BUSH FORSE NE
USCIRA' FUORI - MA QUANTI UOMINI INGIUSTAMENTE E PER
INNOCENZA DOVRANNO MORIRE ? DA - LA REPUBBLICA
Un'autobomba è esplosa
nei pressi di un posto di blocco
L'autista ha chiesto aiuto ai militari per farli
avvicinare
Attentato
kamikaze a Najaf
Uccisi 4 soldati americani
Il capo degli
ulema musulmani iracheni attraverso una tv:
"E' un dovere condurre la jihad contro gli
anglo-americani"
NAJAF - Viaggiava
a bordo di un taxi e agitava la mano fuori dal finestrino
come per chiedere aiuto. Quando i militari gli si sono
avvicinati ha fatto esplodere la carica di dinamite che
portava addosso ed è saltato in aria insieme a tutto
ciò che circondava l'auto. Quattro soldati americani
della prima brigata della terza divisione di fanteria
sono morti. E' successo questa mattina nei pressi di un
posto di blocco a nord della città di Najaf. Lo ha
raccontato il capitano americano Andrew Wallace, citato
dal sito online Msnbc news. E la dinamica, ma non il
bilancio delle vittime, è stata confermato anche dal
comando centrale in Qatar.
Questo attentato non può che accrescere tra i militari
delle truppe alleate il timore che imprevedibili attacchi
terroristici vengano usati dagli iracheni come strumento
di guerra. Una strategia preannunciata da Saddam e
invocata oggi stesso dal capo degli ulema musulmani
iracheni, Abdel Karim Al-Mudarress. Il religioso è
apparso su una rete televisiva satellitare subito dopo
l'attentato suicida a Najaf e ha pronunciato una
"fatwa", un decreto religioso, esortando la
popolazione a lottare contro le forze anglo-americane.
"E' necessario - ha
detto il capo dell'Associazione teologi iracheni -, è un
dovere combattere e condurre la jihad (guerra santa, ndr)
contro le forze anglo-americane". "Chi morirà
nei combattimenti sarà un martire", ha aggiunto lo
sceicco. E ieri un imam di Baghdad, con il Kalashnikov in
mano, aveva lanciato un appello da una moschea ai
musulmani di tutto il mondo per dire che l'ora della
guerra santa era suonata.
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LIBERATI I
GIORNALISTI ITALIANI - E NON SOLO MA DICONO ANCHE CHE
SONO STATI TRATTATI BENE E CHE A BASSORA HANNO VISTO SOLO
IRAKENI NON GLI USA COME INVEC PROPAGANDAVANO GLI
AMERICANI.
DA - LA REPUBBLICA
Il racconto dei
giornalisti
"Siamo stati trattati bene"
Pasero (Il
Messaggero): "A Bassora non ho visto soldati
alleati"
BAGDAD - Il primo
a parlare è stato Francesco Battistini, del Corriere
della Sera: "Siamo in buone condizioni e ci
hanno trattato bene". Poi, uno dopo l'altro, i sette
giornalisti italiani
arrestati a Bassora e rilasciati a Bagdad, hanno
raccontato la loro avventura di "clandestini"
di guerra.
"Ci hanno trattato molto meglio di quanto un
italiano tratterebbe un iracheno che passasse
illegalmente il confine", racconta Lorenzo Bianchi,
inviato de Il Resto del Carlino, a Gabriella
Simoni, di Studio Aperto. E ancora Battistini: "C'è
stato solo qualche momento di tensione a Bassora, ho
visto un pò di folla arrabbiata nei nostri confronti. Ci
hanno portato via rapidamente e la situazione è stata
più tranquilla".
Marcello dell'Uva, de Il
Mattino, dice che "è stato un viaggio un po'
lungo, però sono stati abbastanza gentili", mentre
Bianchi ricorda che è la sua seconda volta (era già
stato fatto prigionero dagli iracheni durante la Guerra
del Golfo: "Sono abbonato, e comunque ci hanno
trattato bene, ci hanno portato allo Sheraton, ci hanno
detto che eravamo ospiti del governo...una formula che mi
ricordava quella del 1991".
A Lilli Gruber del Tg1 l'inviato de Il Giornale,
Luciano Gulli, cerca di fornire qualche dettaglio in
più. "Il nostro errore, se così si può dire, è
stato quello di cercar3e di entrare in Bassora e di
imbatterci in due miliziani del partito Baas, vestiti di
grigioverde, che hanno subito capito che eravamo 'fuori
posto' e ci hanno pregati con molta cortesia di salire
sulle loro automobili". E Toni Fontana, de L'Unità,
spiega che "è stato positivo che Al Jazeera
abbia dato la notizia. E' uscita e tutto sommato è stato
un vantaggio perché si è saputo in giro".
"In fondo, per loro, noi eravamo dei 'clandestini' -
osserva Lorenzo Bianchi del Resto del Carlino -,
Il momento di maggior preoccupazione è stato questa
mattina presto, perché si sono sentiti dei colpi di una
battaglia molto vicina all'hotel".
E ora che la paura è passata, cè il tempo anche di dare
qualche informazione sulla guerra vista dall'altra parte,
da dentro la città di Bassora: "In tutta la città
non ho visto nè un soldato inglese, nè un soldato
americano - sottolinea Ezio Pasero de Il Messaggero
-, è una città in mano agli iracheni, con la gente che
si muove, che va in giro con la bicicletta, con i bambini
che giocano per la strada...".
(29 marzo 2003)
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ORAMAI IL
NOSTRO MINISTRO DEGLI INTERNI VANEGGIA - LE SUE SCELTE
TUTTE SBAGLIATE E DEGNE DELL'ORRORE POLITICO E UMANO LO
PORTANO A DIRE DELLE COSE SENZA SENSO.
DA - LA REPUBBLICA
Cortei, Berlusconi
all'attacco
"Bandiere rosse: una bestemmia"
PORTOFINO -
"Le bandiere rosse accanto a quelle della pace sono
una bestemmia". E ora la nuova sortita del
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a proposito
del pacifismo rischia di accendere l'ennesimo fronte
polemico con l'opposizione. Il premier è a Portofino,
dove è arrivato nel pomeriggio dopo aver fatto visita ad
un suo amico ricoverato all'ospedale San Martino di
Genova. E nella famosa piazzetta spara a zero sulle
bandiere "che si sono macchiate del sangue di 100
milioni di innocenti nella storia".
