MORO SCRIVE AD ANDREOTTI

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In queste due lettere, scritte dalla prigione dell BR - ALDO MORO sembra esplicare chi ha deciso di lasciarlo morire. Moro sa benissimo che i trattati di Yalta non permetteno di liberarlo e che lui aveva dato fastidio a Kissinger con il suo piano di portare i comunisti al governo senza diritto di voto. C'erano dei confini, l'Italia doveva rimanere in mano agli USA e per questo mai e poi mai poteva avere i COMUNISTI PCI al governo. Kissinger stesso minaccio' piu' volte ALDO MORO. Quando le Brigate Rosse rapirono ALDO MORO, il piano di Kissinger in qualche modo si realizzo', e sia la Russia che l'America, con i relativi servizi segreti decisero di non liberarlo, anzi depistarono pur sapendo dove era tenuto prigioniero. IL LAGO DELLA DUCHESSA - IL PAESE GRADOLI - i depistaggi i finti volantini stampati dalla banda della magliana eccetera... MORO NON ERA PAZZO come voleva far intendere ANDREOTTI... anzi in queste lettere che gli scrive fa capire che lui sa... sa che il lavoro sporco e chi lo sostituira' alla guida della DC sara' GIULIO ANDREOTTI.

recapitata il 29 aprile)

MORO SCRIVE AD ANDREOTTI.

Caro Presidente,
so bene che ormai il problema, nelle sue massime componenti, è nelle tue mani e tu ne porti altissima responsabilità. Non sto a descriverti la mia condizione e le mie prospettive. Posso solo dirti la mia certezza che questa nuova fase politica, se comincia con un bagno di sangue e specie in contraddizione con un chiaro orientamento umanitario dei socialisti, non è apportatrice di bene né per il Paese né per il Governo. La lacerazione ne resterà insanabile. Nessuna unità nella sequela delle azioni e reazioni sarà più ricomponibile.

Con ciò vorrei invitarti a realizzare quel che si ha da fare nel poco tempo disponibile. Contare su un logoramento psicologico, perché son certo che tu, nella tua intelligenza, lo escludi, sarebbe un drammatico errore.


Quando ho concorso alla tua designazione e l’ho tenuta malgrado alcune opposizioni, speravo di darti un aiuto sostanzioso, onesto e sincero. Quel che posso fare, nelle presenti circostanze, è di beneaugurare al tuo sforzo e seguirlo con simpatia sulla base di una decisione che esprima il tuo spirito umanitario, il tuo animo fraterno, il tuo rispetto per la mia disgraziata famiglia.


Quanto ai timori di crisi, a parte la significativa posizione socialista cui non manca di guardare la D.C., è difficile pensare che il PCI voglia disperdere quello che ha raccolto con tante forzature.


Che Iddio ti illumini e ti benedica e ti faccia tramite dell’unica cosa che conti per me, non la carriera cioè, ma la famiglia.
Grazie e cordialmente tuo


Aldo Moro

On. Giulio Andreotti
Presidente del Consiglio dei Ministri

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A Renato Dell’Andro

(recapitata il 29 aprile)

Carissimo Renato
in questo momento così difficile, pur immaginando che tu abbia fatto tutto quello che la coscienza e l’affetto ti suggerivano, desidero aggiungere delle brevi considerazioni. Ne ho fatto cenno a Piccoli e a Pennacchini ed ora lo rifaccio a te, che immagino con gli amici direttamente e discretamente presenti nei dibattiti che si susseguono.


La prima riguarda quella che può sembrare una stranezza e non è e cioè lo scambio dei prigionieri politici. Invece essa è avvenuta ripetutamente all’estero, ma anche in Italia. Tu forse già conosci direttamente le vicende dei palestinesi all’epoca più oscura della guerra.

Lo scopo di stornare grave danno minacciato alle persone, ove essa fosse perdurata. Nello spirito si fece ricorso allo stato di necessità. Il caso è analogo al nostro, anche se la minaccia, in quel caso, pur serissima, era meno definita. Non si può parlare di novità né di anomalia.

La situazione era quella che è oggi e conviene saperlo per non stupirsi. Io non penso che si debba fare, per ora, una dichiarazione ufficiale, ma solo parlarne di qua e di là, intensamente però. Ho scritto a Piccoli e a Pennacchini che è buon testimone.

