BUSH CONTINUA
A DIRE UN GIORNO UNA COSA E IL GIORNO DOPO L'ALTRA -
INTANTO CON LE SUE TRUPPE LASCIA L'INTERROGATIVO DELLA
GUERRA - IN QUESTO MODO IL PETROLIO SI ALZA DI PREZZO E
LA SUA MULTINAZIONALE PETROLIFICA VENDE BENE. DA - LA REPUBBLICA
Domani pomeriggio
il vertice alle Azzorre con Blair e Aznar
Per il presidente Usa "alle parole devono seguire i
fatti"
Bush:
"Saddam non disarmerà
E' il momento di agire"
I
capi degli ispettori dell'Onu invitati a Bagdad
WASHINGTON - Alla
vigilia del vertice delle Azzorre, il presidente Bush
ripete che molto difficilmente si riuscirà a uscire
dalla crisi irachena senza fare ricorso alle armi. Mentre
fonti dell'amministrazione Usa continuano ad assicurare
che quello di domani con il premier britannico Tony Blair
e il primo ministro spagnolo Josè Maria Aznar non è un
summit di guerra ma un estremo tentativo diplomatico, il
presidente americano avverte che "giorni cruciali
attendono le nazioni libere del mondo". Un monito a
quei paesi, a cominciare da Francia, Germania e Russia,
che si oppongono alla risoluzione che aprirebbe la strada
all'attacco all'Iraq. Se Bush non crede alla possibilità
di successo della diplomazia, continuano a crederci
Parigi, Mosca e Berlino, che sollecitano una nuova
riunione del Consiglio di sicurezza per stabilire il
calendario del disarmo iracheno.
Sull'altro fronte, Saddam Hussein rilancia e invita i
capi degli ispettori dell'Onu, Hans Blix e Mohamed El
Baradei, ad andare "al più presto" a Bagdad
per discutere "le questioni ancora in sospeso"
e ha fornito una lista di altri 183 scienziati che hanno
lavorato ai programmi di armamento: mosse che sembrano
mirate a guadagnare tempo proprio nel momento in cui
Washington vorrebbe accelerare verso l'uso delle armi. E
su queste iniziative di Saddam lunedì Blix ed El Baradei
consulteranno il Consiglio di sicurezza.
Nel suo settimanale discorso radiofonico, Bush dice
chiaramente che "c'è poco da sperare che Saddam
Hussein disarmi". E usa parole forti: "I
governi stanno dimostrando adesso se gli impegni
dichiarati per la libertà e la sicurezza sono mere
parole, o se sono convinzioni sotto la cui spinta sono
pronti a agire". "Dovremo misurarci con un
pericolo crescente per proteggere noi stessi, per
rimuovere uno sponsor e un protettore del terrore e
mantenere la pace nel mondo", dice Bush. Il popolo
americano, prosegue il capo della Casa Bianca, deve
sapere che se "ci sarà bisogno della forza per
disarmare" Saddam, gli Stati Uniti hanno a loro
disposizione "ogni mezzo e ogni risorsa per ottenere
la vittoria".
A sostegno della
sua tesi, Bush ricorda che il 15 marzo di 15 anni fa il
regime di Saddam attaccò con aggressivi chimici la
popolazione curda di Halabja. Quel fatto, osserva il
presidente Usa, mostrò al mondo di che cosa sia capace
il leader iracheno e che "tipo di minaccia che egli
rappresenti adesso per il mondo intero". "E'
fra i dittatori più crudeli della storia, e si sta
armando con le armi più terribili al mondo",
continua Bush concludendo con una citazione del Nobel per
la letteratura Elie Wiesel, scampato ai lager nazisti:
"Abbiamo l'obbligo morale di intervenire dove domina
il male". E quel luogo, specifica, oggi "è
l'Iraq".
Il tono delle parole di Bush è lo stesso usato anche
oggi dal ministro degli Esteri britannico Jack Straw,
secondo il quale la guerra appare ora "molto più
probabile" e potrebbe scoppiare nel giro di qualche
giorno.
Da settimane Bush, Blair e Aznar cercano di costruire una
maggioranza di nove voti in Consiglio di sicurezza
intorno alla risoluzione che spianerebbe la strada
all'azione bellica contro Saddam. Ma finora soltanto un
altro membro dell'esecutivo dell'Onu, la Bulgaria, ha
apertamente appoggiato questa posizione, mentre Francia e
Russia hanno minacciato di porre il veto.
I tre leader sono tutti in qualche modo soggetti a
critiche sul fronte interno e a forti pressioni
internazionali: anche oggi in numerose città in tutto il
mondo si sono svolte manifestazioni contro la guerra. E
domani alle Azzorre Bush, Blair e Aznar cercheranno una
via d'uscita, ma gli sviluppi della vigilia non lasciano
molte speranze. Non a caso a Washington si continua a
ripetere che la seconda risoluzione sarebbe auspicabile
ma non è necessaria per far scattare l'attacco. In
giornata Bush ha anche telefonato a Berlusconi, che non
parteciperà al vertice di domani in quanto l'Italia non
fa parte del Consiglio di sicurezza, per informarlo sugli
ultimi sviluppi.
Ma il fronte contrario all'uso delle armi rimane
compatto. Il governo di Parigi ribadisce che "nulla
giustifica il ricorso alla forza" e insieme a quelli
di Mosca e Berlino chiede che il Consiglio di sicurezza
si riunisca a livello di ministri degli Esteri subito
dopo la presentazione del rapporto degli ispettori,
prevista per martedì, per definire le prossime tappe del
lavoro degli esperti Onu in Iraq.
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IL RITORNO DEI
SAVOIARDI IN UNA NAPOLI TUTTA DI SINISTRA - CAPARBIA -
CAPACE - INTELLIGENTE COME NON MAI NEGLI ULTIMI ANNI - HA
SPINTO LA CONTESTAZIONE DI MOLTI RAGAZZI CHE GIUSTAMENTE
RICORDANO AL MONDO INTERO CHE L'ITALIA E' E VUOLE
RIMANERE UNA REPUBBLICA.
DA - LA
REPUBBLICA
Tafferugli
davanti al Duomo tra supporter e contestatori
Per motivi di sicurezza la famiglia rinuncia alla messa
I
Savoia giunti a Napoli
"Grazie a tutti gli italiani"
Una
piccola folla di curiosi all'aeroporto
Monarchici contro Enrico Lucci delle "Iene"
NAPOLI - Dopo 57
anni di esilio, i Savoia sono tornati in Italia tra
accoglienze festose e vivaci proteste, che li hanno
costretti a cambiare diverse volte il programma della
visita. Il Falcon 900 proveniente da Ginevra con a bordo
Vittorio Emanuele di Savoia, la moglie Marina Doria e il
figlio Emanuele Filiberto è atterrato alle 14.45
all'aeroporto di Capodichino. "Sono molto
emozionato" ha detto Vittorio Emanuele appena sceso
dall'aereo, accolto da applausi e da grida di gioia e di
benvenuto.
Il rientro dei Savoia ha però portato con sé momenti di
tensione, soprattutto davanti al Duomo, dove si sono
radunati militanti della Fiamma Tricolore, neoborbonici e
disoccupati. Per motivi di sicurezza, in seguito
all'assedio dei manifestanti ai due ingressi della
cattedrale, i Savoia hanno rinunciato a recarsi nella
Cappella di San Gennaro dove avrebbero dovuto partecipare
alla messa. Poco prima in piazza ci sono stati incidenti:
con l'arrivo di un gruppo di monarchici c'è stato lo
scontro tra le diverse fazioni, sono volati schiaffi,
calci e pugni. Quando sono giunti gli invitati al seguito
della famiglia reale, alcuni manifestanti hanno cercato
di impedirne l'accesso in chiesa, e solo l'intervento
della polizia ha riportato la situazione alla normalità.
