ECCOCI PER LA
NUOVA DOMENICA DEL 23 FEBBRAIO 2003.... bush cerca di
accellerare i tempi - ed io mi chiedo, se riesce a
manovrare cosi' bene L'ONU, come hanno fatto i radicali a
chiedere che sia proprio l'esercito di questo a
sostituire SADDAM ?
DA - LA REPUBBLICA
Bush all'Onu:
"Subito
una nuova risoluzione"
La
presentazione la prossima settimana: "Sarà un
documento
chiaro e semplice sul mancato disarmo di Saddam"
WASHINGTON - Il
presidente americano George Bush lancia, di fatto, un
ultimatum al Consiglio di sicurezza dell'Onu, sulla
quesione irachena. E lo fa - nel corso di una conferenza
stampa congiunta, in Texas, col premier spagnolo José
Maria Aznar - annunciando che non ha alcuna intenzione di
aspettare "altri due mesi" le decisioni del
Palazzo di Vetro. Ecco perché, la prossima settimana,
gli Stati Uniti presenteranno in Consiglio una nuova
risoluzione, "espressa in termini chiari e
semplici". In pratica, dice l'inquilino della Casa
Bianca, l'Onu dovrà affrontare "una chiara scelta:
davanti agli occhi del mondo, il Consiglio di sicurezza
dovrà mostrare se intende dare un significato a ciò che
ha già affermato".
Il presidente motiva così la sua accelerazione: la
precedente risoluzione su Bagdad, la numero 1441,
"non chiedeva - ha sottolineato - concessioni minori
ma un disarmo totale e immediato" di Badgad. Da qui
la necessità di una nuova risoluzione, "che
affermerà che l'Iraq non sta rispettando gli obblighi
della 1441".
Un ragionamento
che tradisce l'impazienza dell'amministrazione americana,
decisa a passare alle vie di fatto contro Saddam e forse
innervosita dai continui sforzi diplomatici per
scongiurare la guerra. Impazienza che Bush ammette
esplicitamente: "Non sono disposto ad aspettare
altri due mesi" per il via libera del Palazzo di
Vetro, spiega. Concludendo, ancora una volta, che
"il tempo sta per scadere".
E, a cementare l'unità di vedute con alcuni degli
alleati più fedeli sulla questione irachena, il
presidente Usa non solo annuncia questa nuova risoluzione
alla presenza di Aznar; ma si collega anche, in
teleconferenza, con Silvio Berlusconi e Tony Blair. Un
modo per serrare i ranghi in vista del conflitto, ma che
probabilmente non piacerà ad altri paesi europei.
Francia e Germania in testa.
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il papa
continua a giocare le sue carte per bloccare questa
guerra, in realta' sarebbe meglio andare a baghdad per
fare l'impresa, ma sembra che i servizi segreti americani
lo hanno impedito .... quindi stiamo vedendo le mosse dei
servizi segreti vaticani.... che sperano in blair e nel
suo cattolicesimo.... ma saltano la storia di anni e anni
di inciuci e passioni tra l'inghilterra e l'america.
DA - LA REPUBBLICA
Il Papa a Tony
Blair
"Scongiurare la guerra"
Un
ennesimo, accorato appello per la pace: "Bisogna
sfruttare
le risorse del diritto internazionale per evitare una
tragedia"
CITTA' DEL
VATICANO - Di fronte alla crisi irachena, "si faccia
ogni sforzo per evitare al mondo nuove divisioni":
è quanto ha chiesto oggi il Papa al premier britannico
Tony Blair, ricevuto in udienza alla Santa Sede. Un
ennesimo accorato appello per la pace lanciato dal
Pontefice, e rivolto a uno dei leader mondiali più
convinti dell'inevitabilità del conflitto. Eppure,
malgrado i tanti segnali negativi, Giovanni Paolo II non
demorde: "Bisogna adoperare - ha detto oggi al suo
interlocutore - le risorse offerte dal diritto
internazionale per scongiurare la tragedia di una
guerra".
Non si sa quanto il primo ministro inglese abbia
concordato con lui. In ogni caso, il colloquio tra il
Papa e Blair - ha riferito il portavoce vaticano, Joaquin
Navarro Valls - si è svolto in "un clima
cordiale" ed è durato mezz'ora. Nel corso
dell'incontro "si è parlato della complessa
congiuntura internazionale, con particolare riguardo al
Medio Oriente".
Subito dopo
l'udienza con il Pontefice, il premier britannico si è
incontrato con il segretario di Stato vaticano, il
cardinale Angelo Sodano, e con il "ministro degli
Esteri" della Santa Sede, monsignor Jean Louis
Tauran. I due diplomatici hanno ribadito a Blair, secondo
il resoconto fatto da Navarro," la necessità che
tutte le parti interessate nella nota crisi irachena
possano collaborare con l'Onu e sappiano adoperare le
risorse offerte dal diritto internazionale, per
scongiurare la tragedia di una guerra che da più parti
si reputa ancora evitabile". "Speciale
considerazione - ha aggiunto il portavoce - è stata data
alla situazione umanitaria del popolo iracheno, già
tanto duramente provato da lunghi anni di embargo".
Si è conclusa così un'altra giornata intensa, sul
fronte degli sforzi per scongiurare la guerra. Giornata
cominciata con l'arrivo di Blair in Vaticano, intorno
alle 10,40, in leggero anticipo rispetto all'udienza
papale fissata per le 11. Nel cortile di San Damaso, un
picchetto della Guardia Svizzera gli ha reso gli onori
del cerimoniale. Blair era accompagnato dalla moglie
Cherie, che è cattolica, e dai figli.
Il Papa ha accolto il premier nella sua biblioteca
privata e i due uomini si sono seduti uno accanto
all'altro, su due poltrone, per un colloquio privato
durato una trentina di minuti. Al termine dell'udienza,
Blair ha presentato al pontefice la sua famiglia e gli ha
fatto omaggio di due doni: un vaso in porcellana con un
dipinto del portone di Downing Street 10, la residenza
del primo ministro britannico, e una statuetta in bronzo
di Santa Margherita di Scozia. Giovanni Paolo II ha
ricambiato con le tradizionali medaglie del suo
pontificato.
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ci sono
migliaia e migliaia di soldati americani ai confini di
baghdad.... certo non stanno facendo una parata in onore
di saddam.... questa richiesta sa dell'assurdo.
DA - LA REPUBBLICA
Ultimatum degli
ispettori:
"Distruggete i missili"
El
Baradei (Aiea): "Saddam non coopera pienamente"
NEW YORK - Gli
ispettori Onu insistono. E fanno arrivare un secco
ultimatum all'Iraq. Il capo della missione Unmovic, Hans
Blix ha spedito una lettera al regime di Saddam Hussein
in cui si sollecita la distruzione, entro sabato
prossimo, dei missili Al-Samoud-2, armi che violano le
risoluzioni sul disarmo perché hanno una gittata
superiore ai 150 chilometri.
Ma da Bagdad la risposta è interlocutoria:
"Discutiamone, ma la questione deve far parte del
negoziato con l'Onu - dice il ministro degli esteri di
Bagdad, Naji Sabri - Tutte le questioni pendenti possano
essere risolte dalle due parti senza che potenze esterne
esercitino alcuna pressione su loro".
Ma gli ispettori insistono. Hanno ormai la conferma dei
loro sospetti. Per questo, nei giorni scorsi, avevano
messo i sigilli ai missili Al Samoud 2 scoperti in
diversi siti intorno a Bagdad. Sempre per questo Blix
chiede anche la distruzione dei 380 motori di missili
importati in Iraq illegalmente, in violazione
all'embargo. L'opera di dismissione, scrive Blix, deve
iniziare entro il primo marzo e deve essere condotta
"sotto la guida e supervisione degli
ispettori".
La questione è
delicata. La distruzione dei missili, dice Blix, deve
avvenire a partire dal primo marzo. Se ciò non avverrà,
il rifiuto iracheno potrebbe essere usato per
giustificare una guerra contro Saddam. Quanto alla
presentazione del nuovo rapporto degli ispettori al
consiglio di sicurezza, che avrebbe dovuto avvenire il
primo marzo, potrebbe slittare al 7 marzo: un rinvio
forse dovuto proprio alla richiesta di Blix.