A parte tutte le invenzioni che voi saprete fare, è utile mostrare una riserva che conduca, in caso di esito negativo, al coagularsi di voti contrari come furono minacciati da De Carolis e altri, Andreotti che (con il PCI) guida la linea dura, deve sapere che corre gravi rischi.

Valorizzare poi l’umanitarismo socialista, più congeniale alla D.C. e che ha sempre goduto, e specie in questa legislatura, maggiori simpatie.


Forza, Renato, crea, fai, impegnati con la consueta accortezza. Te ne sarò tanto grato.
Ti abbraccio.
Aldo Moro

On. [...]¹ Renato Dell’Andro S.p.M.

(¹) parola illeggibile

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5) A Benigno Zaccagnini1

(recapitata il 4 aprile)

Caro Zaccagnini,

scrivo a te, intendendo rivolgermi a Piccoli, Bartolomei, Galloni, Gaspari, Fanfani, Andreotti e Cossiga ai quali tutti vorrai leggere la lettera e con i quali tutti vorrai assumere le responsabilità, che sono ad un tempo individuali e collettive. Parlo innanzitutto della D.C. alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze che non è difficile immaginare.

Certo nelle decisioni sono in gioco altri partiti; ma un così tremendo problema di coscienza riguarda innanzitutto la D.C., la quale deve muoversi, qualunque cosa dicano, o dicano nell'immediato, gli altri.

Parlo innanzitutto del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m'ero tanto adoperato a costituire.

E' peraltro doveroso che, nel delineare la disgraziata situazione, io ricordi la mia estrema, reiterata e motivata riluttanza ad assumere la carica di Presidente che tu mi offrivi e che ora mi strappa alla famiglia, mentre essa ha il più grande bisogno di me. Moralmente sei tu ad essere al mio posto, dove materialmente sono io. Ed infine è doveroso aggiungere, in questo momento supremo, che se la scorta non fosse stata, per ragioni amministrative, del tutto al disotto delle esigenze della situazione, io forse non sarei qui.

Questo è tutto il passato. Il presente è che io sono sottoposto ad un difficile processo politico del quale sono prevedibili sviluppi e conseguenze. Sono un prigioniero politico che la vostra brusca decisione di chiudere un qualsiasi discorso relativo ad altre persone parimenti detenute, pone in una situazione insostenibile. Il tempo corre veloce e non ce n'è purtroppo abbastanza. Ogni momento potrebbe essere troppo tardi.

1 Di questa lettera esiste anche un’altra versione, mai recapitata, che fu rinvenuta nel covo di via Montenevoso nel 1990.

Il testo di questa versione (in minuta) differisce da quello recapitato solo in alcuni passaggi che verranno modificati e resi più sfumati, meno duri.

Si discute qui, non in astratto diritto (benché vi siano le norme sullo stato di necessità), ma sul piano dell'opportunità umana e politica, se non sia possibile dare con realismo alla mia questione l'unica soluzione positiva possibile, prospettando la liberazione di prigionieri di ambo le parti, attenuando la tensione nel contesto proprio di un fenomeno politico. Tener duro può apparire più appropriato, ma una qualche concessione è non solo equa, ma anche politicamente utile. Come ho ricordato in questo modo civile si comportano moltissimi Stati. Se altri non ha il coraggio di farlo, lo faccia la D.C. che, nella sua sensibilità ha il pregio di indovinare come muoversi nelle situazioni più difficili. Se così non sarà, l'avrete voluto e, lo dico senza animosità, le inevitabili conseguenze ricadranno sul partito e sulle persone. Poi comincerà un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco.

Tengo a precisare di dire queste cose in piena lucidità senza avere subìto alcuna coercizione della persona; tanta lucidità almeno, quanta può averne chi è da quindici giorni in una situazione eccezionale, che non può avere nessuno che lo consoli, che sa che cosa lo aspetti. Ed in verità mi sento anche un po' abbandonato da voi.

Del resto queste idee già espressi a Taviani per il caso Sossi ed a Gui a proposito di una contestata legge contro i rapimenti.

Fatto il mio dovere d'informare e richiamare, mi raccolgo con Iddio, i miei cari e me stesso. Se non avessi una famiglia così bisognosa di me, sarebbe un po' diverso. Ma così ci vuole davvero coraggio per pagare per tutta la D.C. avendo dato sempre con generosità. Che Iddio v'illumini e lo faccia presto, com'è necessario.

