Simulazioni mediatiche e verità rivoluzionarie

di wanda piccinonno

L’intossicazione generata dalla spettacolarità totalizzante sta sortendo effetti davvero devastanti , tant’è che anche un programma come " RockPolitik" viene percepito come un evento politico , come uno spazio di libertà . D’altronde , quando anche la libertà diventa un tipo di merce spendibile sul mercato politico , quando la vita quotidiana diventa rappresentazione mediatica , allora il vero si traduce in un momento del falso .

Da qui la necessità di liberare le parole imbavagliate da un sistema di sorveglianza integrato, dalle facili immagini dell’occultamento , dal circuito perverso del discorso politico-burocratico-mediatico .

Insomma , al di là di una cultura minimalistica , al di là dell’opinabile distinguo tra "rock" e " lento" , per non decadere al ruolo di replicanti , per rompere la condizione coatta di spettatori , occorrerebbe respingere i meccanismi dell’affabulazione spettacolare . Il che spinge a smascherare le complicità a priori che provocano le suggestioni indotte e che determinano perniciosi equivoci .

Una critica pertinente , però , non può consentire la massimizzazione di alcuna variabile , sicché anche gli ingranaggi televisivi vanno contestualizzati nelle dinamiche di una società complessa .

La televisione , dunque , rappresenta solo uno degli strumenti di cattura per semplificare e banalizzare la realtà fattuale .

Ma qual è il modus operandi della televisione ? Il "Grande Fratello " degli spettacoli televisivi , pur non avendo un volto , domina attraverso l’immagine , e così facendo offre allo spettatore uno spazio già strutturato , caratterizzato da un’inclinazione al conformismo politico , dalle regole dello show business , da una forte demagogia commerciale , da prodotti omnibus ,da una censura preventiva. In altre parole , la televisione , semplificando e preconfezionando , tende ad eliminare ogni cultura alternativa .

Di più : " la televisione , pubblica o privata che sia , non ha altro modo in cui operare che quello della competizione di mercato ". " Quella dello share- scrive Z. Bauman- è una gara alla quale tutti i canali televisivi sono obbligati a partecipare e in cui devono dimostrare il loro valore . Ma nessuno riuscirebbe a catturare spettatori se non adeguandosi ai loro gusti e preferenze … Se la televisione guida il mondo, è perché lo segue ; se riesce a diffondere nuovi modelli di vita , è perché replica tali modelli nel proprio modo di essere " .

In breve , la televisione altro non è che la visualizzazione della vertigine contemporanea . I politicanti potrebbero obiettare che queste sono solo astratte teorizzazioni che prescindono dal fatto che la libertà d’espressione viene fagocitata dal berlusconismo . Senza sottovalutare gli effetti devastanti prodotti dal Cavaliere- piazzista , vorrei precisare che la sindrome berlusconiana non può obnubilare né la mediocrità del teatrino politico della "sinistra ", né le condizioni oggettive di degrado morale e politico . Inoltre , respingendo le colpevoli amnesie dei sepolcri imbiancati , vorrei ricordare le lottizzazioni delle reti televisive , le censure , le "misteriose " collusioni , la spartizione di poltrone dei governi di centrosinistra .

Insomma ,la politica di spoliticizzazione , la vittoria dell’apparenza , non possono occultare una palese verità , ossia che la televisione italiana è sempre stata dominata da interessi privati, da una pesante demagogia e da una logica spartitoria : elementi questi che non hanno mai consentito l’esercizio di un pluralismo autenticamente democratico .

Per quanto concerne il presente occorre rimarcare che non solo campeggia una televisione-spazzatura , ma anche che il tormentone sollevato dalla trasmissione "RockPolitik" va contestualizzato nel nauseante gioco delle parti e nel consolidato costume italico di salire sul carro dei vincitori . Altrimenti detto , la vittoria già annunciata del centrosinistra fa registrare il dilagare di cantanti , di "teleconsiglieri", di predicatori , di comici , di voltagabbana , che gareggiano per acquisire credito agli occhi dei futuri vincitori .

In una situazione siffata , per respingere lo spettacolo integrato , per formare anticorpi , occorrerebbe alimentare " il sentimento del contrario " , ossia un’attività riflessiva e critica che sia in grado di demistificare tutti gli spazi preconfezionati .

Da qui l’esigenza di operare un netto distinguo tra mera predicazione e gioco satirico rivoluzionario . Partendo da queste premesse vorrei fermare l’attenzione sul teatro politico e sul momento del grottesco . Ciò è importante perché emergono fraintendimenti davvero sconcertanti , tant’è che addirittura si confonde la tragedia greca con "l’isola dei famosi ", Barbara Palombelli docet .

Pertanto , constatando l’impoverimento e le banalizzazioni della vita quotidiana , penso che sia opportuno evidenziare il carattere dirompente di una satira autenticamente provocatoria . Essa , lungi dall’accettare i parametri della società costituita ,condanna espressamente tutti gli atteggiamenti accomodanti , rompe con tutte le ipocrisie , le falsità , le mistificazioni , le manifestazioni di consenso , le credenze dominanti . Al di là , dunque , di una diffusa artisticità banalizzante e strumentale , la satira rivoluzionaria deve possedere " l’arte di rendere maneggevole la verità come un’arma " ( B . Brecht ) .

Inoltre , va rimossa l’opinabile distinzione tra teatro politico e teatro qualunquista , perché di fatto tutta l’arte è politica . Ciò significa che il teatro politico non è mai neutro , infatti esso si avvale di due linguaggi , ossia quello della conservazione o quello della rivoluzione .