L'ultimatum degli ispettori si scontra con una realtà
che oggi il direttore generale dell'Agenzia
internazionale dell'energia atomica (Aiea), Mohamed El
Baradei, ha lamentato, e cioè che Bagdad, almeno fino a
oggi, "non coopera pienamente". El Baradei, che
si trova in Iran per ispezionare dei siti, ha
sottolineato in particolare l'esigenza di una "più
piena cooperazione di Bagdad in materia di armamenti
biologici e chimici". Ribadendo che comunque
"la guerra non è inevitabile", il direttore
dell'Aiea ha chiesto all'Iraq di "collaborare più
attivamente per consentire le interviste di scienziati
all'esterno e all'interno" del Paese.
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valentino e non
e' la prima volta che lo scrivo... va sempre letto.
DA - IL MANIFESTO
Sciopero
VALENTINO PARLATO
La situazione (l'incubo della guerra attesa) non dà
spazio alla retorica, ma proprio per questo la giornata
di oggi, nel nostro paese, è di straordinaria importanza
per quel che sarà e per quel che dirà. Non a caso la
grande stampa e le Tv hanno messo il silenziatore. Oggi
la Cgil, da sola, ha dato l'indicazione di uno sciopero
di quattro ore dei sei milioni e mezzo di lavoratori
dell'industria. La Fiom, anche lei da sola, ha
raddoppiato: otto ore di sciopero per tutti i
metalmeccanici, che sono il nucleo forte dei lavoratori
dell'industria.
Questa giornata di sciopero - lo ha ripetuto Guglielmo
Epifani sul nostro giornale di ieri - è contro il
declino economico e per i diritti dei cittadini
lavoratori. I due obiettivi si tengono, come ai tempi del
piano del lavoro di Di Vittorio e degli scioperi alla
rovescia, dei quali si è persa la memoria: le crisi, o
più eufemisticamente i declini, sono, storicamente, un
passaggio critico che può vedere la crescita o la
demolizione dei diritti.
Siamo a un confronto drammatico, forte, che si pone in
una fase di grande trasformazione dell'industria e del
lavoro. Una trasformazione che, come in vario modo altre
volte nel passato, ha indotto il colto e l'inclita a
decretare la fine del lavoro: per la stampa e le Tv di
ieri, salvo poche e meritevoli eccezioni, questo sciopero
non è esistito, le previsioni del tempo hanno avuto più
spazio. Questo è il dato della cultura dominante: il
lavoro non c'è più e può essere anche inquinante. Lo
sciopero di oggi della sola Cgil e della sola Fiom è
anche un importante momento di una battaglia culturale,
di illuminazione del reale, non dico contro il pensiero
unico, ma piuttosto contro il pensiero accondiscendente
ai poteri forti, a chi comanda e non più dirige:
l'accanita e pervicace ricerca della guerra è sintomo di
questa crisi di egemonia. Il «declino» è anche il
sintomo evidente dell'incapacità di promettere premi e
promozioni ai subalterni.
Questo di oggi - e per questo è importante e anche
rischioso - è - si può dire - uno sciopero di civiltà
contro la demolizione dei diritti dei cittadini
lavoratori che le varie deleghe al governo Berlusconi
stanno attuando. E' anche uno sciopero contro la guerra,
in profonda continuità con le grandi manifestazioni del
15 febbraio: la guerra oggi sarebbe causa di accentuato
declino economico (non sono più tempi di keynesismo
bellico) e di limitazione dei diritti.
La giornata di oggi è difficile: scioperare quando il
declino mette a rischio il posto di lavoro e consente
alla Confindustria (basta vedere il proclama
presuntuosissimo di Antonio D'Amato sul Sole
24 Ore di ieri) di rivendicare la
massima flessibilità delle schiene dei lavoratori, è un
atto di coraggio civile, che va molto oltre la
corporativa difesa dei propri interessi. Ma questa
giornata può essere, è, un inizio: è la scesa in campo
dei lavoratori dell'industria, quelli che fanno,
producono le cose senza delle quali non avremmo di che
vivere. Questo secolo, nonostante i lampi di guerra,
forse sta cominciando bene.
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interessante
comprendere il partito dei DS in questo momento... se
fossi in loro farei silenzio assoluto, visto che sulla
rai FINI si e' messo di traverso al BOSSI....ragazzi miei
voi dovete diventare politici.
DA - IL MANIFESTO
- L'INTERVISTA
OLIVIERO DILIBERTO
«Dovrebbero
solo ringraziarci»
«Abbiamo messo l'Ulivo in sintonia con il paese. Sulla
guerra non accetto vincoli»
COSIMO ROSSI
«Il vincolo di coalizione sulla guerra lo abbiamo già
violato». Il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto,
resta sì persuaso che rompere il centrosinistra serva
solo ad avvantaggiare Berlusconi, ma sul no alla guerra
è determinato a tenere duro. A costo di mettersi contro
il resto dell'Ulivo com'è avvenuto ieri: con gli insulti
piovuti da Napolitano e Rutelli e con il voto contro la
missione degli alpini in Afghanistan.
Napolitano,
Rutelli, Fassino. E' bastato che un votare la mozione del
Prc per far dimenticare la faticosa unità dell'Ulivo e
scatenare un nuovo scontro. Pare che nel centrosinistra
si applichi già il codice di guerra....
Avverto reazioni scomposte. In realtà dovrebbero
ringraziarci, perché noi consentiamo all'Ulivo -
facendone saldamente parte - di interloquire con pezzi di
società larghi che altrimenti sulla pace cercherebbero
rappresentanza politica fuori dall'Ulivo. Credo che una
coalizione di forze politiche diverse non si possa
fondare sulla disciplina, ma solo sulla capacità di una
leadership di fare sintesi politica tra posizioni
diverse. In fondo è quello che siamo riusciti a fare con
la mozione unitaria. E mi sembra sciocco disperdere dopo
24 ore questo risultato.
Ma
tant'è...
Attenzione, perché il voto di sull'Iraq ha visto l'Ulivo
unito su una posizione francamente avanzata, considerando
la composizione della coalizione. C'era un no netto alla
guerra preventiva e un no inequivoco alla concessione di
basi e supporto logistico agli Stati uniti. Perciò io lo
considero un successo. Dopodiché abbiamo anche votato il
testo di Rifondazione, che era coincidente con il testo
che avevo presentato io. Mi pare un fatto di elementare
coerenza per dire no alla guerra.
E
di nuovo sugli alpini ieri...
Il voto sugli alpini era la naturale prosecuzione della
nostra contrarietà alla missione in Afghanistan, che
infatti si è rivelata una missione di guerra.
Ma
non si può nascondere che, con queste premesse, in caso
di intervento armato l'Ulivo si sfascerà.
Dipende da come sarà l'intervento. Io ne voglio parlare
senza ipocrisie: se l'intervento sarà unilaterale degli
Stati uniti, l'Ulivo sarà sicuramente unito; se invece
ci sarà l'avvallo dell'Onu, ci saranno con molta
probabilità delle divaricazioni. Questo rientra nelle
cose, nella differente storia, nelle differenti culture
politiche, nel diverso approccio alle questioni
internazionali di coloro che fanno parte del
centrosinitra.
Ma
non è un fatto passeggero dividersi sulla pace e sulla
guerra...
La politica estera ha avuto storicamente un'influenza
sulla politica interna. Vorrei ricordare che il primo
strappo nella dinamica che portò poi allo scioglimento
del Pci avvenne proprio sulla prima guerra del Golfo, con
il voto contrario di un numero consistente di senatori
del Pci rispetto a un atteggiamento non ostile alla
guerra. Ed è evidente che le divisioni interne ai Ds in
questa fase pesano su tutti gli equilibri della
coalizione.
D'accordo,
ma com'è possibile governare insieme i comuni e
dividersi nientemeno che sui bombardamenti?
Questa è la grande contraddizione: perché in realtà
noi amministriamo insieme metà Italia, spesso anche con
Rifondazione. E ci candidiamo a tornare al governo.
Possibilmente non rifacendo gli errori fatti quando
eravamo al governo.
Di
quegli errori, quale lascia il senso di colpa più
gravoso?
Due, uno di politica interna e uno di politica estera. Il
primo è non aver approvato la legge sul conflitto di
interessi: una cosa enorme e per la quale c'era anche la
maggioranza, mentre sulle questioni del lavoro la
maggioranza obiettivamente vacillava. E sul piano della
politica estera l'aver avallato la guerra nel Kosovo, che
era una guerra della Nato.
Il
Pdci, però, rimase nell'esecutivo...
Ma abbiamo anche lavorato affinché l'Italia avesse un
comportamento diverso da quello degli altri paesi Nato.