Affettuosi saluti

Aldo Moro

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A Eleonora Moro

(recapitata l'8 aprile dopo essere stata intercettata dalla Polizia la sera stessa)

Qualche concetto più toccante della lettera potresti dare in dichiarazione Segreto RAI TV (Guerzoni)

Mia carissima Noretta,

anche se il contenuto della tua lettera al Giorno non recasse motivi di speranza (né io pensavo che li avrebbe recati), essa mi ha fatto un bene immenso, dandomi conferma nel mio dolore di un amore che resta fermo in tutti voi e mi accompagna e mi accompagnerà per il mio Calvario. A tutti dunque il ringraziamento più vivo, il bacio più sentito, l'amore più grande.

Mi dispiace, mia carissima, di essermi trovato a darti questa aggiunta d'impegno e di sofferenza. Ma credo che anche tu, benché sfiduciata, non mi avresti perdonato di non averti chiesto una cosa che è forse un inutile atto di amore, ma è un atto di amore.

Ed ora, pur in questi limiti, dovrei darti qualche indicazione per quanto riguarda il tuo tenero compito.

E' bene avere l'assistenza discreta di Rana e Guerzoni. Mi pare che siano rimasti taciti i gruppi parlamentari, ed in essi i migliori amici, forse intimiditi dal timore di rompere un fronte di autorità e di rigore. Ed invece bisogna avere il coraggio di rompere questa unanimità fittizia, come tante volte è accaduto. Quello che è stupefacente è che in pochi minuti il Governo abbia creduto di valutare il significato e le implicazioni di un fatto di tanto rilievo ed abbia elaborato in gran fretta e con superficialità una linea dura che non ha più scalfito: si trattava in fondo di uno scambio di prigionieri come si pratica in tutte le guerre (e questa in fondo lo è) con la esclusione dei prigionieri liberati dal territorio nazionale. Applicare le norme del diritto comune non ha senso. E poi questo rigore proprio in un Paese scombinato come l'Italia. La faccia è salva, ma domani gli onesti piangeranno per il crimine compiuto e soprattutto i democristiani. Ora mi pare che manchi specie la voce dei miei amici.

Converrebbe chiamare Cervone, Rosati, Dell'Andro e gli altri che Rana conosce ed incitarli ad una dissociazione, ad una rottura dell'unità.

E' l'unica cosa che i nostri capi temono. Del resto non si curano di niente. La dissociazione dovrebbe essere pacata e ferma insieme. Essi non si rendono conto quanti guai verranno dopo e che questo è il meglio, il minor male almeno.

Tutto questo andrebbe fatto presto, perché i tempi stringono. Degli incontri che riuscirai ad avere, se riuscirai, sarà bene dare notizia con qualche dichiarazione. Occorre del pubblico oltre che del privato.

Su questo fatti guidare da Guerzoni.

Nel risvolto del "Giorno" ho visto con dolore ripreso dal solito Zizola un riferimento dell'Osservatore Romano (Levi). In sostanza: no al ricatto. Con ciò la S. Sede, espressa da questo Sig. Levi, e modificando precedenti posizioni, smentisce tutta la sua tradizione umanitaria e condanna oggi me, domani donne e bambini a cadere vittime per non consentire il ricatto. E' una cosa orribile, indegna della S. Sede. L'espulsione dallo Stato è praticata in tanti casi, anche nell'Unione Sovietica, e non si vede perché qui dovrebbe essere sostituita dalle stragi di Stato. Non so se Poletti può rettificare questa enormità in contraddizione con altri modi di comportarsi della S. Sede. Con queste tesi si avvalla il peggior rigore comunista ed a servizio dell'unicità del comunismo. E' incredibile a quale punto sia giunta la confusione delle lingue. Naturalmente non posso non sottolineare la cattiveria di tutti i democristiani che mi hanno voluto nolente ad una carica, che, se necessaria al Partito, doveva essermi salvata accettando anche lo scambio dei prigionieri. Sono convinto che sarebbe stata la cosa più saggia.

Resta, pur in questo momento supremo, la mia profonda amarezza personale. Non si è trovato nessuno che si dissociasse?