Ne consegue che il giullare provocatorio " fa prendere coscienza , brucia , arriva in profondità"

Ma per confortare le considerazioni fatte giova ricorrere a Dario Fo , prepotente esempio di libertà intellettuale . Egli , mettendo in luce che tutta l’arte è politica , afferma che anche il teatro greco è politico , tant’è che le Orestiadi sono state commissionate dal potere allora egemone . " Alceste – aggiunge Fo - è ugualmente un testo politico . Lo è Edipo , è chiaro: si pensi alla chiave del destino , dell’impossibilità degli uomini di fare le proprie scelte e di sfuggire a quello che è " scritto " ; quindi questo voleva dire accettare le leggi , le regole , e , da parte delle donne , la nuova religione dei maschi , la propria condizione degradata e via dicendo " .

A questo punto , sorvolando sui diversi momenti del teatro grottesco , sul movimento dadaista, sul teatro futurista ecc, vorrei focalizzare l’attenzione sulle svolte significative del 68 . In questa fase storica la teatralizzazione delle manifestazioni politiche mostra una politicizzazione immediata , senza mediazioni di tipo tecnico o istituzionale . Uno spazio nuovo emerge con la rappresentazione dell ‘" Orlando Furioso " di Ronconi e Sanguineti . Difatti , si abolisce ribalta e platea e si pone spettacolo e spettatore allo stesso livello . Ciò consente allo spettatore di muoversi e di scegliere , grazie alla simultaneità delle scene e alla loro penetrabilità .

Inoltre , in questi anni , gli stabili perdono la loro autorità e vengono considerati uno strumento conservatore di politica teatrale ; si sviluppano invece le cooperative egualitarie nella divisione dei proventi e disponibili ad un laboratorio sperimentale .

Di più : sempre in questi anni , si diffondono forme di animazione teatrale nelle scuole , si recuperano forme di drammaturgia popolare .

Ciò detto , penso che sia opportuno fare ancora riferimento a Dario Fo . Egli , dopo gli studi di architettura al Politecnico di Milano , debutta al teatro di cabaret ; con Parenti e Durano mette in scena " Il dito nell’occhio" nel 1953 , esemplare satira del falso eroismo e della retorica ; dopo una breve parentesi cinematografica , lavora intorno alla tradizione tecnica della Commedia dell’arte . Dal 1968 Fo abbandona il teatro istituzionale , forma L’Associazione nuova scena che presenta i suoi spettacoli nel circuito alternativo dell’ARCI .

Ma per negare il presunto rivoluzionarismo di alcuni " giullari mediatici " , per restituire un senso al teatro rivoluzionario , va aggiunto che Fo definisce se stesso " giullare del popolo in mezzo al popolo ". Un ruolo scomodo , dunque , che peraltro emerge nella sua opera più significativa , " Mistero buffo " . Qui l’attore occupa da solo la scena e rappresenta la sua lunga "giullarata " medievale che raccoglie varie voci liriche della tradizione popolare italiana .

E’ evidente che Fo , lungi dal praticare una critica superficiale e negativa , crea una controcultura che smaschera le mistificazioni del passato e del presente .

Ma , dal momento che si sta imponendo un’altra figura , ossia quella del predicatore mediatico , è bene insistere sull’argomento . Il grande merito di Fo risiede anche nel fatto di aver rappresentato il "teatro in situazione ", ossia un teatro che rifiuta la predicazione e che mette sempre in conflitto i variegati aspetti del dibattito . In un contesto così concepito le istanze rivoluzionarie si manifestano in modo dirompente attraverso il gioco del grottesco, che non consente camuffamenti , proprio perché suscitando dubbi e perplessità smaschera tutte le ipocrisie dei poteri costituiti .

Il teatro di Fo , dunque , è teatro militante , è un teatro che vuole stimolare " un’opinione pubblica virtualmente rivoluzionaria " .

Insomma , Fo , rigettando il bluff della società dello spettacolo , dimostra che non bastano i contenuti a fare teatro politico ma è , invece , essenziale il modo in cui esso viene elaborato , prodotto , diffuso .

Da qui la necessità di operare un netto distinguo tra tele-predicatori e giullari rivoluzionari , tra fast food culturale e teatro politico in lotta . La decostruzione critica di queste antinomie è imprescindibile perché , come sosteneva Majakovskj , il primo campanello d’allarme della fine della democrazia reale , è proprio la fine della satira .

A questo proposito va precisato che nel nostro paese l’assetto democratico è sempre stato fragile , basti rievocare i tentativi di colpi di stato , lo stragismo , Piazza Fontana ,la defenestrazione di Pinelli , i provvedimenti liberticidi per garantire l’ordine pubblico e via dicendo .

Inoltre , per quanto concerne la televisione , al di là delle vergognose epurazioni berlusconiane, conviene ricordare che anche in passato si sono registrati episodi inquietanti , Fo e Grillo docent .

La verità è che il gioco trasversale delle parti ,il consolidato malcostume italiano di cercare un palco in prima fila nel teatro della vanità , le regole dello show business , le dinamiche perverse del marketing , la visione spoliticizzata della realtà , rendono problematico ogni distinguo , soprattutto perché il linguaggio autenticamente rivoluzionario viene escluso preventivamente dal circo mediatico-politico .

In effetti , " quello che comunemente si ode è un tono molto mite e lamentoso, il tono di chi non sarebbe capace di far male a una mosca …..La verità, invece, è combattiva , non solo combatte la menzogna , ma anche quelle determinate persone che la divulgano " ( B. Brecht ) .