Siamo stati gli unici a non chiudere l'ambasciata, a
mantenere un rapporto con il governo jugoslavo. Ed è
stato il governo che ha operato sul piano diplomatico in
modo più concreto per far finire i bombardamenti. Detto
questo, continuo a vivere quella guerra come un momento
molto lacerante per tutti noi.
Adesso
che si profila un'altra guerra, la pace e il pacifismo
assumono un nuovo valore identitario, costituente per
milioni di persone. Possibile che l'Ulivo non sia in
grado di recepirlo, non foss'altro che per opportunismo
politico?
Me lo chiedo anch'io. Ma non è questione di
opportunismo. Il tema della pace sta diventando fondativo
di una nuova fase politica. E lo sarà sempre di più,
perché la guerra diventerà purtroppo la caratteristica
permanente di un nuovo scenario internazionale. Perché
dopo l'Iraq è già stato preannunciato che ci saranno la
Siria, la Libia, la Corea del nord, l'Iran. Perciò, in
un mondo completamente impazzito, la pace diventerà
discrimine concreto. E occorrerà fare una battaglia
politica senza posa anche dentro il centrosinitra per far
scoppiare le contraddizioni su questo punto. Non per
rompere l'Ulivo, ma per spostarlo su posizioni giuste. Il
mondo cattolico moderato, del resto, è già su queste
posizioni: Rutelli dovrebbe capirlo in fretta.
E
se non lo capisce? Voi vi sentireste ancora legati da un
vincolo di coalizione con lui?
Il vincolo di coalizione su questo punto lo abbiamo giù
violato. Non mi sento vincolato perché ci sono questioni
che attengono al rispetto della Costituzione italiana e
che vengono prima della coalizione. Per quanto mi
riguarda è chi vota a favore della guerra che viola quei
valori, che sono anche quelli costituenti del
centrosinistra.
Quindi,
addio centrosinistra?
Continuo a pensare che se si rompe il centrosinistra
Berlusconi governa per cinquant'anni.
Anche
se si rompe con il sentimento dell'elettorato, però...
Bisogna cambiare questo centrosinistra proprio per far
prevalere politicamente una logica che sia in sintonia
con il popolo italiano. Ma non dispero che su questo
punto, alla fine, si possa prevalere dentro il
centrosinistra.
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la russia era
da tempo che stava organizzando accordi per il petrolio
con SADDAM - che pensate.... dopo tutto quello che ha
fatto viene ritenuto un socialista da bin laden... e
forse anche da putin... capito perche' la russia non
vuole la guerra ?
DA IL MANIFESTO
MISSIONE
PETROLIFERA RUSSA
Il
ministro russo dell'energia Igor Yusufov sta preparando
una discreta missione a Baghdad nei prossimi giorni per
chiedere al governo iracheno di dare all'ente petrolifero
russo Lukoil un contratto per sviluppare il sito di West
Qurna, uno dei maggiori giacimenti della regione. Lo
riferisce l'agenzia Reuter (che definisce «segreta» la
prossima visita). Il ministro russo spera di concludere
anche altri contratti più piccoli, dopo quelli conclusi
in gennaio: è la strategia dell'ultimo minuto. In caso
di guerra e cambio di regime a Baghdad, la Russia
invocherà la legge internazionale per difendere le sue
concessioni.
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QUESTO ci fa
comprendere che il governo non ne azzecca ( come dice di
pietro ) una.
DA - IL CORRIERE
DELLA SERA
Violenze al
Delle Alpi, sospesa Torino-Milan
I tafferugli al
Delle Alpi (Liverani) La Juve, ancora in piena emergenza
influenza, supera senza problemi le difficoltà di
formazione e batte 3-1 il Como sul neutro di Piacenza nel
primo degli anticipi della 22esima giornata. Ma il fatto
del giorno è, purtroppo, extrasportivo: quando il Milan
stava vincendo facilmente 3-0 a Torino, è esplosa la
rabbia dei tifosi granata. Cariche della polizia,
lacrimogeni e partita sospesa, proprio il
giorno dopo il varo del decreto anti-violenza
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ci sono delle
banalita' enormi come una casa.... ma comunque va letto
questo articolo sui difetti americani e la guerra ....
solo si poteva evitare di chiamarli amici.... o
nemici.... in questo particolare momento in cui si tenta
la strada della LA PACE.
DA IL CORRIERE
DELLA SERA
Lettera di un
europeo a un amico americano
di BEPPE
SEVERGNINI
Caro Amico Americano, è da parecchio che non ci sentiamo
e sono successe tante cose. Prevedibili, forse: ma né
voi né noi le avevamo previste. Molti, qui in Europa,
pensano che siate irragionevoli e aggressivi; tanti, lì
in America, credono che siamo irritanti e codardi. Tu e
io abbiamo viaggiato abbastanza da sapere che le cose non
stanno così. Ma è bene parlarne. Perché, se Saddam
riesce a dividerci, vince anche se perde.
Mica vorremo permetterglielo? Prima di chiederti un esame
di coscienza - accadrà, preparati - lascia che lo faccia
io. Come molti italiani, francesi, tedeschi, inglesi e
spagnoli mi imbarazza constatare che lEuropa, al
passaggio decisivo, si presenta divisa; mi addolora
vedere le bandiere comuniste, che hanno sventolato su
alcuni dei più grandi massacri della storia, insieme a
quelle della pace; mi irrita vedere che il losco Tarek
Aziz viene accolto come uno statista e un uomo di pace,
quand'è solo l'aiuto-macellaio. Ma pensare queste cose
non vuol dire sposare questa guerra. Ed è quello che
voi, in America, sembrate non capire.
Il motivo lho visto adombrato in un pezzo del «New
York Times», firmato da Paul Krugman: non siete
abbastanza informati. Certo, i quotidiani americani fanno
il loro mestiere (anche se il Wall Street Journal sembra
troppo emotivo: un po italiano, direi). Ma quanta
gente legge i quotidiani, negli Stati Uniti? Quel che
conta è la televisione. E la tv americana ha deciso di
preparare il pubblico alla guerra, non di discuterla. In
Europa tutti ci chiediamo: perché proprio Saddam, tra
tanti manigoldi? In America ve lo chiedete in pochi.
Forse perché la maggioranza ritiene che gli attentatori
dell11 settembre fossero iracheni (quanderano
sauditi).
Non lo dico io: lo dicono i sondaggi, e lo riporta il
«New York Times». Per citare ancora Krugman: « We have
different views partly because we have different news»,
abbiamo idee diverse anche perché abbiamo informazioni
diverse. In inglese, lo ammetto, suona meglio. In queste
condizioni, caro Amico Americano, è difficile ragionare.
Eppure dobbiamo farlo. Siamo i vostri amici, i vostri
alleati e i vostri antenati: non i vostri sudditi.
Abbiamo il dovere, non solo il diritto, di criticarvi. Ci
credi se ti dico che in questi giorni ho capito come
doveva sentirsi un indiano al tempo dell'Impero
britannico?
Ti assicuro: non è una sensazione piacevole. Bada bene:
sono tra quelli convinti che lemersione di una
«superpotenza democratica», dopo la Guerra Fredda, sia
una buona notizia. Meglio di una superpotenza non
democratica (lUnione Sovietica, se avesse vinto); o
di una democrazia superimpotente (lEuropa, per
adesso). Il mondo non è il giardino incantato che
descrivono i puffi del pacifismo. E un cortile
affollato dove occorre un guardiano che mantenga un
po di disciplina: anche con le maniere forti, se
necessario. Ma il guardiano devessere cauto, saggio
e morale. E deve sembrarlo.
Altrimenti sono guai. Marrabbio quando sento che
qualcuno, in Europa, paragona Bush a Hitler. Ma sono
convinto che il vostro presidente stia mettendo in gioco
la reputazione dellAmerica: e non credo se ne renda
conto. Mi ha detto giorni fa uno che lo conosce bene:
«George W. Bush è diverso da suo padre, uomo del New
England. E un texano, abituato a dividere bene e
male, amante delle decisioni nette. DellEuropa sa
poco». Bene: gliela spieghiamo volentieri. Spiegheremo a
George W. Bush che prudenza non equivale a vigliaccheria,
e dubbio non vuol dire tradimento. Qualche volta dubbio e
prudenza sono segni di saggezza (viviamo a un passo dal
mondo arabo, certi soggetti li conosciamo bene).
Gli spiegheremo che un po dautocritica rende
più convincenti: ammetta che Saddam (larabo
laico!) labbiamo sostenuto anche noi occidentali;
spieghi - proprio perché amico dei petrolieri - che il
petrolio centra poco con quello che sta accadendo
(molti, in Europa, gli crederebbero, e capirebbero che il
movente è quello dichiarato: lamministrazione teme
un 11 settembre chimico, batteriologico o nucleare).