Bisognerebbe dire a Giovanni che significa attività politica. Nessuno si è pentito di avermi spinto a questo passo che io chiaramente non volevo? E Zaccagnini? Come può rimanere tranquillo al suo posto? E Cossiga che non ha saputo immaginare nessuna difesa? Il mio sangue ricadrà su di loro. Ma non è di questo che voglio parlare; ma di voi che amo e amerò sempre, della gratitudine che vi debbo, della gioia indicibile che mi avete dato nella vita, del piccolo che amavo guardare e cercherò di guardare fino all'ultimo. Avessi almeno le vostre mani, le vostre foto, i vostri baci. I democratici cristiani (e Levi dell'Osservatore) mi tolgono anche questo. Che male può venire da tutto questo male? Ti abbraccio, ti stringo, carissima Noretta e tu fai lo stesso con tutti e con il medesimo animo. Davvero Anna si è fatta vedere? Che Iddio la benedica.

Vi abbraccio

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A Francesco Cossiga

(recapitata il 29 marzo)

Caro Francesco,

mentre t'indirizzo un caro saluto, sono indotto dalle difficili circostanze a svolgere dinanzi a te, avendo presenti le tue responsabilità (che io ovviamente rispetto) alcune lucide e realistiche considerazioni.

Prescindo volutamente da ogni aspetto emotivo e mi attengo ai fatti. Benché non sappia nulla né del modo né di quanto accaduto dopo il mio prelevamento, è fuori discussione - mi è stato detto con tutta chiarezza - che sono considerato un prigioniero politico, sottoposto, come Presidente della D.C., ad un processo diretto ad accertare le mie trentennali responsabilità (processo contenuto in termini politici, ma che diventa sempre più stringente). In tali circostanze ti scrivo in modo molto riservato, perché tu e gli amici con alla testa il Presidente del Consiglio (informato ovviamente il Presidente della Repubblica) possiate riflettere opportunamente sul da farsi, per evitare guai peggiori.

Pensare quindi fino in fondo, prima che si crei una situazione emotiva e irrazionale. Devo pensare che il grave addebito che mi viene fatto, si rivolge a me in quanto esponente qualificato della DC nel suo insieme nella gestione della sua linea politica.

In verità siamo tutti noi del gruppo dirigente che siamo chiamati in causa ed è il nostro operato collettivo che è sotto accusa e di cui devo rispondere.

Nella circostanza sopra descritta entra in gioco, al di là di ogni considerazione umanitaria che pure non si può ignorare, la ragione di Stato. Soprattutto questa ragione di Stato nel caso mio significa, riprendendo lo spunto accennato innanzi sulla mia attuale condizione, che io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato, sottoposto ad un processo popolare che può essere opportunamente graduato, che sono in questo stato avendo tutte le conoscenze e sensibilità che derivano dalla lunga esperienza, con il rischio di essere chiamato o indotto a parlare in maniera che potrebbe essere sgradevole e pericolosa in determinate situazioni.

Inoltre la dottrina per la quale il rapimento non deve recare vantaggi, discutibile già nei casi comuni, dove il danno del rapito è estremamente probabile, non regge in circostanze politiche, dove si provocano danni sicuri e incalcolabili non solo alla persona, ma allo Stato. Il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di legalità, mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurre a salvarli, è inammissibile. Tutti gli Stati del mondo si sono regolati in modo positivo, salvo Israele e la Germania, ma non per il caso Lorenz. E non si dica che lo Stato perde la faccia, perché non ha saputo o potuto impedire il rapimento di un'alta personalità che significa qualcosa nella vita dello Stato.

Ritornando un momento indietro sul comportamento degli Stati, ricorderò gli scambi tra Breznev e Pinochet, i molteplici scambi di spie, l'espulsione dei dissidenti dal territorio sovietico.

Capisco che un fatto di questo genere, quando si delinea, pesi, ma si deve anche guardare lucidamente al peggio che può venire. Queste sono le alterne vicende di una guerriglia, che bisogna valutare con freddezza, bloccando l'emotività e riflettendo sui fatti politici.

Penso che un preventivo passo della S. Sede (o anche di altri? di chi?) potrebbe essere utile. Converrà che tenga d'intesa con il Presidente del Consiglio riservatissimi contatti con pochi qualificati capi politici, convincendo gli eventuali riluttanti. Un atteggiamento di ostilità sarebbe una astrattezza ed un errore.

Che Iddio vi illumini per il meglio, evitando che siate impantanati in un doloroso episodio, dal quale potrebbero dipendere molte cose.

I più affettuosi saluti.

Aldo Moro

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