannico Straw, convinto che "alla fine la
seconda risoluzione sarà approvata", la Russia
torna a dire che "non lascerà passare" il
nuovo testo, anche se riuscisse a coagulare "i voti
sufficienti". Un modo soft per ripetere che
sull'attacco all'Iraq Mosca è pronta ad usare il diritto
di vetro.
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i pacifisti
hanno dichiarato una giornata di sciopero mondiale il
giorno stesso che partira' la guerra, secondo me
bisognava cominciare prima e ad oltranza - non usare
cioe' tutti i venerdi' i sabato e le domeniche da questa
in poi - la macchina e qualsiasi altro mezzo di trasporto
a benzina. l'idea e' ancora valida - la puoi leggere in
namir, confermo pero' che anche queste iniziative sono
validissime.
Parte da Camp
Darby
l'8 marzo della pace
PISA - L'8 marzo all'insegna della pace. Le
donne di tutta Italia dedicano la loro festa a una serie
di iniziative per fermare la guerra. Sfilate, fiaccolate,
cortei, manifestazioni sono in corso dal Trentino alla
Sicilia. La più importante, la marcia pacifica verso la
base militare americana di Camp Darby vicino a Pisa.
In migliaia - 50 mila, secondo gli organizzatori, meno
della metà secondo la questura - si sono messi in
cammino per raggiungere la base che nelle scorse
settimane è stata l'obiettivo principale dei pacifisti
italiani che hanno cercato in tutti i modi di impedire ai
treni carichi di materiale bellico di arrivarvi. A inizio
corteo, un grande striscione portato dalle donne:
"Fuori la guerra dalla storia". Dietro, lo
striscione con lo slogan dei pacifisti: "No alla
guerra senza se e senza ma".
I manifestanti si sono dati appuntamento nel grande prato
di San Piero a Grado. Sono normali cittadini e
simpatizzanti dei movimenti no global, ma anche Cobas,
Rdb, Arci, Cgil. E sfila anche in testa al corteo il
sindacato di polizia Silp di Livorno. I sindacalisti
espongono un cartello con la scritta "Rispetto della
legalità. Articolo 11 Costituzione: l'Italia ripudia la
guerra come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali".
Prima della partenza, su un palco che è stato
allestito ieri pomeriggio si sono alternati alcuni gruppi
musicali. L'atmosfera, come dice Alfio Nicotra di
Rifondazione comunista, è quella di una
"scampagnata per la pace". Birre, salsicce,
panini, baracchette e banchetti che vendono bandiere
della pace. Donne, ragazze, bambini, famiglie. Una gita
più che una manifestazione antimilitarista.
Verso le 14 il corteo è partito alla volta della base,
distante due chilometri. Quando la testa del corteo è
arrivato alla recinzione di Camp Darby, alcuni
manifestanti hanno cominciato ad attaccare sulle reti gli
straccetti su cui hanno scritto messaggi di pace. Alcuni
si sono fermati e hanno gridato: "Assassini, boia,
bastardi, andate a casa". L'onorevole Paolo Cento
dei Verdi, per un attimo, si è aggrappato alla rete. Due
giovani, come gesto offensivo, hanno orinato sulle
recinzioni. Poi una cinquantina di manifestanti sono
entrati dopo aver tagliato la rete di recinzione. Il
gruppo ha tuttavia immediatamente ubbidito all'invito a
uscire rivolto loro.
Lungo tutto il recinto della base sono stati appesi
biglietti colorati con sopra scritte frasi in favore
della pace. Alla rete saranno poi attaccate 2.000 copie
dell'appello dei veterani statunitensi che invitano
all'obiezione di coscienza.
Tutto questo sotto la benedizione simbolica delle donne
che sono impegnate in tutta Italia in manifestazioni
pacifiste. A Roma, oltre un centinaio di donne, "né
soldati, né terroriste - come recita uno slogan più
volte ritmato da un megafono - ma tutte femministe"
hanno manifestato davanti al ministero della Difesa.
Quasi contemporaneamente le donne cattoliche hanno
indetto un'altra manifestazione per la pace a piazza
Montecitorio.
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paolo mieli e'
il nuovo presidente della rai - ma prima di accettare
vuole capire se puo' veramente decidere su questioni
delicate come - biagi e santoro - o solo su questioni
minori. il problema e' che la sinistra si sia
accontentata di aver scelto un uomo che ha comunque fatto
una tesi sul fascismo e per molti anni ha lavorato
soprattutto in giornali di centro destra. staremo a
vedere nessuno non riconosce a paolo mieli un curriculum
di ampie vedute politiche.
DA - LA
REPUBBLICA.
Mieli:
"Biagi e Santoro
torneranno in prima serata"
di
ALESSANDRA LONGO
ROMA -
"Accetto, ma con riserva. Il tavolo del Cda deve
essere libero. Voglio avere il tempo di esaminare sotto
ogni profilo le condizioni in cui potrà operare il nuovo
consiglio di amministrazione. Ma intanto vi
ringrazio...". Paolo Mieli parla al telefono con i
presidenti di Camera e Senato. E' un venerdì sera
convulso, di telefonate, complimenti, auguri. Ma il nuovo
presidente della Rai, appena indicato da Pera e Casini,
non perde il tono tranquillo e basso della voce, non fa
dichiarazioni enfatiche. Sa che il compito che gli hanno
assegnato è delicato, l'eredità pesante. Non a caso usa
prudenza, si affida a quella parola in più:
"Accetto, con riserva".
Manca ancora il nome del direttore generale, che non è
poca cosa: "Sarà il Cda, d'intesa con il Tesoro, a
nominarlo, a decidere i nuovi direttori di rete".
Paolo Mieli vuol essere sicuro di muoversi senza
pressioni, in un'atmosfera rifondata, lontana dal caos
desolante dell'ultima gestione. Vuole anche dare una
impronta precisa alla sua nomina, accompagnata da un
gradimento trasversale che deve per forza tradursi in un
nuovo clima. Dice: "Intendo riportare in prima
serata Enzo Biagi e Michele Santoro". Sì, dice
proprio così: "E' un mio impegno personale".
Sono parole importanti, visto quel che è successo ai due
giornalisti, finiti nella lista nera di Berlusconi e
scomparsi dal video. Davvero rivedremo "Il
Fatto" e "Sciuscià"? Il nuovo presidente
mette questo nell'agenda. Ne parla con la massima
serietà. Santoro e Biagi, patrimonio dell'azienda,
devono tornare, e nella fascia di massimo ascolto.
Santoro è in
Sicilia con moglie e figlia, non si aspetta certo una
notizia così dopo tante batoste. Il vecchio Enzo Biagi
è a casa sua, a Milano. Vada come vada, è bellissimo
che uno dei primi pensieri del futuro presidente della
Rai sia per lui. "Mieli è una persona perbene -
dice Biagi - un giornalista che ha diretto il Corriere,
che ha rispetto per i suoi colleghi, per il suo mestiere,
per i lettori e i telespettatori. L'ambientino in cui va
non è facile. Spero che a questo gruppo di lavoro non
rendano la vita impossibile".