Spiegheremo a George W. Bush che non basta far colpo sui
nostri governanti portandoli a Camp David. Deve
conquistare i nostri cuori, come fece John F. Kennedy a
Berlino. La stima e la fiducia, infatti, non si ordinano.
Si meritano. Lo capiscono i padri, le madri, gli amici,
gli amanti, i colleghi. Perché non deve capirlo
luomo più consigliato, informato e potente della
Terra?
Beppe Severgnini
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la lotta nella
rai si e' aperta .... per via che il secondo canale sta
per essere trasportato a milano... fini si infuria - e
intanto MICHELE SANTORO continua a vincere le sue
battaglie.
DA IL MESSAGGERO
Santoro
vince ancora in tribunale:
ora il Cda deve farlo tornare in video
ROMA - Unaltra
debacle, stavolta in tribunale, per i vertici Ra. La
Sezione Lavoro del tribunale di Roma ha respinto il
reclamo presentato dalla Rai contro il provvedimento con
il quale il giudice Massimo Pagliarini aveva disposto la
reintegrazione di Michele Santoro. Il collegio ha
motivato il rigetto ritenendo che il giornalista sia
stato illegittimamente privato delle sue mansioni e che
la Rai è tenuta ad impiegarlo - spiegano gli avvocati di
Santoro - nella realizzazione e nella conduzione di
programmi televisivi di approfondimento dell'informazione
di attualità. «La Rai - aggiungono - ha sinora
ritardato, con vari pretesti, l'esecuzione dell'ordine
del giudice. La decisione di oggi prelude alla Rai ogni
appiglio per ulteriori dilazioni».
Come anticipato dal "Messaggero", il direttore
di Raitre Paolo Ruffini ha proposto a Santoro di
realizzare una ventina di reportage in seconda serata a
partire dall11 maggio. Resta "scoperto"
limpiego in prima serata (per cui Raitre non ha
fondi) che il conduttore aveva settimanalmente su Raidue.
«Adesso non ci sono più alibi per nessuno, dobbiamo
tornare a fare il nostro lavoro». commenta Santoro. E
sottolinea: «È evidente che l'Azienda ha assunto nei
confronti miei e del nostro gruppo di lavoro un
atteggiamento illegale». Quanto alla decisione del Cda
di spostare a Milano la direzione di Raidue, Santoro ci
vede un parallelo con la vicenda che lo ha coinvolto: in
entrambi i casi, spiega, emerge una «decisione politica
e non industriale».
Al.Gu.
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ancora sulla
rai....
DA - IL
MESSAGGERO - L'INTERVISTA
Follini:
«Faremo dimettere gli agit prop»
«Reintegro? Sulla Smart non
cè posto. Nel nuovo consiglio basta etichette
politiche»
ROMA - Consiglio
di amministrazione Rai ormai in dirittura darrivo.
Marco Follini, segretario dellUdc, incalza: «Per
usare la metafora che va di moda direi che la Smart deve
essere riconsegnata al più presto al carrozziere. «Una gestione della Rai arrogante
è riuscita a mettersi contro tutti. Non può e non deve
durare».
Voi fin dallinizio avete
chiesto lazzeramento. Oggi ottenete
soddisfazione...
«Non citerò
il maestro Manzi e la sua celeberrima "non è mai
troppo tardi"...».
Segretario, voglio dire che ora voi,
politicamente, siete più forti in vista di un nuovo Cda
Rai.
«Mi sembra che il vantaggio maggiore lo ricavi il
buonsenso. Questa situazione non era immaginabile pensare
che durasse. Tenerla in piedi con gli spilloni secondo me
va a detrimento delle sorti dellazienda e anche del
buon nome del centro-destra, che una parte della sua
reputazione se la gioca anche sul destino di viale
Mazzini. Stiamo parlando, non dimentichiamolo, della
principale azienda culturale del Paese. Unazienda
di tale complessità che puntare sugli agit-prop e per di
più agit-prop pasticcioni è la cosa più sbagliata che
una dirigenza politica avveduta possa fare».
Insomma si ritorna allo schema che
varò il primo Cda: Udc e An da un lato; Bossi e
Berlusconi dallaltro. Come si esce ora dallo
scontro?
«Io le dimissioni le auspicavo molto tempo fa, non ho
cambiato idea. Più vado avanti più vedo che questa idea
guadagna proseliti».
Al punto da arrivare al voto di
sfiducia in Vigilanza, con voi e An che votate assieme
allUlivo e FI e Lega contro?
«Spero proprio che arrivino prima le dimissioni».
Già, ma come? Forza Italia insiste
per il reintegro...
«Il reintegro sulla Smart? Mi pare che i posti siano
due, è acrobatico salirci in cinque ed è difficile che
ci salgano persone di peso. E comunque se devo dire
preferisco la Smart del mio amico Baccini a quella di
Baldassarre».
Quali devono essere i criteri di
nomina del nuovo Cda?
«Spero che soffi in tutti il vento dello spirito
liberale. Cioè che si scelgano persone il cui tasso di
ubbidienza politica sia limitato e la cui libertà di
pensiero sia la più ampia».
Suvvia Follini, non cè un
tanto di ipocrisia? Lo sanno tutti che la Rai è di chi
vince le elezioni...
«Anche per essere stato in passato consigliere di
amministrazione Rai sono lultimo che può fare
sfoggio di ipocrisia. So bene che esiste un cordone
ombelicale che ancora oggi lega lazienda alla
politica, a tutta la politica. Credo che prima o poi quel
cordone debba essere spezzato e ho le mie idee su come
arrivarci. Ora lappuntamento che abbiamo ora è
quello di un nuovo Cda: più sentimento proprietario
perderà la politica e più guadagnerà sul versante
della credibilità».
Deve essere riproposto lo schema tre
consiglieri per la maggioranza e due per
lopposizione?
«Ripeto, più ci si allontana dal gioco delle etichette
politiche e meglio è. Il Consiglio della Rai non può
essere un parlamentino. Naturalmente occorre la
consapevolezza che è una azienda che parla al tutto il
paese, il suo governo ha da essere pluralistico. E in
questo sarebbe ora che anche il centro-sinistra si
battesse il petto. Lescalation delle politiche di
occupazione ha avuto sotto la fulgida presidenza di
Zaccaria uno sviluppo esponenziale. Il centro-sinistra
non ha alcun diritto di salire in cattedra e dare
lezioni. Noi, insisto, abbiamo il dovere di non
imitarli».
C.Fu.
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Da Saxa Rubra a
via Teulada, fino ai centri televisivi fioccano le
critiche degli addetti ai lavori, oltre che del sindacato
«Il trasferimento? Un favore alla
Lega»
I
dipendenti Rai: «Si rischia di danneggiare Roma. A
Milano cè già Mediaset»
di LUCA BRUGNARA
ROMA - Critiche e voglia di conoscere l´operazione nei
minimi dettagli. Il trasferimento della direzione di
Raidue a Milano riscuote una valanga di no tra i
dipendenti dell´azienda della Capitale. «E´ una scelta
immotivata - commenta Stefano Conti, impiegato, davanti
alla sede di via Teulada - che non credo possa portare
benefici all´azienda. Non dimentichiamo, poi, che da
tempo esiste già un canale decentrato, come Raitre, che
trasmette telegiornali e programmi realizzati nelle sedi
Rai di Torino, Napoli e Milano, oltre ad ospitare
molteplici produzioni regionali». Sono in pochi a voler
commentare questa decisione e chi sceglie di esprimere un
parere, talvolta, chiede l´anonimato. «Anche
tralasciando le considerazioni sull´opportunità di
questa scelta - spiega F.R., a Saxa Rubra - credo che una
decisione così importante non possa essere presa da un
consiglio di amministrazione con soli due elementi». E
la prossima settimana sono in programma le prime forme di
protesta. «E´ una decisione priva di qualunque
motivazione editoriale - sottolinea Roberto Natale,
segretario dell´Usigrai. - Non si tratta di pigrizia dei
dipendenti della Rai: il trasferimento è nato per fare
un favore alla Lega in vista delle prossime elezioni
provinciali, senza valutare il rapporto tra costi e
benefici. Mercoledì prossimo, tutte le organizzazioni
sindacali presenti in Rai si riuniranno in assemblea a
viale Mazzini, per testimoniare come siano contrarie, in
modo compatto, a tale decisione».
