BUSH FORSE NE USCIRA' FUORI - MA QUANTI UOMINI INGIUSTAMENTE E PER INNOCENZA DOVRANNO MORIRE ?

DA - LA REPUBBLICA

Un'autobomba è esplosa nei pressi di un posto di blocco
L'autista ha chiesto aiuto ai militari per farli avvicinare
Attentato kamikaze a Najaf
Uccisi 4 soldati americani
Il capo degli ulema musulmani iracheni attraverso una tv:
"E' un dovere condurre la jihad contro gli anglo-americani"

NAJAF - Viaggiava a bordo di un taxi e agitava la mano fuori dal finestrino come per chiedere aiuto. Quando i militari gli si sono avvicinati ha fatto esplodere la carica di dinamite che portava addosso ed è saltato in aria insieme a tutto ciò che circondava l'auto. Quattro soldati americani della prima brigata della terza divisione di fanteria sono morti. E' successo questa mattina nei pressi di un posto di blocco a nord della città di Najaf. Lo ha raccontato il capitano americano Andrew Wallace, citato dal sito online Msnbc news. E la dinamica, ma non il bilancio delle vittime, è stata confermato anche dal comando centrale in Qatar.

Questo attentato non può che accrescere tra i militari delle truppe alleate il timore che imprevedibili attacchi terroristici vengano usati dagli iracheni come strumento di guerra. Una strategia preannunciata da Saddam e invocata oggi stesso dal capo degli ulema musulmani iracheni, Abdel Karim Al-Mudarress. Il religioso è apparso su una rete televisiva satellitare subito dopo l'attentato suicida a Najaf e ha pronunciato una "fatwa", un decreto religioso, esortando la popolazione a lottare contro le forze anglo-americane.

"E' necessario - ha detto il capo dell'Associazione teologi iracheni -, è un dovere combattere e condurre la jihad (guerra santa, ndr) contro le forze anglo-americane". "Chi morirà nei combattimenti sarà un martire", ha aggiunto lo sceicco. E ieri un imam di Baghdad, con il Kalashnikov in mano, aveva lanciato un appello da una moschea ai musulmani di tutto il mondo per dire che l'ora della guerra santa era suonata.

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LIBERATI I GIORNALISTI ITALIANI - E NON SOLO MA DICONO ANCHE CHE SONO STATI TRATTATI BENE E CHE A BASSORA HANNO VISTO SOLO IRAKENI NON GLI USA COME INVEC PROPAGANDAVANO GLI AMERICANI.

DA - LA REPUBBLICA

Il racconto dei giornalisti
"Siamo stati trattati bene"
Pasero (Il Messaggero): "A Bassora non ho visto soldati alleati"

BAGDAD - Il primo a parlare è stato Francesco Battistini, del Corriere della Sera: "Siamo in buone condizioni e ci hanno trattato bene". Poi, uno dopo l'altro, i sette giornalisti italiani arrestati a Bassora e rilasciati a Bagdad, hanno raccontato la loro avventura di "clandestini" di guerra.

"Ci hanno trattato molto meglio di quanto un italiano tratterebbe un iracheno che passasse illegalmente il confine", racconta Lorenzo Bianchi, inviato de Il Resto del Carlino, a Gabriella Simoni, di Studio Aperto. E ancora Battistini: "C'è stato solo qualche momento di tensione a Bassora, ho visto un pò di folla arrabbiata nei nostri confronti. Ci hanno portato via rapidamente e la situazione è stata più tranquilla".

Marcello dell'Uva, de Il Mattino, dice che "è stato un viaggio un po' lungo, però sono stati abbastanza gentili", mentre Bianchi ricorda che è la sua seconda volta (era già stato fatto prigionero dagli iracheni durante la Guerra del Golfo: "Sono abbonato, e comunque ci hanno trattato bene, ci hanno portato allo Sheraton, ci hanno detto che eravamo ospiti del governo...una formula che mi ricordava quella del 1991".

A Lilli Gruber del Tg1 l'inviato de Il Giornale, Luciano Gulli, cerca di fornire qualche dettaglio in più. "Il nostro errore, se così si può dire, è stato quello di cercar3e di entrare in Bassora e di imbatterci in due miliziani del partito Baas, vestiti di grigioverde, che hanno subito capito che eravamo 'fuori posto' e ci hanno pregati con molta cortesia di salire sulle loro automobili". E Toni Fontana, de L'Unità, spiega che "è stato positivo che Al Jazeera abbia dato la notizia. E' uscita e tutto sommato è stato un vantaggio perché si è saputo in giro".

"In fondo, per loro, noi eravamo dei 'clandestini' - osserva Lorenzo Bianchi del Resto del Carlino -, Il momento di maggior preoccupazione è stato questa mattina presto, perché si sono sentiti dei colpi di una battaglia molto vicina all'hotel".

E ora che la paura è passata, cè il tempo anche di dare qualche informazione sulla guerra vista dall'altra parte, da dentro la città di Bassora: "In tutta la città non ho visto nè un soldato inglese, nè un soldato americano - sottolinea Ezio Pasero de Il Messaggero -, è una città in mano agli iracheni, con la gente che si muove, che va in giro con la bicicletta, con i bambini che giocano per la strada...".

(29 marzo 2003)

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ORAMAI IL NOSTRO MINISTRO DEGLI INTERNI VANEGGIA - LE SUE SCELTE TUTTE SBAGLIATE E DEGNE DELL'ORRORE POLITICO E UMANO LO PORTANO A DIRE DELLE COSE SENZA SENSO.

DA - LA REPUBBLICA

Cortei, Berlusconi all'attacco
"Bandiere rosse: una bestemmia"

PORTOFINO - "Le bandiere rosse accanto a quelle della pace sono una bestemmia". E ora la nuova sortita del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a proposito del pacifismo rischia di accendere l'ennesimo fronte polemico con l'opposizione. Il premier è a Portofino, dove è arrivato nel pomeriggio dopo aver fatto visita ad un suo amico ricoverato all'ospedale San Martino di Genova. E nella famosa piazzetta spara a zero sulle bandiere "che si sono macchiate del sangue di 100 milioni di innocenti nella storia".