Una cosa è certa: Paolo Mieli è attrezzato,
strutturato, come si dice, per affrontare situazioni
complesse. Ha 54 anni, un curriculum lungo, prestigioso,
che mette d'accordo Schifani e Bertinotti. Nato a Milano,
studi a Roma (la Lega non può che apprezzare), una
laurea sul fascismo alla Sapienza con Renzo De Felice, di
cui è stato anche assistente. Nel 1967
all'"Espresso", inviato di politica estera,
capo della Cultura, caporedattore centrale. Poi a
"Repubblica". E a "La Stampa", di cui
diventa direttore nel 1990 per passare al timone del
"Corriere" nel 1992. Tra i politici è un coro
di evviva. "Persona giusta al posto giusto",
dice di lui il diessino Giuseppe Caldarola. Si fa vivo
persino il preside del suo liceo, il "Tasso" di
Roma (che ha diplomato anche Gasparri) per lodare
"uno dei nostri allievi più eccellenti".
Appassionato di storia, autore di libri sulla sinistra
italiana. Dal 1997 Paolo Mieli è direttore editoriale
del Gruppo Rizzoli Corriere della Sera e tiene la rubrica
delle lettere che fu di Montanelli. Ora dovrà
sospenderla, occupato come sarà a restituire smalto
all'ente pubblico surclassato dal gruppo di Berlusconi.
RaiDue andrà a Milano? "Decideremo anche questo,
senza vincoli, senza condizionamenti". Sa usare le
parole, è il suo mestiere. Si è ritagliato nel tempo un
ruolo di mediatore, di difensore della cosiddetta
"verità storica" secondo gli insegnamenti
ricevuti dai suoi "maestri di metodo, e non di
dogma", Rosario Romeo e De Felice. Nei ritratti
diffusi ieri sera dopo la sua nomina, ecco riesumata una
frase pronunciata nel '96: "Mi considero
paradossalmente cerchiobottista - diceva Mieli - Dare un
colpo a destra e uno a sinistra non è opportunismo, è
il giusto modo di criticare chi pensiamo in quel momento
abbia sbagliato". Per esempio, la Rai ha sbagliato a
privarsi di giornalisti come Biagi e Santoro. "Non
mi sono mai sentito colpevole per aver fatto qualche
numero con Benigni - rivela ironico Biagi - anzi, se mi
ridanno la trasmissione, quei numeri li rifaccio".
Difficile di questi tempi piacere ai due schieramenti.
Mieli quasi riesce nel miracolo. In passato si è preso i
complimenti del quotidiano dei vescovi italiani e del
giornale di Alleanza Nazionale. Lui, ex giovane di
estrema sinistra, nato in una famiglia ebrea, approdato
per studio e inclinazione su posizioni "non
preconcette", ammiratore anche di storici di
ispirazione liberale e talvolta ex marxisti. Lo aspetta
una sfida. "Vi ringrazio, accetto, ma con
riserva".
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mi spiace non
essere d'accordo con barenghi - io sono una donna - ma
non credo che un consiglio di amministrazione rai deve
basarsi o formarsi su posizioni femministe - se ci sono
donne di qualita' ben vengano - altrimenti si presentino
almeno gli uomini.
non mi piace ne
la moratti ne la mussolini - e il problema e' culturale,
questo consiglio di amministrazione veramente e' basso
per rappresentare e farci identificare in questa parola.
DA - IL MANIFESTO
Nomine col
trucco
RICCARDO BARENGHI
Una donna, magari due, tanto più che ieri era la vigilia
dell'otto marzo. Niente, anche questo Consiglio
d'amministrazione Rai è a sesso unico (come il suo
predecessore e il predecessore del predecessore). Ma non
è da questi particolari che si giudica il governo della
più-grande-azienda-culturale-del-paese. E infatti, a
nessuno è venuto in mente. Mentre tutti o quasi sono
entusiasti della scelta di Pera e Casini. A destra e
purtroppo anche a sinistra. Uomini di prestigio,
personaggi sganciati dai partiti, nomi autorevoli,
tornano gli intellettuali, professori, giornalisti,
saggisti, sociologi. Tutto vero. Eppure qualcosa non va
quando l'entusiasmo è troppo entusiasta e troppo
diffuso. Non c'è dubbio che questo Cda sia migliore del
precedente, non era facile farlo peggiore. E non c'è
dubbio che Paolo Mieli non sia Antonio Baldassarre, cioè
una marionetta. Vedremo prossimamente chi sarà il
direttore generale, il vero uomo di potere dell'azienda:
difficile farsi illusioni, sperare cioè che possa essere
qualcuno non indicato da Berlusconi. Se però Mieli
ottenesse questo risultato, se cioè riuscisse a nominare
un uomo (o una donna) capace di rifare la Rai da capo a
piedi, avrebbe segnato un bel colpo.
Ma non andrà così. Perché altrimenti Berlusconi non
avrebbe vinto le elezioni, il centrodestra non avrebbe
occupato tutto quel che c'era da occupare, il governo non
avrebbe fatto le leggi che ha fatto, il paese non sarebbe
sull'orlo di una guerra. Altrimenti, insomma, al governo
ci starebbe il manifesto.
Invece al governo c'è il proprietario delle tre
televisioni nazionali delle quali la Rai dovrebbe essere
una temibile concorrente. Non lo è stata nell'ultimo
anno e non lo sarà prossimamente, ma forse farà finta
di esserlo. Sarà forse una Rai meno volgare, più
democratica, formalmente più presentabile. Ma sarà
sempre la Rai di Berlusconi.
Il quale oggi ottiene un ottimo risultato, fa in modo che
i suoi due presidenti parlamentari nominino un Cda
applaudito da tutti, è così liberale da lasciare che
alla presidenza sieda un uomo indicato dall'opposizione e
che in gioventù simpatizzava addirittura con l'estrema
sinistra, probabilmente rinuncerà anche al suo fedele
Saccà. E tutto grazie alla partecipazione straordinaria
dell'opposizione, Ulivo e Rifondazione per una volta
(quella sbagliata) insieme.
E domani, quando malgrado Mieli la Rai farà la sua
politica (cioè la politica di Berlusconi) come farà
l'opposizione a protestare, a indignarsi, a scendere in
piazza, a circondare i palazzi? Con chi se la prenderà,
col presidente da essa stessa indicato?
Avrebbero fatto meglio Rutelli, Fassino e Bertinotti a
tenersi fuori da questo gioco truccato, molto ben
truccato. Avrebbero fatto non bene ma benissimo a non
indicare alcun nome limitandosi semplicemente a giudicare
dai risultati, invece di farsi invischiare nel gioco e
compromettersi nella nomina del nuovo Consiglio. Che
proprio perché è molto meglio del precedente rischia di
essere molto più pericoloso.
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bellissima
intervista pacifista :
DA - IL MANIFESTO
L'INTERVISTA :
Il difficile no
alla guerra della «working class»
Intervista
a Linda Smith, dirigente del sindacato dei pompieri
britannici: «Bisogna preparare lo sciopero generale»
ORSOLA CASAGRANDE
LONDRA
Linda Smith è la tesoriera della Fire Brigades Union, il
sindacato dei vigili del fuoco, da mesi ormai impegnato
in un'aspra vertenza contrattuale. La Fbu è tra le
organizzazioni più impegnate a promuovere tra i
lavoratori azioni contro la guerra. Con altre dodici
unions, la Fbu è affiliata a Stop the War Coalition, la
coalizione nazionale contro la guerra promotrice, tra
l'altro, della grande manifestazione del 15 febbraio
scorso a Londra.