"La pace è un bene sommo - ha detto Berlusconi - e
ci sono tante persone che manifestano in buona fede, con
sentimenti assolutamente sinceri, apprezzabili e
certamente condivisibili". Il problema dunque non
sono i milioni di persone che si oppongono alla guerra,
ma quelle bandiere rosse: "Quello che fa male al
cuore - aggiunge infatti il premier - è vedere come
queste bandiere della pace siano spesso sommerse da
bandiere che tutto rappresentano fuorché la storia, la
tolleranza, il rispetto dei diritti umani, la democrazia
e la pace". Bandiere che - è sempre il capo del
governo che parla - qualcuno dice siano "rosse
perché macchiate di sangue".
A proposito del ruolo
dell'Italia nel conflitto in corso, Berlusconi ha escluso
che altre truppe possano partire dall'Italia per la
guerra, come invece è accaduto di recente con i parà
americani che sono nel nord dell'Iraq. "Non ci sono
nuove previsioni", ha detto il premier, dicendosi
intanto lieto per la liberazione a Bagdad dei sette
giornalisti italiani che erano stati arrestati ieri a
Bassora.
(29 marzo 2003)
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FINALMENTE LA PACE
CONTINUA
Migliaia di no alla
guerra
scontri con la polizia a Torino
Nel capoluogo
piemontese lacrimogeni e tafferugli
ROMA - Quasi
cinquanta manifestazioni in tutta Italia. Migliaia di
persone in piazza per dire "no" alla guerra in
Iraq. Bandiere arcobaleno e slogan. E anche qualche
incidente con la polizia. In particolare a Torino dove
frange di manifestanti e polizia hanno dato vita a
prolungati tafferugli.
Torino. Alta tensione a Torino. Oltre ai pacifisti
(tra loro anche molti extracomunitari, soprattutto arabi)
in piazza per dire no alla guerra ci sono anche i
militanti estrema destra di Forza Nuova. I neofascisti si
sono radunati a centinaia nel pomeriggio, vicino alla
caserma Montegrappa e al parco di piazza D'Armi, in una
zona semicentrale ma troppo vicino alle manifestazioni
dei disobbedienti e dei giovani comunisti. Un gruppo di
ragazzi legati ai centri sociali cerca di raggiungere i
neofascisti. Immediata la reazione della polizia. Scontri
e tafferugli si verificano in via Po. La polizia lancia
lacrimogeni. I manifestanti rompono la vetrata della
fermata dell'autobus, divelgono panchine, mandano in
frantumi alcune vetrine. Giovani italiani e immigrati
extracomunitari creano vere e proprie barricate tra via
XX Settembre e piazza Castello dando fuoco ai cassonetti
dell'immondizia e a materiale recuperato dai cantieri
edili. In serata nuovi tafferugli in serata a Porta
Palazzo. La questura minimizza: "Nulla di
grave".
Brescia. Qualche
problema anche a Ghedi, in provincia di Brescia, dove
circa 10mila persone hanno sfilato lungo il perimetro
della base militare. Alcuni manifestanti, oltre a petardi
e fumogeni hanno lanciato all'interno della base
bottiglie vuote e un paio di paracarri divelti dalla sede
stradale. E' stata anche tagliata la recinzione della
base e qualcuno è entrato simbolicamente in territorio
militare, ma alla fine tutto si è risolto senza
l'intervento delle forze dell'ordine.
Vicenza. Fumogeni, vernice rossa e fuochi
d'artificio sono stati lanciati dal corteo che nel
pomeriggio ha raggiunto la base di Ederle, nei pressi di
Vicenza, dove nei giorni scorsi sono partiti i parà Usa
poi sbarcati nel Kurdistan iracheno. Per respingere
l'assalto dei manifestanti la polizia ha sparato alcuni
lacrimogeni.
Bologna. Lungo corteo a Bologna, aperto da un
doppio arco di palloncini con i colori dell'arcobaleno.
Nel cielo, la parola "Pace", scritta sempre con
i palloncini colorati. In piazza anche i gonfaloni dei
comuni del coordinamento degli amministratori bolognesi
per la pace che hanno aderito alla manifestazione: i
sindaci di Marzabotto, Pianoro, Castel Maggiore,
Bentivoglio, Vergato seguiti dal gonfalone con la scritta
"Il Comune che non c'è" a rappresentare
l'assenza del vessillo del Comune di Bologna.
Genova. Quindici
corpi stesi tra i banchi di frutta e verdura del Mercato
orientale di Genova, imbrattati di colore rosso sangue.
E' la messinscena allestita stamani dalla 'Rete controg8'
per protestare contro i bombardamenti e le uccisioni di
civili a Baghdad.
"Questa è una finzione - era scritto su uno
striscione steso tra i banchi - ma era realtà a Baghdad
mercoledì scorso". I quindici giovani sono rimasti
stesi a terra per una decina di minuti, sotto gli sguardi
dei commercianti e della gente che faceva acquisti, poi
si sono alzati e sono andati in un altro mercato, in
piazza Palermo, per simulare di nuovo le morti di civili
iracheni provocate dai bombardamenti angloamericani nei
mercati della capitale.
Cosenza. Un migliaio di persone hanno partecipato
stamattina a Cosenza ad un corteo contro la guerra
promosso da alcune associazioni. Due le manifestazioni,
la prima partita da piazza dei Bruzi e la seconda da
piazza Fera, confluite poi in un unico corteo che è
culminato alle Casermette. All'iniziativa, in
particolare, hanno partecipato molti studenti.
Roma. A mezzanotte, presidio a Roma allo
stabilimento della Esso per impedire ai camion di
caricare il carburante. La manifestazione si è svolta
senza problemi e alle 7 di questa mattina i disobbedienti
hanno detto di esser riusciti ad impedire il rifornimento
di circa 130 autobotti. Sempre a Roma, i pacifisti hanno
poi vestito a lutto 14 ponti sul Tevere, stendendo lunghi
drappi neri.