Dopo aver
lasciato l'aeroporto, i Savoia hanno fatto una prima
tappa fuori programma al Circolo Canottieri Napoli, dove
hanno incontrato il presidente della Regione Antonio
Bassolino e il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino.
Quindi hanno anticipato la visita all'Istituto dei Tumori
di Napoli Fondazione Pascale e, quando la situazione
davanti al Duomo si è normalizzata e i manifestanti si
sono allontanati, si sono recati al palazzo Arcivescovile
di Napoli, per essere ricevuti dal cardinale Michele
Giordano.
La prima dichiarazione Vittorio Emanuele l'ha fatta a
Capodichino, appena sceso dall'aereo. "Sbarcando
nella città partenopea" ha affermato il principe,
"assolvo un obbligo morale verso questa città da me
e dalla mia famiglia particolarmente amata. Il calore dei
napoletani, così come del resto quello degli italiani
tutti, è stato in questi lunghi 56 anni un valido aiuto
per sopportare l'esilio. Una sensazione terribile, il non
potere entrare in patria, che solo chi ha patito può
comprendere". "Ma non voglio rovinare questo
momento di gioia straordinaria" ha concluso Vittorio
Emanuele, "ricordando il dolore sofferto a causa
dell'esilio prolungato da un gravissimo incidente. Grazie
a tutti gli italiani per aver reso possibile, tramite il
Parlamento, il rientro in patria".
Anche a Capodichino ci sono stati incidenti e tafferugli.
Poco dopo l'arrivo dell'aereo, l'inviato delle Iene
Enrico Lucci e altri giornalisti sono stati affrontati da
sostenitori monarchici quando hanno tentato di
avvicinarsi a Vittorio Emanuele che aveva appena concluso
la sua dichiarazione. Si è verificato un battibecco tra
Lucci e la scorta della famiglia reale. L'inviato del
programma di Italia 1 è stato spintonato e poi, al
termine del parapiglia, è stato accompagnato con un'auto
della polizia al parcheggio, mentre i Savoia sono stati
fatti salire a bordo dell'auto da un'uscita secondaria
dello scalo.
Intanto cresce l'attesa davanti al grande albergo
Vesuvio, mentre il resto della città non sembra si sia
accorta dell'evento. La gente sta vivendo per lo più tra
l'indifferenza il rientro dall'esilio dei Savoia. Un
gruppo di curiosi, composto soprattutto da donne, sta
invece aspettando l'arrivo degli ex reali davanti
all'albergo. Le ragazze e le signore che affollano il
marciapiede antistante l'ingresso dell'albergo dicono di
essere "curiose di vedere i Savoia" e, in
particolare, Emanuele Filiberto, considerato "un
degno rappresentante della bellezza maschile".
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IDUE ARTICOLI
CHE SEGUONO - SERVONO A RIFLETTERE SUL MONDO E COSA
STIAMO FACENDO PER QUESTO.
NULLA !
SOPRATTUTTO
DOPO LE DECISIONI AMERICANE DI PUNTARE TUTTO SULLA GUERRA
PER ACCAPARRARSI IL PETROLIO - E QUESTO SIGNIFICA
INQUINAMENTO NON RICERCA PER L'ENERGIA ALTERNATIVA.
DA - LA
REPUBBLICA
L'acqua resta
un sogno
per un uomo su quattro
Nei
prossimi vent'anni diminuirà di un terzo pro capite
Tutti noi dovremmo imparare a risparmiare
ROMA - Un essere
umano su quattro non può utilizzare acqua pulita per
mangiare, per bere, per lavarsi. E questa privazione
costa cara: 2,2 milioni di vite ogni anno. Da oggi al
2020 andrà decisamente peggio: le persone senza accesso
all'acqua diventeranno 4 miliardi, più di metà della
popolazione mondiale.
Di fronte alla chiarezza disarmante di questi numeri,
all'Earth Summit di Johannesburg dello scorso settembre
l'Unione europea e molti paesi in via di sviluppo si sono
battuti per ottenere l'impegno al dimezzamento degli
assetati entro il 2015. Le resistenze del cartello
guidato dagli Stati Uniti hanno però trasformato
l'impegno in un'indicazione molto generica. Senza un
vincolo preciso, senza finanziamenti (gli obblighi
economici assunti dai paesi ricchi nel 1992 al Vertice
della Terra di Rio de Janeiro non sono mai stati
rispettati) il 2003, anno internazionale dell'acqua,
rischia così di produrre risultati molto scarsi.
E infatti il rapporto reso noto dalle Nazioni Unite alla
vigilia del Terzo Forum sull'acqua che si apre domani a
Kyoto è segnato dal pessimismo: nei prossimi vent'anni
la disponibilità pro capite di acqua diminuirà di un
terzo. Dovremmo imparare a risparmiare, o meglio a non
sprecare visto che quasi il 60 per cento dell'acqua
diretto ai campi si perde. Ma di un uso accorto delle
risorse idriche per ora non si vedono tracce: due milioni
di tonnellate di rifiuti vengono gettate ogni giorno nei
fiumi e nei laghi riducendo ulteriormente la quantità di
acqua pulita disponibile.
A livello globale
l'11 per cento della popolazione, quello che controlla
l'84 per cento della ricchezza prodotta, consuma l'88 per
cento dell'acqua. E, dato che non basta ad irrigare la
quantità di terra necessaria a sostenere la crescita dei
consumi, in molti paesi si forza il ciclo del ricambio
naturale con un prelievo superiore alla capacità di
rigenerazione delle sorgenti: 80 paesi con il 40 per
cento della popolazione mondiale vivono in uno stato di
penuria idrica.
Il paradosso è che chi più ha meno paga. A Delhi
l'acqua costa un centesimo a metro cubo alle famiglie che
possono permettersi un rubinetto, le altre sono costrette
a pagare quasi cinque euro ai proprietari delle cisterne
per acquistare lo stesso metro cubo d'acqua.
In Italia gli acquedotti perdono un buon quarto
dell'acqua trasportata anche perché la razionalizzazione
del sistema è rimasta un sogno ed esistono ancora più
acquedotti che Comuni. L'efficienza energetica, vanto del
nostro sistema industriale, non ha riscontri in campo
idrico: l'indice di consumo di acqua per unità di
prodotto è pessimo (complessivamente consumiamo 980
metri cubi l'anno a persona contro i 719 della Germania e
i 647 della Francia).
Tra i pochi segnali in contro tendenza ci sono la legge
del 1989 sulla difesa del suolo, che colma un ritardo
storico istituendo le autorità di bacino, e la legge
Galli del '94, che considera tutte le acque superficiali
e sotterranee una risorsa da salvaguardare e da
utilizzare con criteri solidali. Ma la legge delega
voluta dal governo Berlusconi, attualmente in discussione
alle Camere, sposta l'attenzione dalla manutenzione e
dalla capacità di gestione del sistema acqua alla
creazione di nuove grandi infrastrutture.
"La situazione è critica anche in Spagna dove il
governo sostiene un megaprogetto per dirottare da un capo
all'altro del paese le acque dell'Ebro", aggiunge
Andrea Agapito, responsabile della campagna acqua del
Wwf. "Sono previste 117 dighe che danneggeranno 82
siti d'importanza comunitaria e avranno un impatto
negativo su 126 aree di nidificazione".
(a.cian.)