Che
cosa possono fare i sindacati, tenendo presente che la
legislazione anti-sindacale thatcheriana limita di molto
l'azione delle unions?
Credo che l'azione dei due macchinisti che si sono
rifiutati di guidare i treni carichi di equipaggiamenti
militari diretti alla base americana scozzese sia un
grande esempio. L'azione diretta è certo uno dei mezzi
più efficaci per ottenere risultati concreti. Ma tra le
unions si discute anche molto di sciopero generale contro
la guerra, anche se ancora non è stato deciso nulla in
proposito. Bisogna sottolineare che in Inghilterra il
movimento operaio non ha ancora ripreso completamente
fiducia in se stesso: diciotto anni di governo
conservatore hanno spezzato le gambe alla working class.
Non è una scusa per non agire, è la verità.
Certo
sei anni di governo new Labour non hanno aiutato i
lavoratori a riconquistare fiducia...
Esatto. Qualcuno dice che il new Labour è soltanto il
prolungamento del governo Tory. Lo vediamo anche
nell'atteggiamento arrogante del premier nei confronti
dei sindacati e delle vertenze in cui siamo impegnati in
questi mesi. Per tornare a quello che le unions possono
fare per cercare di fermare questa guerra, voglio
sottolineare che cinque segretari nazionali hanno chiesto
al Trade Union Congress di convocare un congresso
nazionale straordinario per discutere dell'intervento in
Iraq. Ad ogni picchetto dei nostri vigili del fuoco a cui
ho partecipato c'erano sempre striscioni contro la
guerra. A Brixton i pompieri hanno appeso uno striscione
che dice «non abbiamo bisogno di una guerra, ma abbiamo
bisogno di vigili del fuoco».
Dopo
la manifestazione del 15 febbraio come vi siete
organizzati nei posti di lavoro?
Lo
sciopero dev'essere il nostro fine ultimo, ma dobbiamo
costruirlo perchè un'azione così importante - che in
questo paese avrebbe anche un carattere e un valore
storico non indifferente - non può fallire. Pensiamo sia
utile far approvare alle assemblee mozioni contro la
guerra e organizzare dibattiti. Le varie organizzazioni
sindacali, anche a livello locale dovrebbero unirsi a
Stop the War Coalition - molte lo stanno facendo - e
quindi organizzare riunioni nei luoghi di lavoro,
invitare speakers. Ma è importante anche attaccare
poster contro la guerra nel posto di lavoro, indossare
spille e tappezzare di adesivi uffici e fabbriche. Il
nostro dissenso deve essere visibile. Tutte queste
attività servono a ricostruire la fiducia tra i
lavoratori e a preparare il terreno per un'azione
collettiva e generalizzata come lo sciopero.
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ecco cosa fa la
follia delle brigate rosse in un periodo storico in cui
non c'e' bisogno di loro e della loro strategia apolitica
- ma di segni pacifisti. speriamo che la toscana non
accusi il colpo e per paura non diventi di destra.
DA - IL MANIFESTO
La Digos
nell'ateneo di Biagi
Perquisita la bibliotecaria che lavorava a Modena accanto
al professore ucciso un anno fa dalle Brigate rosse
Caccia ai brigatisti. I nomi della modenese, di un romano
e di un bolognese trovati nelle carte di Lioce e Galesi.
Contro di loro ancora nessuna accusa specifica
SARA MENAFRA
FIRENZE
Due scatoloni pieni di documenti, floppy disk, materiale
da archivio. Sono gli effetti personali sequestrati ieri
mattina dagli investigatori della Digos di Firenze e di
Bologna a R. P., l'impiegata della biblioteca
«Sebastiano Brusco» della Facoltà di Economia di
Modena. A lei conduce uno dei numeri di telefono che
Nadia Desdemona Lioce portava con se domenica mattina,
appuntati su un foglietto. Quarantasette anni, due figli,
in servizio dal 1976 nella biblioteca e attualmente
impiegata nel settore «periodici», R.P. potrebbe essere
l'informatrice, probabilmente inconsapevole, che le nuove
Br-Pcc usavano per tenere sotto controllo prima Marco
Biagi, il giuslavorista ucciso quasi un anno fa, e poi
Michele Tiraboschi, il suo allievo prediletto che ha
preso il suo posto nel dipartimento di economia
aziendale. Gli inquirenti se ne sono convinti già due
giorni fa quando hanno scoperto che uno dei «codici
fiscali» che la Lioce portava con sé (numeri privi di
prefisso e preceduti da una serie di lettere da cui è
possibile ricostruire il nome della donna) era il numero
del cellulare, privo di prefisso, della bibliotecaria
modenese. Per questo motivo gli inquirenti di Bologna
l'hanno interrogata subito, giovedì pomeriggio. E ieri
la donna è stata sentita anche dalla Digos di Firenze
come persona informata sui fatti. All'uscita
dall'interrogatorio gli inquirenti assicuravano che
probabilmente lei con le Br Pcc o con Mario Galesi e
Nadia Desdemona Lioce non c'entra nulla. Il direttore
della biblioteca, Sergio Paba, e il preside della
facoltà di Economia Andrea Landi, che la conoscono da
molti anni ne sono convinti e ieri hanno inviato anche un
breve comunicato stampa per esprimerle la più totale
fiducia: «E' persona ben conosciuta e stimata da tutti i
colleghi che nel corso della lunga collaborazione hanno
potuto apprezzarne la grande serietà, disponibilità e
sensibilità» vi si legge. Eppure non tutti gli elementi
del mosaico sono ancora tornati al loro posto. Non è
chiaro, secondo gli inquirenti di Bologna, come mai la
Lioce avesse con se il semplice numero di telefono
dell'ufficio in cui lavorava la donna - il 56 est a pochi
metri dallo studio 45 est dove per anni ha lavorato il
professor Biagi e che adesso è la stanza di Michele
Tiraboschi - ma il suo numero di cellulare. Come non è
chiaro perché a un anno dal delitto Biagi quel numero di
telefono fosse ancora tanto necessario da dover essere
tenuto a portata di mano per quella riunione a cui
probabilmente i due terroristi avevano appena partecipato
quando domenica mattina sono saliti sul treno 2034
diretto ad Arezzo.
Per scoprirlo gli investigatori ieri mattina hanno
perquisito sia lo studio all'interno della facoltà di
Economia di Modena dove lavora la donna, sia la sua
abitazione, sempre a Modena. Una ricerca fatta
«frettolosamente» ha ammesso ieri mattina il
procuratore aggiunto Francesco Fleury, per il resto
barricato dietro un assoluto silenzio: se non ci fossero
stati i giornali ieri mattina a dire che la «talpa»
poteva essere una bibliotecaria avrebbero continuato ad
osservare il suo comportamento ancora per qualche giorno.