Napoli. Cortei colorati, con donne e bambini in
prima fila, si sono svolti invece nel capoluogo
partenopeo, dove lo striscione d'apertura tenuto dagli
alunni delle scuole materne ed elementari recitava
"Un altro mondo è possibile".
Pisa. L'ultima manifestazione della giornata è in
programma a Pisa, dove un corteo partirà dalla stazione
e arriverà sull'Aurelia nei pressi della base Usa di
Camp Darby. Proprio da qui, stanotte, dovrebbe iniziare
secondo i disobbedienti il trasferimento di centinaia di
bombe d'aereo e missili diretti nel Golfo.
Sardegna. Manifestazioni in molte località della
Sardegna, dove migliaia di persone hanno ribadito il loro
no alla guerra, mentre una gigantesca bandiera della pace
sventola ora anche sul punto più alto del massiccio del
Gennargentu.
(29 marzo 2003)
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IL PEGGIO PER
GLI USA SI STA AVVERANDO - E' INCREDIBILE COME UN PICCOLO
ESERCITO COME QUELLO DI SADDAM RIESCE ALMENO FINO AD ORA
A FERMARE IL BESTIONE USA..... SARA' QUESTIONE DI
INTELLIGENZA E DI LUNGA PRATICA ?
DA - LA REPUBBLICA
Il malumore dei
generali
di VITTORIO
ZUCCONI
NEL SECONDO weekend della
guerra insabbiata, parte la prima controffensiva contro
il solo nemico che potrebbe sconfiggere l'America: il
morale del fronte interno. In Iraq si combatte per
l'Eufrate, ma la battaglia decisiva è sulle rive del
Potomac, il fiume di Washington, dove saltano i nervi
anche al freddo Rumsfeld che si lascia andare a frasi
truculente, "se quei feddayn hanno voglia di morire,
li accontenteremo tutti", e poi apre scenari
terrorizzanti di altre guerre preventive: "Se i
siriani e gli iraniani stanno aiutando sottobanco Saddam
Hussein, ne pagheranno il prezzo".
Un Bush "profondamente irritato" deve tenere il
suo quarto discorso marziale in quattro giorni; ma se
l'Iraq avesse davvero nella Siria, nell'Iran, nella
Russia dell'"amico Putin" quell'entroterra che
la Corea ebbe in Mao e che il Vietnam ebbe nell'Urss, ben
altri "malumori" attendono l'America e
l'Europa.
Ci sono segni di "disorientamento"
nell'opinione pubblica, come lo chiama un Donald Rumsfeld
che perde la calma con i media che diffondono dubbi e
dichiarazioni di generali nervosi. C'è "un eccesso
di informazioni frammentarie dal fronte", si agita
"Rummy" il segretario alla guerra. Un commento
che gela il sangue ai giornalisti più vecchi e che
ricordano le accuse ai media di avere perduto il Vietnam.
Tutta la Washington del potere ce l'ha con i giornali che
non cantano in coro. Ma non sono i giornali a rifornire
Saddam Hussein e a smentire le comode tesi
dell'isolamento del raìs nel mondo arabo.
Il presidente è irritato
coi giornalisti che fanno "silly questions",
stupide domande sulla durata della guerra. I galli degli
alti comandi, i generali, cominciano a beccarsi tra loro,
dalle pagine dei quotidiani. E questa possibile crepa nel
fronte interno è l'arma di distruzione che Washington
teme di più. Anche i giornali che editorialmente
appoggiano l'invasione, come il Washington Post, fanno il
loro mestiere e registrano gli inciampi, i rovesci, i
battibecchi dal fronte, così contraddicendo gli
editoriali nelle loro cronache. Le foto e le sequenze di
soldati incrostati di fango, sabbia e fatica, a corto
d'acqua e di carburante, parlano più forte dei
bollettini. Gli inviati embedded, incastrati nei reparti,
non sembrano più tanto una buona idea ai comandi che
speravano di usarli per la propaganda. E al fronte si
muore. Questa non è la bloodless war, di Bill Clinton in
Kosovo, la guerra senza sangue americano.
Ci sono segnali diretti e indiretti di ruggini forti. Si
irrita il sempre composto Powell, quando gli chiedono se
questa campagna azzardata e inconfessabilmente razzista,
il mad dash, la corsa pazza verso Bagdad puntando sulla
resa in massa delle unità irachene, smentisca la sua
dottrina militare, che richiedeva pazienza, forza
schiacciante e certezza di obbiettivi. "Questi
generali li ho addestrati tutti io", risponde
brusco, "cosa volete che tradiscano". Ma anche
Blair si è scontrato con Bush, ieri l'altro, sulla
condotta della guerra, perché secondo i britannici e il
premier, questa lentezza, questa guerra condotta con la
mano legata dietro la schiena e questi rovesci aggravano
ogni giorno la posizione del governo inglese, in attesa
di quella vittoria che sanerebbe, almeno temporaneamente,
tutto.
Bush ha preso personalmente in mano la gestione delle
pubbliche relazioni, come l'amministratore delegato di
un'azienda che va male in Borsa, commenta il Washington
Post, e rilancia l'ennesimo discorso della vittoria ai
vecchietti reduci di altre guerra: "Vedrete come
saremo orgogliosi di questa guerra, quando sarà
vinta". Vuol dire che per ora non lo siamo? Il
Dipartimento di Stato dà una mano alla controffensiva
politica e fa sapere che i servizi segreti iracheni
progettavano attacchi terroristici contro nazioni
occidentali, dettagli seguiranno, forse.
Ma sulla riva opposta del fiume, al Pentagono, il
"piano Franks", è sotto tiro. Gli immensi
rinforzi in arrivo hanno dimostrato che la dottrina della
"guerra leggera" voluta da Rumsfeld e tradotta
nel piano del generale Tommy Franks non ha funzionato e
il Pentagono deve passare alla vecchia "guerra
pesante campale". "Si sa bene che nessun piano
di battaglia resiste mai al contatto con il nemico",
scappa detto al generale d'aviazione Myers, subito
interrotto dal suo superiore, da Rumsfeld, che gli
rammenta secco: "Quel piano era stato visto, rivisto
e corretto, e ha avuto la approvazione di noi tutti, me
compreso". Come dire al comandante a quattro stelle
dell'Air Force: in questo pasticcio ci siamo tutti, mio
caro, e nessuno si illuda di lanciarsi con il paracadute.