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DA - LA
REPUBBLICA - L'INTERVISTA
"La guerra
dell'oro blu
cambierà gli equilibri del mondo"
dal
nostro inviato ANTONIO CIANCIULLO
VERONA -
"Gli scenari disegnati dai climatologi ci rimandano
l'immagine di un mondo con i fiumi rinsecchiti dalla
carenza di piogge, le falde snervate dai prelievi
eccessivi, i laghi contaminati dai rifiuti. Ed è
un'angoscia pensare all'aumento delle malattie legate
alla mancanza di acqua pulita. Ma c'è una prospettiva
più minacciosa e più vicina: la fame. Meno acqua vuol
dire meno cibo. E quest'equazione, che ancora non è
diventata senso comune, cambierà la mappa geopolitica
del mondo". Lester Brown, il padre del Wordlwatch
Institute diventato presidente dell'Earth Policy
Institute, è arrivato a Verona per la fiera agricola che
quest'anno si è svolta sotto il segno dell'anno
internazionale dell'acqua.
Da sempre attento alla continua rincorsa tra aumento
della popolazione e disponibilità di alimenti, Lester
Brown è convinto che nel giro di un anno assisteremo a
una svolta radicale in campo alimentare.
Cosa cambierà?
"Si invertiranno i rapporti di forza tra chi compra
e chi vende cereali. Mentre oggi chi compra può
scegliere, tra un anno verrà scelto. La Cina diventerà
il maggior importatore di cereali del mondo e gli Stati
Uniti decideranno se riempire o meno i suoi granai. Chi
terrà in mano le redini dell'agricoltura avrà forza
politica".
Pechino sta
adottando scelte energetiche, per altro molto discusse,
che comporteranno interventi radicali sul ciclo idrico.
"La costruzione di un sistema di grandi dighe
rappresenta senz'altro un ulteriore elemento di
preoccupazione ambientale. Ma la situazione è drammatica
già oggi: la metà settentrionale del paese si sta
prosciugando. Da tre anni la Cina consuma le sue riserve
di cereali: le esaurirà tra la fine di quest'anno e il
2004. A quel punto un miliardo e 300 milioni di cinesi si
affacceranno sul mercato entrando in concorrenza con i
consumatori americani. E Pechino ha i soldi per comprare:
la sua bilancia di import-export con gli Stati Uniti
segna 80 miliardi di dollari a suo vantaggio: è quanto
basta per comprare due volte l'intero raccolto annuale
degli Stati Uniti".
Di fronte a una prospettiva del
genere la Cina e gli altri paesi che rischiano di restare
schiacciati dalla mancanza di autosufficienza alimentare
adotteranno contro misure.
"Ma ci vuole tempo per raddrizzare la bilancia
idrica di un paese. Secondo uno studio della Banca
Mondiale, nella pianura settentrionale della Cina c'è un
deficit annuale di 37 miliardi di tonnellate di acqua. E
visto che per ottenere una tonnellata di cereali ci
vogliono mille tonnellate d'acqua, questo disavanzo
idrico equivale a 37 milioni di tonnellate di cereali:
quanto basta per sfamare 111 milioni di cinesi. Il che
significa che oggi 111 milioni di cinesi mangiano
utilizzando riserve idriche non rinnovabili, cioè
sottraendo l'acqua ai loro figli. Il deficit idrico, che
è già gravissimo, diventerà drammatico prima di quanto
si pensi".
Quando?
"Nel settembre scorso il Canada ha detto che non
esporterà più cereali: li considera una riserva
strategica. Lo stesso annuncio è stato fatto poco dopo
dall'Australia. Questa penuria, nell'immediato, è stata
compensata da un prodotto di qualità inferiore, il grano
del Mar Nero. Ma è solo una boccata d'ossigeno. Di acqua
ce n'è sempre meno e, visto che è molto complicato
importarla, si acquista sotto forma di prodotto finito:
comprare grano vuol dire innanzitutto comprare acqua. I
futures del grano diventeranno i futures dell'acqua.
Anche perché il 70 per cento dell'acqua utilizzata nel
mondo finisce nei campi: il problema idrico è
soprattutto un problema agricolo".
Quali sono le aree
più a rischio?
"Nel mondo sono stati scavati milioni di pozzi che
hanno prodotto un prelievo di acqua superiore alla
naturale ricarica di molte falde. Per questo un crescente
numero di Paesi ha il bilancio idrico in rosso. Un caso
clamoroso è lo Yemen: le falde si abbassano
all'impressionante velocità di due metri l'anno. Nel
bacino dov'è situata la capitale, Sana'a, si arriva a
sei metri l'anno: a questo ritmo entro il decennio la
zona rimarrà all'asciutto e si dovrà scegliere: o
importare l'acqua da dissalatori piazzati lungo la costa
o trasferire la capitale. Il governo dello Yemen, nello
sforzo di trovare altra acqua, ha spinto le trivellazioni
per i pozzi fino a una profondità di due chilometri, una
quota a cui in genere si arriva cercando petrolio, ma non
è servito a molto".
Quali sono gli
altri paesi ad alto rischio?
"In Iran le falde acquifere si abbassano a una
velocità che va dai 2,8 metri l'anno della pianura di
Cheanaran agli 8 metri della città di Mashad: interi
villaggi nella parte orientale del paese vengono
abbandonati perché i pozzi sono rimasti a secco. La
situazione è molto critica anche in Messico, in Medio
Oriente, in quasi tutti i paesi dell'Asia centrale,
nell'Africa del Nord. E infatti il Marocco importa la
metà dei cereali che consuma, l'Algeria e l'Arabia
saudita il 70 per cento, Israele il 90 per cento".
Come si può
uscire da questa trappola?
"Il primo settore che dovrà procedere a una
drastica riforma è l'agricoltura. In Cina investendo una
tonnellata di acqua in cereali si ottiene un prodotto che
vale 200 dollari, investendo la stessa acqua in attività
industriali si ricavano 14 mila dollari: non c'è
gara".
L'agricoltura
renderà di meno ma è difficile pensare di farne a meno.
"E infatti bisogna cambiarla. Nei paesi con il
bilancio idrico in rosso si deve puntare, a costo di
cambiare la dieta, su colture che richiedono meno acqua.
E poi c'è da lavorare sul miglioramento dei sistemi di
irrigazione".
I miglioramenti
rischiano di venire annullati dal mutamento climatico
prodotto dalla deforestazione e dall'uso dei combustibili
fossili.
"Purtroppo è vero. Fino a poco tempo fa guardavamo
con preoccupazione a un dato impressionante: i 15 anni
più caldi nella storia della meteorologia sono
concentrati nel ristretto periodo che va dal 1980 ad
oggi. Ma ora possiamo aggiungere un altro elemento. I tre
anni più caldi sono raggruppati nell'ultimo quinquennio:
l'evoluzione del processo è estremamente allarmante ed
è destinata ad avere un pesante impatto negativo
sull'agricoltura. E' la prima volta da quando la specie
umana si è fermata per coltivare la terra che il clima
assume un'instabilità così accentuata. Sono 6 mila anni
che utilizziamo l'irrigazione, e non sempre è stato un
processo indolore come la storia della Mesopotamia
insegna, ma nell'ultimo mezzo secolo l'uso delle pompe
azionate da motori diesel ha sconvolto le falde idriche
che diminuiscono nettamente in Cina, in India e negli
stati Uniti, i tre maggiori produttori di cereali del
mondo. E' arrivato il momento di ripensare radicalmente
il nostro rapporto con l'acqua".
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OTTIMA AZIONE -
ANCHE PERCHE' BERLUSCONI HA DATO IL SUO CONSENSO A BUSH E
AGLI AMERICANI SENZA PRESENTARSI IN PARLAMENTO E SENTIRE
IL PARERE DI TUTTI.
DA - IL MANIFESTO
- L'INTERVISTA
«In parlamento
fino al voto sulla guerra»
Week-end a Montecitorio per alcuni deputati pacifisti.
