16 Marzo 1978

di Fausto Cerulli.

Il 16 marzo del 1978 a via Fani cominciava la faccenda: la scorta assassinata, lo statista rapito, le borse che scomparvero e riapparvero e che forse non c’erano e

se c’erano erano zeppe di tesi di laurea. Fu in quel giorno che fu rapito Moro e fummo tutti un po’ privati della libertà di pensare.

Ed anche oggi stiamo qui a cercare di pensare in libertà a quel giorno stranito, a

quella strada dove c’erano tutti. La strada più frequentata d’Italia. Facciamo qualche conto: c’erano certamente i brigatisti rossi, ed ogni tanto il loro numero cresce o decresce, fisarmonica orrenda del mistero all’italiana. Vogliamo aggiungere qualche agente della Cia, che magari passava lì per caso, una sgommata e via: giusto per evitare un fastidioso faccia a faccia con qualche agente del KGB, dove a quel tempo Putin era un semplice allievo, una matricola spensierata.

Poi c’erano i nostri servizi segreti, Gelli travestito da suora, Andreotti travestito

da Andreotti, i nostri servizi non segreti che prendevano le misure delle frenate,

preparando un dossier per le assicurazioni: il dovere è dovere, e c’era un gran casino di automobili rovinate. Insieme a qualche non eccellente cadavere.

Le indagini, come sappiamo, scattarono immediatamente: tutta l’Italia fu chiusa in

un cordone sanitario, e le maglie si stringevano, inesorabili, intorno ai rapitori. Andreotti, che non ha mai avuto troppo tempo da perdere, fu nominato Capo del Governo: e lo votarono tutti, o quasi tutti. Lo votarono soprattutto i comunisti che non dovevano votarlo, nei disegni della Cia, del Kgb, di Licio Gelli e di Alessandro Manzoni, nome più nome meno…

Fu il gran momento dell’Informazione: assatanata di notizie e gonfiata soltanto di veline; pilotata come mai prima, e come mai dopo. E cominciarono le lettere

di Moro, e le interpretazioni delle lettere ( è drogato, non è lui, lui non avrebbe parlato mai così male della democrazia cristiana); e la serie numerata e numerosa dei

comunicati BR: ed alzi la mano chi non ha scritto, in quella primavera, qualche comunicato con la stella a cinque punte. Credo che fosse diventato, in certi ambienti,

una specie di gioco: io faccio il comunicato numero 1, tu mi smentisci con il comunicato numero 3, la polizia dubita dell’autenticità finchè non arriva l’ordine

(anzi il comunicato perentorio) che non si deve dubitare. Che siamo, matti: in dubio veritas, proprio come nel vino.

Visto che si giocava, ti pareva che perdeva l’occasione un goliardone come Prodi;

che mentre qualche Italia aveva qualche cruccio, passava le serate a tortellini ed a

sedute spiritiche: e l’anima del defunto evocato giocava anch’essa e diceva di Gradoli e non specificava nient’altro, bella razza di trapassato in vena di depistaggi e scherzi macabri.

Qualcuno, intanto, andava al lago, al lago della Duchessa: e scoprimmo a quel tempo

che le nostre forze dell’ordine avevano i loro bravi sommozzatori, pronti a scandagliare un lago intero in un battibaleno: ancora non sappiamo se cercavano le borse di Moro, i nastri dell’interrogatorio, o magari la gobba di Andreotti.

Poi fu la volta di via Gradoli, di via Montenevoso, dei covi caldi e dei covi semifreddi; e fu la sagra della fermezza, con lo Stato meno Stato del mondo che si vestiva da Stato forte: a tutto pronto meno che scendere a patti col nemico. Questo stato italiano che dovrebbe avere come articolo 1 della Costituzione: L’Italia è

una repubblica fondata sull’inciucio. O, per essere più realisti,: L’Italia è una Re-

pubblica infondata. Una falsa notizia e una smentita ancora più falsa: era questa

l’Italia di allora e non mi sembra cambiata: ne è passata, si fa per dire, di acqua sotto i ponti; ma l’acqua scorre ed il liquame ristagna sulle rive.

Ma torniamo a via Fani: a parte quelli che nel 1978 non erano nati, c’eravamo un

po’ tutti in quella strada: ad imparare l’arte dell’imparare insegnando, a sporcarci

le mani e la coscienza in quella straordinaria lezione.

Qualcuno dice che quella data segnò il principio della fine delle BR: qualcun altro

dice che fu la fine del principio della dc vecchia maniera. Sciascia, da quel siciliano sospettoso e volterriano che credeva di essere, scriveva che era solo la continuazione di un gioco assai perverso.

Andò molto di moda la domanda: a chi giova ?

Questo, se permettete, è bieco utilitarismo: perché, dove sta scritto, che qualcosa debba servire a qualcuno?

Facciamo finta che non sia accaduto nulla; e nulla, in fondo, è veramente accaduto.

Tutto sta ancora accadendo: lasciamo che la cronaca seppellisca la cronaca e che

la storia si scavi la sua fossa.

E pensiamo soltanto, qualche volta, che finché qualche mistero circonda l’Accaduto, questo accaduto accade ancora: e sempre.