Ieri la digos di Firenze ha fatto altre due
perquisizioni, una a Bologna e l'altra a Roma. Anche
questa volta si tratta di persone identificate
analizzando il materiale sequestrato ai brigatisti Lioce
e Galesi. Contatti forse. Oppure nomi clonabili da poter
utilizzare se necessario per costruirsi una nuova
identità pulita se quella riportata sulle carte
d'identità controllate dall'agente Emanuele Petri e dai
suoi due colleghi sul treno Roma Arezzo domenica mattina,
per qualche motivo, non fossero state più sicure. Da
queste ricerche, però, gli investigatori non avrebbero
rintracciato alcuun elemento utile. E non ci sono ancora
conferme all'ipotesi che una base dei terroristi si
trovasse in Toscana.
Sembrano intanto superato ogni problema per quanto
riguarda il funerale di Mario Galesi, il brigatista morto
durante la sparatoria che ha portato all'arresto di Nadia
Lioce e durante la quale è rimasto ucciso l'agente
Emanuele Petri. Finora nessun parente ha richiesto la
salma, ma la funzione si svolgerà probabilmente martedì
prossimo, o comunque nel corso della prossima settimana,
quasi certamente a Firenze. Dopo essere stato contattato
dall'avvocato Attilio Baccioli, infatti, il sindaco di
Arezzo Luigi Lucherini ha ottenuto dalla procura aretina
il nulla osta alla sepoltura. Ad occuparsi della salma
sarà la famiglia di Nadia Lioce. Daniela, la sorella,
non effettuerà il riconoscimento perché non conosceva
personalmente l'uomo, come ha spiegato l'avvocato della
famiglia Michele Passione. Ma in quanto parenti
dell'unione di fatto formata da Nadia e Mario, i Lioce
saranno autorizzati ad occuparsi del funerale dell'uomo.
La richiesta ufficiale potrebbe arrivare lunedi prossimo.
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pena capitale -
non credo ci sia bisogno di presentazioni :
DA IL MANIFESTO
L'INTERVISTA
«Io, un
innocente scampato al boia»
Parla Leroy Orange, 19 anni nel braccio della morte
dell'Illinois prima di essere graziato, il 10 gennaio
scorso, dal governatore Ryan: ho subìto torture fisiche
e psicologiche
ANGELO MASTRANDREA
ROMA
Sarà per i 19 anni trascorsi nel braccio della morte o
per ragioni squisitamente caratteriali, ma Leroy Orange
è un uomo di poche parole. Così, quando ad esempio gli
chiedi se aveva amici nel braccio della morte e se alcuni
di loro sono finiti sul lettino del boia, ti risponde con
un secco «yes»
e non procede oltre. Oggi è un uomo che non dimostra
affatto i suoi 52 anni, graziato dal governatore
dell'Illinois George Ryan, un repubblicano mosso a
compassione dai troppi errori giudiziari
nell'applicazione della pena capitale, il 10 gennaio
scorso. In libertà da appena due mesi e con un futuro
auspicato da attivista per i diritti civili, il suo
problema immediato è la ricerca di un lavoro per
sopperire alle non poche difficoltà economiche.
Difficile negli States, se sei nero e sulle tue spalle
grava il peso di un'accusa come quella dell'omicidio
della tua ex ragazza, per il quale sta scontando
l'ergastolo un suo fratellastro. Orange, immortalato in
carcere da Oliviero Toscani per la campagna We
on the death row, è uno dei
pochissimi condannati riusciti a sfuggire a un braccio
della morte americano ed è uno dei componenti del
cosiddetto «Death row 10»,
un gruppo di condannati a morte che hanno denunciato di
aver subìto torture da parte della polizia. In
particolare, da parte del famigerato comandante Jon
Burge, che sarà espulso dal Chicago
police board nel `93 proprio a causa
della sua abitudine di torturare i prigionieri. Abbiamo
incontrato Leroy Orange nella sede romana
dell'associazione Nessuno tocchi
Caino, che l'ha invitato in Italia
per l'avvio di una campagna «per arrivare a presentare
all'assemblea generale dell'Onu, il prossimo autunno, una
proposta dell'Unione europea, che nel prossimo semestre
avrà la presidenza italiana, per una moratoria mondiale
delle esecuzioni», spiega il presidente
dell'associazione Sergio D'Elia. La campagna è lanciata
insieme alla Nazionale cantanti e avrà come colonna
sonora la canzone portata a Sanremo da Enrico Ruggeri,
che parla proprio della pena di morte. La proposta di
moratoria, «di compromesso» perché chiede una
sospensione e non l'abolizione della pena di morte, era
già stata presentata nel 2000, anno del Giubileo. Con
scarso successo, visto che all'immediata vigilia della
discussione all'Onu, sull'onda delle pressioni
statunitensi, l'Unione europea la ritirò senza troppe
spiegazioni. Ad essa è legato anche un video. Ad
accompagnare l'ex «dead man walking»
è il suo avvocato Steven Block, che già da studente
della Northwestern university aveva contribuito a
smascherare gli errori giudiziari nell'applicazione delle
sentenze capitali. Poi è entrato, insieme ad altri
avvocati, procuratori, ex giudici e professori
universitari, nella commissione nominata da Ryan per
studiare tutti i singoli casi. Il risultato è stato un
rapporto di trecento pagine che ha convinto il
governatore a concedere una grazia generalizzata di cui
hanno beneficiato tutti i 156 condannati a morte
dell'Illinois. Per quattro di loro, tra cui Leroy Orange,
si sono aperte le porte del carcere, per gli altri la
pena è stata commutata in ergastolo. «La mia storia
comincia 19 anni fa, quando sono stato arrestato da Jon
Burge, un uomo che ha fatto carriera torturando
soprattutto i neri per estorcergli le confessioni che gli
facevano comodo. La mia sopravvivenza è stata possibile
grazie all'aiuto di altri, all'appoggio della mia
famiglia ma anche allo studio dell'arte e della
religione», attacca.
Lei
ha denunciato che la confessione le è stata estorta con
la tortura. Di che tipo?
Dopo l'arresto mi hanno portato in una caserma della
polizia. Lì mi hanno ammanettato e messo faccia al muro.
Volevano che gli indicassi dove avevo nascosto l'arma del
delitto. Io ho risposto che non sapevo dove fosse. Ero
seduto a terra, loro hanno spento la luce e mi hanno
messo una busta di plastica in testa per soffocarmi. Lo
hanno fatto due volte, poi sono passati a pratiche
diverse. Mi hanno legato degli elettrodi alle braccia e
lasciato partire delle scariche elettriche, poi mi hanno
abbassato i pantaloni e fatto la stessa cosa ai genitali.
A quel punto ho confessato tutto quello che volevano,
anche se non ero in grado di condurli dov'era l'arma del
delitto.
In
carcere ha ricevuto altre torture?
Soprattutto psicologiche. Vivevo in una cella di due
piedi per sei, da solo. Spesso facevano rumore per
molestarmi. Ma anche ascoltare le decisioni prese dalla
Corte per me era una tortura, perché sapevo quello che
stava passando la mia famiglia e non potevo farci nulla.
Un'altra tortura è stata assistere al fatto che alcuni
prigionieri diventavano pazzi e cominciavano a girare
nudi per le celle. Uno di loro è stato ammazzato senza
che neanche gli lasciassero il tempo di dire addio.