Giuseppe Fioroni della Margherita: il governo si esprima
ANGELO MASTRANDREA
ROMA
Per qualcuno, come il verde Paolo Cento, sarà
«un'occupazione per valorizzare il parlamento che è
stato espropriato dal governo, che contrariamente agli
altri paese europei non vuole discutere di guerra prima
del voto all'Onu». Per qualcun altro, come il
rifondarolo Giovanni Russo Spena, si tratterà di un
week-end di «discussione permanente» a Montecitorio per
sollecitare una convocazione urgente del parlamento. Per
Giuseppe Fioroni della Margherita sarà invece una
«testimonianza di presenza democratica, perché il
governo deve dirci cosa pensa sulla guerra in Iraq».
Scout per 30 anni, da quando ne aveva 14, democristiano
da quando ne aveva 16 («sono cresciuto alla scuola di
politica estera di Andreotti, e questo spiega le mie
attuali posizioni»), scudo umano a Baghdad nel `91
(«quando ero ancora un giovane democristiano») con
l'attuale presidente della regione Lombardia Roberto
Formigoni, ha votato no anche agli interventi in Kosovo e
Afghanistan. Oggi l'opposizione al conflitto in Iraq lo
porterà ad essere in piazza al fianco dei pacifisti, che
hanno organizzato una presenza permanente davanti a
Montecitorio per sollecitare un pronunciamento del
parlamento.
Fioroni, lei ha
firmato la proposta di legge per l'istituzione di una
commissione d'inchiesta sull'uso delle basi e oggi torna
in piazza al fianco della sinistra del centrosinistra.
Senza il resto del suo partito.
Anche nella Margherita esiste una forte componente
pacifista, che va da Luca Marcora a Giovanni Bianchi a
Rosi Bindi e altri ancora. Quello che ci differenzia
dagli altri è il grado di esposizione mediatica. Credo
che sia un errore politico quello di provare a dividere
il centrosinistra, che sulla guerra ha assunto una
posizione politica di opposizione chiara e lineare.
Se l'intervento
militare non sarà autorizzato dall'Onu...
Noi dobbiamo fare i conti con il presente. E lo scenario
che ci troviamo di fronte è quello di una guerra
unilaterale, senza alcuna autorizzazione del Consiglio di
sicurezza della Nazioni unite. Abbiamo proposto una
commissione d'inchiesta anche perché il ministro Martino
non ci ha spiegato come ha concesso l'uso di
infrastrutture e basi agli americani. In questo caso non
possono valere i patti bilaterali e l'articolo 5 del
Patto Atlantico, perché i primi, secretati e dunque non
noti nemmeno ai parlamentari, fanno riferimento a un
periodo di pace o a quando c'era la guerra fredda, e il
secondo, che prevede la solidarietà a un paese amico se
aggredito, non può applicarsi perché ci troviamo di
fronte a una guerra di aggressione. Dunque assistiamo a
uno stravolgimento di quell'articolo. Le autorizzazioni
non potevano essere concesse senza il voto del
parlamento, perché si tratta di atti di guerra.
Per questo
intendete mantenere aperto simbolicamente Montecitorio
nel fine settimana.
Vogliamo richiamare l'attenzione affinché nelle ore in
cui il parlamento è chiuso non venga in mente a nessuno
di autorizzare alcunché senza voto.
Il presidente
della Camera Casini ha detto di voler aspettare la
decisione dell'Onu.
Anche se il Consiglio di sicurezza non decide, il governo
dovrebbe riferire con la massima urgenza al parlamento e
dire cosa vuole fare. Berlusconi sta dando l'idea di
un'Italietta che va come capita, e questo ci fa perdere
di credibilità e dignità. Ha eletto l'opportunismo e
l'ambiguità a regola, dividendo l'Europa. E poi è
preoccupante che, proprio nel momento in cui servono
grandi organismi internazionali democratici che governino
la globalizzazione, l'Onu sia ridotta a un mercato. Forse
è meglio che i mercanti vadano fuori dal tempio.
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GIUNGE AL
TRAGUARDO LA BATTAGLIA REFERENDARIA PER L'ARTICOLO 18 -
MI RACCOMANDO RAGAZZI NON MOLLIAMO PROPRIO ADESSO E
CONCENTRAZIONE.
DA - IL
MESSAGGERO
Nel giro di un
mese milioni di italiani saranno chiamati per ben tre
volte ad andare a votare. Lopposizione divisa
protesta, per opposti motivi
A giugno doppio voto: ballottaggi e
referendum
Amministrative
il 25 maggio, secondo turno l8. E il 15 giugno alle
urne per larticolo 18
ROMA - Le
amministrative che coinvolgeranno oltre 12 milioni e
mezzo di elettori si svolgeranno il prossimo 25 maggio e
gli eventuali ballottaggi l8 giugno. Lo ha deciso,
su proposta del titolare del Viminale, Pisanu, il
Consiglio dei ministri, lasciando insoddisfatti
nellopposizione sia quanti - come la maggioranza
dei Ds e la Margherita - avrebbero voluto una maggiore
distanza del secondo turno elettorale dalla data del
referendum sullarticolo 18, sia quelli che al
contrario - come Rifondazione, Verdi e il Comitato per il
sì - avrebbero voluto recarsi alle urne per
amministrative e referendum nella stessa domenica allo
scopo di guadagnare una maggiore partecipazione al voto
sullarticolo 18.
Dando per scontato che nessuna decisione avrebbe
accontentato tutti, il governo ha confermato le date che
già circolavano per lo svolgimento di una tornata
elettorale di tutto rispetto, alla quale - soprattutto i
vincitori - non esiteranno ad attribuire un rilevante
significato "politico". Daltra parte
alcune delle sfide in programma sono sul proscenio della
politica italiana da tempo, come quella che si gioca in
Friuli Venezia Giulia, e che però finora è stata più
un duello per la scelta del candidato della Casa delle
libertà. Altro duello di grande effetto quello in cui i
3.289.000 elettori della provincia di Roma dovranno
scegliere tra luscente presidente del Polo Silvano
Moffa e lo sfidante Enrico Gasbarra del centrosinistra.
Si voterà anche in unaltra Regione a statuto
speciale, la Valle dAosta e in altre 11 province:
Palermo, Catania, Messina, Siracusa, Agrigento, Trapani,
Enna, Caltanissetta, Foggia, Benevento e Massa Carrara.
Dieci sono poi i capoluoghi di provincia in cui si
rinnovano anche le amministrazioni comunali: Brescia,
Sondrio, Treviso, Vicenza, Udine, Massa, Pisa, Pescara,
Messina e Ragusa, assieme a quelle di altri 498 comuni
minori. Insomma, diversi milioni di italiani chiamati
più volte alle urne nellarco di meno di un mese.
Circostanza che ha pesato nella scelta delle date, come
sottolinea un comunicato del Consiglio dei ministri che
ha dovuto tener conto «dellesigenza di ridurre al
minimo limpatto delle giornate elettorali sulla
conclusione dellanno scolastico, l8 giugno, e
su importanti eventi pubblici come la festa della
Repubblica, il 2 giugno, e il raduno nazionale degli
Alpini ad Aosta, l11 maggio».
Una spiegazione, questa che lascia insoddisfatti
Margherita e Ds, il cui coordinatore della segreteria
Vannino Chiti afferma che «sarebbe stata preferibile
unaltra soluzione, con un periodo di tempo più
ampio tra le amministrative e il referendum. Daltra
parte - aggiunge lesponente ds - non saranno queste
furbizie a fuorviare la scelta degli elettori che
baderanno ai programmi e ai contenuti». Di contro, il
Comitato del sì al referendum afferma che
laccorpamento delle date di amministrative e
referendum avrebbe evitato «un notevole risparmio di
fondi pubblici e avrebbe favorito il voto nelle migliori
condizioni di partecipazione possibile dei cittadini».
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FINALMENTE IL
SINDACO ALBERTINI SI E' ESPOSTO COME SEMPRE E' STATO -
QUESTA SI CHIAMA TRUFFA .... DIVERSA DA TANGENTOPOLI MA
CON LE STESSE BASI.