Le critiche sottolineano, inoltre, le possibili
ripercussioni economiche negative, nella Capitale, per il
trasferimento. «In questo modo - sostiene Marco Marras,
impiegato - si rischia di danneggiare una città come
Roma, con un´economia basata su servizi e comunicazione.
Milano, poi, ospita già le strutture di Mediaset, il
principale concorrente privato della Rai. Speriamo che ci
siano ancora margini per un ripensamento». Accanto ai
problemi economici, poi, si affiancano quelli logistici.
«E´ ovvio che davanti alla prospettiva di trasferimento
- sottolinea Maddalena Maggioli, moglie di un operatore
televisivo dell´azienda - i dipendenti più anziani, ma
anche chi ha i figli piccoli, si troveranno in grande
difficoltà. Non credo sia giusto allontanare da Roma,
sede del potere politico, la direzione della seconda rete
nazionale: è una decisione che rischia di trasformarsi
in un boomerang per la stessa Raidue».
Ma tra molti pareri contrari, emergono anche valutazioni
meno pessimistiche. «Questa decisione non è poi
apocalittica - commenta A.L.
- Aspettiamo di conoscere i dettagli e valuteremo». Tra
i giornalisti, si sottolineano anche i possibili vantaggi
per l´azienda, «Mi rendo conto che questa decisione
potrebbe provocare disagi organizzativi per chi deve
trasferirsi - spiega Amedeo Goria, uno dei volti più
popolari di Raisport, all´uscita degli uffici di viale
Mazzini - ma non è una decisione sbagliata. E´
positivo, infatti rafforzare altre sedi, senza, per
questo, depotenziare Roma. Credo che un decentramento
parziale, che consenta di avere unità produttive forti
in città come Milano sia importante per l´azienda». E
non manca chi, impegnata su fronti ancora più
importanti, era all´oscuro della notizia. «Sono appena
tornata da Bagdad - commenta Giovanna Botteri, inviata
del Tg3 nella capitale irachena - davvero non so nulla di
questa decisione».
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questa non si
puo' che definire una pacifica dimostrazione contro le
ifrastrutture concesse dal nostro governo attuale alla
politica guerrafondaia americana.
DA - L'UNITA'
Disobbedienti
all'assalto dei treni della guerra
di
Virginia Lori
Hanno preso in
casa le bandiere usate il 15 febbraio, quelle con
larcobaleno della pace, contro la guerra. Sono
entrati nelle stazioni, hanno cercato di bloccare i treni
armati, quelli che trasportano jeep, carri armati e
cannoni nella base americana di Camp Darby. A Pisa sono
scesi in piazza, quando hanno capito che la stazione era
off limits ed hanno protestato contro il passaggio delle
armi. Erano centinaia.
Cariche a Verona
e Fornovo, in provincia di Parma, dove i manifestanti
sono stati sollevati di peso dai binari da carabinieri e
polizia, tra loro anche il sindaco di S.Secondo Parmense,
Roberto Bernardini (Pdci), e il consigliere regionale
Renato Delchiappo(Prc).
Non si arresta la
disobbedienza, malgrado le forze dellordine
schierate a difesa dei convogli, a presidiare le
stazioni.
Anche i sindaci
di Pisa e Livorno e i presidenti delle amministrazioni
provinciali delle due città, hanno chiesto alle
autorità americane di Camp Darby di far loro conoscere
«che tipo di materiali» vengono trasportati dai
convogli ferroviari diretti in queste ore alla base Usa
(che sorge fra Pisa e Livorno) e se ci siano «materiali
tali da rappresentare un rischio per il nostro territorio
e la nostra popolazione». «Vorremmo inoltre sapere -
affermano i sindaci Paolo Fontanelli e Gianfranco
Lamberti - se questi materiali sono destinati ad essere
inviati nel Golfo Persico e ad essere utilizzati in
azioni di guerra. Se così fosse, noi esprimiamo, in
coerenza con i nostri Consigli comunali, una forte
posizione di contrarietà».
Dopo il presidio
di Monselice, i «disobbedienti» del Nord-est si sono
organizzati, il coordinamento ha viaggiato via internet,
dal Nord al Sud. Sul sito «www. globalradio.it» la
diretta non si è mai arrestata: minuto per minuto in
connessione con Radio Sherwood sono stati messi in rete
collegamenti, filmati audio e video e, soprattutto,
linvito a non cedere, a bloccare la corsa dei
treni. Proprio dal sito di Globalradio Luca Casarini ha
fatto sapere che polizia o non polizia loro i treni
«carichi di merce per ammazzare la gente» li
bloccheranno.
VENETO Due treni
merci carichi di mezzi e materiale militare Usa
provenienti dalla caserma Ederle di Vicenza, ieri mattina
sono stati bloccati alla stazione di Grisignano di Zocco.
Tra gli occupanti dei binari cerano anche alcuni
sindacalisti della Filt Cgil. Il secondo treno è
riuscito a lasciarsi alle spalle la stazione solo dopo
mezzogiorno, scortato da militari della base Setaf di
Vicenza. Alcuni manifestanti hanno cercato di incatenarsi
ai binari ma è arrivata la Questura e li ha
identificati. Alla stazione di San Martino di
Buonalbergo, a Verona, il treno faticosamente ripartito
da Grisignano, è stato nuovamente bloccato. Secondo i
manifestanti qui la polizia ha caricato, per fortuna
senza conseguenze gravi.
LOMBARDIA A
Brescia il treno, atteso da una ventina di manifestanti,
non è arrivato. Lo hanno dirottato verso Mantova, ma il
primo e il secondo binario ieri pomeriggio sono stati
comunque bloccati «per esprimere il nostro biasimo - ha
detto Maurizio Muro, del centro sociale Magazzino 47 -
nei confronti di Trenitalia che dà uomini, mezzi, binari
e stazioni allAmercia». A Mantova cera anche
la parlamentare verde Anna Donati, quando poco dopo le
16.52 è passato il convoglio. A quel punto, esponenti di
Rifondazione comunista, si sono limitati a scandire
slogan e a esibire un carro armato di carta pesta.
PISASabato a Pisa
è stata una giornata di mobilitazione: esponenti del
movimento antagonista, di Rifondazione e dei Cobas hanno
manifestato allalba alla stazione di San Rossore
ritardando il transito del treno e nel pomeriggio alla
stazione centrale, ma anche a Livorno, da dove ha preso
le mosse la protesta che si è consumata alla stazione di
Tombolo, dove il treno entra nella base americana. Dopo
il blitz di San Rossore di primo mattino,
lattenzione si era spostata sul treno del
pomeriggio. Difficile capire dove fosse stato deviato:
lungo lasse pontremolese, con passaggio previsto a
San Rossore, oppure sulla Firenze-Pisa, con passaggio
alla stazione centrale? Il mistero è stato svelato dallo
schieramento di forze dellordine. A metà
pomeriggio, polizia e carabinieri in assetto antisommossa
hanno bloccato laccesso ai binari. Lingresso
alla stazione era consentito solo ai viaggiatori muniti
di biglietto (ma le biglietterie sono allinterno
della stazione
). Chi non laveva, veniva
pregato di acquistarlo nelle agenzie di viaggio. Qualche
eccezione è stata fatta per le signore
«insospettabili» di far parte del gruppo di
manifestanti, più di trecento, che nel frattempo si era
radunato nella piazza davanti alla stazione.
Nessun tentativo
di forzare il blocco, nessun contatto fra forze
dellordine e pacifisti: solo qualche slogan contro
polizia e carabinieri e un paio di petardi lanciati
nellatrio della stazione. Di lì a poco, però, il
corteo è partito attraversando le vie del centro pisano.
Nel giro di poche decine di minuti, il blocco agli
ingressi della stazione è stato tolto, segno evidente
che il convoglio su cui i manifestanti appuntavano la
loro attenzione era passato. Lo hanno accolto a Tombolo,
la stazione collegata con raccordo ferroviario a Camp
Darby, con bandiere al vento (bandiere della pace, ma
anche di Pdci, Rifondazione comunista e Cgil), e tanti
fischi. Neppure loro sono riusciti ad avvicinarsi ai
binari, presidiati anchessi da polizia e
carabinieri. In mezzo ai manifestanti, anche la deputata
Maura Cossutta e il senatore Gianfranco Pagliarulo,
entrambi del Pdci. «Se passano questi treni - hanno
detto - significa che lItalia è sostanzialmente
già in guerra. E il governo non sente neanche il dovere
di riferire al Parlamento. Ma la maggioranza della
popolazione italiana questa guerra non la vuole». I
treni, intanto, continuano ad arrivare.