"La pace è un bene sommo - ha detto Berlusconi - e ci sono tante persone che manifestano in buona fede, con sentimenti assolutamente sinceri, apprezzabili e certamente condivisibili". Il problema dunque non sono i milioni di persone che si oppongono alla guerra, ma quelle bandiere rosse: "Quello che fa male al cuore - aggiunge infatti il premier - è vedere come queste bandiere della pace siano spesso sommerse da bandiere che tutto rappresentano fuorché la storia, la tolleranza, il rispetto dei diritti umani, la democrazia e la pace". Bandiere che - è sempre il capo del governo che parla - qualcuno dice siano "rosse perché macchiate di sangue".

A proposito del ruolo dell'Italia nel conflitto in corso, Berlusconi ha escluso che altre truppe possano partire dall'Italia per la guerra, come invece è accaduto di recente con i parà americani che sono nel nord dell'Iraq. "Non ci sono nuove previsioni", ha detto il premier, dicendosi intanto lieto per la liberazione a Bagdad dei sette giornalisti italiani che erano stati arrestati ieri a Bassora.

(29 marzo 2003)

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FINALMENTE LA PACE CONTINUA

Migliaia di no alla guerra
scontri con la polizia a Torino
Nel capoluogo piemontese lacrimogeni e tafferugli

ROMA - Quasi cinquanta manifestazioni in tutta Italia. Migliaia di persone in piazza per dire "no" alla guerra in Iraq. Bandiere arcobaleno e slogan. E anche qualche incidente con la polizia. In particolare a Torino dove frange di manifestanti e polizia hanno dato vita a prolungati tafferugli.

Torino. Alta tensione a Torino. Oltre ai pacifisti (tra loro anche molti extracomunitari, soprattutto arabi) in piazza per dire no alla guerra ci sono anche i militanti estrema destra di Forza Nuova. I neofascisti si sono radunati a centinaia nel pomeriggio, vicino alla caserma Montegrappa e al parco di piazza D'Armi, in una zona semicentrale ma troppo vicino alle manifestazioni dei disobbedienti e dei giovani comunisti. Un gruppo di ragazzi legati ai centri sociali cerca di raggiungere i neofascisti. Immediata la reazione della polizia. Scontri e tafferugli si verificano in via Po. La polizia lancia lacrimogeni. I manifestanti rompono la vetrata della fermata dell'autobus, divelgono panchine, mandano in frantumi alcune vetrine. Giovani italiani e immigrati extracomunitari creano vere e proprie barricate tra via XX Settembre e piazza Castello dando fuoco ai cassonetti dell'immondizia e a materiale recuperato dai cantieri edili. In serata nuovi tafferugli in serata a Porta Palazzo. La questura minimizza: "Nulla di grave".

Brescia. Qualche problema anche a Ghedi, in provincia di Brescia, dove circa 10mila persone hanno sfilato lungo il perimetro della base militare. Alcuni manifestanti, oltre a petardi e fumogeni hanno lanciato all'interno della base bottiglie vuote e un paio di paracarri divelti dalla sede stradale. E' stata anche tagliata la recinzione della base e qualcuno è entrato simbolicamente in territorio militare, ma alla fine tutto si è risolto senza l'intervento delle forze dell'ordine.

Vicenza. Fumogeni, vernice rossa e fuochi d'artificio sono stati lanciati dal corteo che nel pomeriggio ha raggiunto la base di Ederle, nei pressi di Vicenza, dove nei giorni scorsi sono partiti i parà Usa poi sbarcati nel Kurdistan iracheno. Per respingere l'assalto dei manifestanti la polizia ha sparato alcuni lacrimogeni.

Bologna. Lungo corteo a Bologna, aperto da un doppio arco di palloncini con i colori dell'arcobaleno. Nel cielo, la parola "Pace", scritta sempre con i palloncini colorati. In piazza anche i gonfaloni dei comuni del coordinamento degli amministratori bolognesi per la pace che hanno aderito alla manifestazione: i sindaci di Marzabotto, Pianoro, Castel Maggiore, Bentivoglio, Vergato seguiti dal gonfalone con la scritta "Il Comune che non c'è" a rappresentare l'assenza del vessillo del Comune di Bologna.

Genova. Quindici corpi stesi tra i banchi di frutta e verdura del Mercato orientale di Genova, imbrattati di colore rosso sangue. E' la messinscena allestita stamani dalla 'Rete controg8' per protestare contro i bombardamenti e le uccisioni di civili a Baghdad.
"Questa è una finzione - era scritto su uno striscione steso tra i banchi - ma era realtà a Baghdad mercoledì scorso". I quindici giovani sono rimasti stesi a terra per una decina di minuti, sotto gli sguardi dei commercianti e della gente che faceva acquisti, poi si sono alzati e sono andati in un altro mercato, in piazza Palermo, per simulare di nuovo le morti di civili iracheni provocate dai bombardamenti angloamericani nei mercati della capitale.

Cosenza. Un migliaio di persone hanno partecipato stamattina a Cosenza ad un corteo contro la guerra promosso da alcune associazioni. Due le manifestazioni, la prima partita da piazza dei Bruzi e la seconda da piazza Fera, confluite poi in un unico corteo che è culminato alle Casermette. All'iniziativa, in particolare, hanno partecipato molti studenti.

Roma. A mezzanotte, presidio a Roma allo stabilimento della Esso per impedire ai camion di caricare il carburante. La manifestazione si è svolta senza problemi e alle 7 di questa mattina i disobbedienti hanno detto di esser riusciti ad impedire il rifornimento di circa 130 autobotti. Sempre a Roma, i pacifisti hanno poi vestito a lutto 14 ponti sul Tevere, stendendo lunghi drappi neri.