«Emendamenti
fantasma», Milano rischia la crisi
Contro
lostruzionismo della minoranza, il Polo nasconde in
cassaforte modifiche "in bianco". Interviene la
Digos
di FABRIZIO RIZZI
MILANO - Che sia un «atto di goliardia», come ha detto
il capogruppo di An, Marco Ricci, è tutto da vedere
visto che la Procura di Milano ha aperto un fascicolo che
verrà esaminato oggi dal Procuratore aggiunto, Corrado
Carnevali. Le ipotesi di reato, da valutare, potrebbero
essere di falso o di abuso dufficio, oppure di
attentato ai diritti politici dei cittadini. E se ci
sarà linchiesta, cosa tuttaltro che remota,
sul Comune di Milano, fiore allocchiello delle Casa
delle libertà, aleggia lombra del
commissariamento. Nel frattempo volano le accuse, con il
Centro-sinistra che chiede le dimissioni della giunta di
Gabriele Albertini e la maggioranza di Centro-destra che
risponde picche. «Si va avanti a oltranza».
Un fulmine a ciel sereno si è abbattuto la notte scorsa
su Palazzo Marino, sede del Comune, quando la maggioranza
del Polo, a poco meno di quindici giorni dal termine
utile per lapprovazione del bilancio, tenta di
sottrarre allesame delle opposizioni una novantina
di emendamenti. Per superare un prevedibile quanto forte
ostruzionismo (cè una montagna di ben 2700
emendamenti) e colmare il ritardo, qualcuno, nel Polo, si
inventa un escamotage. E prepara dei fogli in bianco,
già firmati dai capigruppi del Polo, poi li richiude in
cassaforte. E un modo, si dice, per velocizzare le
procedure: dovranno servire a scrivere, in tutta fretta,
provvedimenti-quadro che superino i 2700 emendamenti
della minoranza. Il Centro-sinistra si insospettisce e
chiede di poter vedere gli emendamenti del Polo, che
invece sono blindati nel forziere. Scoppia la bagarre. I
consiglieri di centrosinistra bloccano laula e
fanno scudo con i propri corpi. Non si tocca nulla fino a
quando non arriva polizia. Gli agenti della Digos
sequestrano il contenuto della cassaforte. Viene
avvertito il Pm di turno, Francesca Chiuri, la quale
ordina anche ai vigili urbani di acquisire copia dei
documenti e di raccogliere le denunce. Antonio Di Pietro,
leader dellItalia dei valori, piomba in piena notte
e firma un esposto nel quale ipotizza il reato di abuso
dufficio. «Hanno cercato di fare il gioco delle
tre carte - accusa lex Pm di Mani pulite - ma non
gli è riuscito. Sono stati presi con le mani nella
marmellata. La marmellata non lhanno presa, ma le
mani ce le avevano dentro. Non è questo un reato?». Ma
Paolo Romani, coordinatore di Forza Italia, non la pensa
nello stesso modo. «Non vedo dove sia il reato. Alla
provocazione di oltre duemila emendamenti, si è risposto
con unaltra provocazione. Non è vero che si è
trattato di emendamenti in bianco, ma di moduli
prestampati su cui non era indicata alcuna cifra».
Insomma, per Romani è stata «una tempesta in un
bicchier dacqua». Il capogruppo della Lega Nord,
Matteo Salvini, ribadisce che «non cè stata
alcuna irregolarità, cè qualcuno che non vuole
che il bilancio sia approvato».
Ieri pomeriggio cè stato un vertice con sindaco,
vice-sindaco, alcuni parlamentari, capigruppo ed il
presidente del Consiglio, Giovanni Marra, diventato
lobiettivo delle accuse (i Ds ne hanno chiesto le
dimissioni «avendo impedito fisicamente per 10 ore ai
vice-presidenti del Consiglio di visionare gli atti
amministrativi»). Muro compatto: andare avanti. In un
comunicato è spiegato che «liniziativa della
maggioranza è stata un atto simbolico per denunciare le
carenze del regolamento dellaula che possono
bloccare il funzionamento dellassemblea». Poi una
promessa: «Siamo compatti e pronti a discutere, giorno e
notte, gli oltre 2mila emendamenti presentati dalle
opposizioni». Quando è stato chiesto ai leader del Polo
si avevano intenzione di piegarsi alle richieste di
dimissioni lanciate, in particolare, da Ds, socialisti,
il leghista Salvini ha tagliato corto, «Dimettermi? Non
ci penso neanche» mentre Vincenzo Giudice, capogruppo
Forza Italia, è stato perentoprio: «Non gli rispondo
nemmeno». Ma le opposizioni annunciano battaglia, pur
con distinguo. Dalla Chiesa chiede lo scioglimento del
consiglio, i Ds no, solo quelle di Marra. Lunedì una
delegazione Ds vedrà il prefetto, nel pomeriggio
manifestazione di protesta.
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IN PROPOSITO
C'E' ANCHE UN BELL'ARTICOLO DI MAX MAX SU NAMIR CHE VI
INVITO A LEGGERE :
DA - LA STAMPA
Aldo Moro fu
rapito 25 anni fa,
il 16 marzo 1978 alle ore 9.02
15 marzo 2003
ROMA. Grande assente alla manifestazione in ricordo di
Aldo Moro, il figlio Giovanni che ai promotori ha inviato
una lettera nella quale esprime il suo disagio.
''Provo disagio per la mancanza di una seria riflessione
del mondo politico su quei fatti'' ha scritto a Francesco
Rutelli il figlio dello statista ucciso dalle Br.
''La classe politica italiana - continua Moro - ha un
conto aperto con Moro e fatica ad ammetterlo.
Alla commemorazione in corso a Roma c'e' invece la figlia
di Moro, Maria Fida.
In occasione del 25/o anniversari del rapimento di Aldo
Moro, il capogruppo della Margherita, Castagnetti,
propone di riaprire la commissione stragi.
E sempre sul caso Moro, Francesco Cossiga ha oggi
confermato quanto rivelato qualche giorno fa da Giulio
Andreotti sul tentativo del Vaticano di pagare, in
extremis, un ingentissimo riscatto il 9 maggio del 1978 ,
la mattina in cui in via Caetani venne ritrovato il
cadavere dello statista ucciso dalle Br.
'Oggi lo scenario all' interno del quale si muovono le
nuove Br e' completamente diverso da quello nel quale
operavano le Br che rapirono e poi uccisero Moro, ha
detto il sottosegretario Mantovano secondo cui allora le
Br erano una avanguardia armata e sentivano se stesse
come tale. Alle spalle avevano una rete di collusioni,
complicita' in ambiti piu' vari.
Oggi lo scenario e' diverso. Quanto al legame tra
terrorismo nostrano e gruppi islamici 'la questione non
e' nuova per l' Italia' e merita attenzione.
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PER LA PACE
QUESTO ED ALTRO - E AGGIUNGO L'ALTRO - TUTTA LA RAI E I
TG NON NE HANNO DATO INFORMAZIONE - NEANCHE UNA BREVE
NOTIZIA - QUESTO FA CAPIRE NON SOLO QUANTO IL GOVERNO
BERLUSCONI SIA NEGATIVO SULLA COMUNICAZIONE - MA
SOPRATTUTTO QUANTO L'ITALIA SIA SOGGETTA ALL'AMERICA.
DA - L'UNITA'
Milano, altre 700
mila bandiere di pace: «Sciopero quando cadrà la prima
bomba»
di Oreste Pivetta
MILANO. Una
bella giornata di marzo alla vigilia di un incubo. La
guerra non sarà qui, ma in città e in un deserto
lontani. Milano ha vissuto così le sue ore di pace,
forse le ultime, temendo la guerra che arriva in Iraq,
aspettando notizie che ispirassero fiducia, sentendosi
davvero una volta città del mondo, assieme a Waghington,
Tokio, San Francisco, Los Angeles, Amman, Baghdad,
Barcellona, Madrid... Quando Guglielmo Epifani,
segretario della Cgil, dal palco davanti alla Stazione
Centrale, ha annunciato che alle prime bombe il paese si
fermerà, lapplauso è stato lungo e soprattutto
cera del cuore in quellapplauso, il cuore di
gente che vorrà fino in fondo dimostrare la voglia
opposta, non di bombe, ma di pace, e il proprio lutto per
i morti e le distruzioni che saranno.