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finalmente ci
si occupa anche del popolo irakeno :
DA - L'UNITA'
L'acqua non è
una merce. E tantomeno può esserla per gli irakeni
di
Francesco Sangermano
FIRENZE. Acqua
come bene comune e non come merce. Acqua come diritto
umano imprescittibile da garantire a tutti gli esseri
umani. Acqua come servizio cui destinare da parte della
collettività la copertura finanziaria dei costi
necessari per garantirne a tutti leffettivo
accesso. E acqua come simbolo di democrazia, attraverso
una gestione della proprietà e dei servizi in maniera
sostenibile. Quattro punti. Chiari e semplici. Sono
queste le fodamenta su cui si baserà il forum mondiale
alternativo sullacqua, previsto a Firenze il
prossimo 21 e 22 marzo, in concomitanza con
lappuntamento di Kioto cui parteciperà
loligarchia mondiale dellacqua e riaffermerà
il primato del mercato e del capitale.
«Anche a Kyoto
si affermeranno quattro principi - spiega Riccardo
Petrella, presidente del comitato italiano per il
contratto mondiale sullacqua - ma opposti rispetto
ai nostri. Si dirà che lacqua è rara, che è un
bene prezioso e che quindi deve soottostare alle ragioni
del mercato; si ridurrà il tutto a un problema sociale
per cui, non essendo assicurabile a tutti, lacqua
confluirà laddove circola più denaro; si spingerà per
una gestione lineare del servizio affidandola al privato
che ha più soldi rispetto al pubblico; infine, per
combattere il divario tra domanda e offerta, si proverà
a regolare questultima proprio attraverso una
manovra dei prezzi».
Allappuntamento,
cui prenderanno parte associazioni, movimenti e gruppi
provenienti da tutto il mondo, è previsto larrivo
di mille delegati provenienti da 50 paesi tra cui
personaggi di spicco come Mario Soares, Vandana Shiva,
Wolfgang Sachs, Alex Zanotelli, Ignazio Ramonet, Danielle
Mitterand e proprio Petrella. Lobiettivo è quello
di promuovere una serie di azioni sul piano legislativo,
politico economico e culturale e di realizzare una carta
attraverso cui ribadire il "no" alla
privatizzazione e il "sì" allacqua come
diritto per tutti. A maggior ragione visto il
comportamento del governo italiano. «Siamo lunico
paese al mondo che ha definito per legge la
privatizzazione delle risorse idriche, attraverso
larticolo 35 della Finanziaria 2002. Guardiamo a
realtà come la Svezia, la Danimarca o la Germania. E
perfino gli Stati Uniti, che il nostro governo pare
ammirare così tanto, ha il 92% delle risorse idriche
gestite pubblicmente».
Una scadenza
importante, insomma, per fare il punto su un fenomeno dai
contorni drammatici. Basti qualche numero: ogni giorno
nel mondo 30mila persone muoiono per la mancanza di acqua
potabile, per motivi sanitari ed alimentari, 800 milioni
non hanno neanche il rubinetto in casa. E, inoltre, se un
nordamericano arriva a consumare 1.700 metri cubi di
acqua allanno, in Africa la media è di appena 250
metri cubi. La penuria di acqua impedisce poi a 2,4
miliardi di persone di beneficiare di alcun servizio
sanitario e 200 milioni di bambini muoiono ogni anno a
causa di malattie dovute al consumo di acqua
«insalubre». In media, globalmente, ogni abitante del
pianeta oggi consuma il doppio di acqua rispetto
allinizio del 900, ma in Africa, negli ultimi
50 anni, la disponibilità è diminuita di tre quarti e
meno del 60% della popolazione dispone di acqua potabile
e di servizi igienici. Oggi 1,3 miliardi di persone non
hanno accesso allacqua potabile ma, è stato
stimato, saranno 3,4 miliardi tra il 2025 e il 2035.
Intanto, però,
un segno tangibile è già stato lasciato: acqua potabile
come segno di pace per oltre 20mila cittadini
dellIraq che ancora pagano, con la sete, il prezzo
dei bombardamenti subiti durante la Guerra del Golfo. Una
delegazione del Comitato italiano per un Contratto
mondiale dell'acqua, partirà nei prossimi giorni alla
volta di Bassora per costruire un impianto di
potabilizzazione di acqua di fiume
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DA - L'UNITA'
L'INTERVISTA
La guerra è
illegale con o senza il sì dellOnu
In ballo cè molto e Denis Halliday proprio non se
la sente di usare toni pacati. Irlandese di origine, ma
profondo conoscitore della realtà irachena, lex
sottosegretario generale delle Nazioni Unite Halliday ama
parlare chiaro. Con le parole e con i fatti. Come quando
non esitò a dimettersi dal ruolo di coordinatore
umanitario delle Nazioni Unite a Baghdad, dopo 34 anni di
carriera, per protestare contro la politica delle
sanzioni economiche. Come ha fatto ieri a Firenze giunto
su invito del gruppo provinciale dei Verdi.
Signor
Halliday, qual è la situazione attuale in Iraq?
«Drammatica. Perché limpatto delle sanzioni
allIraq continua a essere genocida. Nel rapporto
Unicef di sei mesi è scritto che ogni mese migliaia di
bambini vengono uccisi. Uso la parola uccidere
deliberatamente perché il Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite sa perfettamente di stare uccidendo i
bambini iracheni. E tutti noi siamo responsabili».
Qual
è la situazione rispetto al 1991?
«Il popolo
iracheno oggi è molto più debole di quanto non fosse
allora. Ogni famiglia è stata danneggiata a causa delle
sanzioni, per un genitore deceduto prima del tempo, per
un bambino morto subito dopo la nascita. Non solo. Tra la
popolazione adulta lanemia è al 70% e in alcune
parti del paese prevalgono condizioni di carestia».
E
dopo 12 anni di sanzioni arriva la minaccia della guerra.
«Che è totalmente illegale. Perché larticolo 2
della Carta delle Nazioni Unite proibisce la minaccia
della guerra e dunque lattacco preventivo americano
è semplicemente incompatibile con il diritto
internazionale. E in Europa non possiamo permettere che
venga messo da parte perché gli Stati Uniti non hanno
soltanto nel mirino lIraq e il Medio Oriente, ma il
dominio dell'economia europea. E poi lo dico chiaramente,
il popolo iracheno non avrà la capacità di resistere
alla nuova fase di crimini di guerra che stanno per
essere commessi dagli Stati Uniti».
Perché
parla di crimini di guerra?
«Lo faccio intenzionalmente perché di questo si tratta
quando si colpisce e si distruggono la rete di energia
elettrica e i sistemi di trattamento delle acque. Il
ministro della Sanità iracheno è molto preoccupato per
l'approvigionamento idrico dopo gli eventuali
bombardamenti americani. Quando saranno di nuovo usati
missili e bombe alluranio impoverito, o peggio
ancora armi nucleari tattiche. E ancora una volta
assisteremo alla distruzione del sistema sanitario e dei
diritti essenziali del popolo iracheno».
Cosa
si aspettano i politici iracheni?
«I politici in Iraq non vedono speranze, nessun sostegno
da parte dei capi di stato arabi e poco coraggio in
Europa. Credono che l'unica speranza stia
nellopinione pubblica, la stessa del 15 febbraio,
anche se quelle manifestazioni non sono un segno di
appoggio a Saddam, piuttosto al popolo iracheno».
Cosa
può fare lEuropa?
«Isolare lAmerica nella sua politica. Sarebbe un
bel passo avanti perché la maggioranza del popolo
americano non appoggia un intervento unilaterale contro
lIraq».
Non
pensa che l'Iraq possa rappresentare un pericolo?
«Sappiamo che non esiste nessuna minaccia seria da parte
dell'Iraq verso Londra, Washington e Roma.
Questipotesi è pura propaganda».
Di
che si tratta allora?
«Questa guerra di Bush, di Blair e di Berlusconi
riguarda esclusivamente il petrolio, il potere militare
in Medio Oriente e il dominio del mondo, compresa
lEuropa, attraverso il controllo del petrolio. E
che questa guerra sia fatta in modo unilaterale o abbia
il mandato delle Nazioni Unite sarà comunque illegale.
Perché nessuna risoluzione delle Nazioni Unite che venga
approvata con la coercizione è legale e questo è il
modo in cui lavorano gli Stati Uniti allinterno
delle Nazioni Unite».
Esiste
una soluzione alternativa?