Napoli. Cortei colorati, con donne e bambini in prima fila, si sono svolti invece nel capoluogo partenopeo, dove lo striscione d'apertura tenuto dagli alunni delle scuole materne ed elementari recitava "Un altro mondo è possibile".

Pisa. L'ultima manifestazione della giornata è in programma a Pisa, dove un corteo partirà dalla stazione e arriverà sull'Aurelia nei pressi della base Usa di Camp Darby. Proprio da qui, stanotte, dovrebbe iniziare secondo i disobbedienti il trasferimento di centinaia di bombe d'aereo e missili diretti nel Golfo.

Sardegna. Manifestazioni in molte località della Sardegna, dove migliaia di persone hanno ribadito il loro no alla guerra, mentre una gigantesca bandiera della pace sventola ora anche sul punto più alto del massiccio del Gennargentu.

(29 marzo 2003)

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IL PEGGIO PER GLI USA SI STA AVVERANDO - E' INCREDIBILE COME UN PICCOLO ESERCITO COME QUELLO DI SADDAM RIESCE ALMENO FINO AD ORA A FERMARE IL BESTIONE USA..... SARA' QUESTIONE DI INTELLIGENZA E DI LUNGA PRATICA ?

DA - LA REPUBBLICA

Il malumore dei generali


di VITTORIO ZUCCONI

NEL SECONDO weekend della guerra insabbiata, parte la prima controffensiva contro il solo nemico che potrebbe sconfiggere l'America: il morale del fronte interno. In Iraq si combatte per l'Eufrate, ma la battaglia decisiva è sulle rive del Potomac, il fiume di Washington, dove saltano i nervi anche al freddo Rumsfeld che si lascia andare a frasi truculente, "se quei feddayn hanno voglia di morire, li accontenteremo tutti", e poi apre scenari terrorizzanti di altre guerre preventive: "Se i siriani e gli iraniani stanno aiutando sottobanco Saddam Hussein, ne pagheranno il prezzo".

Un Bush "profondamente irritato" deve tenere il suo quarto discorso marziale in quattro giorni; ma se l'Iraq avesse davvero nella Siria, nell'Iran, nella Russia dell'"amico Putin" quell'entroterra che la Corea ebbe in Mao e che il Vietnam ebbe nell'Urss, ben altri "malumori" attendono l'America e l'Europa.
Ci sono segni di "disorientamento" nell'opinione pubblica, come lo chiama un Donald Rumsfeld che perde la calma con i media che diffondono dubbi e dichiarazioni di generali nervosi. C'è "un eccesso di informazioni frammentarie dal fronte", si agita "Rummy" il segretario alla guerra. Un commento che gela il sangue ai giornalisti più vecchi e che ricordano le accuse ai media di avere perduto il Vietnam. Tutta la Washington del potere ce l'ha con i giornali che non cantano in coro. Ma non sono i giornali a rifornire Saddam Hussein e a smentire le comode tesi dell'isolamento del raìs nel mondo arabo.

Il presidente è irritato coi giornalisti che fanno "silly questions", stupide domande sulla durata della guerra. I galli degli alti comandi, i generali, cominciano a beccarsi tra loro, dalle pagine dei quotidiani. E questa possibile crepa nel fronte interno è l'arma di distruzione che Washington teme di più. Anche i giornali che editorialmente appoggiano l'invasione, come il Washington Post, fanno il loro mestiere e registrano gli inciampi, i rovesci, i battibecchi dal fronte, così contraddicendo gli editoriali nelle loro cronache. Le foto e le sequenze di soldati incrostati di fango, sabbia e fatica, a corto d'acqua e di carburante, parlano più forte dei bollettini. Gli inviati embedded, incastrati nei reparti, non sembrano più tanto una buona idea ai comandi che speravano di usarli per la propaganda. E al fronte si muore. Questa non è la bloodless war, di Bill Clinton in Kosovo, la guerra senza sangue americano.

Ci sono segnali diretti e indiretti di ruggini forti. Si irrita il sempre composto Powell, quando gli chiedono se questa campagna azzardata e inconfessabilmente razzista, il mad dash, la corsa pazza verso Bagdad puntando sulla resa in massa delle unità irachene, smentisca la sua dottrina militare, che richiedeva pazienza, forza schiacciante e certezza di obbiettivi. "Questi generali li ho addestrati tutti io", risponde brusco, "cosa volete che tradiscano". Ma anche Blair si è scontrato con Bush, ieri l'altro, sulla condotta della guerra, perché secondo i britannici e il premier, questa lentezza, questa guerra condotta con la mano legata dietro la schiena e questi rovesci aggravano ogni giorno la posizione del governo inglese, in attesa di quella vittoria che sanerebbe, almeno temporaneamente, tutto.

Bush ha preso personalmente in mano la gestione delle pubbliche relazioni, come l'amministratore delegato di un'azienda che va male in Borsa, commenta il Washington Post, e rilancia l'ennesimo discorso della vittoria ai vecchietti reduci di altre guerra: "Vedrete come saremo orgogliosi di questa guerra, quando sarà vinta". Vuol dire che per ora non lo siamo? Il Dipartimento di Stato dà una mano alla controffensiva politica e fa sapere che i servizi segreti iracheni progettavano attacchi terroristici contro nazioni occidentali, dettagli seguiranno, forse.

Ma sulla riva opposta del fiume, al Pentagono, il "piano Franks", è sotto tiro. Gli immensi rinforzi in arrivo hanno dimostrato che la dottrina della "guerra leggera" voluta da Rumsfeld e tradotta nel piano del generale Tommy Franks non ha funzionato e il Pentagono deve passare alla vecchia "guerra pesante campale". "Si sa bene che nessun piano di battaglia resiste mai al contatto con il nemico", scappa detto al generale d'aviazione Myers, subito interrotto dal suo superiore, da Rumsfeld, che gli rammenta secco: "Quel piano era stato visto, rivisto e corretto, e ha avuto la approvazione di noi tutti, me compreso". Come dire al comandante a quattro stelle dell'Air Force: in questo pasticcio ci siamo tutti, mio caro, e nessuno si illuda di lanciarsi con il paracadute.