Vero è che oggi , per via dell’ambiguità del contesto, risulta estremamente difficile discernere le complicità sotterranee tra giochi pseudorivoluzionari e verità rivoluzionarie , tra macchine desideranti e feticci , tra simulazione e verità ,tra creatività concettuale e logica della mercificazione dell’industria mediatica .

Evitando di cadere nelle trappole del catastrofismo , va aggiunto che non solo continua ad esistere il teatro alternativo , ma emergono anche tentativi inediti di creatività rivoluzionaria .

Mi riferisco a Seattle, alle forme di "clownerie "dei movimenti , ai Black bloc anarchici , ai pupazzi giganti usati durante le manifestazioni .

David Graeber , analizzando questi fenomeni , scrive : " Qui c’è una storia da raccontare . Coloro che costruiscono i pupazzi giganti usati nelle manifestazioni sono consapevoli , in linea di massima , del fatto che le loro creazioni richiamano i giganti e i draghi delle feste medievali , Gargantua e Pantagruel . Anche chi non ha letto Rabelais o Bachtin ha certamente familiarità con la nozione di "carnevalesco " . Le occasioni in cui le forze del movimento si radunano mettendo insieme molte persone sono quasi sempre chiamate "carnevale contro il capitalismo " o " festival della resistenza ".

Ovviamente queste forme di teatro carnevalesco non possono essere confuse con i concerti di piazza , con le operazioni di marketing , con le rappresentazioni di saltimbanchi mediatici , con un presunto recupero della cultura popolare, con la spettacolarizzazione delle opere pie postmoderne . Altrimenti detto , il teatro carnevalesco dei movimenti , avvalendosi dell’immaginazione creativa , manifesta il valore sovversivo dei desideri , infrangendo così la violenza strutturale di tutti i poteri costituiti . Insomma , questa creatività è immediata , diretta , e di conseguenza autenticamente democratica .

Insistendo sull’argomento va anche rilevato che i movimenti hanno già un sistema di comunicazione diretta , diffuso attraverso Tv indipendenti , stampa , Internet .

Se questi sistemi di comunicazione sono efficaci , è altresì vero che ciò non è sufficiente. Difatti , si dovrebbe liberare la televisione pubblica dall’egemonia dei politicanti ,dai lacchè, dai leccapiedi mutevoli , dagli intellettuali mediatici , dai personaggi in cerca di autore.

Ciò si impone , sia per recuperare l’onore perduto degli intellettuali , sia per evitare di essere lobotomizzati . In breve , non si può consentire al molleggiato-predicatore di definire "rock" Giuliano Ferrara e Pasolini . Ma, dal momento che anche quest’ultimo è stato strumentalizzato dal teatrino mediatico-politico , conviene ricordare l’alta valenza dell’intellettuale scomodo ed eretico . Egli , infatti , combatteva con coraggio ogni tipo di ipocrisia , di conformismo , di provincialismo : in altre parole , Pasolini , fuori dai cori , era quasi ossessionato da certa violenza mercificata del potere .

Se l’intellettuale testè citato rappresenta un esempio di rottura teorica e di frattura pratica , è altresì vero che gli intellettuali del Belpaese hanno sempre manifestato una tendenza al carrierismo , al gregarismo , all’opportunismo e ad una sorta di funzionale ermetismo . In altri termini , gli intellettuali italiani sono stati sempre corifei e cani da guardia del potere costituito , l’esperienza fascista docet .

Ma per rigettare le perniciose confusioni tra storia e memoria , penso che sia imprescindibile un riferimento al postfascismo e al libro " I redenti " di Mariella Serri . Quest’ultima rievoca il clima del dopoguerra per evidenziare le vergognose connivenze tra ex fascisti e comunisti togliattiani . Da qui uno scenario sconcertante che vede fascisti duri e puri , trasformati in difensori della Resistenza .

Scendendo , dunque , dall’empireo delle idee pure ed evitando di raccontare favole metafisiche , bisogna riconoscere che l’intellettuale " angelicato" dell’Italietta , sia pure con qualche eccezione , ha sempre manifestato una piaggeria servile .

Di più : gli intellettuali in rivolta sono stati sempre stigmatizzati , espulsi e condannati a una tacitazione violenta .

Non può , pertanto , destare stupore che oggi intellettuali , comici , cantanti e via dicendo , siano pronti a passare sul carro del vincitore .

Il pressappochismo culturale , le bischerate dei predicatori , l’atteggiamento falsamente censorio di alcuni intellettuali , discendono , dunque , dal sordido interesse di occupare un posto al sole nella società dello spettacolo .

Purtroppo, lo schermo televisivo è diventato un luogo di esibizione narcisistica in cui politicanti , opinionisti e pseudorivoluzionari , assumono , consapevolmente o inconsapevolmente , il ruolo di cani da guardia dello status quo.

Ovviamente , in un contesto siffatto tutte le istanze sovversive vengono eliminate a priori .

D’altra parte , i media si oppongono e sono ostili a tutti gli " eventi illegittimi " , per esempio gli eventi prodotti dai movimenti . Largo spazio viene , invece , concesso ai riti di istituzione , alle dichiarazioni dei politici , ad opinionisti ben integrati nell’assetto sistemico.

Le considerazioni fin qui condotte non intendono stigmatizzare i media , perché nulla è buono o cattivo in assoluto , dipende sempre dall’uso che se ne fa .

Vero è , però , che " i media non hanno abbastanza risorse o una vocazione sufficiente per cogliere un evento . Innanzitutto mostrano l’inizio o la fine, mentre un evento , anche breve, anche istantaneo continua . Inoltre cercano qualcosa di spettacolare , mentre l’evento è inseparabile dai tempi morti….. Il più comune degli eventi fa di noi un veggente , mentre i media ci trasformano in semplici spettatori passivi , al massimo in voyeur…. Non sono i media , ma è l’arte che può cogliere l’evento " ( G. Deleuze ) .