Come
ha vissuto questi 19 anni nel braccio della morte?
All'inizio vivevo con la speranza che le cose sarebbero
cambiate e magari in appello tutto si sarebbe risolto.
Quando invece mi sono rassegnato ho cominciato ad avere
gli incubi di notte, a svegliarmi presto la mattina.
Però poi mi sono messo a studiare, a leggere la Bibbia,
ho cominciato a parlare con gli altri prigionieri, anche
di questioni familiari, tutto quello che si può
immaginare per persone come noi, insomma. In seguito mi
sono messo a studiare diritto e a discutere il mio caso
con l'avvocato.
Assisteva
anche gli altri detenuti?
Sì, sulle questioni legali.
Alcuni
di loro sono poi stati uccisi?
Sì.
Ha
mai visto «Dead man walking», il film sulla pena di
morte con Susan Sarandon e Sean Penn?
No, non mi piacciono questi film.
Cosa
pensa di fare ora?
Cercare un lavoro.
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questa indagine
di un quotidiano economico e' almeno divertente :
DA IL SOLE 24 ORE
SPECIALE 8
MARZO
Il piccolo mondo
Internet delle donneSolo il 36% dell'universo femminile
sfrutta le opportunità del web mentre i corsi di laurea
in informatica parlano quasi unicamente al maschile. Una
guida per saperne di più.di Giulia Crivelli
Il 20 febbraio
scorso il Parlamento ha licenziato in via definitiva la
legge sulle pari opportunità. Dalla carta, sia pure
importante, ai fatti, il passo é lungo: le donne
studiano meno, hanno tassi di disoccupazione più alta.
C'é tuttavia un mondo che l'universo femminile frequenta
assai poco ed é proprio quello di Internet. Le donne non
studiano, non si specializzano in informatica e solo il
36% fa uso del web contro l'86% degli uomini.
Un'occasione, dunque, l'8 marzo, per saperne di più.
Italia, fanalino
di coda per le pari opportunità nell'UeNel 2003 la
Costituzione italiana è stata modificata per
ufficializzare l'impegno a eliminare le differenze in
politica. Ma ne restano molte altre, a cominciare da
Internet, che invece potrebbe essere davvero una
"pari opportunità". Ma qualcosa si muove. di
Giulia Crivelli
Il 2003 alle
donne italiane ha portato una novità politica
importante: il 20 febbraio infatti il Senato ha dato la
sua approvazione definitiva al ddl costituzionale, che
introduce il il principio della pari opportunità tra
donne e uomini nella Costituzione italiana.
L'articolo 51 della Costituzione, fino al 20 febbraio,
recitava: ''Tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso
possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche
elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i
requisiti stabiliti dalla leggè'.
Il ddl ha aggiunto un secondo comma di 16 parole: ''A
tale fine la Repubblica promuove con appositi
provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini''.
In sostanza il provvedimento mira a una maggiore presenza
delle donne in politica; non attraverso la garanzia
dell'elezione ma grazie ad una maggiore possibilità per
le donne di candidarsi, di farsi conoscere dagli
elettori, di competere in campagne elettorali, spesso
costosissime, cercando di influenzare anche e prima di
tutto i partiti a cambiare la struttura di "club
quasi solo maschili". Senza pero' ingerenze, vietate
dalla Costituzione, sulla loro attivita' o sulla loro
organizzazione.
Nel 1996 il ministero, ma l'Italia resta fanalino di coda
Il ministero delle Pari
Opportunità (in questo governo
affidato a Stefania Prestigiacomo fu istituito nel maggio
1996, senza portafoglio: faceva parte del Governo Prodi e
fu affidato alla diessina Anna Finocchiaro.
Attualmente l'Italia, con il 9,2% di presenze femminili
in Parlamento, è all'ultimo posto in Europa e al 69°
nel mondo per il numero di donne parlamentari. Ci
precedono tutti i Paesi del nord Europa (Svezia in testa
con il 42,7%) ma anche tanti paesi dell'Africa e
dell'Asia (dal Congo al Mozambico, dal Turkmenistan al
Laos).
Le donne italiane secondo l'Ue
Sono le più longeve d'Europa, si sposano a 27 anni,
hanno il primo figlio poco dopo i 28 e fanno registrare
il tasso d'occupazione e di conseguimento di diplomi di
laurea più basso dell'Ue: è questo l'identikit delle
donne italiane che emerge da una ricerca
in
vista dell'8 marzo, il 5 marzo.
Longeve e con pochi figli
Secondo gli esperti statistici dell'Ue le donne italiane
possono contare su un'aspettativa di vita di 82,9 anni -
la più alta d'Europa dopo la Francia - contro una media
di 81,4 registrata nei Quindici. Rispetto alla
controparte maschile i fiocchi rosa italiani possono
contare su quasi 6 anni di vita in più, e, a partire dai
65 anni, rappresentano il 59,1% della popolazione anziana
dello stivale. I dati confermano l'ultimo posto in
classifica dell'Italia per numero medio di figli (1,24
contro una media europea di 1,47).
Solo il 10% ha un diploma di laurea
Sotto il fronte degli studi solo il 10% delle italiane è
in possesso di un diploma di laurea: si tratta della
percentuale più bassa dell'Ue, che registra invece una
media del 21% tra le donne e del 23% tra gli uomini. In
generale le studentesse italiane sono più orientate
verso il settore delle scienze sociali (36%) e delle
facolta' umanistiche ed artistiche (22%), mentre i loro
colleghi sono più numerosi nella aule di ingegneria e
nelle discipline scientifico-tecniche.
Disoccupazione molto alta
Il tasso di occupazione femminile in Italia è il più
basso dell'Ue (41,9% contro una media del 54,9%). Un dato
che non sorprende il ministro italiano alle pari
opportunità, Stefania Prestigiacomo, che ha così
commentato, da Bruxelles, i dati: ''La disoccupazione
femminile è un dato storico in un paese come l'Italia in
cui si ha un problema complessivo di occupazione. Spero
che questo gap si possa colmare in tempi brevi, sono
certa che la riforma del mondo del lavoro avviata dal
governo, che è vista con favore in Europa e non solo,
dara' buoni risultati''. ''Certo si potrebbero calibrare
meglio alcuni strumenti a disposizione del sostegno
all'occupazione femminile - ha aggiunto il ministro -
privilegiando interventi diretti e rapidi sotto il
profilo dell'erogazione di fondi''.
Più attente alla cultura, alla linea, alla salute
Nella vita sociale le donne italiane leggono più liberi
e riviste degli uomini e vanno molto più spesso a teatro
della loro controparte maschile che è invece più
orientata verso il cinema e gli eventi sportivi. Le donne
italiane sono molto più attente alla linea degli uomini:
è sovrappeso il 16,9% (contro una media maschile del
18,8%), mentre il 18,1% è sotto il proprio peso forma
(per gli uomini la stessa percentuale scende al 4,7%).
Anche sigarette ed alcool attraggono di meno il sesso
femminile: le fumatrici in Italia sono il 19,6% della
popolazione over 15, mentre tra gli uomini la media tocca
il 34,7%. Le donne spendono per l'acquisto di bevande
alcoliche il 30% meno degli uomini. Limitata anche la
percentuale di donne (14%) che si registra in totale tra
il numero di persone che in Italia ha fatto ricorso a
cure contro le tossicodipendenze.