Se qualcuno dovrà pagare per primo, nel caso la caduta
di Bagdad si faccia aspettare troppo, sarà il generale
Franks, che ha messo la propria firma
sull'"invasione leggera" e sul "rolling
start", sulla partenza frettolosa.
Naturalmente, Franks pagherebbe per colpe altrui, perché
la dottrina della "guerra leggera" preceduta
dallo shock per annientare psicologicamente il nemico è
del segretario alla difesa. Come è stata politica la
certezza, alimentata da oppositori iracheni sempre pronti
a compiacere il loro padrone americano, che la
popolazione sarebbe insorta e che le altre nazioni arabe
sarebbero state a guardare indifferenti.
Invece, dalle frontiere di carta con la Siria e l'Iran
arrivano terroristi, volontari, armi, parti di ricambio,
forse vendute dalla mafia russa, da quel Putin che
sarebbe dovuto entrare addirittura nella Nato; e Rumsfeld
deve minacciare tutti di future rappresaglie se
appoggiano Saddam, aprendo lo scenario di un
"domino" di altre guerre preventive
all'infinito. I discorsi non servono più. Bush ha
disperatamente bisogno di una giornata di sole. I
sondaggi tengono, la nazione è più paziente dei suoi
giornalisti: e furono necessari cinque anni per sollevare
l'America contro la guerra in Vietnam. Ma quelli erano i
padri. Di quanta pazienza sono capaci i loro figli, la
generazione del fast food?
(29 marzo 2003)
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E FINALMENTE
QUALCUNO RIESCE A DIRE LA VERITA' ..... LO SGAMBETTO
ALL'ONU LO AVEVAMO CAPITO ANCHE NOI - MA E' MEGLIO
SENTIRLO DALLA VOCE DI CHI LO HA SUBITO.
DA - LA REPUBBLICA
Blix: "Il
nostro lavoro
irritava gli americani"
"Usa e Gb
reclutano ispettori per scovare armi proibite"
Il diplomativo svedese lascerà l'incarico a giugno
BERLINO - Il capo
degli ispettori dell'Onu per il disarmo, Hans Blix
sostiene che il lavoro svolto in Iraq nei mesi scorsi
"irritava" gli Stati Uniti, che avevano come
unico obiettivo quello di pervenire a una risoluzione
della Nazioni Unite che legittimasse la guerra al regime
di Bagdad. Nel periodo precedente l'inizio del conflitto,
aggiunge Blix, gli Stati Uniti non erano affatto
interessati ad ascoltare informazioni obiettive.
In un'intervista che verrà pubblicata domani sul
giornale tedesco Welt am Sonntag, Blix critica
apertamente, definendole "mediocri", le
informazioni dei servizi segreti americani sui programmi
di armamenti iracheni che gli Stati Uniti hanno
consegnato agli ispettori. "Di tutti i siti che
siamo stati mandati a controllare, solo in tre abbiamo
trovato armi, e in nessun caso si trattava di armi
illegali di distruzione di massa. Adesso sarà
interessante verificare se gli americani ispezioneranno i
siti sui quali non ci hanno detto nulla", ha
sottolineato il capo degli ispettori.
Il capo dell'Unmovic
spiega quindi di aver avuto l'impressione che gli
americani non fossero obiettivi quando le ispezioni erano
arrivate nella fase finale. "Ho anche avuto
l'impressione, subito prima che prendessero la decisione
di dare il via all'attacco che il nostro lavoro li
irritasse".
Blix ha poi dichiarato in un'intervista a una radio
svedese che Stati Uniti e Gran Bretagna reclutano
ispettori dell'Onu perché li aiutino a scovare le
eventuali armi di distruzione di massa che Saddam Hussein
avrebbe nascosto in Iraq. Gli anglo-americani "si
rivolgono a persone che attualmente lavorano con noi e
chiedono aiuto. Si tratta di nostro personale originario
dei Paesi che partecipano al conflitto", ha spiegato
Blix, aggiungendo che gli ispettori sono liberi anche di
rompere il contratto che li impegna al servizio delle
Nazioni Unite.
Blix ha poi aggiunto che la sua squadra di ispettori
continua a ricevere informazioni dai servizi di
intelligence anglo-americani in merito agli armamenti
iracheni, e ha ribadito di non ritenere che il
ritrovamento di maschere antigas e di tute per protezione
chimica in un ospedale iracheno sia una prova che l'Iraq
possiede armi di distruzione di massa. "Noi vogliamo
vere prove per crederci, mentre ciò che ci è stato
presentato finora non rientra in questa categoria di
prove", ha concluso il capo svedese degli ispettori
dell'Onu.
Proprio ieri Blix ha annunciato che non richiederà il
rinnovo del suo mandato di capo dell'Unmovic, la missione
delle Nazioni Unite per il disarmo iracheno, che scade
nel giugno prossimo. "Il mio contratto scade a
giugno e non intendo rimanere oltre", ha detto Blix.
Il suo mandato al timone dell'Unmovic lo ha visto più di
una volta in rotta di collisione con gli Usa. Lo stesso
Blix ha espresso disappunto la scorsa settimana quando il
suo lavoro di verifica in Iraq è stato vanificato dalle
divisioni in Consiglio di Sicurezza: "Tre mesi non
sono abbastanza per dire che c'è un'impasse", aveva
detto il diplomatico svedese nella sua ultima conferenza
stampa dieci giorni fa.
In un'intervista alla Cnn, Blix ha ammesso il suo
dispiacere "per non essere riuscito ad avere i tre
mesi in più che chiedevo". Del resto, ha aggiunto
il diplomatico svedese, "non potevo garantire che in
questo periodo avremmo potuto avere successo, ma sarebbe
stata una buona possibilità. Non sappiamo se l'Iraq ha
armi di distruzione di massa" ha detto Blix,
ribadendo quanto ripetuto diverse volte in passato.