Per quanto concerne l’informazione , Deleuze sostiene : " Anche in questo caso essa viene misurata con unità astratte ….Diciamo che prescrive , o piuttosto che dà disposizioni " .

"Occorrerebbe – aggiunge Deleuze – un minimo di controllo sui mezzi di espressione , altrimenti si fa presto a ritrovarsi in televisione pronti a rispondere a domande idiote , in un faccia a faccia , in uno spalla contro spalla a " discutere un poco " . E allora ? Bisogna partecipare alla produzione delle trasmissioni ? E’ difficile , è un mestiere . Inoltre noi non siamo neanche clienti della televisione , i veri clienti sono gli sponsor , quei famosi liberali…. Si parla di una abdicazione degli intellettuali : ma come potrebbero esprimersi attraverso mezzi universali che nondimeno rappresentano una vera e propria offesa del pensiero stesso ? " .

E’ evidente, dunque , che i media non possono in nessun caso produrre né eventi politici , né spazi di libertà . Sicché , di fronte alla oscena fabbricazione della miseria umana , di fronte alla devastante crisi culturale e politica , di fronte a una forma di dominio così complessa e raffinata , non rimane che invocare una potenza rivoluzionaria di ricostruzione che elimini tutte le forme di mercificazione .

Altrimenti detto , gli esclusi potranno riprendere la parola a condizione che si liberi il potere di "Controllo "sulla comunicazione . " E’ necessario un dirottamento della parola , anche perché creare è sempre stato altro dal comunicare. L’importante sarà forse creare dei vacuoli di non-comunicazione , degli interruttori , per sfuggire al controllo " ( G. Deleuze) .

In effetti , sfuggire alla macchina repressiva del biopotere risulta risulta piuttosto problematico , vuoi perché il terrorismo , volontario o involontario , dell’informazione incrementa la società del rischio , vuoi perché la successione veloce e fittizia degli eventi ostacola la funzione sociale dell’intelligenza .

Insomma , i media , per via di un sostanziale conformismo culturale , non solo spingono nei miraggi mortali dell’apparenza , ma intendono anche la politica secondo la modalità della replica .

Senza enfatizzare la funzione dei media , occorre ribadire che i problemi relativi ai mezzi di espressione vanno sempre contestualizzati nelle complesse dinamiche del postmoderno . Il che rimanda alla costruzione di una democrazia a venire , alla capacità organizzativa della forza produttiva rivoluzionaria , ad una concezione innovata della res publica , al diritto di cittadinanza di tutte le differenze .

Per esplorare l’iter di un’alternativa rivoluzionaria occorre , a mio avviso , avvalersi di una decostruzione critica del passato e del presente .Ciò impone un’analisi sulla democrazia e sul rapporto inclusione-esclusione .

Intanto , per evitare immotivate nostalgie , va detto che il fenomeno dell’esclusione è una costante di tutte le epoche . Non senza ragione E. Balibar osserva che la polis greca ha escluso includendo , segregando nello spazio " domestico " le donne , i bambini , gli schiavi che , a gradi diversi , sono stati ricacciati nell’illegalità e nell’impossibilità di poter prendere in prima persona la parola partecipando alla vita comune e pubblica .

Inoltre , " la nozione democratica moderna ( risultato di grandi rivoluzioni borghesi ) i cui principi hanno dato luogo alle " Dichiarazioni dei diritti dell’uomo o del cittadino " o a loro equivalenti esclude , denaturando , tutto ciò che essa ritiene essere capace di diritto autonomo" ( E. Balibar ).

Queste spinose problematiche rimandano ai meccanismi odierni dell’esclusione e alla prospettiva di una nuova comunità politica .

Di più: la rivolta delle banlieues francesi spinge a promuovere un’attenta riflessione sul rapporto fra legalità e formalismo politico della democrazia , sull’apartheid sociale , sull’esclusione dei senza parte nei diversi " non-luoghi ", sulla valenza politica dell’esilio . Quest’ultimo non è da sottovalutare perché " il Bando mette sempre in relazione l’esule e il sovrano " .

Non senza ragione Giorgio Agamben afferma : " L’esilio , in quanto Rifugio , eccede tanto la sfera dei diritti che quello delle pene , l’esilio permette di pensare una via d’uscita dal bando sovrano , che non coincide con quella dei diritti , su cui si è fondata finora in modo esclusivo la tradizione democratica…..In questa prospettiva , l’esilio cessa di apparire come figura politica marginale , per affermarsi come paradigma filosofico-politico fondamentale…forse il solo che potrebbe permettere di pensare da capo la politica dell’Occidente " .

Una democrazia a venire quindi non può discendere né dal costituzionalismo , né dalle varianti più o meno grossolane del riformismo , né dal positivismo legalistico . Insomma , la democrazia assoluta , che peraltro non si è mai realizzata , potrà avere pieno diritto di cittadinanza solo attivando processi rivoluzionari e costituenti .

I rappresentanti della politica ufficiale , i giornalisti pseudorivoluzionari , la ganga dei funzionari imperiali , potrebbero obiettare che il termine " rivoluzione " risulta obsoleto .

In effetti , per resistere al mondo e all’osceno gioco delle parti , per rompere con le immagini e le parole d’ordine della mondializzazione neoliberale,per negare il potere della finanza globalizzata : in breve , per aprire all’avvenire , " la sola possibilità degli uomini è nel divenire rivoluzionario ".