Internet, un'opportunità sottovalutata
Il mondo di Internet, sempre secondo Eurostat, è meno
attraente per le europee in generale e per le italiane in
particolare: solo il 36% utilizza il web contro l'86%
degli uomini. E questo è un gran peccato: perché
Internet ha un grande potenziale. I pc, inoltre, non
capiscono se davanti a loro c'è un uomo o una donna e
quindi, non possono discriminare.
Negli ultimi anni sono nati molto siti web dedicati alle
donne, che offrono informazioni ma anche consigli e
servizi. Di seguito troverete una panoramica di questi
siti.
C'è però un altro aspetto che riguarda il rapporto tra
donne e tecnologie: anche se sta crescendo il numero di
donne che utilizzano Internet e i computer in generale,
continua a essere molto basso il numero di donne che
frequentano le facoltà di informatica, ingegneria
informatica e matematica.
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la lotta che si
sta scatenando su MEDIOBANCA - ex impero di ENRICO CUCCIA
- per eliminarla e farla diventare un controllore
economico privato e non statale e' oramai alla
conclusione - vediamo come potra' chiudersi la vicenda :
DA - IL
MESSAGGERO
Generali:
scontro finale, Consob in campo
Allo
scoperto Merril Lynch: abbiamo il 4,95%. Scambiati altri
grossi pacchi di titoli
di JACOPO ORSINI
MILANO - La battaglia sulle Generali prosegue, ma lo
scontro ha fatto scattare lintervento della Consob.
Il presidente dellautorità, Luigi Spaventa, ha
dichiarato che la commissione verificherà se ci siano
stati acquisti di azioni concertati da parte di
Unicredito e alleati. Intanto ieri è uscita allo
scoperto la banca daffari Merrill Lynch, che ha
dichiarato di possedere complessivamente il 4,95% della
compagnia. Sul mercato nel frattempo non si fermano i
movimenti di grossi pacchi di titoli. Ieri sono passati
di mano altri due blocchi di azioni (uno dell1 e
laltro dell1,5%, il secondo a un prezzo del
20% circa più alto di quello di mercato) e il volume
degli scambi, anche se in calo rispetto ai picchi dei
giorni scorsi, è rimasto alto. Ancora giù però le
quotazioni: le Generali hanno ceduto il 2,84% a 20,15
euro portando al 13% circa il ribasso accusato nella
settimana.
Merril allo scoperto. Dopo la discesa in campo del Monte
dei Paschi a fianco del fronte guidato da Alessandro
Profumo, ieri la banca daffari ha comunicato di
avere in mano il 4,95% delle Generali (l'1,81% in
portafoglio e il 3,14% derivante da opzioni per
acquistare altri titoli). Nei giorni scorsi
listituto, che di fatto diventa così il secondo
azionista del Leone dopo Mediobanca (13,6%) e Bankitalia
(4,7%), era stato indicato da indiscrezioni come
intermediario responsabile degli acquisti di titoli
Generali per la cordata di Unicredito. La quota della
banca daffari sarebbe comunque già stata contata
nel pacchetto del 13-14% sul quale la banca di Alessandro
Profumo ha fatto sapere di poter contare
nelloffensiva contro Mediobanca.
Lo scontro continua. Proseguono i contatti alla ricerca
di un compromesso tra i due fronti, anche alla luce del
tentativo di pacificazione avviato dal ministro del
Tesoro, Giulio Tremonti e al lavoro di mediazione del
presidente del patto di sindacato che governa Mediobanca,
Piergaetano Marchetti. Ma una soluzione non sarebbe
ancora a portata di mano. Sul mercato si parla con
insistenza di Roberto Poli come possibile presidente di
garanzia di piazzetta Cuccia, ma la resa e luscita
di Vincenzo Maranghi dallistituto, vero obiettivo
dellassalto di Unicredito, resta per ora incerta.
Spaventa vigila. La Consob non ritiene che ci siano state
«anomalie ai fini della trasparenza del mercato» nella
vicenda Generali. In ogni caso, ha sottolineato il numero
uno dellautorità, faremo accertamenti e
verificheremo «se ci siano acquisti di concerto che
diano luogo a un sindacato implicito». Se la commissione
dovesse accertare che Unicredito e alleati hanno dato
vita a un patto occulto, in base a quanto previsto dalle
norme del Testo unico della finanza, potrebbero scattare
delle sanzioni. Anche se dimostrare lesistenza di
un accordo sarà molto complicato.
«La Consob - ha spiegato ancora Spaventa - ha svolto u
ruolo di ufficiale postale. Tutte le acquisizioni di
partecipazioni superiori al 2% sono state rese note».
Insomma sotto il limite del 2% lautorità, in base
a quanto previsto dalla legge, non ha potere e gli
investitori possono muoversi in libertà. Inoltre la
Consob non può chiedere informazioni alle Fondazioni,
molto attive nello scontro sulle Generali. La
commissione, ha continuato Spaventa, «può intervenire
solo sui soggetti vigilati» e fra questi non ci sono le
fondazioni. «Non ne avremmo titolo», ha concluso
facendo intendere chiaramente che semmai la vigilanza
sugli enti spetta al ministero dellEconomia.
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e' vero che
potrebbe accadere, l'onu ha intralciato pesantemente
l'azione di guerra degli USA - ma e' anche vero che l'onu
e' stato sempre troppo influenzato dalle decisioni
americane, putroppo potrebbe sparire definitivamente,
visto come sono cambiati i tempi e gli assetti geografici
politici.
DA - L'UNITA'
Il Vaticano
preoccupato: «La guerra americana sarà la fine
dell'Onu»
di Roberto Monteforte
Cosa avverrà il
17 marzo, quando scadrà lultimatum posto da Bush
ed i suoi alleati a Saddam Hussein? Quale sarà il
destino delle Nazioni Unite se gli Usa decidessero di
attaccare Baghdad senza lappoggio del Palazzo di
Vetro? Sono questi gli interrogativi che preoccupano
larcivescovo Renato Martino. Il presidente del
Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, per 16 anni
«osservatore permanente» della Santa Sede alle Nazioni
Unite lo dice chiaramente in unintervista
allagenzia missionaria Misna: «Se gli Stati Uniti
decidono la guerra allIraq in mancanza di voti
sufficienti o con un veto del Consiglio di Sicurezza
dellOnu, ciò costituirebbe uno smacco tale da cui
le Nazioni Unite difficilmente potrebbero riprendersi».
«Sarebbe un pericolo gravissimo per tutta la comunità
internazionale» ha aggiunto larcivescovo. «Se -
ha spiegato mons. Martino - nonostante la mancanza di
voti sufficienti o il veto, si andasse alla guerra
egualmente, lOnu soffrirebbe un tale smacco dal
quale non so se potrà riprendersi. Finirebbe infatti lo
scopo per il quale le Nazioni Unite sono state create: il
mantenimento della pace e lo sviluppo». «Si tratta di
un pericolo gravissimo che la comunità internazionale
non dovrebbe correre. Sappiamo come fallì miseramente la
Società delle Nazioni», ha aggiunto il presidente del
dicastero Pontificio Giustizia e Pace.