Riguardo alla questione della cooperazione irachena con
gli ispettori, Blix ha detto che dopo essere stata molto
"lenta" e parziale all'inizio, "verso la
fine di gennaio e i primi di febbraio gli iracheni erano
diventati attivi" nel collaborare con l'Unmovic.
Tanto che il 19 marzo, a ultimatum di George Bush
scaduto, e alla vigilia dell'attacco, all'Unmovic, spiega
Blix, è arrivata una lettera con chiarimenti, richiesti
dagli ispettori, degli aerei spia.
Svedese, studioso di diritto, Blix ha guidato l'ultima
missione degli ispettori per il disarmo fino al 17 marzo,
quando il segretario generale Kofi Annan ne ha ordinato
il ritiro per motivi di sicurezza. Un collaboratore di
Blix ha fatto sapere che, dopo giugno, il capo degli
ispettori tornerà a Stoccolma, dove vive, e passerà il
suo tempo studiando e scrivendo.
(29 marzo 2003)
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I GIORNALISTI
STORICI DEL MANIFESTO - NON MI STANCHERO' MAI DI
RIPETERLO .... BISOGNA LEGGERLI :
DA - LA REPUBBLICA
Escalation
VALENTINO PARLATO
Questa guerra è già durata troppo tempo. Ogni giorno è
di sangue, di morte, di lacrime e rabbia dei
sopravvissuti. L'altroieri la strage del mercato, ieri la
replica in una zona vicina a luoghi di culto. Ieri era
venerdì, che per i musulmani è come il sabato per gli
ebrei e molto di più che la domenica per noi cristiani
consumisti, anche se il congresso Usa ha deciso una
giornata di preghiera e digiuno perché il loro dio
sostenga i loro militari. Saremmo arrivati al
fondamentalismo dei ricchi, che è il peggio che si possa
pensare e che ogni giorno produce la carneficina che
possiamo vedere anche nelle nostre tv. Il punto - sul
quale occorre interrogarsi - è che questa barbarie nasce
da una scelta suppostamente razionale. «La scelta -
scrive Arthur Schlesinger Jr - riflette una svolta
decisiva nella politica estera americana, in cui la
dottrina strategica del contenimento e dissuasione, che
ci aveva portato a una vittoria pacifica durante la
Guerra fredda, è stata sostituita dalla dottrina di Bush
che persegue una guerra preventiva. Il presidente ha
adottato una politica di autodifesa preventiva
eguale a quella che il Giappone imperiale aveva applicato
a Pearl Harbor». E Schlesinger prosegue: «La dottrina
di Bush ci trasforma in giudici, giuria e carnefici del
mondo, un'autocandidatura che porterà al
ridimensionamento della nostra leadership».
Charles Kupchan ha scritto un saggio che si intitola, La
fine dell'era americana, ma il guaio è che questo
tramonto eventuale è sicuramente sanguinoso e mortifero
e non per la cattiveria dell'impero in decadenza, ma per
la sua crisi di egemonia, di comprensione di come stanno
le cose al mondo.
Tutti gli osservatori, anche americani, affermano che mai
una guerra era stata tanto a lungo studiata e progettata
come questa, appunto, preventiva. Alle spalle di questa
guerra c'è almeno una decina d'anni di preparazione. Il
risultato è inequivocabilmente disastroso: isolamento
sul piano internazionale, mobilitazione della più grande
opposizione pacifista della storia, destabilizzazione
degli stati arabi moderati e poi sul fronte il totale
fallimento della guerra lampo annunciata, delle bombe
intelligenti e di tutto il resto. Ci vogliono altre
truppe (anche dei paracadutisti di Vicenza), ci vogliono
altri aerei e, a questo punto, come per altro annunciano
i macelli quotidiani, bombardamenti sempre più massicci
e indiscriminati e bombe sempre più grosse e meno
intelligenti. Le informazioni dicono che al Pentagono
c'è rissa: uno se ne è dovuto andare per conflitto di
interessi, ma anche altri hanno mani in affari
petroliferi e bellici.
Grande è il disordine nel cervello dell'impero e la
situazione non è affatto eccellente, anzi massimamente
pericolosa: i massacri di questi giorni lo confermano e
ci sono molte ragioni per temere che annuncino il peggio.
Sui giornali è riemersa la parola «escalation».
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CERTO LA FRANCIA NON
PUO' FARE NESSUNA RICHIESTA - ED ERA PREVEDIBILE CHE GLI
USA L'AVREBBERO FATTA FUORI - MI PARE ASSURDO CONTESTARE
COSI' COME E' ASSURDO CHE IL CAPITALISMO PRIMA DISTRUGGA
E POI RICOSTRUISCE - PER SOPRAVVIVERE DA QUANDO E' NATO
ATTUA SEMPRE LO STESSO GIOCO.
DA - IL MANIFESTO
La Francia fuori gioco
Protesta di
governo e Confindustria: sfumano affari e appalti
ANNA MARIA MERLO
PARIGI
Il Medef, la Confindustria francese, ha reagito con
rabbia alle notizie provenienti da Washington sui grossi
appalti del dopo-guerra in Iraq già attribuiti a
società statunitensi e sui subappalti distribuiti con
generosità alle imprese britanniche (sono il solo
spiraglio che resta aperto, visto che l'appalto
principale per decisione statunitense sarà solo per
imprese che hanno un «certificato di sicurezza»
richiesto dal Pentagono, quindi necessariamente Usa). Il
ministero delle finanze francese ha già messo in piedi
due commissioni, per far sì che la Francia arrivi
preparata per gettarsi nella corsa alle commesse della
ricostruzione. «Il modo in cui l'amministrazione
statunitense spinge le imprese, soprattutto quelle che
sono vicine all'ambiente di George Bush, è semplicemente
sbalorditivo» dicono a Bercy. Il ministro delle finanze
Francis Mer e il Medef si sono fatti sentire già a più
riprese al ministero degli esteri, per cercare di
attenuare lo scontro diplomatico in corso tra Parigi e
Washington, per evitare ripercussioni negative. Già ci
sono gli appelli al boicottaggio di prodotti francesi -
un'intera pagina pubblicitaria di incitamento al
boicottaggio è stata pubblicata prima dal Washington
Times poi mercoledi' scorso dal New York
Times - che fanno temere non solo per i formaggi o
i vini, ma anche per Air France, Alcatel, Renault ecc. (i
siti Internet anti-francesi prosperano, da
vetolafrance.com a merdeinfrance.blogspot.com, passando
per quello di Fox News). Ma quello che adesso vogliono
evitare gli imprenditori francesi è l'esclusione
completa dal grande mercato della ricostruzione.