«Credo di sì. Intanto bisogna affrontare il problema
delle armi di distruzione di massa che noi stessi
produciamo e vendiamo. E poi dobbiamo attuare il
paragrafo 14 della risoluzione 686 che chiede la
rimozione dalle armi di distruzione di massa da tutto il
Medio Oriente».
In
pratica, cosa significa?
«Che devono essere rimosse le armi nucleari, chimiche e
batteriologiche in possesso di Israele. E che devono
proseguire le ispezioni in Iraq, nel Medio Oriente e
negli Stati Uniti. E anche in Gran Bretagna».
E
Saddam Hussein?
«Credo che una volta che il popolo iracheno avrà
recuperato i propri diritti sarà esso stesso a occuparsi
di Saddam Hussein. Come è successo in Romania, nelle
Filippine e in Indonesia dove il popolo ha rovesciato i
regimi esistenti. Ma questo non è possibile sotto un
regime di sanzioni economiche dove la preoccupazione
attuale è la sopravvivenza dei propri figli».
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un bellissimo
articolo di tabucchi :
La vecchia
Europa e il futurista Bush
di
Antonio Tabucchi
La prima volta che lEuropa viene chiamata con
disprezzo «Vecchia» (quel disprezzo volgare che certi
ragazzotti maleducati manifestano con le persone anziane)
è nellaprile del 1909. Succede a Milano ma viene
fatto in francese, in parte per ragioni di diffusione, in
parte perché lautore dellinvettiva è un
italiano nato ad Alessandria dEgitto e cresciuto a
Parigi, perciò tendenzialmente francofono: Filippo
Tommaso Marinetti. Il luogo dellinvettiva è la
rivista letteraria Poesia,
organo del gruppo che Marinetti sta raccogliendo intorno
a sé, i Futuristi, e precede il Secondo Manifesto di
quel movimento intitolato Uccidiamo
il chiardiluna!
Questo secondo proclama, specifica Marinetti, nasce
dallesigenza di rispondere per le rime agli insulti
con i quali il «Futurismo trionfante» è stato ricevuto
dalla «Vecchia Europa». Per «Futurismo trionfante»
Marinetti intende quel Manifesto del Futurismo da lui
stesso pubblicato pochi mesi prima sul quotidiano
pariginoLe Figaro
dove, con un solenne plurale di maestà, egli dichiarava:
«Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo,
linsonnia febbricitante, il passo ginnico, il salto
pericoloso, gli schiaffi e i pugni». E qui Marinetti, in
opposizione alla «Vecchia Europa» e alla sua cultura
stantia, esprimeva il proprio concetto di modernità:
«Noi dichiariamo che lo splendore del mondo si è
arricchito di una nuova bellezza: la bellezza della
velocità. Unautomobile ruggente che sembra correre
sulle ali della mitraglia è più bella della Vittoria di
Samotracia. (...)Noi vogliamo demolire le biblioteche,
combattere il moralismo, il femminismo e tutti i
vigliacchi. (...)Noi vogliamo glorificare la guerra,
unica igiene del mondo, il militarismo, il
patriottismo». Di lì a non molto, a mettere in pratica
questi principî ci avrebbe pensato Mussolini (fra le cui
braccia Marinetti si rifugiò) aggredendo la Libia e
lAbissinia, e poi il medesimo in coppia con Hitler,
aggredendo la «Vecchia Europa» e scatenando la seconda
guerra mondiale.
La «Vecchia Europa» segnata da una «pensosa
immobilità» contro cui il futuro Cavalier Marinetti (un
altro dei Cavalieri di cui può fregiarsi lItalia)
si scagliava, era l'Europa di scrittori e intellettuali
che si chiamavano André Gide (che nel 1908 aveva fondato
la Nouvelle Revue Française),
Julien Benda, il futuro premio Nobel Romain Rolland (che
allo scoppio della prima guerra mondiale avrebbe fatto
scalpore con il pamphlet pacifista Al
di sopra della mischia, e poi con la
Dichiarazione di indipendenza dello
spirito cui aderirono fra gli altri
Einstein, Bertrand Russel e Benedetto Croce), Henri
Barbusse, Heinrich Mann (che per la sua opposizione ai
nazisti finì prima in Francia e poi negli Stati Uniti),
Robert Musil (che con I turbamenti
del giovane Törless nel 1906 aveva
dimostrato di non prediligere leducazione militare
come Marinetti), Edward H. Foster (la cui Camera
con vista del 1908 doveva risultare
al gesticolante Marinetti di uninsopportabile
raffinatezza «passatista»), Gaetano Salvemini (la cui Rivoluzione
Francese del 1905 esaltava dei
valori quali Liberté-égalité-fraternité, davvero
troppo «vecchi» per Marinetti). Questa «Vecchia
Europa» contro la quale Marinetti si scagliava era in
sostanza quellEuropa di scrittori, pensatori,
filosofi e intellettuali che nel 1935, arricchita da una
generazione più giovane (Brecht, Babel, Pasternak,
Malraux eccetera) si sarebbe riunita a Parigi in un
incontro che segnò un evento di grande portata
simbolica, il Congresso Internazionale degli Scrittori
per la difesa della Cultura (su questo argomento si legga
il bellissimo saggio di Sandra Teroni edito due anni fa
da Carocci, Per la difesa della
cultura. Scrittori a Parigi nel 1935.
Ed era contro questa cultura, contro questo «vecchiume»
che già tuonava il «moderno» Marinetti strillando in
quel suo proclama: «La guerra, nostra sola speranza,
nostra ragion di vita e nostra unica volontà! Sì, la
guerra! Contro di voi che morite troppo lentamente!». A
meno di un secolo di distanza, le parole di Marinetti
sembrano ritornare sulle labbra dellattuale
presidente degli Stati Uniti, George W. Bush. Colpa della
Storia? Forse. Ma, come diceva Josif Brodskij sui corsi e
ricorsi della Storia, anche la Storia, al pari degli
uomini, non ha poi tante scelte. E tante scelte non pare
averle neanche George W. Bush, incalzato dalle compagnie
petrolifere e dalle poderose fabbriche di armi che
lhanno sostenuto in campagna elettorale e che in
questi ultimi anni hanno fabbricato tonnellate e
tonnellate di ordigni. I magazzini vanno svuotati,
altrimenti il ciclo di produzione si inceppa. Le bombe,
al pari dello yogurt, hanno una data di scadenza, e la
società dei consumi esige che vengano consumate, e come
consumatori gli americani hanno scelto il popolo
iracheno. Per ora, perché forse consumeremo tutti lo
stesso prodotto, dato che anche il dittatore comunista
della Corea del Nord ha dei prodotti che desidera far
consumare, e perfino il Pakistan, filoamericano a forza,
ma in realtà percorso da ventate di fondamentalismo
islamico che il generale di turno insediato da Washington
cerca di tenere a freno, ha le sue bombe atomiche da
spacciare. LUranio, si sa, è un elemento
impaziente.
Dal suo punto di vista, e statistiche alla mano, il
presidente degli Stati Uniti non ha tutti i torti: noi
moriamo troppo lentamente, come diceva Marinetti. Grazie
alla qualità della vita, viviamo troppo a lungo, e
lEuropa diventa sempre più vecchia. I bambini
iracheni, poi, nel morire rivelano una lentezza
esasperante. Vedendo i rari documentari che mostrano le
corsie degli ospedali pediatrici di Bagdad, quei
corpicini macilenti impossibili da curare per la mancanza
di farmaci causata dal blocco americano, si capisce che
impiegano a morire più dello stretto tempo necessario.
Forse, in fondo, quella di Bush è unidea a suo
modo filantropica: abbreviare le sofferenze. E anche i
bambini palestinesi ammazzati dai carri armati israeliani
nei territori occupati da Ariel Sharon (al quale il
Belgio ha appena riaperto il processo per genocidio) non
muoiono poi in numero così sufficiente come potrebbero.
E nemmeno i bambini israeliani che saltano in aria nei
supermercati o negli autobus per i kamikaze palestinesi
sono poi così numerosi come potrebbero, forse perché i
genitori terrorizzati li tengono troppo in casa: un bel
missile sul tetto scagliato da un Saddam Hussein
aggredito dagli americani alzerebbe le statistiche.
Lindice tanatos-mibtel della Borsa di Mortalità
Infantile è decisamente in ribasso.