Dice la sua anche
sullultimatum di dieci giorni allIraq posto
da Stati Uniti, Gran Bretagna e Spagna, mons. Renato
Martino. Fa notare che esso scatterebbe una volta che al
Consiglio di Sicurezza dellOnu fosse approvata una
nuova risoluzione in questo senso, ma non crede che al
momento ci sia una maggioranza disposta ad approvare una
seconda risoluzione e comunque alcuni membri permanenti
del Consiglio di Sicurezza hanno annunciato la
possibilità di usare il diritto di veto. Il punto non è
evitare il disarmo del rais di Baghdad, ma quello di
percorrere una via duscita «pacifica» e per
larcivescovo la soluzione è lineare. «Si dia
ancora forza e peso alla risoluzione 1441» afferma. E
questo dopo la relazione presentata venerdì scorso al
Consiglio di Sicurezza dai capi degli ispettori Onu vuol
dire semplicemente assecondare le loro richieste. «Gli
ispettori hanno bisogno, come ha richiesto Blix, di
almeno altri 4 mesi per condurre a termine il loro lavoro
- fa notare -. Daltro canto lIraq, forse
grazie anche alla forte pressione esercitata dal
presidente Bush, sta rispondendo alle esigenze degli
ispettori che, secondo la 1441, sono incaricati e hanno
il potere, una volta trovate queste armi micidiali, di
renderle inoffensive o distruggerle». Daltra parte
mons. Martino, consapevole delle conseguenze che si
determinerebbero anche nei rapporti tra i paesi europei,
gli Usa ed i suoi alleati, si è augurato che non si
arrivi al veto e «che si adoperino, invece, tutti i
mezzi a disposizione prima di tale misura. Il Papa
continua a richiamarci a questo».
Non è pessimista
il presule. In un editoriale che apparirà domani
sullOsservatore Romano osserva che il «tragitto
verso la pace è lungo ma non impossibile, che le
resistenze sono tante ma non insormontabili, che il
passato ostacola il futuro ma non lo pregiudica». «La
pace diventa - scrive ancora mons. Martino -
"misura" e criterio di discernimento, diventa
"agenda": elenco di cose da farsi, ossia
doveri. Come "dono di Dio" essa appartiene
allumanità, è il suo bene comune. È scontrosa e
condiscendente, esigente e disponibile. Scontrosa,
perché non tollera meschini compromessi e
strumentalizzazioni; condiscendente, perché si pone alla
portata di tutti, perfino dei grandi della terra.
Esigente, perché fatta per persone convinte e
coraggiose; disponibile, perché si adegua al realismo
della gradualità e alla tolleranza delle debolezze
umane».
Ieri, dopo la
missione alla Casa Bianca è rientrato in Vaticano il
cardinale Pio Laghi. Da Fiumicino, linviato
speciale del Papa ha fatto il punto sulla sua missione.
Ha raccontato di essere stato ricevuto sia dal presidente
Usa, George W. Bush che dal segretario di Stato, Colin
Powell con grande cortesia ma che, purtroppo, «la
cortesia non è sufficiente» per scongiurare un
conflitto. Quello sul quale ha insistito nei suoi
incontri è stata la necessità di risolvere il
contenzioso allinterno delle Nazioni Unite e non
attraverso una guerra preventiva. «Solo se deciso dalle
Nazioni Unite ogni intervento potrebbe essere legale e
giusto».
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se questa non
e' follia ditemi voi come posso chiamarla - inviatemelo
alla mia email - aaluana@tiscali.it
- e' naturale
che dietro queste azioni, come quella della separazioni
delle carriere la giustizia subisce delle oscure vendette
da parte del potere politico.
DA - L'UNITA'
Giustizia, con
cinque righe di comunicato Castelli cancella il giudice
dei minori
di
Susanna Ripamonti
Cinque righe di
comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri
hanno cancellato i tribunali dei minori italiani. Dopo
lapprovazione del maxi-emendamento alla riforma
dellordinamento giudiziario, il Cdm ha
laconicamente dichiarato che «con le nuove disposizioni,
i tribunali per i minorenni sono soppressi e le sezioni
specializzate sono istituite presso tutti i tribunali ove
risulti possibile». Cosa significa tutto questo? Se lo
chiedono i magistrati in attesa di «soppressione»,
ricordando che da anni si parla di una riforma della
giustizia minorile, ma il senso che finora era stato
indicato era quello di creare presso i tribunali le
sezioni specializzate sulle tematiche familiari, dai
divorzi allaffidamento dei minori.
In particolare,
affidamento e adozioni sono una materia complicata,
regolata da una normativa disordinata, che richiederebbe
una riscrittura integrale. Basti pensare
allincrocio di competenze tra giudice tutelare e
tribunale dei minori e ancora al corto circuito che
spesso si crea, in materia di adozioni, tra le decisioni
dei tribunali e le politiche della commissione centrale
per le adozioni internazionali. Ma se la scelta del
consiglio dei ministri è quella di creare nuove sezioni
specializzate in giustizia minorile, sicuramente non si
tratta di una riforma che sta dietro langolo. «Il
governo ha fatto bene i calcoli della copertura degli
organici?» si chiede Pasquale Andria, presidente
dell'associazione italiana dei magistrati che si occupano
di minori. Andria fa un rapido calcolo: «ora i tribunali
sono 29, le sedi giudicanti sarebbero invece un
centinaio. Servirebbero quindi altri 500-600 giudici. Non
vedo dove questi potrebbero essere reperiti».
Dunque tempi
lunghi, lunghissimi, per una riforma di cui si è
iniziato a parlare nell82 e che era stata approvata
dal governo il primo marzo dello scorso anno. Il primo
stralcio prevedeva labolizione del tribunale dei
minori civile e che fosse il giudice ordinario, nelle
sezioni specializzate, a decidere, tra l'altro,
sull'affidamento, l'adozione, la decadenza della
potestà. La composizione prevista per le sezioni
specializzate, che dovrebbero essere istituite in ogni
tribunale, è solo di magistrati, quattro per ogni
sezione, che assumeranno la funzione giurisdizionale.
Spariscono quindi gli esperti laici dal collegio
giudicante, che torneranno ad essere solo consulenti
esterni. Si prevedeva inoltre il coinvolgimento dei
genitori nelle procedure di affidamento dei figli minori,
nei casi di separazione e divorzio. Con l'emendamento
approvato venerdì, per quanto si è capito, la stessa
formula dovrebbe estendersi anche ai tribunali penali
minorili.
In cifre, la
giustizia minorile riguarda un numero ristretto di
giovani (al di sotto dei 21 anni)che sono però in buona
misura recidivi. Alla fine del 2000, erano 440, di cui 54
femmine, i minori presenti negli Istituti Penali per
Minorenni, ma nello stesso anno sono stati 1.886 gli
ingressi, di cui 1.107 stranieri e 779 italiani. Questo
significa che le stesse persone sono entrate e uscite
più di una volta, nellarco di un anno da carceri
minorili.