L'obiettivo è evitare il ripetersi dello scenario del
`91: dopo la guerra del Kuwait, la Francia, che pure vi
aveva partecipato, era stata esclusa di fatto dagli
appalti, perché si era accorta in ritardo che i giochi
erano già stati fatti tra gli anglo-sassoni mentre gli
eserciti erano ancora in guerra. Per questo, Mer ha messo
in piedi le due commissioni di studio.
Gli imprenditori francesi non si fanno troppe illusioni,
vista la tensione diplomatica. L'unico punto di forza
delle imprese francesi, anche se insistono troppo su di
esso, sono i rapporti economici tra Francia e Iraq che
esistevano prima della guerra. Dal `96, da quando è in
corso il programma Onu «oil for food», il Medef ha
sempre inviato ogni anno una delegazione per mantenere i
contatti con Bagdad. Ci sono gli interessi di Total nel
petrolio iracheno, dei contratti in sospeso, non firmati,
che attendevano la fine dell'embargo, e di cui adesso
nessuno scommeterebbe sul loro mantenimento. La Francia
negli ultimi anni era diventata il primo partner
commerciale di Baghdad. «Ma non bisogna esagerare» su
questo fattore, sottolineano a Bercy. Difatti, l'Iraq nel
2001 ha contato solo per lo 0,2% delle esportazioni
francesi (ma le importazioni dalla Francia sono il 15%
del totale di quelle irachene). Società francesi hanno
costruito la rete telefonica di Bagdad e tra la capitale
e le città del sud (Alcatel), il 20% del parco
automobilistico iracheno è francese (Peugeot e Renault
per i trattori). Imprese francesi sono presenti nella
distribuzione dell'acqua, nei lavori pubblici (aeroporto
di Baghdad). Ma la prima guerra del Golfo aveva già dato
il colpo di grazia agli scambi commerciali dell'Iraq: 660
milioni di euro di esportazioni francesi nel 2001, nulla
a che vedere con la garanzia per 20 miliardi di franchi
(più di 3 miliardi di euro) che la Coface,
l'assicuratore dell'export, aveva concesso nel `90,
l'anno prima della guerra. Per non parlare degli anni
prima e durante la guerra Iran-Iraq, quando parigi
vendeva armi (Mirage) e cooperava per lo sviluppo
dell'energia nucleare.
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GRAZIE DI NUOVO
BERLUSCONI - E SE QUESTA GUERRA DURERA' NON CI
INTERESSERANNO LE BOLLETTE CHE ERANO SONO CARE ANCHE ORA
- MA SOLO CHE A QUALCUNO PESI LA PER SEMPRE LA SCELTA
DELLE SUE AZIONI.
DA - IL CORRIERE DELLA
SERA
Luce e gas,
aumenti a partire da aprile
La guerra fa aumentare i
prezzi dei combustibili: per l'el'ettricità +0,8%, il
gas costerà l'1,8%
ROMA - L'Authority per
l'energia e il gas per ha comunicato gli aumenti delle
teriffe per il trimestre aprile-giugno: la luce aumenta
dello 0,8 % e il gas dell'1,8% a partire dal 1° aprile.
Gli aumenti si traducono in un maggiore esborso annuo per
una famiglia media di 0,81 euro per la luce e di 13,6
euro per il gas.
IL PESO DEL PETROLIO -
La bolletta bimestrale
dell'energia elettrica delle famiglie subirà un aumento
di 14 centesimi. L'andamento dei prezzi internazionali
del petrolio - spiega un comunicato - nei mesi da
settembre 2002 a febbraio 2003 rispetto ai sei mesi
precedenti, ha determinato un aumento del 7,7% (0,35
centesimi/Kwh) della relativa componente tariffaria, con
una incidenza del 3,3% sulla tariffa media nazionale. Per
quanto riguarda invece il gas metano, l'Autorità spiega
che «la media delle quotazioni dei greggi e dei prodotti
petroliferi, cui è indicizzato il prezzo del gas metano,
è aumentata nel periodo giugno 2002-febbraio 2003
rispetto ai nove mesi precedenti, determinando un aumento
delle tariffe del 2,5% in media nazionale al netto delle
tasse e dell'1,7% comprese le tasse». L'aumento risulta
quindi pari a 0,81 centesimi per metro cubo. Per una
famiglia con consumi medi (1.400 metri cubi all'anno, 116
al mese) il rincaro comporta una maggiorazione della
spesa di circa 13,6 euro l'anno. Per il presidente
dell'Authority, Pippo Ranci, «si tratta di aumenti
modesti. Il nostro meccanismo di indicizzazione è basato
su periodi lunghi quindi è in grado di smussare gli
effetti dell'incremento del prezzo del petrolio». il
contenimento degli aumenti è dovuto «all'effetto di
smussamento delle punte di prezzo del metodo di calcolo e
alla contemporanea riduzione, in occasione della prevista
revisione annuale, dell'onere tariffario per
l'incentivazione delle fonti rinnovabili e assimilate»
28 marzo 2003
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SU QUESTA
STORIA VI INVITO A LEGGERE L'ARTICOLO DI MAX MAX.