Ma, oltre che sulla necessità di una bella igiene del
mondo, Bush mostra con Marinetti affinità anche sulla
sua concezione della modernità, o meglio di ciò che è
«nuovo» e di ciò che è «vecchio». Fino a poche
amministrazioni fa lAmerica, che allEuropa
deve il fatto di esistere come lAmerica che è, ha
sempre sentito un senso di filialità verso il continente
che l'ha generata. Sapeva di essere un Paese ricco e
potente, ma anche giovane, molto giovane: un giovanottone
robusto e vitaminizzato, con delle spalle possenti quanto
l'Empire State Building e larghe come il ponte di
Brooklin.
Ma sapeva che sotto le fondamenta dellEmpire non
cerano le pietre del Partenone né sotto i piloni
del ponte di Brooklin le pietre del Colosseo o le
fondamenta di Lutezia. Cerano le praterie dove
prima scorrazzavano le mandrie selvagge dei bufali e le
libere tribù dei nativi sterminati in un genocidio che
poi Hollywood ci ha fatto vedere con Piccolo
grande uomo oBalla
coi lupi. Questa giovinezza,
peraltro con le ammirevoli doti proprie della giovane
età (lenergia, la buona volontà, la natura,
linnocenza - quelle virtù celebrate nel più bel
poema della letteratura americana, leFoglie
derba di Whitman) era intesa
da buona parte della società medio-colta americana, e
dalla migliore classe politica, nel suo lato positivo
sì, ma anche con tutti i limiti che la gioventù
comporta, il rovescio della medaglia dellenergia e
dell'innocenza: lingenuità, la mancanza di
esperienza, la fragilità culturale (nel senso più
profondo di «elaborazione di cultura») di un Paese che
per organizzarsi in forma sociale ha avuto bisogno dei
modelli della vecchia Europa.
E nei momenti in cui, come negli anni del Maccartismo,
lAmerica ha avuto la minaccia di idee simili a
quelle non della «Vecchia Europa», ma della giovane
Europa o della giovane Italia (perché il fascismo lo
inventa lItalia nel 22: è più giovane di
Marinetti), i suoi valori sono stati difesi da persone
come Einstein, per esempio, che in America trovò rifugio
e senza la quale forse non avrebbe fatto tutte le sue
geniali scoperte, ma anche senza il quale l'America non
sarebbe la potenza scientifica che è.
Larrivo dell'amministrazione Bush è coinciso con
la pienezza di quella che viene chiamata «rivoluzione
tecnologica», anche se essa era già in atto. E anche
se, già al tempo della guerra fredda, le due potenze,
Unione Sovietica e Stati Uniti, misuravano la propria
superiorità sulla rispettiva superiorità tecnologica,
dopo il crollo dellUnione Sovietica gli Stati Uniti
sono rimasti assoluti padroni del campo. E da allora in
poi la tecnologia ha subito un'evoluzione incredibile in
ogni sua applicazione, dalla medicina alla biologia,
dalle comunicazioni agli armamenti. Un presidente come
Bush, texano che in vita sua ha visto solo vacche e pozzi
petroliferi, che non ha mai viaggiato, che ignora
totalmente il mondo, che non parla nessuna lingua oltre
al suo inglese dal lessico limitato, con un grado di
cultura basso e con un quoziente di intelligenza che non
pare entusiasmante (le sue risposte alle interviste in
diretta in questo sono eloquenti) ha probabilmente
equivocato fra «tecnologia» e «civiltà». Per lui la
«tecnologia» è lequivalente di civiltà e di
cultura. Il resto (dal diritto romano allhabeas
corpus, da Aristotele a Kant a Hegel a Bertrand Russel al
diritto internazionale alla Carta dei Diritti Umani
allOnu) non esiste. Anzi, è «roba vecchia». Con
un concetto molto vago dellintelligenza, ripone la
sua fiducia nelle bombe «intelligenti» per risolvere
sbrigativamente (crede) il problema del terrorismo
internazionale e di certi ingombranti personaggi che i
servizi segreti del suo Paese hanno costruito con le loro
mani. Del resto basta vedere come ha ridotto le garanzie
di una democrazia che sembrava solida e che nelle sue
mani si è dimostrata di una fragilità allarmante: i
tribunali militari, le procedure durgenza, i
diritti dei prigionieri, la libertà di esprimere il
proprio pensiero o di manifestarlo pacificamente con la
propria presenza fisica. È la sua idea della
«modernità» rispetto alla «Vecchia Europa». E che
trova un corrispettivo nellideologia senza
ideologia dellItalia del governo Berlusconi, col
suo «nuovo che avanza», la modernità intesa come
«modernizzazione», la trimurti «culturale» che
Berlusconi predica, il vitello doro delle tre i:
inglese, informatica, impresa.
Una modernità tecnologico-economica che i due
«friends» hanno scambiato per «civiltà occidentale»,
e che dunque possono permettersi di anteporre ad altre
civiltà. Una «modernità» sconsiderata, priva di
radici, di fondamenta e di saggezza, privata di
istituzioni di garanzia, direttamente subordinata alla
propaganda televisiva. Una «modernità» altamente
pericolosa, percorsa dalla tentazione totalitaria. Una
«modernità» che non ha capito i rischi che tale
«modernità» reca con sé, quelli contro i quali già
alzava la voce Allen Ginsberg nella poesia America:
«America quando finiremo la guerra umana?/ Va a
farti fottere tu e la tua bomba atomica/
/ America
perché le tue biblioteche sono piene di lacrime?/
/ America dopo tutto siamo tu e io a essere perfetti non
il mondo vicino/
/ Il tuo macchinario è troppo per
me/
/ Lascerai che la tua vita emotiva sia guidata
dalla rivista Time?/
/ America tu in realtà non vuoi fare la guerra./ America
sono quei Russi cattivi./ Quei Russi e quei Cinesi. E
quei Russi./ La Russia vuole mangiarci vivi. La Russia è
pazza di potere. Vuole portarci via le automobili dai
garages./ Vuole impadronirsi di Chicago. Ha bisogno di un
Reader's Digest Rosso/ Vuole le nostre fabbriche di
automobili in Siberia. Che la sua grossa burocrazia
diriga le nostre stazioni di rifornimento./
/
America è questa l'impressione che ricevo guardando la
televisione./ America è giusto?» (la poesia di Ginsberg
è citata nella traduzione di Fernanda Pivano, Mondadori
1965).
È questa lAmerica che la «Vecchia Europa» ama:
la voce di tutti coloro che hanno messo in guardia
lAmerica dalla sua grandezza, e che per questo
lhanno fatta grande altrimenti. È lAmerica
della Long Island che accoglieva gli emigranti
provenienti da unEuropa che non riusciva più a
sfamarli, e che li accoglieva mettendo in pratica gli
ideali di uguaglianza che la «Vecchia Europa» aveva
inventato ma che non sapeva mettere in pratica;
lAmerica degli uomini che vennero in Spagna a
combattere il franchismo; lAmerica che scese in
guerra contro il nazi-fascismo spuntandola
sullaltra poderosa America, quella reazionaria che
guardava con simpatia a Hitler e Mussolini.
Il missilistico presidente texano non ha capito che,
comunque sia, la «Vecchia Europa» ama lAmerica di
Hemingway, di Salinger, di Joseph Heller, di Noam
Chomsky, di Susan Sontag, di Woody Allen, di Oliver
Stone, di Sidney Pollack, di Robert Redford, di Sean
Penn, del New York Times,
del Watergate, del Premio Pulitzer, di Bob Dylan, di Joan
Baez, di Louis Armstrong, di Chet Baker, di Pollock, di
Hopper, di Richard Avedon - ma la lista sarebbe infinita:
quellAmerica che George W. Bush detesta, che
appartiene allEuropa e al mondo e nella quale ci
sentiamo tutti americani.
Questa è lAmerica della civiltà. La «nuova
civiltà» a cui pensano George W. Bush, la petroliera
Condoleezza Rice, il disco rotto Colin Powel, il
mitragliere Rumsfeld, gli oscuri personaggi che lavorano
nei sotterranei della Cia, questo «nuovo» non è altro
che un vecchio arnese degno di «revenants», di zombie
ritornati in circolazione. Hanno qualcosa di riciclato,
per noi europei sono terribilmente stantii, vecchi
decrepiti. Le poesie che gli si addicono sono Zung
Tumb Tumb, la descrizione
fonosimbolica della guerra del Cavalier Marinetti oppure
gli scoppi del Bombardamento di
Tripoliche tanto eccitavano i suoi
versi.
Ma perché Mister Bush non segue il consiglio di Allen
Ginsberg, lui e la sua bomba atomica?
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alla prossima
settimana - un bacio - luana.
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