Se qualcuno dovrà pagare per primo, nel caso la caduta di Bagdad si faccia aspettare troppo, sarà il generale Franks, che ha messo la propria firma sull'"invasione leggera" e sul "rolling start", sulla partenza frettolosa.
Naturalmente, Franks pagherebbe per colpe altrui, perché la dottrina della "guerra leggera" preceduta dallo shock per annientare psicologicamente il nemico è del segretario alla difesa. Come è stata politica la certezza, alimentata da oppositori iracheni sempre pronti a compiacere il loro padrone americano, che la popolazione sarebbe insorta e che le altre nazioni arabe sarebbero state a guardare indifferenti.

Invece, dalle frontiere di carta con la Siria e l'Iran arrivano terroristi, volontari, armi, parti di ricambio, forse vendute dalla mafia russa, da quel Putin che sarebbe dovuto entrare addirittura nella Nato; e Rumsfeld deve minacciare tutti di future rappresaglie se appoggiano Saddam, aprendo lo scenario di un "domino" di altre guerre preventive all'infinito. I discorsi non servono più. Bush ha disperatamente bisogno di una giornata di sole. I sondaggi tengono, la nazione è più paziente dei suoi giornalisti: e furono necessari cinque anni per sollevare l'America contro la guerra in Vietnam. Ma quelli erano i padri. Di quanta pazienza sono capaci i loro figli, la generazione del fast food?

(29 marzo 2003)

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E FINALMENTE QUALCUNO RIESCE A DIRE LA VERITA' ..... LO SGAMBETTO ALL'ONU LO AVEVAMO CAPITO ANCHE NOI - MA E' MEGLIO SENTIRLO DALLA VOCE DI CHI LO HA SUBITO.

DA - LA REPUBBLICA

Blix: "Il nostro lavoro
irritava gli americani"
"Usa e Gb reclutano ispettori per scovare armi proibite"
Il diplomativo svedese lascerà l'incarico a giugno

BERLINO - Il capo degli ispettori dell'Onu per il disarmo, Hans Blix sostiene che il lavoro svolto in Iraq nei mesi scorsi "irritava" gli Stati Uniti, che avevano come unico obiettivo quello di pervenire a una risoluzione della Nazioni Unite che legittimasse la guerra al regime di Bagdad. Nel periodo precedente l'inizio del conflitto, aggiunge Blix, gli Stati Uniti non erano affatto interessati ad ascoltare informazioni obiettive.

In un'intervista che verrà pubblicata domani sul giornale tedesco Welt am Sonntag, Blix critica apertamente, definendole "mediocri", le informazioni dei servizi segreti americani sui programmi di armamenti iracheni che gli Stati Uniti hanno consegnato agli ispettori. "Di tutti i siti che siamo stati mandati a controllare, solo in tre abbiamo trovato armi, e in nessun caso si trattava di armi illegali di distruzione di massa. Adesso sarà interessante verificare se gli americani ispezioneranno i siti sui quali non ci hanno detto nulla", ha sottolineato il capo degli ispettori.

Il capo dell'Unmovic spiega quindi di aver avuto l'impressione che gli americani non fossero obiettivi quando le ispezioni erano arrivate nella fase finale. "Ho anche avuto l'impressione, subito prima che prendessero la decisione di dare il via all'attacco che il nostro lavoro li irritasse".

Blix ha poi dichiarato in un'intervista a una radio svedese che Stati Uniti e Gran Bretagna reclutano ispettori dell'Onu perché li aiutino a scovare le eventuali armi di distruzione di massa che Saddam Hussein avrebbe nascosto in Iraq. Gli anglo-americani "si rivolgono a persone che attualmente lavorano con noi e chiedono aiuto. Si tratta di nostro personale originario dei Paesi che partecipano al conflitto", ha spiegato Blix, aggiungendo che gli ispettori sono liberi anche di rompere il contratto che li impegna al servizio delle Nazioni Unite.

Blix ha poi aggiunto che la sua squadra di ispettori continua a ricevere informazioni dai servizi di intelligence anglo-americani in merito agli armamenti iracheni, e ha ribadito di non ritenere che il ritrovamento di maschere antigas e di tute per protezione chimica in un ospedale iracheno sia una prova che l'Iraq possiede armi di distruzione di massa. "Noi vogliamo vere prove per crederci, mentre ciò che ci è stato presentato finora non rientra in questa categoria di prove", ha concluso il capo svedese degli ispettori dell'Onu.

Proprio ieri Blix ha annunciato che non richiederà il rinnovo del suo mandato di capo dell'Unmovic, la missione delle Nazioni Unite per il disarmo iracheno, che scade nel giugno prossimo. "Il mio contratto scade a giugno e non intendo rimanere oltre", ha detto Blix. Il suo mandato al timone dell'Unmovic lo ha visto più di una volta in rotta di collisione con gli Usa. Lo stesso Blix ha espresso disappunto la scorsa settimana quando il suo lavoro di verifica in Iraq è stato vanificato dalle divisioni in Consiglio di Sicurezza: "Tre mesi non sono abbastanza per dire che c'è un'impasse", aveva detto il diplomatico svedese nella sua ultima conferenza stampa dieci giorni fa.

In un'intervista alla Cnn, Blix ha ammesso il suo dispiacere "per non essere riuscito ad avere i tre mesi in più che chiedevo". Del resto, ha aggiunto il diplomatico svedese, "non potevo garantire che in questo periodo avremmo potuto avere successo, ma sarebbe stata una buona possibilità. Non sappiamo se l'Iraq ha armi di distruzione di massa" ha detto Blix, ribadendo quanto ripetuto diverse volte in passato.