DA - IL CORRIERE DELLA
SERA
Polmonite
atipica: muore noto medico italiano
In un ospedale di Bangkok
è spirato Carlo Urbani, ex presidente di Msf Italia. A
Genova nuovo caso sospetto: è il quinto in Italia
BANGKOK - Era in Asia su
mandato dell'Organizzazione mondiale della sanità, per
studiare i casi di polmonite atipica, il virus partito da
Hong Kong che ha messo in allarme il mondo intero. E ne
è morto. Un medico di 47 anni, Carlo Urbani, originario
delle Marche (quando non era in missione viveva a
Castelplanio) è spirato in un ospedale di Bangkok, in
Thailandia, per la sindrome Sars. Urbani soffriva da una
decina di giorni di febbre molto alta. Il medico si
trovava in Vietnam ma poi, con il peggiorare delle sue
condizioni di salute, era stato trasferito a Bangkok per
ricevere cure migliori. Sul posto si trova anche la
moglie Giuliana Chiorrini.
LA CONFERMA -
L'Organizzazione mondiale della sanità ha confermato
ufficialmente che Urbani, medico esperto in malattie
infettive (molto conosciuto, era stato incaricato da
Medici senza frontiere in qualità di presidente di Msf
Italia di ritirare a Oslo il premio Nobel per la pace che
l'organizzazione umanitaria ha ottenuto nel 1999), è
morto a causa della Sars. La polmonite atipica ha ucciso
finora 54 persone nel mondo. E' il primo italiano a
perdere la vita a causa della malattia.
Urbani ha partecipato a numerosi programmi sanitari, in
Cambogia Laos e Vietnam e nell'ultimo periodo viveva ad
Hanoi. È stato il primo esperto dell'Oms a identificare
l'epidemia di questa nuova malattia in un uomo di affari
americano ricoverato ad Hanoi.
MISSIONE - In Vietnam il medico si era occupato in un
primo momento della programmazione nel settore delle
malattie infettive. Poi, con l'insorgere del virus e lo
scatenarsi dell'epidemia, era stato assegnato alla cura
sul campo dei malati.
IN ITALIA - Intanto, un nuovo caso sospetto è stato
segnalato
dall'ospedale San Martino di Genova al ministero della
Salute. Si tratta di un giovane italiano di 20 anni
giunto dalla Thailandia. E' il secondo caso sospetto
ricoverato nell'istituto ligure. In totale, salgono così
a 5 i malati in osservazione in Italia. Nel paziente
ricoverato a Genova, ha spiegato il direttore della
clinica,
l'infettivologo Dante Bassetti, si sono riscontrati tutti
i
sintomi della polmonite anomala. Restano sostanzialmente
stazionarie le condizioni del primo, un uomo di 25 anni
il cui caso è definito probabile. Un terzo caso caso
sospetto è all'ospedale Sacco di Milano (paziente ancora
ricoverato) ai quali si aggiungono i casi di Roma e di
Ancona. 29 marzo 2003
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CARO PAPA - SE
DOPO - COME DICONO GLI AMERICANI - ATTACCHERANNO L'IRAN -
NON SARA' SOLO UNA GUERRA RELIGIOSA A PREOCCUPARCI.
DA - IL CORRIERE DELLA
SERA
Il Papa:
«Evitare una catastrofe religiosa»
Il Pontefice:««La
guerra è una tragedia umana. I cristiani devono
impegnarsi per impedire ulteriori lacerazioni»
CITTA' DEL VATICANO -
«Non deve mai essere permesso alla guerra di dividere le
religioni del mondo». Lo ha detto il Papa, durante un
incontro con i vescovi cattolici dell'Indonesia, il più
grande Paese musulmano al
mondo. Giovanni Paolo II ha aggiunto che le buone
relazioni interreligiose sono importanti in «questo
momento di forti tensioni nell'intera comunità
mondiale».
CATASTROFE - «Non dobbiamo permettere - ha affermato il
pontefice - che una tragedia umana divenga una catastrofe
religiosa». Per questo, il Papa ha esortato i cristiani
ad impegnarsi per impedire che ciò avvenga.
29 marzo 2003
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CHE DELUSIONE
QUESTO ARTICOLO - MA NON PERCHE' E' SCRITTO MALE O DICE
DELLE COSE FUORI DI TESTA .... SOLO PERCHE' E' REALE.
DA - IL SOLE 24 ORE
Donne al
debutto in prima linea
Ai tempi di Desert Storm
erano l'11% dell'esercito Usa. Ora sono 200mila (15%) e
per la prima volta vengono impiegate nelle avanguardie
anche se rimane il divieto di combattere.
di Giulia Crivelli
È il loro debutto in
prima linea: con l'attuale conflitto in Iraq le
soldatesse americane compaiono per la prima volta nelle
avanguardie dell'esercito Usa anche se rimane per loro il
divieto di combattere. Lo stesso divieto vigeva per
l'operazione Desert Storm, la Prima guerra del Golfo, ma
in quel caso per le soldatesse restava ancora il tabù
della «prima linea», abolito nel 1992.
Dall'11 al 15% del totale in 12 anni
Dal 1991 la presenza delle donne nell'esercito americano
è aumentata in quantità e qualità. Oggi, rispetto a
dodici anni fa, sono di più le donne presenti nelle
Forze Armate Usa e i loro compiti si sono allargati e
affinati. Nel 1991 la percentuale delle donne nelle Forze
armate Usa era dell'11% ora è del 15%, cioè 200mila
unità su un milione e quattrocentomila soldati.
Delle 200 mila soldatesse americane in divisa, parecchie
trovano posto nelle unità ultratecnologiche incaricate
di prevenire attacchi chimici, nei trasporti, nelle
comunicazioni e perfino sui caccia. Il 91% delle cariche
all'interno delle Forze armate Usa possono essere
ricoperte, indifferentemente, da uomini e donne.
Percentuale che sale fino al 99% in Aviazione o Marina
(resta off-limits per le donne l'ingresso in reparti
d'elite, come gli incursori).
La maggior parte sono nell'Esercito, solo il 6% nei
Marines
Nel Desert Storm, primo vero battesimo del fuoco per le
soldatesse Usa, le donne impiegate erano il 7 per cento
delle forze operative e il 17 per cento nei riservisti e
nella Guardia Nazionale. Oltre 40 mila donne furono
impiegate all'epoca nelle operazioni militari nel golfo
Persico. La maggior parte delle donne arruolate nelle
Forze Armate Usa, il 16%, sono impiegate nell'Esercito.