Ciò esige la rimozione del normativismo capitalistico e , al tempo stesso , la creazione di una normatività rivoluzionaria . Per non cadere , però , nelle trappole dell’ottimismo utopico bisogna ridimensionare le alternative semplicistiche e porre i seguenti interrogativi : come si può rispondere all’intollerabile ? Come rifiutare le facili immagini dell’occultamento ?Come rigettare l’ibridazione tra pace e guerra ? Come costituire un tribunato della plebe globalizzata? Assodato che non si possono considerare tribuni né i Bertinotti , né i Lula e via dicendo , conviene porre un quesito : quale funzione dovrebbe assolvere il tribuno postmoderno ? Ovviamente , i tribuni dovrebbero rimuovere i paradigmi politici della modernità , tenendo conto delle svolte generate dal pensiero della differenza sessuale e dai movimenti del 68 . Ma c’è di più : i tribuni non dovrebbero "rappresentare " le istanze liberatorie degli esclusi , dovrebbero , invece , essere i portavoce di una disobbedienza attiva e consapevole .

Vero è che anche il discorso sulla funzione tribunizia risulta estremamente problematico.

Difatti , le politiche trasversali dell’ideologia sicuritaria , il populismo demagogico dei neo-sinistroidi , le tecnologie del controllo , i perversi meccanismi di sussunzione , l’onnipervasività del biopotere , ostacolano di fatto ogni forma di dissidenza .

Inoltre , lo stato d’eccezione mostra che la deregulation generalizzata ha anche determinato la morte dello spirito rivoluzionario di massa che aveva reso possibile le riforme democratiche . D’altra parte , le figure politiche non si riproducono . Va, però , precisato che il riscatto del presente è sempre possibile , anche perché le chances non mancano . A tal proposito Augusto Illuminati afferma : " Nel sistema degli spettacoli il general intellect si presenta non come capitale fisso ma come lavoro vivo reificato , messo sotto padrone . La convergenza tra lavoro e comunicazione non smorza ma radicalizza le antinomie del capitalismo . Lo scivolo di performatività tra facoltà restituisce l’individualità dell’oggetto , tenendo ferma la natura antagonistica dei rapporti sociali in cui si inserisce ".

Nonostante ciò , una prassi autenticamente rivoluzionaria risulta piuttosto problematica , vuoi perché le affinità sovversive non riescono a mettere in forma un progetto etico-politico alternativo , vuoi perché la macchina repressiva del controllo blocca la disobbedienza attiva , vuoi perché il controllo della mobilità sociale incrementa i meccanismi di dominio .

In breve , la guerra "a bassa intensità " , lungi dall’operare un distinguo tra migranti , criminali e terroristi , stigmatizza tutte le "classi pericolose " . Dilagano così "comunità cintate ", classi marginali , centri di detenzione , espulsioni , violente repressioni . Ma c’è di più , i guardiani dell’ordine , per alimentare le paure collettive ,per manipolare lo stato di incertezza , rappresentano il " diverso " come incarnazione del male , come personificazione di una minaccia costante . Ciò , ovviamente , consente di esercitare abusi esecrabili nei confronti di coloro che sono stati espulsi dalla vita sociale e politica ,ossia nei confronti dei "non-cittadini".

Per completare il quadro, va aggiunto che il "nazional-repubblicanesimo " francese presenta caratteristiche peculiari . Le città-ghetto costruite negli anni Sessanta per accogliere la manodopera delle ex colonie , la sommossa di Vaulx-en-Velin , l’affare dei foulards islamici, mostrano , infatti , la persistenza di meccanismi di "razzizzazione " e di pratiche discriminatorie .

Inoltre , "anche se la Francia conosce un’immigrazione per lavoro vecchia e massiccia rispetto agli altri paesi d’Europa , occorre sottolineare quanto essa abbia tentato di allontanare, dopo la metà del XIX secolo , gli immigrati stessi attraverso politiche di controllo delle frontiere interne o direttamente nelle "regioni sotto-sviluppate "( E . Balibar). Per comprendere appieno le misure adottate da Chirac contro le banlieues bisogna , dunque, rievocare la storia coloniale e, al tempo stesso , considerare le odierne dinamiche di normalizzazione politico-culturale .

Insistendo sull’argomento , e per evitare un immotivato manicheismo , conviene evidenziare che la sinistra francese di fronte alle denunce , ai fermi , alle condanne , ha assunto un atteggiamento ambiguo e decisamente deprecabile . D’altra parte , ciò non può stupire dal momento che già durante la guerra d’Algeria la sinistra partecipò all’approvazione delle leggi emergenziali .

Ciò detto , va aggiunto che la macchina repressiva , la pianificazione dello spazio pubblico, la segregazione spaziale dei " diversi " , la tolleranza zero , l’arma del bando , sono fenomeni che attraversano tutte le democrazie occidentali . In altri termini , la rivolta delle banlieues francesi va anche contestualizzata nella giungla costruita dall’ideologia globalista .