Riguardo alla questione della cooperazione irachena con gli ispettori, Blix ha detto che dopo essere stata molto "lenta" e parziale all'inizio, "verso la fine di gennaio e i primi di febbraio gli iracheni erano diventati attivi" nel collaborare con l'Unmovic. Tanto che il 19 marzo, a ultimatum di George Bush scaduto, e alla vigilia dell'attacco, all'Unmovic, spiega Blix, è arrivata una lettera con chiarimenti, richiesti dagli ispettori, degli aerei spia.

Svedese, studioso di diritto, Blix ha guidato l'ultima missione degli ispettori per il disarmo fino al 17 marzo, quando il segretario generale Kofi Annan ne ha ordinato il ritiro per motivi di sicurezza. Un collaboratore di Blix ha fatto sapere che, dopo giugno, il capo degli ispettori tornerà a Stoccolma, dove vive, e passerà il suo tempo studiando e scrivendo.

(29 marzo 2003)

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I GIORNALISTI STORICI DEL MANIFESTO - NON MI STANCHERO' MAI DI RIPETERLO .... BISOGNA LEGGERLI :

DA - LA REPUBBLICA

Escalation


VALENTINO PARLATO


Questa guerra è già durata troppo tempo. Ogni giorno è di sangue, di morte, di lacrime e rabbia dei sopravvissuti. L'altroieri la strage del mercato, ieri la replica in una zona vicina a luoghi di culto. Ieri era venerdì, che per i musulmani è come il sabato per gli ebrei e molto di più che la domenica per noi cristiani consumisti, anche se il congresso Usa ha deciso una giornata di preghiera e digiuno perché il loro dio sostenga i loro militari. Saremmo arrivati al fondamentalismo dei ricchi, che è il peggio che si possa pensare e che ogni giorno produce la carneficina che possiamo vedere anche nelle nostre tv. Il punto - sul quale occorre interrogarsi - è che questa barbarie nasce da una scelta suppostamente razionale. «La scelta - scrive Arthur Schlesinger Jr - riflette una svolta decisiva nella politica estera americana, in cui la dottrina strategica del contenimento e dissuasione, che ci aveva portato a una vittoria pacifica durante la Guerra fredda, è stata sostituita dalla dottrina di Bush che persegue una guerra preventiva. Il presidente ha adottato una politica di autodifesa preventiva eguale a quella che il Giappone imperiale aveva applicato a Pearl Harbor». E Schlesinger prosegue: «La dottrina di Bush ci trasforma in giudici, giuria e carnefici del mondo, un'autocandidatura che porterà al ridimensionamento della nostra leadership». Charles Kupchan ha scritto un saggio che si intitola, La fine dell'era americana, ma il guaio è che questo tramonto eventuale è sicuramente sanguinoso e mortifero e non per la cattiveria dell'impero in decadenza, ma per la sua crisi di egemonia, di comprensione di come stanno le cose al mondo.

Tutti gli osservatori, anche americani, affermano che mai una guerra era stata tanto a lungo studiata e progettata come questa, appunto, preventiva. Alle spalle di questa guerra c'è almeno una decina d'anni di preparazione. Il risultato è inequivocabilmente disastroso: isolamento sul piano internazionale, mobilitazione della più grande opposizione pacifista della storia, destabilizzazione degli stati arabi moderati e poi sul fronte il totale fallimento della guerra lampo annunciata, delle bombe intelligenti e di tutto il resto. Ci vogliono altre truppe (anche dei paracadutisti di Vicenza), ci vogliono altri aerei e, a questo punto, come per altro annunciano i macelli quotidiani, bombardamenti sempre più massicci e indiscriminati e bombe sempre più grosse e meno intelligenti. Le informazioni dicono che al Pentagono c'è rissa: uno se ne è dovuto andare per conflitto di interessi, ma anche altri hanno mani in affari petroliferi e bellici.

Grande è il disordine nel cervello dell'impero e la situazione non è affatto eccellente, anzi massimamente pericolosa: i massacri di questi giorni lo confermano e ci sono molte ragioni per temere che annuncino il peggio. Sui giornali è riemersa la parola «escalation».

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CERTO LA FRANCIA NON PUO' FARE NESSUNA RICHIESTA - ED ERA PREVEDIBILE CHE GLI USA L'AVREBBERO FATTA FUORI - MI PARE ASSURDO CONTESTARE COSI' COME E' ASSURDO CHE IL CAPITALISMO PRIMA DISTRUGGA E POI RICOSTRUISCE - PER SOPRAVVIVERE DA QUANDO E' NATO ATTUA SEMPRE LO STESSO GIOCO.

DA - IL MANIFESTO

La Francia fuori gioco


Protesta di governo e Confindustria: sfumano affari e appalti


ANNA MARIA MERLO


PARIGI


Il Medef, la Confindustria francese, ha reagito con rabbia alle notizie provenienti da Washington sui grossi appalti del dopo-guerra in Iraq già attribuiti a società statunitensi e sui subappalti distribuiti con generosità alle imprese britanniche (sono il solo spiraglio che resta aperto, visto che l'appalto principale per decisione statunitense sarà solo per imprese che hanno un «certificato di sicurezza» richiesto dal Pentagono, quindi necessariamente Usa). Il ministero delle finanze francese ha già messo in piedi due commissioni, per far sì che la Francia arrivi preparata per gettarsi nella corsa alle commesse della ricostruzione. «Il modo in cui l'amministrazione statunitense spinge le imprese, soprattutto quelle che sono vicine all'ambiente di George Bush, è semplicemente sbalorditivo» dicono a Bercy. Il ministro delle finanze Francis Mer e il Medef si sono fatti sentire già a più riprese al ministero degli esteri, per cercare di attenuare lo scontro diplomatico in corso tra Parigi e Washington, per evitare ripercussioni negative. Già ci sono gli appelli al boicottaggio di prodotti francesi - un'intera pagina pubblicitaria di incitamento al boicottaggio è stata pubblicata prima dal Washington Times poi mercoledi' scorso dal New York Times - che fanno temere non solo per i formaggi o i vini, ma anche per Air France, Alcatel, Renault ecc. (i siti Internet anti-francesi prosperano, da vetolafrance.com a merdeinfrance.blogspot.com, passando per quello di Fox News). Ma quello che adesso vogliono evitare gli imprenditori francesi è l'esclusione completa dal grande mercato della ricostruzione. L'obiettivo è evitare il ripetersi dello scenario del `91: dopo la guerra del Kuwait, la Francia, che pure vi aveva partecipato, era stata esclusa di fatto dagli appalti, perché si era accorta in ritardo che i giochi erano già stati fatti tra gli anglo-sassoni mentre gli eserciti erano ancora in guerra. Per questo, Mer ha messo in piedi le due commissioni di studio.