Settecentomila persone e forse di più, la questura
diceva almeno quattrocentomila e davvero la guerra delle
cifre sarebbe adesso soltanto comica. Cè riuscita
la Cgil da sola, senza la Uil, senza la Cisl, senza i
partiti, senza i movimenti, perchè la manifestazione era
nata sindacale e basta, in difesa dei diritti e
dellarticolo diciotto. Le ultime minacce le hanno
regalato questaltro compito: dare voce ancora alle
speranze di pace. Così il corteo è diventato un mare di
colori, di bandiere arcobaleno, in una città grigia che
svegliandosi giorno dopo giorno si ritrovava
anchessa più colorata. Le bandiere alle finestre a
Milano sono tantissime e fa un belleffetto dalla
strada guardare in su, ritrovandosi meno solitari, vicini
ad altri con la stessa convinzione.
Per essere settecentomila e più sono arrivati da tutta
Italia, faticando assai. Non è stata una gita e Milano
non si presta alle gite di gruppo. Non ci sono neppure
panchine per riposare. Ci vuole coraggio per partire
dalla Sicilia, dalle Puglie, dalla Calabria, dalla
Sardegna o dallalto Adige, da tutte le regioni.
Giovani e anziani e bambini. La signora stanca se ne
stava seduta, con il suo cappottino grigio ripiegato sul
primo gradino libero: troppi chilometri per lei, a piedi,
dopo un viaggio di centinaia di chilometri, appoggiata al
suo bastone, e si capiva dal viso segnato. Ma cera
con tutti gli altri e lo potrà ricordare.
Una manifestazione mai vista così grande a Milano,
intonava lo speaker, una donna, Ardemia Oriani,
segretario dello Spi, mai vista nella storia cittadina.
Tre cortei si erano avviati alle due del pomeriggio dal
Duomo, da piazzale Cadorna di fronte alla Stazione Nord,
da piazzale Loreto. Per strade diverse si sono avvicinati
lungo le vie che, come i raggi di un semicerchio, si
chiudono sul piazzale della Stazione Centrale.
Le manifestazioni, direbbe un "vecchio"
manifestante, non sono più quelle di una volta. Il
corteo va bene, ma ci si disperde anche. Diventa,
malgrado tutto, malgrado il nero allorizzonte, una
festa. Leffetto è dinvasione. Prima
darrivare, fin nei quartieri periferici, sembrava
una città vuota, immobile, silenziosa. Persino le
macchine a casa. Appena arrivati, sbucando, come mi è
capitato, da un mezzanino della metropolitana,
unonda di colori e di persone. Mi accolgono i
ragazzi in tuta bianca, i disobbedienti. Mi guardo
attorno e vedo maschere bianche: lidea era stata
dei lavoratori del sommerso, letichetta sulla
maschera è della Filcams, il sindacato del commercio, la
maschera bianca rappresenta i diritti negati... Però la
maschera bianca sembra avere così anche
lespressione della morte. Epifani lo dirà: la
guerra e i diritti negati non sono questioni così
lontane...
Da un camion scendono canzoni forti. Ma la canzone più
gridata dagli altoparlanti o sussurrata da appena qualche
fila del corteo è sempre "Bella ciao", eterna,
cambiano solo il ritmo e lintonazione. La sentiremo
anche alla fine, dallimpianto del palco.
"Bandiera rossa" e "Avanti popolo"
sono state lasciate al Vietnam. "Bella ciao"
resiste, perchè è bella, facile, orecchiabile. Forse
soprattutto perchè cè nelle sue parole e nella
sua aria il ricordo della nostra storia migliore:
lantifascismo, la resistenza comune, la
liberazione.
La bandiera più grande è retta ai lati da trenta o
quaranta ragazzi: una bandiera della pace naturalmente,
sulla quale di traverso è stato aggiunto un telo bianco
con la scritta: articolo diciotto.
Le bandiere della pace sono migliaia. Poi ci sono quelle
del sindacato, della Cgil, qualcuna anche di altri
sindacati. Ci sono bandiere di partiti della sinistra...
Gli scriscioni sono tanti: delle organizzazioni, ma anche
semplicemente per dire «pace, pace». Ragazzi con la
faccia nerissima e i capelli crespi ne alzano uno, che
reclama: «sanatoria, sanatoria». Sidibe, il marabutto
senegalese, che a Milano a tempo perso fa lattore,
spiega che sono contro il bollino rosso che li caccia
perchè ormai italiano, persino iscritto al sindacato e
che la sua sua è la storia di tutti. La manifestazione
è, come capita sempre di più, multirazziale. Le
bandiere della Cgil, in un angolo tricolori, sventolano
sulle spalle di maghrebini, nigeriani, senegalesi,
filippini.
Si sono viste due bandiere degli Stati Uniti e un cretino
che dal balcone del quarto piano mostrava lindice
al corteo, invitando il corteo a salire. Un cretino e
basta di fronte a chilometri e chilometri di strada e di
persone. LItalia si schiera per la pace e pensa che
«ogni minuto guadagnato...», così leggo, mentro
ascolto «Curre curre, guagliò...».
Luso del drappo colorato: dopo la bandiera, il
cappelluccio, la bandana, il fiochetto, il fazzoletto, la
striscia ad annodare i cappelli. Aveva incominciato
Emergency: portate un pezzetto di stoffa bianca per
dimostrare da che parte state. Se lo portarono, legato al
sellino della bicicletta, anche i corridori al Giro
dItalia.
Ci sono quelli che stanno fuori da sempre. Però se il
corteo ha i suoi rami e ramoscelli laterali, quelli che
stanno fuori finiscono per ritrovarsi in mezzo. E nessuno
rifiuta. Mai come questa volta una manifestazione è
stata ovunque. Antonio Panzeri, che è il segretario
della Camera del lavoro di Milano, ha ragione di
esprimere la sua gioia: «Una grande prova. Quella di
oggi è stata la più grande manifestazione che si
ricordi a Milano. Larghissima è stata ladesione e
la partecipazione dei cittadini milanesi e della città
sia alla manifestazione che con le bandiere esposte...».
Quelle che il nostro governo illuminandosi di ridicolo
aveva persino tentato di vietare, come ricorderà
Epifani.
Alle cinque si chiude. Alle cinque e cinque il palco è
già pronto per essere smontato. La gente se ne va
lentamente e ripercorre, come un altro fiume, vie a
ritroso, ripensando alle cose dette: la pace e la guerra,
intanto, i diritti, il lavoro che non cè, la crisi
economica. Capisce che dovrà mettere in conto un
po tutto, se non capiterà un miracolo. Però si
dà il senso dellunità. E si chiede perchè non ci
sia più unità anche nella politica.
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MILANO. Oltre settecentomila persone in favore della pace
e della tutela dei diritti. Questa è stata la
manifestazione che si è svolta oggi a Milano, la più
grande della storia per il capoluogo lombardo. La
protesta ha così unito temi fondamentali dell'attuale
dibattito politico.
I cortei sono
stati tre e sono partiti rispettivamente da piazzale
Cadorna, piazza Duomo e piazzale Loreto, per poi
congiungersi in prossimità della Stazione centrale, dove
si è tenuto il comizio del segretario della Cgil
Guglielmo Epifani. Il leader sindacale ha parlato dei
venti di guerra che spirano in questo momento sull'Iraq e
della concreta possibilità per questo movimento
pacifista di influire sulle scelte dei leader mondiali e
di poter evitare la guerra.