La verità effettiva delle cose mostra , dunque , che bisogna difendere la società . Il che spinge a porre un interrogativo : è possibile operare una svolta senza ricorrere alla violenza ? In realtà , se non si vuole mistificare la questione , bisogna riconoscere che il problema esiste. Difatti , al di là delle strumentali opzioni tra non-violenza e terrorismo , al di là di un moralismo ascetico , parlare aprioristicamente di una sorta di non-violenza angelicata risulta fuorviante e riduttivo . Insomma , per evitare perniciose confusioni tra esaltazione della violenza e diritto di resistenza , occorre valutare l’odierno terrore che sta distruggendo ogni comunità . Altrimenti detto , quando dilagano le guerre "a bassa intensità " e ad "alta intensità " ; quando le istituzioni non consentono la legittima contestazione ; quando la violenza strutturale dell’assetto sistemico pratica le politiche del bando e dell’esclusione ; quando si registra l’attacco quotidiano all’Agorà , non si può che invocare l’istanza rivoluzionaria della "violenza divina ". A questo proposito giova rivisitare Benjamin per rilevare la differenza che esiste tra la violenza di un movimento rivoluzionario che cerca di prendere il potere statale e quella di un movimento che , invece , cerca di distruggere il potere dello Stato rifiutando qualsiasi rapporto con la legge . In quest’ottica , la seconda forma di violenza viene intesa come violenza divina ." Quest’ultima esprime la vita stessa in modo non mediato , fuori dalla legge , nella forma del vivente " . " Chiamiamo- scrive A. Negri – questa violenza potere costituente ….Questa pratica non è una messa in opera , non guarda alla sua rappresentazione per averne effetti …Questa pratica è divina proprio nel senso spinoziano : la sua azione selvaggia distrugge e costruisce l’essere ".

Ne consegue che per non essere "animalizzati " , per promuovere un’emancipazione radicale, bisognerebbe sconvolgere le regole del dominio con una disobbedienza irriducibile . E’ evidente quindi che le semplificazioni sul discorso violenza – non-violenza assumono una valenza funzionale al gioco dei poteri costituiti.

A questo punto , senza pretendere di fornire chiavi risolutive e , ovviamente , senza ipotizzare una improbabile ripresa delle lotte sociali del XIX e del XX secolo , penso che un rovesciamento di prospettiva dipenda anche da una ricerca pertinente sulla "ontologia del presente " . Insomma , è necessario un nuovo approccio sia perché si registrano forme di statualismo di sinistra , sia perché si ripresenta la logica della concertazione , sia perché si sta affermando l’opinabile concezione del "costituzionalismo in un solo paese ".

Giova qui notare che questi paradigmi risultano obsoleti e controproducenti , perché di fatto inficiano la possibilità di una democrazia radicale . In effetti , per capovolgere la situazione esistente , si dovrebbero fare esplodere tutte le contraddizioni della sovranità e della democrazia imperfetta . Da qui la necessità di respingere il recupero dei processi di "istituzionalizzazione " , nella consapevolezza che essi possono assolvere solo una funzione riduttiva . In breve , si dovrebbe elaborare un nuovo concetto di cittadinanza fuori dall’immaginario statalista e lavorista , fuori dal fondamentalismo populista , fuori da tutte le forme particolariste e provinciali . Di più : un nuovo concetto di cittadinanza deve fare i conti con la sovranità imperiale del non-luogo , con l’impianto paradigmatico del capitalismo globalizzato , con lo stato di guerra permanente , con le becere forme di razzismo istituzionale , con la stigmatizzazione religiosa e culturale , con la recrudescenza dei fondamentalismi , con l’intollerabile ingerenza delle chiese . Quest’ultimo problema rimanda agli anatemi del Vaticano , al feeling tra Berlusconi e Ratzinger , all’assalto ai consultori , all’attacco alla 194 , alle ambiguità trasversali della politica istituzionale , agli atteggiamenti deprecabili di una parte della sinistra .

La verità è che in Italia siamo passati da una laicità debole ad una laicità che è diventata sempre più evanescente .

Ne consegue che non possono sorprendere le affermazioni del novello chierichetto Bertinotti . Il camaleontico personaggio da operetta ,infatti , non solo si è intrattenuto con i vescovi sui temi della trascendenza , ma ha anche dichiarato che soltanto la chiesa può essere ai nostri giorni un punto di riferimento . Il funzionale trascendentalismo dei " benpensanti " e di tutti i neosinistroidi mostra che si stanno ripresentando nuove forme di cattocomunismo .

Ma c’è di più , ciò evidenzia ancora una volta il sostanziale continuismo italiano . Molto significativa è a tal proposito la preoccupazione labriolana espressa nel 1887 dinanzi ai tentativi di conciliazione tra chiesa e stato .

Labriola scrive su "La Tribuna " : " Questo movimento d’impossessarsi dei municipi , per passare alle cattedre e finire in Parlamento allo scopo di frenare devotamente il movimento della Democrazia , cominciò nel 1872 con la pastorale dell’arcivescovo di Napoli , Sisto P. Maiano- Sforza che invitò per primo gli elettori ad accorrere alle urne …La questione è grave e il pericolo c’è- aggiunge Labriola - mettendo in evidenza la facilità di cattura da parte del Vaticano per il temperamento accomodante dell’italiano : tanto più che c’è nel carattere italiano una sovrana indolenza dello spirito che si vanta come buonsenso e che ci fa compatire tutte le contraddizioni . La conciliazione ? Non c’è niente di male . Non per questo L’Italia si sfascia . Il popolo italiano è un popolo di artisti ; troverà così il modo , nella sua fantasia , di assistere alle feste del Vaticano come ai balli al Quirinale " .

La perspicace ironia labriolana si rivela illuminante per prendere atto che alcuni rituali , sia pure in versione riveduta e corretta , si stanno ripetendo.

Ma considerando le aberranti confusioni tra religione , strumentale moralismo clericale e pseudo-etica rivoluzionaria , conviene insistere sull’argomento .

Difatti , occorre ricordare che il trattato costituzionale europeo legittima di fatto l’intervento delle chiese nel processo democratico .

Ne deriva che solo una nuova religione atea e materialista può operare il riscatto del passato e del presente .