Gli imprenditori francesi non si fanno troppe illusioni, vista la tensione diplomatica. L'unico punto di forza delle imprese francesi, anche se insistono troppo su di esso, sono i rapporti economici tra Francia e Iraq che esistevano prima della guerra. Dal `96, da quando è in corso il programma Onu «oil for food», il Medef ha sempre inviato ogni anno una delegazione per mantenere i contatti con Bagdad. Ci sono gli interessi di Total nel petrolio iracheno, dei contratti in sospeso, non firmati, che attendevano la fine dell'embargo, e di cui adesso nessuno scommeterebbe sul loro mantenimento. La Francia negli ultimi anni era diventata il primo partner commerciale di Baghdad. «Ma non bisogna esagerare» su questo fattore, sottolineano a Bercy. Difatti, l'Iraq nel 2001 ha contato solo per lo 0,2% delle esportazioni francesi (ma le importazioni dalla Francia sono il 15% del totale di quelle irachene). Società francesi hanno costruito la rete telefonica di Bagdad e tra la capitale e le città del sud (Alcatel), il 20% del parco automobilistico iracheno è francese (Peugeot e Renault per i trattori). Imprese francesi sono presenti nella distribuzione dell'acqua, nei lavori pubblici (aeroporto di Baghdad). Ma la prima guerra del Golfo aveva già dato il colpo di grazia agli scambi commerciali dell'Iraq: 660 milioni di euro di esportazioni francesi nel 2001, nulla a che vedere con la garanzia per 20 miliardi di franchi (più di 3 miliardi di euro) che la Coface, l'assicuratore dell'export, aveva concesso nel `90, l'anno prima della guerra. Per non parlare degli anni prima e durante la guerra Iran-Iraq, quando parigi vendeva armi (Mirage) e cooperava per lo sviluppo dell'energia nucleare.

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GRAZIE DI NUOVO BERLUSCONI - E SE QUESTA GUERRA DURERA' NON CI INTERESSERANNO LE BOLLETTE CHE ERANO SONO CARE ANCHE ORA - MA SOLO CHE A QUALCUNO PESI LA PER SEMPRE LA SCELTA DELLE SUE AZIONI.

DA - IL CORRIERE DELLA SERA

Luce e gas, aumenti a partire da aprile

La guerra fa aumentare i prezzi dei combustibili: per l'el'ettricità +0,8%, il gas costerà l'1,8%

ROMA - L'Authority per l'energia e il gas per ha comunicato gli aumenti delle teriffe per il trimestre aprile-giugno: la luce aumenta dello 0,8 % e il gas dell'1,8% a partire dal 1° aprile. Gli aumenti si traducono in un maggiore esborso annuo per una famiglia media di 0,81 euro per la luce e di 13,6 euro per il gas.

IL PESO DEL PETROLIO -

La bolletta bimestrale dell'energia elettrica delle famiglie subirà un aumento di 14 centesimi. L'andamento dei prezzi internazionali del petrolio - spiega un comunicato - nei mesi da settembre 2002 a febbraio 2003 rispetto ai sei mesi precedenti, ha determinato un aumento del 7,7% (0,35 centesimi/Kwh) della relativa componente tariffaria, con una incidenza del 3,3% sulla tariffa media nazionale. Per quanto riguarda invece il gas metano, l'Autorità spiega che «la media delle quotazioni dei greggi e dei prodotti petroliferi, cui è indicizzato il prezzo del gas metano, è aumentata nel periodo giugno 2002-febbraio 2003 rispetto ai nove mesi precedenti, determinando un aumento delle tariffe del 2,5% in media nazionale al netto delle tasse e dell'1,7% comprese le tasse». L'aumento risulta quindi pari a 0,81 centesimi per metro cubo. Per una famiglia con consumi medi (1.400 metri cubi all'anno, 116 al mese) il rincaro comporta una maggiorazione della spesa di circa 13,6 euro l'anno. Per il presidente dell'Authority, Pippo Ranci, «si tratta di aumenti modesti. Il nostro meccanismo di indicizzazione è basato su periodi lunghi quindi è in grado di smussare gli effetti dell'incremento del prezzo del petrolio». il contenimento degli aumenti è dovuto «all'effetto di smussamento delle punte di prezzo del metodo di calcolo e alla contemporanea riduzione, in occasione della prevista revisione annuale, dell'onere tariffario per l'incentivazione delle fonti rinnovabili e assimilate»

28 marzo 2003

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SU QUESTA STORIA VI INVITO A LEGGERE L'ARTICOLO DI MAX MAX.