I cortei sono
stati coloriti e rumorosi, con tanti militanti e
tantissime persone comuni, giunte anche da regioni
lontane come il Lazio e la Campania. Cori e striscioni
non sono mancati, obbiettivo prefertio Silvio Berlusconi,
rappresentato anche da un pupazzo con le sue sembianze
vestito da militare. Uno striscione recitava: «San
Silvio da Arcore che liberò l'Italia dalla giustizia,
dalla libertà e dalla convivenza pacifica».
Tante le voci all'interno del corteo. Enzo, attivista
della Cgil chiede «impegno da parte del governo per i
diritti e la pace. Sono venuto da Forlì in pulman, siamo
partiti alle 8 con altre duecento persone. La
manifestazione è bellissima, basta guardare le facce
pulite delle persone che sfilano per capire come la
ragione sia dalla nostra parte. Speriamo che la nostra
mobilitazione possa servire veramente a cambiare le
cose».
Dario, ventinove
anni, viene dalla Brianza con il suo gruppo musicale:
«Siamo una decina, presenti a tutte le manifestazioni,
ci chiamiamo Spakka Brianza ed abbiamo tra i ventotto ed
i trent'anni. Suoniamo insieme al Gruppo Briganti,
meridionali e specializzati nelle canzoni popolari del
Sud Italia. La nostra fusione piace molto ai manifestanti
e quindi continuiamo. Il prossimo appuntamento è la
marcia della pace che andrà dalla Brianza a Lecco. Lì
faremo un concerto a fine corteo».
Giorgio ha
cinquantacine anni e viene da un piccolo paese in
provincia di Pavia, Torre Vecchia Pia: «E venuto anche
il sindaco, siamo in tutto trenta persone. Siamo qui per
mettere in discussione le certezze che molti sembrano
avere sul lavoro sempre più precario e sulla guerra,
vista come l'unica soluzione delle crisi».
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UNA BELLISSIMA
INTERVISTA PER POTER ELIMINARE LA REPRESSIONE NEI
CONFRONTI DEI PALESTINESI :
DA L'UNITA' :
Il dialogo può
ripartire, ciascuno rinunci ai veti
«Non un solo missile è stato ancora lanciato contro
Baghdad e già la guerra ha provocato dei danni
gravissimi, forse irreparabili, in organizzazioni
internazionali come lOnu e la Nato. Il conflitto
senza precedenti che oppone gli Usa ai suoi alleati
tradizionali è una vera catastrofe che può avere
ricadute devastanti, a cominciare dal tormentato Medio
Oriente». A sostenerlo è una delle figure più
rappresentative della sinistra israeliana: Yossi Sarid,
membro della Commissioni Esteri e Difesa della Knesset,
già ministro nei governi a guida laburista ed ex leader
del Meretz, la sinistra sionista. «Da amico degli Stati
Uniti e da israeliano impegnato nella ricerca della pace
e nella lotta al terrorismo, ritengo che una guerra
allIraq combattuto senza lavallo delle
Nazioni Unite, rischia di fare il gioco di criminali
della portata di Bin Laden e di Gheddafi, i quali
attendono solo che il "nuovo ordine mondiale"
consenta loro di agire liberamente». E sul rilancio del
«tracciato di pace» del Quartetto (Usa, Russia, Onu,
Ue) operato ieri da George W.Bush, Yossi Sarid osserva:
«Tra le condizioni poste da Bush allattivazione
del "tracciato di pace" vi è anche il blocco
della politica degli insediamenti da parte
dellattuale governo israeliano. Richiesta
assolutamente condivisibile che confligge apertamente,
però, con un governo in cui uno dei partiti membri (il
Partito nazionale religioso, ndr.) ha condizionato la sua
presenza allo sviluppo della colonizzazione dei territori
occupati».
Israele si prepara
alla guerra allIraq.
«Una guerra non ancora iniziata e che ha già fatto le
sue prime "vittime" politiche...».
A cosa si
riferisce?
«Alla spaccatura interna al Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite e nella Nato. Lindebolimento degli
organismi internazionali non aiuta di certo la
definizione di nuovi e più solidi equilibri di pace
nelle aree "calde" del mondo, a cominciare dal
Medio Oriente».
Cè chi
sostiene, a Washington come a Gerusalemme, che la guerra
in Iraq e leliminazione di un regime spietato quale
quello di Saddam Hussein, può aprire nuove prospettive
alla pace in Medio Oriente.
«Non sono di questo avviso. Non credo che questa guerra
sia negli interessi di Israele. Temo lesatto
contrario. Temo che la guerra in Iraq resusciti o
rafforzi i demoni dellantisemitismo, e accresca le
fila di quanti, e non solo nel mondo arabo, sono convinti
che questa guerra sia condotta contro linsieme
dellIslam da parte dellAmerica sotto
linfluenza di Israele e degli Ebrei».
Resta la
pericolosità di Saddam Hussein.
«Che si tratti di uno dei più feroci dittatori che la
storia contemporanea abbia conosciuto è fuori
discussione. Ma il problema per gli Stati Uniti e, di
riflesso, per Israele non è vincere la guerra, ma è
"vincere" la pace nel dopo-Saddam. Una
vittoria, questultima, tuttaltro che
scontata. La mia convinzione è che criminali della
pericolosità di Osama Bin Laden o di un Gheddafi, si
stiano sfregando le mani in attesa del "nuovo ordine
mondiale" che permetta loro di agire liberamente,
facendo leva sullaccresciuta ostilità del mondo
arabo e musulmano contro gli Usa, lOccidente e
Israele».
Da una guerra annunciata ad un conflitto che da anni non
ha soluzione di continuità: quello israelo-palestinese.
Il presidente Usa ha rilanciato il «tracciato di pace»
del Quartetto.
«Quel "tracciato" contiene in sé i
presupposti per riavviare il negoziato, a patto che
nessuna delle parti in causa ricominci con la logica
perversa dei veti e delle pregiudiziali».
Cosa significa
questo per il governo Sharon?
«Bloccare la colonizzazione dei Territori. Una richiesta
ribadita dallo stesso Bush ma che confligge con la
presenza nellattuale governo di due formazioni
politiche, il Partito Nazionale Religioso e lUnione
Nazionale, che sono proiezioni partitiche del movimento
dei coloni. Ciò significa che gli Usa e gli altri
partner del "Quartetto" devono far seguito agli
auspici pressioni concrete su Sharon perché accetti
seriamente di muoversi lungo quel "tracciato di
pace"».
Laltra
sottolineatura di Bush riguarda gli effettivi poteri
attribuiti al neo primo ministro palestinese Abu Mazen.
«Conosco molto bene Abu Maze e apprezzo la sua statura
politica e intellettuale. È stato uno dei protagonisti
di quella diplomazia segreta che portò al disgelo tra
Israele e Olp, e agli accordi di Oslo-Washington. Abu
Mazen accetterà lincarico solo se avrà la
certezza di poter esercitare la massima influenza nei
negoziati con Israele. È giusto insistere sui poteri
effettivamente assegnati ad Abu Mazen ma sarebbe del
tutto strumentale chiedere ad Abu Mazen di emarginare
Arafat. La sua nomina a primo ministro apre di fatto una
fase nuova nella vita politica palestinese, non più
segnata dallassolutismo arafattiano».
Cosa dovrebbe fare
Israele per consolidare la leadership di Abu Mazen?
«Dimostrare una reale disponibilità al negoziato,
allentando la morsa nei Territori e ponendo fine alle
punizioni collettive. Ma ho forti dubbi che un governo
come quello guidato da Ariel Sharon possa agire in questa
direzione».