Ancora poche quelle che scelgono corpi difficili e
iperselezionati come i Marines, che contano il 6% circa
di soldatesse. I compiti che spettano alle donne con la
divisa sono all'incirca gli stessi dei loro colleghi
uomini. Vengono comunque per lo più impiegate, anche ora
in Iraq, nella logistica come i rifornimenti, nelle
squadre di genieri, nei servizi dove il loro numero è
cresciuto col crescere della tecnologia. Molte anche le
soldatesse impiegate sui cacciabombardieri, elicotteri,
aerei da ricognizione.
Nel 1991 le prime prigioniere
L'impegno sul campo comporta risvolti negativi. Nel primo
conflitto nel Golfo furono due le donne fatte prigioniere
dagli Iracheni: il maggiore dell'Aviazione Rhonda Cornum
e una soldatessa dell'Esercito, Melissa Rathbun Nealy.
Duante Desert Storm furono cinque le soldatesse uccise
(su 390 morti totali tra le file americane).
Due soldatesse sono già date per disperse
Nella Seconda guerra del Golfo, potrebbero già esserci
le prime due vittime tra le donne soldato. Tra le vittime
americane dell' imboscata di Nassirya del 25 marzo ci
sono anche due donne: Jessica Lynch, 19 anni, e Lori Anne
Piestewa, 22 anni.
Jessica, dal liceo all'esercito
Una volta finito il liceo, Jessica aveva accolto la
chiamata dell'Esercito a Palestine in West Virginia, un
villaggio di campagna dove la gente fatica a trovare
lavoro. L'ex liceale, che aspirava a fare la maestra
elementare, era una delle tre donne della colonna di
meccanici caduta nell'imboscata.
Lori Anne, erede dei "Windtalker"
Lori Anne invece è considerata una giovane donna erede
dei «Windtalkers»: nata tra gli Hopi dell'Arizona, una
delle tribù indiane che, nella seconda guerra mondiale,
grazie ai loro intraducibili dialetti, furono impiegati
dalle forze armate Usa per scambiare messaggi, mai
decrittati dai giapponesi. Lori Anne faceva parte della
colonna della 507esima Unità di manutenzione
intercettata dagli iracheni. La famiglia di Lori, che a
casa ha lasciato due figli di tre e quattro anni, è
stata già avvertita dall'Esercito: risulta, al momento
"Missing in action". Il 26 marzo le comunità
Hopi e Navajo di Lower Moencopi, il villaggio di origine
della ragazza nella riserva, si sono ritrovate a pregare
per lei nell'antica lingua dei loro progenitori. Gli
indiani d'America, e in particolare le tribù Hopi,
Navajo e Comanche, hanno avuto una parte gloriosa nella
storia delle forze armate Usa: nel 1942, per contrastare
il Giappone che sistematicamente decrittava i messaggi
militari top secret, l'Esercito arruolò i pellerossa,
depositari di un codice basato sulla loro lingua che i
giapponesi non riuscirono mai a violare e che fu
fondamentale per gli esiti del conflitto. Questa vicenda
di recente ha ispirato il film Windtalkers di John Woo,
con Nicolas Cage.
L'esercito come opportunità
La storia di Lori è quella di tanti altri americani
delle minoranze che hanno scelto le forze armate per
inseguire il sogno di un avvenire migliore. Figlia di un
veterano del Vietnam - un nonno soldato nella Seconda
Guerra Mondiale - si era arruolata anche lei appena
finito il liceo e un mese fa era partita per il Golfo.
E anche tra i prigionieri c'è già una donna
Oltre a Jessica e Lori, l'america ha visto le immagini di
Shoshawna Johnson, una cuoca texana di 30 anni che gli
iracheni hanno catturato e mostrato ferita - ma viva - in
televisione, domenica sera.
La situazione in Italia
Il 29 settembre 1999 il Parlamento italiano ha
definitivamente approvato la proposta di legge di delega
al governo (presidente del Consiglio era Massimo D'Alema)
per l'istituzione del servizio militare volontario
femminile. Ministro della Difesa era allora Valdo Spini.
Con una votazione quasi unanime: su 291 presenti e 282
votanti, i sì furono 273 e i no soltanto nove.
L'Italia è stato l'ultimo tra i paesi Nato a dire addio
al monopolio maschile delle caserme. Negli altri paesi
della Nato le donne nelle forze armate sono circa
300mila, di cui la maggior parte provengono da Stati
Uniti (198.000), Francia (27.092), Gran Bretagna (16.500
circa). In Europa il record è dellOlanda, che ha
quasi il 13% di donne soldato; seguono la Francia con il
7%, la Gran Bretagna con il 6%, il Portogallo con il 4%.
Quella femminile in realtà non è una leva, non arrivano
"cartoline rosa" nelle cassette postali delle
diciottenni italiane. Il servizio militare femminile è
volontario, come del resto diventerà quello maschile a
partire dal 2007. Ai concorsi per entrare nelle Forze
Armate possono partecipare le ragazze con meno di 32
anni, così come è previsto per gli uomini, nel rispetto
del principio di parità di carriera. Le donne potranno
entrare in Marina, nell'Esercito, nell'Aeronautica.
Il
testo della legge del 1999 ì
Il fronte afghano: 6 donne su 700 soldati italiani
In questo momento l'Italia non è impegnata con militari
nell'operazione Iraqi Freedom, ma sono molti i soldati
del nostro Paese impegnati all'estero, in particolare in
Afghanistan per le missioni Enduring Freedom e Isaf.
Queste due missioni rappresentano, quantitativamente,
circa un quarto dell'impegno complessivo delle nostre
forze armate all' estero. La durata della missione della
task force «Nibbio» in ambito Enduring Freedom è
fissata in 180 giorni a partire dal 15 marzo scorso. Il
comando del contingente è dislocato a Baghram, dove sono
presenti 300 unità. Il grosso della forza operativa, di
circa 700 unità, stazione nella base Salerno, ad alcuni
chilometri dalle località di Matun e Khost. Sono
presenti anche 6 donne, una paracadutista e 5 alpine, che
potranno, in particolare, relazionarsi con la componente
femminile della popolazione locale.
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