Oltre agli
istituti penali per minorenni, le strutture riservate a
chi ha una età tra i 14 e i 21 anni, sono i centri di
prima accoglienza, gli uffici di servizio sociale per
minorenni e le comunità. Nei Cpa, che ospitano i minori
arrestati o fermati e accompagnati fino all' udienza di
convalida, nel 2000 sono stati registrati in 3.994, il 6
per cento in meno rispetto all'anno precedente. Gli
stranieri sono stati il 56,3 per cento, in netto aumento
rispetto agli anni precedenti. Sempre meno gli italiani
quindi, e sempre più gli stranieri, anche se il numero
complessivo rimane costante.
Furti e scippi
sono i reati maggiormente contestati, ma non mancano gli
omicidi volontari e associazione mafiosa. La prevalenza
maschile è netta, almeno per gli italiani, mentre per
gli stranieri le giovani nomadi riducono la forbice tra
maschi e femmine. Intanto continua a far discutere anche
la separazione delle funzioni, proposta dal consiglio dei
ministri. Per il presidente emerito della Cassazione
Giovanni Conso si tratta solo a parole di separazione
delle funzioni. «In realtà - afferma - ciò che il
governo propone è la separazione delle carriere dei
magistrati». Conso se la prende soprattutto con
lipotesi di introdurre concorsi su concorsi per
regolare la carriera dei magistrati: «non fanno che
distoglierli dall'attività giudiziaria. Altro che
efficienza!».
È duro anche il
commento del segretario dell'Anm, Carlo Fucci: «Talvolta
la lettura di alcune proposte di riforma del sistema
processuale e anche ordinamentale lasciano pensare che,
probabilmente, ci sia una sorta di volontà o punitiva o
di condizionamento nei confronti della magistratura.
L'Anm si augura che il testo presentato dal governo non
sia un testo blindato così come affermato da alcuni
esponenti della maggioranza
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concludo anche
questa domenica - lasciandovi con una bellissima
intervista realizzata dall'unita' ad una donna
palestinese che brilla come una stella per la sua
intelligenza :
Quella nomina a
primo ministro, una vittoria dei riformatori"
«La designazione di Abu Mazen a primo ministro,
rappresenta un successo per quanti si sono battuti per
una decisa accelerazione del processo riformatore. Di
certo, la statura politica di Abu Mazen è tale da fugare
ogni dubbio sul ruolo puramente "decorativo" di
un primo ministro. Conosco molto bene Abu Mazen e so che
accetterà l'incarico solo se avrà i poteri necessari
per imprimere una svolta all'azione politica palestinese.
Ma il suo successo dipende anche da Israele. Se Sharon
continuerà ad occupare i Territori, a sviluppare una
brutale e indiscriminata repressione contro l'intero
popolo palestinese, ogni tentativo riformatore sarà
destinato al fallimento». A sostenerlo è una delle
personalità più rappresentative ed indipendenti della
dirigenza palestinese: Hanna Siniora, ex direttore del
quotidiano in lingua araba di Gerusalemme Est
«Al-Fajir», designato da Arafat a ricoprire il delicato
incarico di rappresentante dell'Anp a Washington.
Come
leggere politicamente la designazione operata da Yasser
Arafat di Mahmud Abbas (Abu Mazen) come primo ministro?
«Si tratta di un importante successo del fronte
riformatore e, viceversa, di una sconfitta dell'ala
oltranzista palestinese. Abu Mazen, è bene ricordarlo,
è stato uno degli artefici degli accordi di
Oslo-Washington (settembre 1993, ndr.) che
rappresentarono una svolta storica nelle relazioni tra
Israele e Olp. Abile diplomatico, Abu Mazen è anche un
profondo conoscitore della realtà interna palestinese e
questo può agevolare il suo compito, soprattutto se
saprà favorire la maturazione di una nuova classe
dirigente».
Qual
è la posizione più recente manifestata da Abu Mazen che
ha più apprezzato?
«L'aver posto pubblicamente, e senza mezzi termini, il
problema di un ripensamento radicale sugli strumenti di
lotta. Abu Mazen ha avuto il coraggio di dire chiaramente
che la militarizzazione dell'Intifada, gli attacchi
suicidi, hanno fortemente indebolito la causa palestinese
sotto ogni punto di vista. E da questa considerazione ha
fatto discendere la proposta, invisa ai gruppi
estremisti, di smilitarizzare la rivolta e di porre un
blocco temporalmente significativo alle azioni armate.
Abu Mazen ha dimostrato così di avere coraggio e di
saper andare controcorrente, sfidando anche orientamenti
diffusi tra la popolazione palestinese. Agendo in questo
modo si è rivelato un vero leader che sa parlare il
linguaggio della verità, anche se questa verità può
non piacere a tutti. Certamente non è piaciuta a quei
gruppi che hanno tacciato Abu Mazen di tradimento
minacciandolo di morte».
La
designazione di Abu Mazen segna l'emarginazione di
Arafat?
«No, almeno non nell'immediato. Di certo sancisce un
reale riequilibrio dei poteri. Abu Mazen non sarà un
premier "immagine", un esecutore passivo di
scelte altrui. La designazione di Abu Mazen segna
l'inizio della fine del potere assoluto in mano ad
un'unica persona. Arafat resterà presidente, ma non
sarà più il "raìs" che tutto decide e che
tutto gestisce».
E
i gruppi estremisti come reagiranno a questa nomina?
«Cercheranno di
contrastarla con ogni mezzo, a cominciare dallo sviluppo
degli attacchi contro Israele. In questo senso, ritengo
che l'attentato suicida di Haifa sia da porre anche in
relazione alla convocazione della riunione del Consiglio
centrale dell'Olp domani (oggi, ndr.) a Ramallah, nella
quale si discuterà la nuova Costituzione e la nomina di
Abu Mazen a primo ministro. In questo tentativo di
bloccare il processo riformatore, i gruppi estremisti
trovano un valido alleato nella destra oltranzista
israeliana. Rappresaglie sanguinose come quella condotta
nella Striscia di Gaza fanno il gioco di Hamas, della
Jihad e del fronte del rifiuto palestinese».
Quanto
ha inciso l'imminente guerra in Iraq sulla decisione
presa da Arafat?
«Certamente ne ha accelerato i tempi. Arafat, e non solo
lui, teme che la guerra all'Iraq potrebbe essere
utilizzata da Israele per inasprire ulteriormente la
repressione nei Territori e per porre in essere misure
più volte evocate, come l'espulsione di Arafat dai
Territori. La nomina di Abu Mazen è anche un segnale
alla comunità internazionale, in particolare agli Stati
Uniti perché fermino la mano di Sharon e agiscano con
determinazione per mettere in pratica il "tracciato
di pace" elaborato dal Quartetto (Usa, Ue, Russia,
Onu, ndr)».
Quali
dovrebbero essere, a suo avviso, le priorità nell'agenda
del primo ministro designato?
«Sono tre: la smilitarizzazione dell'Intifada; la lotta
alla corruzione; il miglioramento delle condizioni di
vita della popolazione palestinese. Tre grandi emergenze
tra loro strettamente intrecciate. E' un impegno da far
tremare i polsi a chiunque, ma sono certo che Abu Mazen
possa farcela. Ne ha la capacità, ma deve avere i poteri
necessari per affrontare questa triplice sfida».
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un bacio - luana.
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