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E UN'ALTRA
INTERESSANTE SU L'ONU :
DA - L'UNITA' -
L'INTERVISTA :
"L'Onu
rischia la paralisi come negli anni 50"
«LOnu rischia una paralisi simile a quella degli
anni della Guerra Fredda». Elopinione di
Giandomenico Picco, già vicesegretario delle Nazioni
Unite ed esperto di strategie.
I caschi blu del
Bangladesh si stanno ritirando dalla fascia
smilitarizzata tra Iraq e Kuwait. LOnu ammaina la
bandiera?
«I caschi blu pattugliano quella zona da dodici anni. Il
quartier generale dellOnu ha dato disposizioni
affinché sia tutelata lincolumità dei militari
schierati. Anche in Iraq è stata ritirata una parte del
personale. Se vi sarà lo scontro frontale questi
rappresentanti delle Nazioni Unite si troverebbero in
mezzo alla battaglia. Anche il personale delle
ambasciate, giorno dopo giorno, viene ridotto a Baghdad.
Per lOnu è un momento difficile».
Un intervento
unilaterale americano potrebbe rappresentare il "de
profundis" per le Nazioni Unite?
«La Francia e gli Stati Uniti stanno facendo di tutto
per ottenere voti, stanno operando allOnu, per
entrambi il voto al consiglio di sicurezza è decisivo e
ciò conferma che le Nazioni Unite svolgono un ruolo
importante, altrimenti il ministro francese de Villepin
non sarebbe in viaggio per le capitali africane per
ottenere lappoggio di quei paesi e la diplomazia
Usa non sarebbe "allattacco". Il problema
è cosa avviene dopo, uno dei due schieramenti deve
vincere. LOnu cambierà, le Nazioni Unite non
saranno più quelle di oggi».
Dalle sue parole
emerge una forte preoccupazione sul futuro dellOnu.
«Certamente. Si possono ipotizzare diversi scenari. Il
più grave vede la sparizione dellOnu, ciò può
accadere se una delle grandi potenze si ritira dal
Palazzo di vetro, sarebbe davvero la fine delle Nazioni
Unite. Ma non siamo a questo punto. La situazione si
potrebbe evolvere diversamente. Durante la Guerra Fredda
il Consiglio di sicurezza venne paralizzato per molto
tempo, ma non per questo le Nazioni Unite erano finite.
Si può dunque immaginare forse non una paralisi, ma una
certa difficoltà ad affrontare alcune crisi, il caso
Nord Corea ad esempio. Questa è la domanda da porsi: il
consiglio di sicurezza sarà paralizzato come durante la
Guerra Fredda?»
Nessun altro
scenario è immaginabile?
«Le cinque potenze con diritto di veto dovrebbero
prendere un "momento di respiro" per poi
riunirsi nuovamente e decidere che cosa fare
dellOnu».
Il veto
rappresenterebbe una novità assoluta...
«Il veto francese rappresenterebbe unimportante
novità. Quel che mi chiedo è se non stiamo assistendo
ad una manifestazione della "vecchia Europa"
come dice Rumsfeld, oppure, al contrario, alla nascita di
una nuova Europa dallAtlantico agli Urali».
Che potrebbe però
esordire con una sconfitta al consiglio di sicurezza...
«Non si tratterebbe di una sconfitta, al contrario
potrebbe emergere unEuropa che ha deciso di
prendere una posizione che rappresenta i sentimenti dei
suoi cittadini. Una sconfitta "procedurale"
metterebbe tuttavia in luce un forte orgoglio.
LEuropa dovrebbe cercare un altro ruolo, non
competitivo con quello degli Stati Uniti, ma
semplicemente diverso. Stati Uniti ed Europa sono oggi in
competizione e ciò, a mio avviso, è impossibile».
Sul piano
militare, come rivelano i preparativi per la guerra, il
gap tra Europa e Stati Uniti è enorme...
Il divario è progressivamente aumentato negli ultimi
dieci anni. In Europa se un esponente politico parla di
Dio e delle spese militari non ottiene consensi, in
America succede il contrario, lelettorato reagisce
diversamente. La cultura sociale e politica
dellEuropa è stata fondata negli ultimi sessanta
anni sulla socialdemocrazia e la cristiano-democrazia.
Negli Stati Uniti nè luna nè laltra cultura
hanno mai piantato radici».
Tornando alla
battaglia che si annuncia al Consiglio di sicurezza è
possibile, secondo lei, avanzare un pronostico sul voto
della prossima settimana?
«La battaglia per conquistare il voto degli incerti è
ancora in atto, si voterà al più presto martedì, e
dunque cè ancora tempo per fare "campagna
elettorale". Epossibile che fattori non
diplomatici giochino un ruolo la prossima settimana, gli
anglo-americani hanno indicato una data precisa, quella
del 17 marzo. Potrebbe scattare qualcosa allinterno
dellIraq, qualcuno tra i dirigenti di Baghdad
potrebbe interrogarsi sul quel che sta per accadere, vi
potrebbero essere reazioni "sul terreno" che
noi, allo stato attuale, non possiamo certo prevedere».
La Lega Araba ha
inviato una delegazione a Baghdad, da tempo si parla di
piani segreti per indurre Saddam Hussein a farsi da parte
ed evitare lattacco...
«Nessuno al mondo conosce veramente bene Saddam.
Lho incontrato molte volte in passato, negli anni
ottanta quando negoziavamo la fine della guerra con
lIran, ma non credo che sia la stessa persona,
credo che sia cambiato. Negli ultimi anni poche persone
hanno avuto accesso al palazzo del raìs».
La crisi
dellOnu potrebbe proiettare i suoi effetti anche
sulle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite con effetti
devastanti nei paesi in via di sviluppo?
Non credo, negli ultimi anni il budget dellOnu è
aumentato, gli Stati Uniti hanno pagato gran parte dei
loro debiti. Le agenzie, come è accaduto in passato ad
esempio allUnesco, possono sopravvivere anche alla
mancanza di partecipazione delle grandi potenze.
Lattività tecnico-umanitaria può proseguire. Il
vero problema è se la crisi dellOnu coinciderà
con la crisi del sistema internazionale che conosciamo
dal 1945. Questo è il vero pericolo».
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DA - MILANO
FINANZA :
Telecom
pareggia i conti in Borsa dopo mega riassetto 19:40
Ma l'operazione, soprattutto per ciò che riguarda la
fusione Olivetti-Telecom, pur avendo una sua logica
industriale, ha destato più di una perplessità:
innanzittutto i tempi, l'incremento dell'indebitamento,
il rapporto di concambio, il trasferimento di valore da
Telecom Italia ad Olivetti. La fusione preoccupa anche
Assogestioni continua
18:40
Cda all'acqua di rose per piazzetta Cuccia. Smentite
quindi le attese che preannunciavano uno scontro con i
rappresentanti di Unicredit e Capitalia. Nessuna
dimissione ai vertici, dunque. Tutto rimandato a fine
aprile, giorno dell'assemblea di Generali, oggi ancora
alla ribalta in Borsa. Ma prima di questa data, secondo
quanto risulta a MF interattivo, è previsto un Cda di
Mediobanca per discutere l'affaire Generali continua
17:40
Il Lingotto paga l'indecisione di GM e il no di Axa
all'acquisto di Toro, per cui comunque si sono fatte
avanti Hopa e Unipol. Finmeccanica lavora su dossier Fiat
Avio. Agnelli conferma trattativa con un potenziale
compratore. STM alla ribalta. TI torna ai livelli
pre-riassetto. Giù Olivetti e Pirelli. Acquisti a
raffica sui bancari, risparmio gestito. Alleanza meglio
di Generali. Riscatto di Eni ed Enel. Forti Tod's e
Bulgari continua
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E ANCHE PER
QUESTA DOMENICA - UN BACIO DA PARTE MIA - SPERIAMO CHE LA
PROSSIMA SIA MIGLIORE.
LUANA.
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