Constatando , dunque , che l’alternarsi dei governi di destra e di sinistra lascia invariato il quadro generale , registrando la presenza di quello che Giorgio Agamben definisce " homo sacer " , ossia colui che può essere ucciso , espulso e torturato impunemente : insomma , rilevando la stigmatizzazione sistematica dei "non-cittadini " , non si può che invocare l’invenzione di una cultura di lotta .

Ma come attivare processi autenticamente rivoluzionari senza ricadere nell’organizzazione dispotica-burocratica del partito e dell’apparato di Stato ? Come ripensare a fondo la prassi rivoluzionaria ? Come rendere viva ed operante una politica di emancipazione e di invenzione ? In effetti , bisogna riconoscere che la situazione è assai complessa , sia perché il potere costituente della moltitudine risulta piuttosto problematico , sia perché le forme di lotta legate al contesto novecentesco si rivelano inattuali , sia perché i migranti non possono essere percepiti sic et simpliciter come i nuovi "proletari postnazionali ". A questo proposito E . Balibar osserva che la posizione di insicurezza e d’oppressione massima degli sradicati non può essere intesa né come "base della massa " , né come " tipo ideale di militanti new global " .

Ciò detto , va aggiunto che l’invenzione di una cultura di lotta esige la rimozione delle false promesse della tolleranza liberale e di un astratto multiculturalismo . Inoltre , penso che l’idea di "un capitalismo globale dal volto umano " possa assolvere solo una funzione- placebo . Difatti , una decostruzione critica mostra che questa idea si rivela un ossimoro , dal momento che il capitalismo globale , per via delle sue caratteristiche peculiari, non potrà mai essere umano .

Bisogna , dunque , rigettare tutte le forme di consolazione oppiacea e ribadire , invece , la necessità di un esodo rivoluzionario . Il che rimanda a una sovversione cognitiva , al futuro anteriore e al desiderio di riscatto del presente . " Per ricominciare da zero- scrive A . Illuminati- serve reinventare il passato , passarlo contropelo per scovarne l’incompiuto che attende il compimento . Il termine redenzione sta dietro l’angolo : etimologicamente significa ricompare , accollarsi un debito per salvare il debitore . Nella più tenue evenienza acquistare un biglietto per il seguito del film ".

In quest’ottica , le tattiche riformiste , la noia controrivoluzionaria , il relativismo a buon mercato , ogni giustificazionismo dell’esistente , devono essere combattuti e sostituiti da un’etica rivoluzionaria della convinzione . Ciò esige un progetto di democrazia radicale che, ovviamente , non può essere intesa nè come prospettiva metafisica , né come governo della maggioranza .

Democrazia significa teoricamente governo del popolo : governo di tutti , per opera di tutti . Senonchè , la coscienza materiale e storica mostra che il cosiddetto governo di tutti si rivela riduttivo , perché gli individui che compongono il popolo hanno opinioni , pulsioni , passioni, volontà , bisogni differenti .

Ma c’è di più , l’assetto sistemico del postmoderno , dissolvendo vecchie categorie legate allo Stato-nazione e al fordismo , spinge non solo a ripensare il concetto di popolo e l’equazione nazionalità- cittadinanza, ma anche la Dichiarazione dell’uomo e del cittadino del 1789 . Inoltre , la storia contemporanea ha rimesso in discussione il rapporto fra politico e religioso, tant’è che si manifestano inquietanti commistioni tra chiese e stati. Ciò significa che il progetto di cittadinanza globale deve fare i conti con tutte le increspature identitarie, con tutti i comunitarismi repubblicani , con la distribuzione ineguale del capitale culturale , con la recrudescenza del simbolico fallogocentrico .

A farla breve , la fenomenologia del presente richiede l’ibridazione di diversi concetti e , al tempo stesso , una nuova filosofia politica che sia all’altezza della sfida .

La compresenza di diversi fenomeni , la rete di micro-relazioni di potere , la barbarie strutturale del postmoderno , mostrano , dunque , che la concezione classica della lotta di classe va riconsiderata .

Il che esige l’invenzione di una nuova Internazionale delle lotte che rivendichi appieno tutti i desideri del comune.

Intendiamoci , se l’invenzione esclude la ripetizione , è altresì vero che non si può prescindere né dall’esperienza materialista , né dall’eredità marxiana .

D’altra parte , "ispirarsi ancora a un certo spirito del marxismo sarebbe essere fedeli a quel che ha fatto del marxismo , in principio e innanzitutto , una critica radicale , cioè un modo di procedere pronto all’autocritica …. E lo distingueremo da altri spiriti del marxismo , quelli che inchiodano al corpo della dottrina marxista , della sua pretesa totalità sistemica , metafisica o ontologica , ai suoi concetti fondamentali di lavoro , di forma di produzione , di classe sociale , e di conseguenza a tutta la storia dei suoi apparati ( progettati o reali : le Internazionali del movimento operaio , la dittatura del proletariato , il partito unico , lo Stato e infine la mostruosità totalitaria ) " ( Jacques Derrida) .

Le illuminanti osservazioni di Derrida spingono a rigettare tutte le argomentazioni che stigmatizzano la presunta "fredda razionalità dell’approccio materialistico" e che caldeggiano l’opinabile equazione "marxismo-violenza ".

In breve , pur riconoscendo i torti del socialismo reale , pur rilevando i guasti di certi marxismi , non si può buttare nella pattumiera della storia il bambino e l’acqua sporca .