DA - IL CORRIERE DELLA SERA

Polmonite atipica: muore noto medico italiano

In un ospedale di Bangkok è spirato Carlo Urbani, ex presidente di Msf Italia. A Genova nuovo caso sospetto: è il quinto in Italia

BANGKOK - Era in Asia su mandato dell'Organizzazione mondiale della sanità, per studiare i casi di polmonite atipica, il virus partito da Hong Kong che ha messo in allarme il mondo intero. E ne è morto. Un medico di 47 anni, Carlo Urbani, originario delle Marche (quando non era in missione viveva a Castelplanio) è spirato in un ospedale di Bangkok, in Thailandia, per la sindrome Sars. Urbani soffriva da una decina di giorni di febbre molto alta. Il medico si trovava in Vietnam ma poi, con il peggiorare delle sue condizioni di salute, era stato trasferito a Bangkok per ricevere cure migliori. Sul posto si trova anche la moglie Giuliana Chiorrini.

LA CONFERMA - L'Organizzazione mondiale della sanità ha confermato ufficialmente che Urbani, medico esperto in malattie infettive (molto conosciuto, era stato incaricato da Medici senza frontiere in qualità di presidente di Msf Italia di ritirare a Oslo il premio Nobel per la pace che l'organizzazione umanitaria ha ottenuto nel 1999), è morto a causa della Sars. La polmonite atipica ha ucciso finora 54 persone nel mondo. E' il primo italiano a perdere la vita a causa della malattia.
Urbani ha partecipato a numerosi programmi sanitari, in Cambogia Laos e Vietnam e nell'ultimo periodo viveva ad Hanoi. È stato il primo esperto dell'Oms a identificare l'epidemia di questa nuova malattia in un uomo di affari americano ricoverato ad Hanoi.

MISSIONE - In Vietnam il medico si era occupato in un primo momento della programmazione nel settore delle malattie infettive. Poi, con l'insorgere del virus e lo scatenarsi dell'epidemia, era stato assegnato alla cura sul campo dei malati.

IN ITALIA - Intanto, un nuovo caso sospetto è stato segnalato
dall'ospedale San Martino di Genova al ministero della Salute. Si tratta di un giovane italiano di 20 anni giunto dalla Thailandia. E' il secondo caso sospetto ricoverato nell'istituto ligure. In totale, salgono così a 5 i malati in osservazione in Italia. Nel paziente ricoverato a Genova, ha spiegato il direttore della clinica,
l'infettivologo Dante Bassetti, si sono riscontrati tutti i
sintomi della polmonite anomala. Restano sostanzialmente stazionarie le condizioni del primo, un uomo di 25 anni il cui caso è definito probabile. Un terzo caso caso sospetto è all'ospedale Sacco di Milano (paziente ancora ricoverato) ai quali si aggiungono i casi di Roma e di Ancona. 29 marzo 2003

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CARO PAPA - SE DOPO - COME DICONO GLI AMERICANI - ATTACCHERANNO L'IRAN - NON SARA' SOLO UNA GUERRA RELIGIOSA A PREOCCUPARCI.

DA - IL CORRIERE DELLA SERA

Il Papa: «Evitare una catastrofe religiosa»

Il Pontefice:««La guerra è una tragedia umana. I cristiani devono impegnarsi per impedire ulteriori lacerazioni»

CITTA' DEL VATICANO - «Non deve mai essere permesso alla guerra di dividere le religioni del mondo». Lo ha detto il Papa, durante un incontro con i vescovi cattolici dell'Indonesia, il più

grande Paese musulmano al mondo. Giovanni Paolo II ha aggiunto che le buone relazioni interreligiose sono importanti in «questo momento di forti tensioni nell'intera comunità mondiale».

CATASTROFE - «Non dobbiamo permettere - ha affermato il pontefice - che una tragedia umana divenga una catastrofe religiosa». Per questo, il Papa ha esortato i cristiani ad impegnarsi per impedire che ciò avvenga.

29 marzo 2003

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CHE DELUSIONE QUESTO ARTICOLO - MA NON PERCHE' E' SCRITTO MALE O DICE DELLE COSE FUORI DI TESTA .... SOLO PERCHE' E' REALE.

DA - IL SOLE 24 ORE

Donne al debutto in prima linea

Ai tempi di Desert Storm erano l'11% dell'esercito Usa. Ora sono 200mila (15%) e per la prima volta vengono impiegate nelle avanguardie anche se rimane il divieto di combattere.
di Giulia Crivelli

È il loro debutto in prima linea: con l'attuale conflitto in Iraq le soldatesse americane compaiono per la prima volta nelle avanguardie dell'esercito Usa anche se rimane per loro il divieto di combattere. Lo stesso divieto vigeva per l'operazione Desert Storm, la Prima guerra del Golfo, ma in quel caso per le soldatesse restava ancora il tabù della «prima linea», abolito nel 1992.

Dall'11 al 15% del totale in 12 anni
Dal 1991 la presenza delle donne nell'esercito americano è aumentata in quantità e qualità. Oggi, rispetto a dodici anni fa, sono di più le donne presenti nelle Forze Armate Usa e i loro compiti si sono allargati e affinati. Nel 1991 la percentuale delle donne nelle Forze armate Usa era dell'11% ora è del 15%, cioè 200mila unità su un milione e quattrocentomila soldati.
Delle 200 mila soldatesse americane in divisa, parecchie trovano posto nelle unità ultratecnologiche incaricate di prevenire attacchi chimici, nei trasporti, nelle comunicazioni e perfino sui caccia. Il 91% delle cariche all'interno delle Forze armate Usa possono essere ricoperte, indifferentemente, da uomini e donne. Percentuale che sale fino al 99% in Aviazione o Marina (resta off-limits per le donne l'ingresso in reparti d'elite, come gli incursori).



La maggior parte sono nell'Esercito, solo il 6% nei Marines
Nel Desert Storm, primo vero battesimo del fuoco per le soldatesse Usa, le donne impiegate erano il 7 per cento delle forze operative e il 17 per cento nei riservisti e nella Guardia Nazionale. Oltre 40 mila donne furono impiegate all'epoca nelle operazioni militari nel golfo Persico. La maggior parte delle donne arruolate nelle Forze Armate Usa, il 16%, sono impiegate nell'Esercito. Ancora poche quelle che scelgono corpi difficili e iperselezionati come i Marines, che contano il 6% circa di soldatesse. I compiti che spettano alle donne con la divisa sono all'incirca gli stessi dei loro colleghi uomini. Vengono comunque per lo più impiegate, anche ora in Iraq, nella logistica come i rifornimenti, nelle squadre di genieri, nei servizi dove il loro numero è cresciuto col crescere della tecnologia. Molte anche le soldatesse impiegate sui cacciabombardieri, elicotteri, aerei da ricognizione.