La verità è che , oggi , per via di un coacervo di elementi , il nome stesso della rivoluzione viene espulso , messo al bando , oltraggiato . In altre parole , le pratiche di normalizzazione, le prediche buoniste , le forme di blando riformismo , i devastanti processi di spoliticizzazione e via dicendo , ostacolano di fatto la virtù rivoluzionaria della liberazione .

Ciò detto , va aggiunto che attualmente " in fatto di mostri regna una mostruosa confusione ", tant’è che Giorgio Bocca mette nel gran calderone mostruoso Stefania Craxi , la nipote del duce , Berlusconi , Buttafuoco , Giuliano Ferrara e Antonio Negri . Quest’ultimo non solo viene definito "il mostro della finta rivoluzione " , ma viene anche rappresentato come un cattivissimo maestro che ride beffardamente e grida "viva la rivolta " in occasione dei disordini nelle periferie francesi. " Ricorda un po’ – scrive Giorgio Bocca - quella barzelletta sublime su Hitler , che di ritorno da qualche rifugio sudamericano promette ai suoi fidi che lo rivogliono al potere : "Sì , ma questa volta cattivi " . ( L’espresso N 47 – 1- Dicembre 2005).

Che dire ? Come commentare le astiose invettive del giornalista supponente e spocchioso? A mio avviso le punzecchiature diffamanti nei confronti di Negri discendono dall’arbitrarietà di alcuni teoremi , da una sorta di egotismo ciarlatanesco , da una palese trivialità assiomatica, da un manicheismo di maniera e, soprattutto, da una mostruosità sostanzialmente antirivoluzionaria .

D’altronde , dalla notte dei tempi tutti i cattivi maestri della storia sono stati sempre stigmatizzati e banditi , basti pensare a Socrate , a Machiavelli , a Bruno , a Spinoza , sicché non può sorprendere che anche oggi le teste pensanti rivoluzionarie siano pre-giudicate da uomini senza qualità .

Da qui la necessità di rivisitare un proverbio medievale " Ubi maior minor cessat ", ovvero "quando si presenta chi vale di più , chi vale meno si ritiri " .

Purtroppo, molti uomini , come i prigionieri della caverna platonica , guardano l’ombra di quella che ritengono essere la verità . Esistono , invece , gli uomini-chiave che rifiutano tutti i surrogati di realtà , che lottano contro la nefandezza del mondo , e così facendo diventano catalizzatori di idee e di aspirazioni .

Ne consegue che bisogna demistificare tutte le verità rovesciate , tutte le complicità dei falsi partigiani della libertà , per affermare la radicalizzazione dell’etica rivoluzionaria della liberazione .

"A questo punto dobbiamo correre il rischio di reintrodurre la contrapposizione leninista tra libertà formale e libertà reale : il nocciolo di verità nella caustica replica di Lenin ai suoi critici menscevichi è che la scelta veramente libera è una scelta in cui non mi limito a scegliere tra due o più alternative all’interno di un insieme prestabilito di coordinate , ma scelgo invece di modificare quell’insieme stesso di coordinate " ( Slavoj Zizek ).

Partendo da quest’ottica occorre , a mio avviso , ridimensionare il ruolo dei municipi nel governo dell’economia , perché di fatto gli enti pubblici territoriali sono attraversati dalla extraterritorialità del capitale , dal continuo rimescolamento del rapporto centro-periferia , dai parametri della democrazia delegata ,dalla sacralizzazione della crescita , dalla contraddittorietà dei processi di globalizzazione, dalle azioni spietate delle gerarchie mondiali , dalla mano invisibile del mercato precarizzato .

In effetti , al di là delle fuorvianti esemplificazioni , penso che solo una rete globale della disobbedienza attiva potrebbe costruire una nuova " Comune di Parigi ".

Ma c’è di più , a mio parere , una ricostruzione qualitativa del mondo esige anche la rimozione di un generico e arcaico anticapitalismo .

Difatti , l’elaborazione di un progetto radicalmente alternativo non può prescindere né dalle dinamiche di una società complessa ,né da una realtà transindividuale , né dalle problematiche relative alla differenza sessuale.

A tal proposito Rosi Braidotti afferma : " Il filo conduttore da questo punto di vista , è l’idea della reciproca dipendenza della differenza sessuale e di tante altre differenze che segnano il corpo . La differenza di razza , di colore della pelle , si evidenzia come elemento di analogia strutturale con la differenza sessuale . Mi sembra urgente pensarle l’una in rapporto all’altra e , non a caso , tengo a sottolineare l’interdipendenza di questi due assi di differenziazione in un momento politico della storia europea in cui il razzismo è rispuntato in maniera violenta e diffusa " .

L’invenzione di una cultura di lotta , dunque , partendo dalla verità effettiva delle cose, dovrebbe inglobare necessariamente la battaglia antirazzista e quella antisessista .

Ciò richiede non solo un distinguo tra pacifismo istituzionale e pacifismo sociale , ma anche la rimozione di un " rivoluzionarismo " di maniera , di ogni ipoteca dottrinaria , di ogni chiusura identitaria , di ogni logica che incentiva lo sviluppo insostenibile .

Altrimenti detto , gli animali sociali , in virtù della " cupiditas " spinoziana , dovrebbero rivendicare il diritto di non essere comandati .

Insomma , per abolire ogni dominio dell’uomo sull’uomo , per rigettare ogni forma di sessismo , di razzismo , di pratica confessionale , di economicismo , bisogna inventare una nuova sintassi della liberazione . D’altra parte, come insegna la lezione bruniana , " le difficultati eccitano sempre l’intelletto umano a nuove invenzioni " .

Sogni di una visionaria ? Forse . Ma da materialista irriducibile , da spinozista convinta , non posso che invocare un autentico radicalismo rivoluzionario .