Nel 1991 le prime prigioniere
L'impegno sul campo comporta risvolti negativi. Nel primo conflitto nel Golfo furono due le donne fatte prigioniere dagli Iracheni: il maggiore dell'Aviazione Rhonda Cornum e una soldatessa dell'Esercito, Melissa Rathbun Nealy.
Duante Desert Storm furono cinque le soldatesse uccise (su 390 morti totali tra le file americane).

Due soldatesse sono già date per disperse
Nella Seconda guerra del Golfo, potrebbero già esserci le prime due vittime tra le donne soldato. Tra le vittime americane dell' imboscata di Nassirya del 25 marzo ci sono anche due donne: Jessica Lynch, 19 anni, e Lori Anne Piestewa, 22 anni.

Jessica, dal liceo all'esercito
Una volta finito il liceo, Jessica aveva accolto la chiamata dell'Esercito a Palestine in West Virginia, un villaggio di campagna dove la gente fatica a trovare lavoro. L'ex liceale, che aspirava a fare la maestra elementare, era una delle tre donne della colonna di meccanici caduta nell'imboscata.

Lori Anne, erede dei "Windtalker"
Lori Anne invece è considerata una giovane donna erede dei «Windtalkers»: nata tra gli Hopi dell'Arizona, una delle tribù indiane che, nella seconda guerra mondiale, grazie ai loro intraducibili dialetti, furono impiegati dalle forze armate Usa per scambiare messaggi, mai decrittati dai giapponesi. Lori Anne faceva parte della colonna della 507esima Unità di manutenzione intercettata dagli iracheni. La famiglia di Lori, che a casa ha lasciato due figli di tre e quattro anni, è stata già avvertita dall'Esercito: risulta, al momento "Missing in action". Il 26 marzo le comunità Hopi e Navajo di Lower Moencopi, il villaggio di origine della ragazza nella riserva, si sono ritrovate a pregare per lei nell'antica lingua dei loro progenitori. Gli indiani d'America, e in particolare le tribù Hopi, Navajo e Comanche, hanno avuto una parte gloriosa nella storia delle forze armate Usa: nel 1942, per contrastare il Giappone che sistematicamente decrittava i messaggi militari top secret, l'Esercito arruolò i pellerossa, depositari di un codice basato sulla loro lingua che i giapponesi non riuscirono mai a violare e che fu fondamentale per gli esiti del conflitto. Questa vicenda di recente ha ispirato il film Windtalkers di John Woo, con Nicolas Cage.

L'esercito come opportunità
La storia di Lori è quella di tanti altri americani delle minoranze che hanno scelto le forze armate per inseguire il sogno di un avvenire migliore. Figlia di un veterano del Vietnam - un nonno soldato nella Seconda Guerra Mondiale - si era arruolata anche lei appena finito il liceo e un mese fa era partita per il Golfo.

E anche tra i prigionieri c'è già una donna
Oltre a Jessica e Lori, l'america ha visto le immagini di Shoshawna Johnson, una cuoca texana di 30 anni che gli iracheni hanno catturato e mostrato ferita - ma viva - in televisione, domenica sera.

La situazione in Italia
Il 29 settembre 1999 il Parlamento italiano ha definitivamente approvato la proposta di legge di delega al governo (presidente del Consiglio era Massimo D'Alema) per l'istituzione del servizio militare volontario femminile. Ministro della Difesa era allora Valdo Spini. Con una votazione quasi unanime: su 291 presenti e 282 votanti, i sì furono 273 e i no soltanto nove.
L'Italia è stato l'ultimo tra i paesi Nato a dire addio al monopolio maschile delle caserme. Negli altri paesi della Nato le donne nelle forze armate sono circa 300mila, di cui la maggior parte provengono da Stati Uniti (198.000), Francia (27.092), Gran Bretagna (16.500 circa). In Europa il record è dell’Olanda, che ha quasi il 13% di donne soldato; seguono la Francia con il 7%, la Gran Bretagna con il 6%, il Portogallo con il 4%. Quella femminile in realtà non è una leva, non arrivano "cartoline rosa" nelle cassette postali delle diciottenni italiane. Il servizio militare femminile è volontario, come del resto diventerà quello maschile a partire dal 2007. Ai concorsi per entrare nelle Forze Armate possono partecipare le ragazze con meno di 32 anni, così come è previsto per gli uomini, nel rispetto del principio di parità di carriera. Le donne potranno entrare in Marina, nell'Esercito, nell'Aeronautica.

Il testo della legge del 1999 ì

Il fronte afghano: 6 donne su 700 soldati italiani
In questo momento l'Italia non è impegnata con militari nell'operazione Iraqi Freedom, ma sono molti i soldati del nostro Paese impegnati all'estero, in particolare in Afghanistan per le missioni Enduring Freedom e Isaf. Queste due missioni rappresentano, quantitativamente, circa un quarto dell'impegno complessivo delle nostre forze armate all' estero. La durata della missione della task force «Nibbio» in ambito Enduring Freedom è fissata in 180 giorni a partire dal 15 marzo scorso. Il comando del contingente è dislocato a Baghram, dove sono presenti 300 unità. Il grosso della forza operativa, di circa 700 unità, stazione nella base Salerno, ad alcuni chilometri dalle località di Matun e Khost. Sono presenti anche 6 donne, una paracadutista e 5 alpine, che potranno, in particolare, relazionarsi con la componente femminile della popolazione locale.

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